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dei messaggi religiosi, è la paura della morte, dell’annullamento del
sé.
Ora, è proprio la paura della morte che è alla base di molti
comportamenti (si può persino ipotizzare che la violenza non sia che
una risposta errata alla paura della morte), ma è anche il punto
dell’evoluzione nell’istinto di sopravvivenza degli animali e
nell’ingegnosità dell’intelligenza umana; opposta alla paura della
morte è l’attrazione dell’amore, che si manifesta con lo slancio di
riproduzione sessuale e con la protezione dei giovani presso le specie
animali più avanzate, sino all’uomo.
Dalle più antiche religioni gli uomini sono stati divisi tra l’appello
dell’amore e la paura della morte. . alcune etnie del mondo hanno
immaginato ogni sorta di riti e di sacrifici umani per scongiurare la
paura della morte e assicurarsi la sopravvivenza individuale e
culturale.”
2
Ci sono anche paure dettate dall’oppressione dello stato di obbedienza
volontario che si ha quando per esempio i sudditi per paura del
governante, controllano i loro comportamenti. È una paura per lo più
dovuta alle conseguenti sanzioni che possono essere imposte. Il ruolo
della paura delle sanzioni è importante, in quanto si sviluppa nei casi
in cui il cittadino non è sicuro di sé, e non si riesce ad affrontare i
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D. GIANCANE, Le paure dei bambini, Schena Editore, 1995, pag. 24
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problemi. “La paura può portare a favorire sia l’aggressione sia la
fuga. La reazione di fuga dipende dall’interazione di due fattori:
l’entità della minaccia realistica e il grado di forza fisica e psichica
della persona minacciata. Ad un’estremità ci sono gli eventi che
spaventerebbero qualsiasi persona, dall’altra un senso di disperazione
e di impotenza.
Dunque la paura insomma viene condizionata da minacce reali, ma
sopratutto nel nostro ambiente interiore che – se è fragile – induce
fatalmente alla sottomissione”
3
.
Ovviamente ci sono modi per allontanare la paura, ma sono piuttosto
negativi in quanto portatori di disagi; alcuni esempi sono la droga e
l’aggressività verso gli altri, quest’ultima, in effetti, è uno dei più usati
per ridurre il confine con la paura.
“La stessa droga è ormai da più studiosi vista come una risposta errata
a situazioni di paura, causate dalla perdita di significato di
disperazione e angoscia. Partendo da questa base, ovvero che il
sentimento di paura possa essere sconfitto dal soddisfacimento di un
bisogno del tutto spirituale”.
4
Abbiamo a che fare con una fenomenologia, che investe praticamente
tutte le zone del nostro atteggiamento verso il mondo, modella il
3
Cfr. E. FROMM, Fuga dalla libertà, Milano, Mondatori, 1987, pag. 34
4
V. FRANCKL, Psicoterapia nella pratica medica, Firenze, editrice Universitaria, 1961, pagg.
13-14
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nostro vissuto quotidiano, risultano fondamentale nell’approccio agli
altri, tant’è che si può affermare che la convinzione che il problema
centrale dello scambio tra culture, ovvero i pregiudizi intercomunitari,
nasca da comportamenti di difesa, di paura, di smarrire la propria
identità.
Il processo di deumanizzazione, ovvero la tendenza a demonizzare
l’altro, nasce da un meccanismo di difesa nei confronti di quanto
riteniamo negativo e rifiutiamo, dentro di noi, sia come persone e sia
come gruppi sociali.
L’altro si configura così come la realtà separata sulla quale poter
gettare tutto quanto, dentro di noi ci fa orrore.
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2. VIVERE DI PAURA
“È necessario evitare di trattare la presenza della paura come il
sintomo di una malattia. La paura non si può estinguere, ma soltanto
dislocare, controllare; è difficile pensare ad una società senza
circolazione al suo interno di paura.
L’idea di poterla estinguere è da un lato utopistica, dall’altro poco
attraente se non pericolosa; infatti, le società che pretendono di abolire
o addirittura di aver abolito la paura hanno un programma pericoloso
perché poi hanno una famiglia poverissima di spiegazioni se gli
uomini concreti hanno paura e possono avere la tentazione di ritenere
che aver paura sia una malattia e che egli diventi contagioso.
Chi è senza paure (e non è possibile) giudica, chi invece le conosce
capisce e forse conosce le parole giuste.
D’altra parte sono proprio le paure che ci fanno scoprire che il mondo
non è a nostra disposizione: attraverso le paure, le angosce e le
difficoltà, noi impariamo ad usare il mondo. Ognuno di noi fugge da
qualcosa e verso qualche altra cosa ed ognuno di noi, sin da bambino,
crea giochi capaci di assorbire la paura, si raccontano storie che gli
consentono di addormentarsi.
In un bel saggio, Alfonso Berardinelli rintraccia un rapporto infantile
con le paure, il centro del mondo di Italo Calvino che è soprattutto un
bambino che fugge da un pericolo ridendo di paura, perché confessare
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la paura sarebbe impossibile al suo stile; Calvino non ha mai
commesso l’errore di confondere la letteratura con la vita reale, ma
sicuramente ha capito quanto ha bisogno la seconda della prima, ha
capito il formidabile arricchimento la fantasia e l’intelligenza possono
regalare al nostro rapporto con il mondo.
L’intelligenza e la fantasia derivano dalla paura e possono essere
strumenti decisivi per combatterla, per schivarla per frazionarla, per
acquisire confidenza con essa assumendola a dosi controllate.
Talvolta andare più in profondità, può segnare in modo permanente
l’identità di un individuo e riaffacciarsi come un incubo
periodicamente nella sua vita.
In certe circostanze chi è schiacciato dalla paura non riesce a chiedere
neanche aiuto, è come un uomo che sta annegando in cui i polmoni
sono già pieni d’acqua ed impediscono di gridare. Chi ha forze ed aria
per respirare può dare una mano, ma non è facile perché ognuno ha le
sue paure.
C’è un’altra paura che non è possibile accettare, quella che altri
respingono su di noi, quella paura che espelle dalla propria vita
trasferendola ad altri attraverso il potere. Chi respinge le sue paure su
di noi tenta di mostrarcela nostra condizione come naturale ed
inevitabile, pretende che noi adottiamo come nostra quella paura che
lui ha trasferito clandestinamente a noi.
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La rete di queste prevaricazioni silenziose è estesissima e il riuscire a
riconoscerla è l’inizio di ogni giustizia, una giustizia che per potere
essere messa in opera richiede quel coraggio che è indispensabile per
chi sfida il potere.”
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Un elemento che alimenta e influenza la paura è l’ignoranza, infatti, la
paura di pensare – o di avere un’opinione che non sia quella imposta
dalle convenzioni e dalle abitudini n’è l’esempio; per questo si dice
che la paura ha due sorelle: l’ignoranza e la stupidità.
5
D. GIANCANE, Le paure dei bambini, Schena Editore,1995, da pag. 71-76.
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3. COS’E’ LA PAURA
Ma cosa si intende per paura? Non è certo una malattia, si tratta di una
intensa emozione che nasce essenzialmente da un pericolo che può
essere supposto o reale; accomuna molto sia il genere umano e sia le
specie animali.
La paura sviluppa varie reazioni a seconda delle problematiche che il
soggetto vive, influendo così sulla gradualità della paura.
È chiaro quindi che la paura non ha età, ma soprattutto che non è
sminuendola che la si può risolvere.
“È una forma di espressione primordiale dell’animo umano, proprio
come la gioia, la tristezza, la curiosità; ma anche gli animali hanno
paura, perché essa segnala a ogni essere vivente la possibilità di
annientamento.
Naturalmente la mentalità maschilista che ha dominato l’evoluzione
della storia, ha individuato dei modelli per i quali soltanto alle donne
era permesso ed era (è) possibile manifestare la paura, mentre l’uomo
doveva scacciarla e superarla, comunque nasconderla, per non vedersi
diminuito nei suoi attributi virili.
Una persona umana senza paura è un mostro, pericoloso per sé e per
gli altri, perché la paura spiega all’uomo la sua finitezza, gli dimostra
che il futuro non è completamente pianificabile, che l’esistenza umana
è imprevedibile, è una sorta di avventura con infinite possibilità di
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soluzione, in pratica che l’uomo non è un robot, né mai lo potrà
essere, nonostante gli apporti tecnologici e telematici.
La paura, atteggiamento religioso archetipo, lungi dall’essere
eliminata, è invece penetrata più a fondo nella nostra civiltà
occidentale, sia perché abbiamo sviluppato la nostra esistenza come
singoli, più che come comunità, sia perché la sua repressione conduce
alla nevrosi, che è appunto diffusissima nel nostro contesto sociale.
La paura – di morire, di crescere, di mettere al mondo figli, di
considerarci nella nostra finitezza e fragilità umana, di pensare –
collettivamente emarginata o comunque non portata ad un livello
sufficiente di coscienza, esplode sul sofà dello psicanalista.
Tutti ricordiamo la storia di Peter Pan, il dolce e femmineo ragazzo
che non voleva diventare grande; ci mostra la meraviglia dell’eterna
giovinezza, è lui che si prende gioco del terribile avversario Capitan
Uncino. Ormai Peter Pan è da sempre simbolo della gioventù, che
vuol dire ricerca della felicità più totale e infaticabilità.
In realtà Peter Pan si rifiuta di crescere perché ha paura; pertanto
risulta un ragazzo triste, preda di angosce e contraddizioni, di grandi
conflitti interiori e di profonde indecisioni. Egli vive nella
contraddizione fra l’uomo che non vuole essere e il ragazzo triste che
non può più essere. Fondamentalmente in molti atteggiamenti
adolescenziali (ma anche adulti) e sempre diffusa è la paura di
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crescere: è caratteristica di chi è un uomo, ma si comporta come un
bambino. L’uomo vuole il vostro amore, ma il bambino la
comprensione. Come un uomo anela a un contatto stretto con gli altri,
ma come bambino ha paura di essere toccato.
Se guardate al di là del suo orgoglio vedrete la sua vulnerabilità, e
penetrando sotto la sua scorza di sicurezza troverete la sua paura.”
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Pertanto a voler “schematizzare una sorta di semantica della paura
potremmo individuarla così:
a) Riconoscimento inconscio del pericolo; inquietudine, irritabilità.
b) Difesa biologica; protopaura; predisposizione all’angoscia.
c) Sentimento di essere disarmato; paralizzato: troppo debole per
affrontare il pericolo, tant’è che ci si affida al destino.
d) Pericolo imminente.
e) Attesa di pericolo ignoto; attesa impaurita, spirito tormentato.
f) Provocante timore e shock; cavarsela per miracolo.
g) Riconoscimento del pericolo, ma si è coraggiosi: la paura stimola
la vita.
h) Aver coscienza di un potere superiore, insignificanza della
presenza di misteri.
i) Perdita delle norme e delle valutazioni.”
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6
Ivi, pagg. 28-30
7
Ivi, pag. 34
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4. LA PAURA E L’INFANZIA
“Esiste senz’altro una pedagogia nera che innesca il sentimento della
paura (ed anzi il terrore) nel bambino: è quella che si basa
sull’esercizio del potere da parte dell’adulto sul bambino, esercizio
che quasi sempre resta celato e impunito.
Le percosse sono soltanto una forma di maltrattamento dei bambini e
naturalmente risultano spesso mortificanti, perché il bambino non si
può difendere, anzi in cambio deve tributare affetto e gratitudine verso
i genitori.
Le percosse, l’umiliazione, l’annullamento della volontà del bambino,
l’inibizione degli affetti, l’instillazione della paura costituiscono i
fondamenti della pedagogia nera che ha usato anche il materiale
fiabesco per il controllo educativo basato sulla paura.
Ma la paura – aldilà di atteggiamenti educativi errati e repressivi – fa
parte del mondo del bambino; nel neonato genera paura tutto quello
che invade bruscamente le coordinate del suo mondo: basta la perdita
di un appoggio, un rumore inatteso, un volto nuovo a provocare
sensazioni di angoscia, dal momento che sono essenzialmente gli
stimoli sconosciuti a provocare sensazioni di paura.