Premessa
Ho riflettuto ancora una volta: che cos’è insomma
che spinge gente come noi a viaggiare?
[…]
Ciò che cerchiamo e ciò di cui siamo
assetati è in sostanza dovunque l’umano
1
Herman Hesse, Glück (La Felicità)
One's destination is never a place but rather
a new way of looking at things
2
Henry Miller
Ho composto questa tesi di laurea specialistica in maniera un po’
avventata, azzardata, un vero e proprio esperimento letterario e
umanistico. L’ho scritta in seguito ad un’esperienza di viaggio e di
conoscenza che ha formato la mia mente e l’ha diretta sul cammino della
decolonizzazione. Ho capito cosa significhi “mondializzare”
3
la propria
mente dopo l’esperienza Erasmus in Galizia, a Santiago de Compostela
per la precisione, città limite, gate
4
per l’apertura verso il mondo. Ho
conosciuto cittadini provenienti da ogni angolo del globo, ognuno con
una propria storia legata alle vicissitudini del proprio paese, ognuno
esportatore di una propria cultura, di una propria ideologia. E nel
rapporto con loro, Eu (in lingua gallega significa «Io») sono andato
avanti e loro con me. A Santiago de Compostela sono entrato in contatto
con un gruppo di studiosi e docenti di uno dei centri di elite in Europa per
quanto riguarda lo studio delle letterature comparate, l’«Área de teoria
da literatura e literatura comparada»
5
all’interno del «Departamento de
1
Hesse Herman, La felicità, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, pp. 40-41.
2
«La destinazione di ognuno non è mai un luogo ma piuttosto un nuovo modo di vedere
le cose».
3
Gnisci Armando, Mondializzare la mente, Via della Decolonizzazione europea n. 3,
Cosmo Iannone Editore, Isernia, 2006.
4
Il termine gate presenta una polivalenza di significati nella traduzione: porta,
cancello,ingresso, ponte.
5
Traduzione: Area di Teoria della Letteratura e Letteratura Comparata.
Literatura española, Teoría da literatura e Lingüística xeral»
6
della USC
ovvero «Universidade de Santiago de Compostela».
Nella frequentazione e nello scambio di idee, durante alcuni corsi, ho
preso spunto per scrivere questa tesi, per raccontare quello che so ora sul
concetto di letteratura mondiale, sul rapporto centro-periferia e sul
«glocal», e su come essi si coniugano tutti in una sola area: quella di
Santiago de Compostela e della Galizia nel loro incontro con il resto del
mondo. L’ho scritto per potermene ricordare (nell’eventualità in cui, a
furia di imparare, tutti i cassetti della mia memoria si ritrovino pieni o
che cominci a soffrire della memoria a breve termine come accade al
protagonista del film Memento di Christopher Nolan costretto a scrivere
sul proprio corpo, con dei tatuaggi, pezzi di vita….) e per poter ricordare
con esso anche una parte “felice” (per l’incontro interculturale) del mio
cammino sulla via dell’esistenza. Ho cominciato a scriverla il 4 luglio
2008 («Nata il 4 luglio» parafrasando ironicamente il film di Oliver
Stone), in un appartamento misto di Calle Fernando III o Santo, diviso
con cinque persone ma in realtà sempre vivo di tantissime presenze
amichevoli: messicani, cubani, colombiani, cileni, argentini, rumeni,
moldavi, polacchi, francesi, inglesi, arabi, giapponesi, tunisini,
maghrebini, brasiliani, americani, italiani (con i quali ho ancora contatti
grazie ad Internet e alle nuove tecnologie informatiche)… L’ho
continuata per altri tre mesi in un appartamento in Calle San Pedro de
Mezonzo, durante un periodo di lavoro e studio in cui ho allargato il
circolo mondiale di conoscenze e amicizie… e l’ho terminata diviso tra le
biblioteche di Roma e Napoli, nella tranquillità affettiva di casa mia.
Sicuramente tra i ricordi più belli della vita che mi resta ci sarà questa
stagione di un anno a Santiago di Compostela. Già “nel durante”, ricordo
che lo sapevo: che quel tempo sereno, pieno di amicizie e così
stimolante, era proprio allora una “memoria” piacevole. Nella mia vita ho
sempre viaggiato, da quando sono un niño (in italiano “bambino”). Ho
imparato da subito a condividere il mio mondo con l’altro e ad aprirmi
all’esperienza reciproca. Ho sempre trovato nel viaggio lo stimolo più
grande della vita, la via stessa di essa.
6
Traduzione: Dipartimento di Letteratura Spagnola, Teoria della Letteratura e
Linguistica generale.
Herman Hesse, in poche paginette di Felicità, in un capitoletto intitolato
Viaggiare del 1913, si interroga sul perché del viaggio, su quale sia
l’autentica ragione che spinge a percorrere chilometri su chilometri, in
ogni direzione e a godere davanti a «quadri ed edifici di tempi più ricchi,
ad incuriosirci entusiasti alla vita degli altri popoli che non hanno nulla a
che fare con noi, a origliare in solitudine il via vai della gente per la
strada di un luogo straniero»
7
.
Dopo un excursus in cui passa in rassegna le sue esperienze (dal viaggio
di “cultura”, per imparare, in cui risparmiava sul cibo per comprare
fotografie di sculture antiche e annotava su taccuini le meraviglie
ammirate ed in particolare le chiese italiane, al viaggio “d’avventura” in
terre più povere, attratto dal desiderio di conoscere paesaggi e
popolazioni) afferma che nessuno dei due ha in sé il vero motivo che
spinge «gente come noi» a viaggiare.
Mi sembra, dice Herman Hesse, che andare in giro e viaggiare costituisca
per uno come me quell’attività dal puro impulso estetico, che i nostri
popoli hanno quasi completamente smarrito, che avevano i greci, i romani
e gli italiani delle grandi epoche passate, e che forse si trova ancora in
Giappone, dove persone intelligenti e per niente infantili lo intendono
(nell’osservazione di una xilografia, di un albero o di una roccia, di un
giardino, di un singolo fiore) come maturo esercizio della capacità di
godere nei sensi, cosa che da noi appare raramente e debolmente
sviluppata. Il puro guardare, l’osservare non turbato da alcuna ricerca di
scopi o volontà, l’esercizio pago di sé stesso, di occhi, orecchie, naso e
tatto, è un paradiso per il quale i più sensibili fra noi hanno profonda
nostalgia, ed è viaggiando che siamo in grado di dedicarci a questo nel
modo migliore e più puro […] E chi va nel viaggio senza cercare questo
nel profondo torna a casa vuoto, e al massimo ha aggiunto un po’ di peso
al proprio zaino culturale
8
.
Ma dopo queste affermazioni, Hesse si chiede perché un’occhiata al
Mantegna gli dia più emozioni di uno sguardo ad una bella lucertola, o
perché un’ora passata in una cappella affrescata da Giotto gli dia
7
Hesse Herman, La felicità, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, p. 40.
8
Ivi, pp. 40-41.
sensazioni più forti e piacevoli di un’ora passata sulla spiaggia al mare,
ed arriva alla sua conclusione, alla sua “verità”:
No, ciò che cerchiamo e ciò di cui siamo assetati è in sostanza e
dovunque l’umano. Al vedere una bella montagna non godo la realtà
accidentale, godo me stesso, godo la capacità stessa di vedere, di sentire
le linee, vado per un bel paese straniero non per la sua cultura, niente
affatto, bensì esercito e amo e godo la cultura in quanto esercito su di essa
i miei sensi e i miei pensieri. È questa la ragione per cui grato ritorno
sempre e volentieri alle arti, per cui una costruzione ardita, una parete ben
affrescata, una buona musica, un disegno di valore mi concedono in
definitiva maggior piacere, e la soddisfazione dell’indistinto cercare, che
non l’osservazione di una bellezza naturale […] Così secondo me noi
viaggiamo e osserviamo e sperimentiamo il mondo straniero anzitutto
perché cerchiamo l’ideale dell’umano. In questo ci conferma e ci rafforza
una scultura di Michelangelo, una musica di Mozart, una chiesa toscana o
un tempio greco (ed io aggiungerei una costruzione azteca o inca, un tori,
una fotografia di Sebastiao Salgado… per una mente “mondializzata”).
E questa conferma e questo rafforzamento del desiderio che abbiamo di
un senso, di un’unità profonda, di un’immortalità della cultura umana è
ciò che in un viaggio gustiamo più intimamente anche quando non ci
pensiamo con chiarezza
9
.
E proprio rileggendo queste parole ho pensato al mio viaggio ed alla mia
permanenza a Santiago de Compostela, in Galizia, estrema regione
nordoccidentale della Spagna, avamposto romano ai confini della terra (a
pochi chilometri c’è la città di Finisterrae, finis-terrae), a metà tra
viaggio “di cultura”, grazie alla borsa di studio del progetto Erasmus, e
viaggio “d’avventura”. Una partenza solitaria, senza cognizione del
luogo, verso una terra per me extranxera (termine gallego, «straniera» in
italiano). Come ho detto non è stato il mio primo viaggio, ho sempre
viaggiato molto all’estero, e non penso che ci incuriosiamo agli altri
popoli che non hanno nulla a che fare con noi: io penso che ci
incuriosiamo agli altri popoli proprio perché toccano qualcosa del nostro
popolo, del nostro io o di alcune tradizioni e modi o costumi persi nei
tempi. A Santiago de Compostela, ho ammirato la città, la costa
9
Ivi, pp. 41-42.
galiziana, il vasto, sconfinato e sublime Oceano Atlantico, ho provato
piacere per ogni paesaggio e ho scoperto in più una storia particolare,
quella della Galizia, attraverso i suoi poeti, attraverso la sua letteratura e
la propria e sofferta costruzione e difesa di identità. Ho sentito sentimenti
forti ma pacati, quasi di quiete dell’animo, di fronte alla perfezione della
Cattedrale o alla semplicità della Chiesa di San Francesco; ho guardato
con ammirazione la bellezza delle piazze, dei vicoli della città vecchia di
Santiago de Compostela, la chiusura ma nello stesso tempo la sua
apertura al mondo e alle più differenti nazionalità provenienti attraverso i
porti (ecco il gate) di La Coruña e Vigo; ed ho approfondito e allargato la
mia visione mondializzata dell’esistente grazie ad un “Scuola” di elite
per lo studio delle Letterature Comparate
10
. Ed è proprio questo ciò che
più mi è rimasto e ciò che più mi ha formato nel soggiorno di sei mesi da
ottobre a marzo nella città galiziana. È questo il motivo che mi ha spinto,
ad ottobre del 2008, a ritornarci con l’unico intento di ricercare ulteriori
fonti per questo lavoro di fine laurea specialistica, incamminandomi su di
un sentiero particolare e intraprendendo un’avventura differente.
Appunto, per riprendere Hesse, ho cercato in questa terra, attraverso il
confronto con docenti giovani e preparati, «l’ideale dell’umano» e ho
formato il mio spirito, ora pronto per incontri inter-intra culturali. Ho
approfondito qui, grazie anche ad una biblioteca molto fornita e ad una
organizzazione didattica efficiente, i concetti di letteratura mondiale,
centro-periferia e glocal. Ho imparato a Santiago de Compostela ad
aprirmi al mondo e ad interagire con esso, stringendo legami forti e
significativi (di mutuo arricchimento) con tanti ragazzi desiderosi di
raccontare le loro realtà piene di situazioni difficili. Abbiamo
10
Un primo elemento che identifica la particolarità di questa Scuola è l’adozione del
singolare Literatura Comparada rispetto al plurale Letterature Comparate che
adoperiamo all’Università “La Sapienza” di Roma: la dicitura burocratica ed ufficiale
usata per legge in Italia è a dir poco eccentrica in quanto presupporrebbe un mondo in
cui esistano solo letterature nazionali mummificate e deposte ognuna nel proprio
sarcofago con molti archeologi intorno che a turno li spolverano divertendosi a
compararli. In realtà noi viviamo in un mondo che somiglia a ciò che più avanti
denominerò “letteratura mondiale” e che è quella concretamente letta e percepita da tutti
noi soprattutto in traduzione e più o meno simultaneamente sul pianeta, e alla
Letteratura generale e comparata, che è la disciplina che la studia e la insegna. «E la
letteratura mondiale e la letteratura comparata somigliano al mondo, perché lo
traducono, presso ognuno di noi e presso una comunità planetaria di tutti-insieme»
(Armando Gnisci, Di cosa parliamo quando parliamo di Letteratura comparata,
Bulzoni Editori, Roma, 2009, p. 9).
mondializzato le nostre menti mutuamente mettendo molte volte in
evidenza i problemi delle nostre città, io della “mia” Italia e in generale
di quel mondo, l’Occidente, ritenuto da loro Eden, terra di ricchezza e
prosperità, terra di cultura e di perfezione ma che in realtà non è altro che
«il peggiore dei mondi possibili»
11
. Ho cercato di intraprendere diversi
discorsi con loro supportato anche dai miei studi che intanto ho
approfondito grazie ad alcuni corsi di dottorato di ricerca in letterature
comparate (iscrittomi tramite una matricola speciale), e grazie anche al
confronto con alcuni ragazzi, compagni di dottorato, abitanti della
Galizia, e con una mentalità particolare, perché abitanti di una città come
Santiago de Compostela, meta di pellegrinaggi religiosi da tutto il
mondo, ma luogo di partenza e destinazione anche di numerose teorie
interculturali e laiche che fanno della città universitaria modello non solo
per la cristianità ma anche per la laicità studiosa. Un modello perfetto di
conoscenza e apertura alla diversità.
Ritorno, per concludere, ad Herman Hesse, immaginandomi nella
tranquillità e nel mistero dell’ex cimitero di San Pedro Bonaval, ora
parco che si affaccia su Santiago de Compostela, e pronunciando queste
sue parole che faccio mie:
sono rimasto a lungo seduto a pensare, e i pensieri assieme ai ricordi
correvano a cento viaggi, fin dalla prima giovinezza, e allora mi è stato
chiaro: per quante cose il tempo possa sottrarre, per quanto si possa
invecchiare, essere stanchi e diventare più deboli, quel fare esperienza che
è il senso del nostro impulso a viaggiare non perderà il proprio splendore,
e quando tra dieci o vent’anni viaggerò per il mondo con modi di vedere,
esperienze e prospettive diverse da quelle di oggi, ciò accadrà in
definitiva nello stesso senso di oggi, e al di sopra e al di là di ogni
diversità e di ogni attraente contrasto di terre e popoli, mi si farà incontro
sempre di più e sempre più chiaramente il senso che unisce tutta
l’umanità
12
.
Fioravante
11
Gnisci Armando, Mondializzare la mente, Via della Decolonizzazione europea n°3,
Cosmo Iannone Editore, Isernia, 2006, p. 78.
12
Hesse Herman, La felicità, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, pp. 42-43.
1
Introduzione
Nos autem, cui mundus est patria
velut piscibus equor
Dante, De vulgari eloquentia, I.6.12
«Nationalliteratur will jetzt nicht viel sagen: Die Epoche der Weltliteratur
ist an der Zeit, und jeder muß jetz dazu wirken, diese Epoche zu
beschleuningen»
1
, così parla Johann Wolfgang von Goethe all’amico e
suo segretario Johann Peter Eckermann nel famoso colloquio a tavola del
31 gennaio del 1827. Quest’ultimo arrivato a Frauenplan, il palazzo di
Goethe in Turingia, nel 1823, non amava gli splendori dei ricevimenti
ufficiali e preferiva ad essi il piccolo studio vicino al giardino dove
poteva discorrere da solo con la sua «infallibile stella polare»
2
. Passarono
così nove anni.
Da questo momento in poi, la formula-concetto che si esprime nel
sintagma “Letteratura mondiale” (Weltliteratur, World Literature,
Littérature mondiale/ universelle, Literatura mundial/universal, ecc.) si è
diffusa in tutto il mondo dei savants ed è diventata, come si usa dire tra
gli umanisti europei ed eurocentrici
3
, “universale”: una parola che io
intendo con una accezione unicamente negativa strettamente connessa al
colonialismo e alla sua forma moderna, la globalizzazione. Secondo
Martin de Riquer
4
, Goethe coniò il termine per «indicar una idea de la
1
«Oggi la letteratura nazionale non ha più la stessa valenza di prima: sta cominciando la
nuova era della letteratura mondiale, e ognuno deve adoperarsi per affrettare l’avvento
di quest’epoca»; «Nowadays, national literature doesn’t mean much: the age of world
literature is beginning, and everybody should contribute to hasten its advent»; «Hoy en
dia la literatura nacional no significa mucho: está comenzando la era de la literatura
mundial, y todo el mundo debería contribuir a acelerar su advinimiento»;
Eckermann Johann P., Conversazioni con Goethe negli ultimi anni della sua vita, in
Armando Gnisci, La letteratura del mondo, Roma, Carocci, 1991, p. 19.
2
Ibidem.
3
Con questo termine mi riferisco all’eurocentrismo dominante ed imperante, ossia al
ricondurre tutto il mondo sociale, economico e delle arti alla matrice occidentale.
4
Martin De Riquer (Barcellona, 3 maggio 1914). Decano della filologia romanza e della
critica letteraria spagnola, insigne membro della Real Academia Española de Letras,
cervantista di fama internazionale, autore, fra l’altro, delle monumentali Historia de la
literatura universal (Barcellona, Noguer, 1957-1959) e Historia de la literatura
catalana (Barcellona, Ariel, 1964-1966), nonché di vari studi sulla letteratura
medievale, fra cui spiccano Los trovadores (Barcellona, Planeta, 1975) e Aproximación
2
literatura realmente universal, que implica que todas las literaturas del
mundo pueden tener el mismo valor y atractivo»
5
. L’opera di De Riquer
Historia de la literatura universal in parte aspira alla stessa identica
funzione dell’idea di Goethe, cioè di «ofrecer una biblioteca, suficiente
pero nunca completa, para muchos»
6
. Una buona definizione per
Weltliteratur quella di «biblioteca para muchos»! Il problema è capire chi
siano questi muchos e se ci si riferisca sempre ai “soliti” muchos.
Goethe e altri studiosi suoi contemporanei pensarono la “Letteratura del
Mondo” come un auspicio-desiderio che sicuramente si sarebbe avverato
in un futuro non lontano da loro e i cui segni erano già visibili. Questa
intuizione goethiana e romantica è stata pensata ed aggiornata in un
continuum da numerosi studiosi, tra cui critici, teorici, saggisti,
comparatisti e storiografi e continua ad essere oggetto di indagine ancora
oggi, in un periodo in cui l’era della globalizzazione tende a
strumentalizzare quel concetto. Uno studio approfondito su questo
rapporto, letteratura mondiale-globalizzazione, è stato condotto da
Armando Gnisci in numerose opere sulla “Via della decolonizzazione”.
Per Goethe, leggere un romanzo cinese tradotto in tedesco, poterne
ripensare il contenuto “sentimentale” e le forme estetiche e poterne
discutere in Europa sui giornali e nei salotti letterari vuol dire appunto
che l’epoca della “letteratura mondiale” ist an der Zeit, is coming, sta
al Tirant lo Blanc (Barcellona, Quaderns Crema, 1990); Parlando de la Historia de la
literatura universal De Riquer si esprime in questi termini: «Este libro pretende ofrecer
un claro panorama crítico de las obras que constituyen, simplemente, a toda creación
literaria capaz de interesar a un lector de nuestra cultura y tiempo, por encima de
barreras nacionales o lingüisticas y de posiciones ideologicas» («Questo libro vuole
offrire una chiara panoramica critica sulle opere che prendono parte, semplicemente, a
tutta la creazione letteraria capace di attrarre l’interesse del lettore della nostra cultura e
del nostro tempo, mettendo da parte le barriere nazionali o linguistiche e le posizioni
ideologiche»). Reportaje y debate: Existe la literatura universal?, in «Babelia», El
Pais.com, 12/01/2008:
http://www.elpais.com/articulo/narrativa/Existe/literatura/universal/elpepuculbab/20080
112elpbabnar_12/Tes.
5
«Indicare un’idea di letteratura realmente universale, in grado di dare a tutte le
letterature del mondo lo stesso valore e la stessa forza di attrazione». De Riquer Martin,
Valverde José Maria, Historia de la Literatura Universal, Editorial Planeta, Barcelona,
1985.
6
«Offrire una biblioteca a molti, sufficiente, ma nello stesso tempo mai completa»,
Reportaje y debate: Existe la literatura universal?, in «Babelia», El Pais.com,
12/01/2008:
http://www.elpais.com/articulo/narrativa/Existe/literatura/universal/elpepuculbab/20080
112elpbabnar_12/Tes.
3
arrivando. Un’epoca in cui tutte le letterature nazionali saranno accolte in
una spirale continua e progressiva tra di loro.
Venti anni dopo, nel 1848, si occupano del concetto anche Marx ed
Engels e nel Manifesto si esprimono in questi termini: «più tempo passa,
la parzialità e l’intolleranza nazionale risultano impossibili, e proprio
dalle numerose letterature nazionali e locali sta sorgendo una letteratura
mondiale»
7
.
Ma vediamo un po’ per sommi capi, per poi nei prossimi capitoli entrare
più in dettaglio, alcuni pensieri di diversi studiosi riguardo il concetto di
letteratura mondiale. Potremmo dividerli in due gruppi: da una parte
coloro i quali pensano che sia possibile e che effettivamente esista una
letteratura mondiale. Dall’altro i contrari. Io li denominerò “a favore” e
“contro”.
Appartengono al primo gruppo: Anne Hélène Suárez
8
secondo cui «la
literatura es, en esencia, universal, como todas las artes. No es que no
exista la literatura universal, es que nadie tiene ese conocimiento total,
acceso a todas las lenguas y tradiciones que conforman la literatura
universal, costantemente cambiante y movezida. Es posible que ni
siquiera exista ese interés»
9
.
Donato Ndongo-Bidyogo, scrittore e giornalista, membro del movimento
dei giovani autori afro-discendenti che hanno contribuito con la loro
tradizione ed esperienza africana alla cultura ispanica, si esprime in
questi termini:
Si yo, un bantú que vive en el siglo XXI, vibro con los escritos de
Homero, Cervantes, Shakespeare, Dostoievski, Victor Hugo, Ralph
Elison, Chinua Achebe o García Marquez, es porque son historias
universales muy bien contadas. Los clásicos del Mundo Antiguo
7
Marx ed Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, I. Borghesi e proletari, Londra,
1848; Edizione consultata, Laterza, Bari, 2005.
8
Anne Hélène Suarez, professoressa di cinese e di traduzione cinese-spagnolo alla
facoltà di Traduzione e Interpretazione dell’Università Autonoma di Barcellona.
9
«La letteratura è, per essenza, universale, come tutte le arti. Il problema non è che non
esista la letteratura universale ma è che nessuno ha una conoscenza totale di essa,
nessuna è in grado di capire tutte le lingue e le tradizioni che rientrano nella letteratura
universale che costantemente cambia». Reportaje y debate: Existe la literatura
universal?, in «Babelia», El Pais.com, 12/01/2008:
http://www.elpais.com/articulo/narrativa/Existe/literatura/universal/elpepuculbab/20080
112elpbabnar_12/Tes.
4
describen, básicamente, el mismo universo que todos sus descendientes:
los sentimientos que impulsan al ser humano, llámense amor, odio,
ambición, lealtad, traición, bondad o maldad. Sólo que cada época, y cada
cultura, lo expresan con rasgo estéticos propios
10
;
Infine Javier Cercas, scrittore e docente di letteratura spagnola presso
l’Università di Girona: «claro que existe, sí, la literatura universal existe,
lo que no existe es la literatura nacional, que es un invento del siglo XIX
con fines pedagógicos»
11
.
Per quanto riguarda le voci che camminano “contro” ossia che non
credono esistente né possibile una letteratura mondiale figura come
primo esponente Franco Moretti che parte dal presupposto che le opere
sono sempre scritte da una determinata posizione, da un determinato
punto di vista e dirette a determinati lettori. Queste posizioni e i lettori
possono essere più o meno validi e numerosi, e oggi per esempio, ci
troviamo di fronte ad una letteratura scritta per un ampio pubblico di
portata internazionale. Però per Moretti, non si può parlare di letteratura
mondiale quando in Africa (ed anche in Europa!) non sanno nemmeno di
cosa si parli e di certo uno che scrive non scrive per paesi come Marocco
o Nigeria
12
. Ritorna qui il problema che intendo trattare, seguendo le
tracce del mio percorso di studi quinquennale: innanzitutto abolendo dal
mio linguaggio la parola “universale” perché non ha la stessa valenza del
termine “mondiale”, ma del mondo ingloba solo una misera parte, cioè
quella del «peggiore dei mondi possibili», l’Occidente imposto dalla
storia economica.
10
«Se io, un bantu che sta vivendo il XXI secolo, mi emoziono con le opere di Omero,
Cervantes, Shakespeare, Dostoevskij, Victor Hugo, Ralph Elison, Chinua Achebe o
García Marquez, è per il fatto che sono storie universali raccontate benissimo. I classici
dell’antichità descrivono, sostanzialmente, lo stesso universo che si ritrova nelle opere
successive: i sentimenti che muovono l’essere umano, si chiamino essi amore, odio,
ambizione, lealtà, tradimento, bontà o cattiveria. La differenza è che ogni epoca e ogni
cultura li esprime con tratti estetici propri», Ibidem.
11
«Chiaro che esiste, la letteratura “universale” esiste; non esiste la letteratura nazionale
che è una invenzione del XIX secolo». Reportaje y debate: Existe la literatura
universal?, in «Babelia», El Pais.com, 12/01/2008.
12
Ibidem.
«No creo en la literatura universal: los libros, los poemas, siempre están escritos desde
una posición especifica y dirigidos a unos determinados lectures. Esas posturas y
lectores pueden ser más o menos poderosos, numerosos, y hoy por ejemplo, asistimos a
una literatura escrita para una amplia audencia de alcance internacional. Pero no
podemos ni hablar de literatura universal cuando en África, escribir para el mundo no
significa escribir para, por ejemplo, países como Marruecos o Nigeria».
5
Fino ad ora l’unico senso euromondiale della storia mondiale è stato
quello hegelo-cristiano: quello cioè in cui chi fa e conosce la storia è lo
Spirito che la fa e la conosce come sua; il suo nome è Europa e il suo
cognome Occidentale. Dopo di lui abbiamo solo spostato negli USA,
l’uni-verso dell’Occidente, la sua monoversa-perversa universalità, favola
anch’essa dei monoteismi euromediterranei, fino al demoniaco
calvinismo e allo scellerato puritanesimo che fuggendo approda al Nuovo
Occidente Universale e tempesta tuttora il pianeta
13
.
Per capire l’essenza negativa della parola “universale” e per intenderla
come la intendo io si potrebbe leggere il saggio Critica Colonialista del
1974 del nigeriano Chinua Achebe
14
: egli parla della menzogna
universalista che adottano gli Europei. Universale come unum-versum, il
verso che da Occidente parte a inglobare tutto il mondo così come il
meridiano di Greenwich decide l’assetto spazio-temporale di esso
15
.
13
Gnisci Armando, Mondializzare la mente, Via della Decolonizzazione europea n°3,
Cosmo Iannone Editore, Isernia, 2006, p. 30.
14
Chinua Achebe (Ogidi, 16 novembre 1930) è uno scrittore nigeriano. Viene
considerato il padre della letteratura africana moderna in lingua inglese. Il suo
capolavoro, Il crollo (Things Fall Apart, 1958) è una pietra miliare del genere; viene
studiato nelle scuole di numerosi paesi africani ed è stato tradotto in oltre 50 lingue.
Gran parte dell'opera di Achebe è incentrata sulla denuncia della catastrofe culturale
portata in Nigeria prima dal colonialismo e poi dai regimi corrotti succedutisi dopo
l'indipendenza.
Chinua Achebe, Speranze e ostacoli. Saggi scelti (1965-1987), tradotto da D. Danti,
Editoriale Jaca Book, Milano, 1998.
15
«Voglio dire una volta per bene, se non per tutte, che la mente universale è la veste
allegorica e sontuosa di tutta la mentalità euroccidentale colonialista, la nostra.
L’Europa ha fissato il calcolo del tempo a partire da sé, dal punto di creazione e di
senso della propria storia (solo la propria), universale, cioè dalla data eterna della
nascita (probabile) del Messia ebraico-cristiano, figlio di Dio. E nella modernità ha
fissato la verticale planetaria dello spostamento spaziale (e fusotemporale delle ore del
transito circadiano) a Greenwich-Londra. Il meridiano universale segna il punto dal
quale si origina il senso del movimento planetario e della specie, che vive i suoi giorni
in un format stabilito sul meridiano di Londra. La unicità del verso storico-cronologico
e spaziale abitua la mente umana a orientarsi nel mondo, sapendo dove si va e per quale
via, giusta e unica. Come i Romani fecero un impero di strade concentriche su Roma, i
moderni euroccidentali hanno reticolato il pianeta e il mondo di tutti a partire da sé: non
significando sé come centro stabile, ma come senso mobile. Verso&Senso. Propongo un
altro modo di intendere il concetto magistrale di universale-occidentale, oltre che come
l’unica verità monoteista e l’unico verso-senso del mondo. Sostengo che oltre che
unico, il verso di universo è anche contro [versus]: e cioè la dichiarazione dell’apertura
della guerra moderna e perenne degli uni contro tutti gli altri. Gli uni volendo dire
europei imperialisti (compresi i russi) e tutti gli altri volendo dire i mondi disseminati
sul pianeta e devastati, sottomessi, sacrificati a sé dagli uni. Con la modernità si
spalanca la guerra dei mondi e inizia la Prima Guerra Universale Aperta che perdura e
cresce sempre di più» Armando Gnisci, Mondializzare la mente, Via della
Decolonizzazione europea n°3, Cosmo Iannone Editore, 2006, p. 31.
6
Dello stesso parere è il teorico e critico francofono, il martinicano
Édouard Glissant
16
, autore del bellissimo saggio Poetica della relazione,
che tratterò nei prossimi capitoli e che presenta una concezione tutta sua
del concetto di traduzione quale vettore, veicolo e spalla della diffusione
del pensiero altermondista. Per Glissant in nessun modo, mai, bisogna
parlare di letteratura mondiale. Se esistesse sarebbe priva di contenuto e
astratta, per l’intento di cercar sempre di staccarsi dal proprio spazio
territoriale, da tutti i suoi particolarismi. L’universale in realtà per
Glissant è la sublimazione del particolare. È il caso dei valori del mondo
“occidentale”, in cui i poteri forti autoproclamano i propri valori di
validità globale, e tendono a generalizzarli, appunto “universalizzarli” nel
mondo, o meglio in tutti quei luoghi in cui le condizioni economiche lo
permettano. Parte da Goethe invece Landry-Wilfrid Miampika, saggista e
critico letterario congolese, docente all’università di Parigi VIII, dicendo
che l’idea non ha avuto le conseguenze sperate, non è una pietra angolare
per popoli distinti. Insomma per questo studioso il concetto di letteratura
mondiale non è concreto perché non si conoscono le altre letterature. Per
il critico congolese la sfida della letteratura post-coloniale è quella di
distruggere l’idea di letteratura mondiale e privare di una propria
legittimazione la sua idea univoca: ci mostra che esistono altre letterature
e c’è bisogno di dare concreta visione anche di quelle. Le letterature post-
coloniali per Miampika devono fare «dell’idea di letteratura universale
una utopia concreta»
17
.
Tra le linee invece è l’opinione dello scrittore spagnolo appassionato di
Joyce, Enrique Vila-Matas: «Existe la literatura universal, pero sospecho
que el concepto engloba sólo las literaturas de Occidente: lo que Goethe
16
Edouard Glissant nato a Sainte-Marie in Martinica il 21 settembre del 1928 è tuttora
un attivissimo intellettuale e professore universitario. Romanziere, poeta, saggista, ha
scritto anche pièce teatrali. Titolare di un Dottorato in Lettere, pubblica le sue prime
opere dopo gli studi in etnografia al Musée de l'Homme di Parigi, in storia e in filosofia
alla Sorbona. All’inizio aderisce alle tesi della Negritudine, in seguito elabora il
concetto di antillanità e di creolizzazione. Poi, vicino alle tesi di Frantz Fanon, fonda, in
compagnia di Paul Niger, nel 1959, il Front antillo-guyanais d’obbedienza
indipendentista, poi autonomista. Ritorna in Martinica nel 1965 e vi fonda l’Istituto
Martinicano di Studi ed anche Acoma, periodico di scienze umane. Notato per il suo
lavoro, diventa dal 1982 al 1988, direttore de Le Courrier de l’Unesco. Attualmente
vive a New York dove, dal 1995 è Distinguished Professor in Letteratura Francese
presso la City University of New York.
17
Reportaje y debate: Existe la literatura universal?, in «Babelia», El Pais.com,
12/01/2008.
7
denominò Weltliteratur o literatura universal. Así que tal vez no existe.
Además, la literatura no necesita calificativos. Universal, por otra parte,
es redundante. Total, que no lo sé»
18
.
Ma in realtà Goethe è molto chiaro: quando parla per la prima volta di
Weltliteratur lo fa avendo tra le mani la traduzione di un romanzo cinese.
«Dunque, la dimensione “universale” del concetto di Weltliteratur era
non solo implicita, ma anche esplicita nel suo spirito e nel suo
linguaggio»
19
. Goethe inoltre, rifiutando l’idea di un modello letterario
precisava: «Non dobbiamo dirci che il modello debba essere cinese o
serbo, o Calderón o i Nibelunghi
20
». Da queste parole si capisce che
Goethe intendeva la letteratura nella sua totalità, comprendente le
letterature nazionali di tutte le zone geografiche e linguistiche.
Il mio lavoro parte dalla discussione intorno alla letteratura mondiale per
parlare di un’altra realtà, quella della città di Santiago de Compostela in
Galizia, tra laicità e religione, tra strutture e studi all’avanguardia e meta
finale di un antico percorso religioso. Come il concetto di letteratura
mondiale viene studiato nell’Università e in particolare nel Dipartimento
di Letteratura Comparata? Ma soprattutto a livello sociale e pratico che
valenza ha? Il discorso tiene sempre in considerazione la forte carica
identitaria gallega e come essa stia cercando in tutti i modi di entrare con
la propria letteratura in quella mondiale: per dirla con termini che userò e
che in pratica possono essere usati per esprimere uno stesso concetto di
fondo, è una periferia che si riscopre centro o meglio fa di sé stessa un
centro; è il locale nel globale. Il “glocale” appunto che si respira
camminando per le strade antiche di Santiago de Compostela, piccolo
paese ma pieno del mondo intero. Questo lavoro segue una struttura
circolare, una sorte di ringkomposition, ossia una struttura ad anello, che
ritorna al punto in cui era cominciata. Si apre con il dibattito sul concetto
della letteratura mondiale e come il concetto viene trattato negli studi
18
«Esiste la letteratura universale, però nutro il sospetto che tale concetto inglobi solo le
letterature dell’Occidente: ciò che Goethe chiamò Weltliteratur o letteratura mondiale.
Di conseguenza alcune volte non esiste. Inoltre, la letteratura non ha bisogno di
qualificazione. Universale, al contrario, è ridondante. Non so, totale», Reportaje y
debate: Existe la literatura universal?, in «Babelia», El Pais.com, 12/01/2008.
19
Marino Adrian, La letteratura europea, in Sinopoli Franca, Il mito della letteratura
europea, Meltemi editore, 1999, pp. 189-190.
20
Ibidem.
8
compostelani e si chiude tirando le somme sul rapporto lingua-identità e
sui nuovi progetti “mondiali” della “Scuola” comparatistica
dell’Università di Santiago de Compostela. Ma per capire un pò tutta la
poetica degli studiosi di Santiago de Compostela mi è sembrato doveroso
trattare non solo delle strutture universitarie e studentesche ma anche
della vera e propria città, nelle sue strutture architettoniche, che tanto
hanno formato quel senso di identità gallega. Pertanto in appendice a
questo lavoro ci sarà ciò per cui la città di Santiago (e in particolare gli
studi letterari che si fanno nella sua università) è da considerare un
modello per tutte le università del mondo. Insomma il motio che la rende,
per studi e per strutture, una “Scuola” modello per il mondo.