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Introduzione
“Mazzucco, con uno stile magistrale, riesce a suscitare l’interesse del lettore con
ognuna delle sue parole, e a dare forma a un’intera realtà, caotica, sfuggente,
sconosciuta”: così recita la recensione della giornalista spagnola Jacinta Cremades
pubblicata sul sito di Rizzoli,
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casa editrice dei romanzi dell‟autrice. Una lode allo
che trova conferma nel grande successo ottenuto presso il pubblico, circa 200.000
copie vendute in Italia, nella vittoria del Premio Strega nel 2003 e nella traduzione di
Vita in sedici paesi.
Partendo da questi dati, il presente elaborato si propone di condurre un‟analisi
linguistica, narratologica e traduttologica del romanzo. In particolare, l‟analisi è stata
motivata dalla volontà di indagare su come l‟identità – culturale e linguistica – di
Vita sia passata nella traduzione spagnola di Xavier González Rovira. Il romanzo si
presta bene a questo tipo di analisi, essendo ricco di italoamericanismi e regionalismi
e, inoltre, caratterizzato dalla presenza del dialetto campano di Minturno di Tufo, il
paese d‟origine dei protagonisti della storia. L‟obiettivo, infatti, è stato quello di
analizzare le difficoltà linguistiche incontrate e i procedimenti traduttivi utilizzati
nella trasposizione dall‟italiano allo spagnolo di tali varietà linguistiche. Considerata
la diversa evoluzione della lingua italiana e di quella spagnola, la sfida traduttiva è
stata indubbiamente interessante. La Spagna, infatti, ha vissuto un processo di
unificazione linguistica dal secolo XV, quando con l‟unione delle corone di Castiglia
e Aragona si estese il dominio della monarchia su gran parte della penisola. Il
Castigliano diventò lingua egemone e dal „500 cominciò a essere chiamato spagnolo
diventando la lingua ufficiale. In Italia, la situazione si è andata evolvendo in
tutt‟altro modo e la reale unità linguistica si è andata realizzando soltanto dopo
l‟avvento della televisione che ne ha reso possibile la diffusione su tutta la penisola.
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Tale fenomeno ha fatto sì che i parlanti sviluppassero un‟alternanza italiano –
dialetto ancora tangibile ai giorni nostri. È per tale motivo che, poc‟anzi, si è parlato
di sfida nella traduzione. Un confronto che lo stesso traduttore ha definito
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“Y Mazzucco, con un estilo magistral, consigue despertar el interés del lector en cada una de sus
palabras, y dar forma a la propia realidad, caótica, huidiza, desconocida”, Cremades J., (20.01.2005),
El Mundo, http://libri.rizzoli.rcslibri.it/sclibro.php?isbn=1700727
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“In venti anni, dunque, la televisione è riuscita a realizzare il sogno che Dante Alighieri aveva a
lungo coltivato: l’unificazione della lingua”, Nunnari D., Dal giornale al portale. Storia e tecniche della
comunicazione. Rubbettino, Torino, 2004, p.88.
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affascinante quanto “babelica”, data la difficoltà incontrata nel riportare nella propria
lingua la parlata locale dei personaggi di Vita.
Tradurre un romanzo è sempre un‟operazione complessa che deve tenere in
considerazione diversi aspetti che si riferiscono allo stile, alla narrazione, alla lingua,
al momento in cui è stato scritto e alla poetica del suo autore. L‟elaborato si prefigge
lo scopo di analizzare tali aspetti e ripercorrere così le due fasi principali del
processo traduttivo di Vita. Nella prima fase, attraverso una lettura profonda, il
traduttore si predispone a cogliere le caratteristiche del testo. Pertanto nella prima
parte dell‟analisi una breve introduzione si occupa di fornire al lettore una visione
delle tematiche affrontate nel romanzo. Successivamente, si pongono in evidenza le
scelte stilistiche compiute dall‟autrice attraverso un‟analisi linguistica e narratologica
del racconto. La prima parte ha anche lo scopo di valutare il grado d‟originalità
espressiva del testo, il senso del messaggio che il traduttore ha dovuto mantenere
fedele nella fase di trasposizione del romanzo nella lingua spagnola. A tal proposito
si è ritenuto particolarmente utile nello studio della variazione linguistica in Vita
applicare la proposta dei funzionalisti tedeschi, Vermeer, Nord e Reiss: verificare la
funzione che essa svolge nell‟opera letteraria.
La seconda parte corrisponde alla seconda fase del processo di traduzione: lo studio
della formulazione vera e propria della trasposizione operata dal traduttore. Nello
specifico si prefigge lo scopo di esaminare la traduzione della variazione linguistica
presente nel romanzo. Al fine di vagliare il lavoro del traduttore si è ritenuto
opportuno fornire un quadro se non completo, almeno sufficiente dei numerosi
approcci teorici della traduttologia, che rimanderanno alle differenti scuole della
traduzione, nonché alle relative soluzioni traduttive prescelte. Una parte teorico–
descrittiva delle principali teorie è volta a esplorare le problematiche messe in gioco
dalla trasposizione in lingua straniera del libro italiano. Si tratta di una rapida
retrospettiva. L‟incursione nelle teorie della traduzione sarà utile per comprendere
quali siano gli strumenti validi per questo genere di trasposizione. La seconda parte
termina con lo studio comparato di testo originale e traduzione. Tramite un confronto
diretto delle due versioni si effettuerà un esame dei procedimenti traduttivi. In
seguito, facendo riferimento alle teorie della traduzione riportate nello stesso
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capitolo, saranno argomentate le scelte adottate dal traduttore Xavier González
Rovira.
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Parte prima: Analisi di Vita di Melania G. Mazzucco
1.1 Presentazione del testo
Vita è un romanzo storico e familiare che trae spunto dalla realtà e dalle esperienze
personali della Mazzucco.
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Con ricchezza di particolari e precisione documentaria
l‟autrice rievoca i personaggi del passato che tanto hanno popolato i racconti di suo
padre Roberto e di suo zio Amedeo, ricomponendo così la discendenza della sua
famiglia. Nel suo libro la Mazzucco riesce a rappresentare una moltitudine di
caratteri e di vicende a loro legate ricostruendo contemporaneamente la Storia, quella
degli emigranti italiani di cui descrive condizioni, abitudini e vizi, e quella
dell‟importante operazione d‟invasione militare e di liberazione, condotta dagli
Alleati in Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Tutte le vicende ruotano intorno a due personaggi principali, Diamante e Vita, il
nonno dell‟autrice e la sua “quasi” nonna che poco più che ragazzini, lui ha dodici
anni e lei, invece, ha nove anni, all‟alba del Novecento lasciano il loro piccolo paese
sul Garigliano in Provincia di Caserta, Minturno di Tufo alla volta della terra
promessa, l‟America.
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Come Vita e Diamante, milioni di italiani hanno affrontato il
medesimo dramma, quello dell‟emigrazione, il viaggio di fuga dalla miseria e il
successivo e inesorabile disincanto allo sbarco a Ellis Island (New York). Per tutta la
prima metà del secolo, causa le carestie e periodi di crisi nella produzione industriale
europea, e soprattutto italiana, dove il processo di industrializzazione era peraltro più
lento, migliaia e migliaia di persone ridotte alla fame lasciarono l‟Europa per cercare
lavoro negli Stati Uniti. Gli emigranti vedevano le terre lontane come paesi ricchi,
dove per tutti ci sarebbe stato benessere e ricchezza. L‟immagine dell‟America era
l‟immagine della speranza, unico scampo alle ristrettezze della vita, e i racconti dei
compaesani già rientrati che cercavano di dissuaderli dal partire, descrivendo i rischi
e le difficoltà, non servivano. La visione dell‟America come terra promessa era
nutrita dalle lettere che i compaesani partiti per primi a cercare fortuna inviavano ai
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Tutte le citazioni sono tratte da Vita, Rizzoli, Milano, 2003, vincitore del Premio Strega nello stesso
anno. D’ora in poi tutte le numerazioni tratte da quest’opera saranno riportate tra parentesi.
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“Diamante diventerà il nonno dell’autrice: Vita avrebbe potuto diventare la nonna perché i due
bambini, poi adolescenti, crescono praticamente insieme. In seguito però le loro esistenze si
dividono e quell’unione che sembrava già scritta va in fumo”, Augias C., (13.03.2003) “C’era una
volta l’italiano d’America”, La Repubblica, p.40.
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parenti, amici e conoscenti rimasti in patria. Gli stessi protagonisti, Vita e Diamante,
seguivano proprio le indicazioni di Agnello Mazzucco, padre di Vita, il quale stava
iniziando a sistemarsi grazie ai proventi del negozio di frutta e verdura che aveva
aperto, tanto da riuscire nel tempo a portare a New York buona parte della sua
famiglia. Nella maggioranza dei casi le notizie non erano mai del tutto attendibili,
anzi finivano col diventare un tranello, attirando milioni di italiani che poi cadevano
nello sfruttamento lavorativo. Nel seguente passaggio tratto dal primo capitolo, Good
for father, è ben rappresentata la condizione dei nuovi arrivati; i due ragazzini
ricevono un consiglio da un ambulante italiano incontrato per caso:
“Poi si fece triste e disse in tono malinconico che non sarebbero
mai dovuti venire. Questo era un posto bruttissimo, non era vero
niente di quello che si raccontava dall‟altra parte. L‟unica
differenza tra l‟America e l‟Italia erano i soldi: i soldi qui c‟erano,
ma non erano destinati a loro. Anzi, loro servivano proprio per farli
fare a qualcun altro. Dovevano tornare subito in Italia. Lui, se
avesse potuto, sarebbe partito anche adesso. Solo che non poteva.
A volte è difficile tornare indietro. Dall‟altra parte, tutti credevano
che fosse diventato ricco. Invece, in dieci anni che era qui,
l‟organetto era tutto quello che restava” (p.38).
Il viaggio verso l‟America era un viaggio per lo più clandestino che costava caro;
spesso l‟emigrante vendeva tutto ciò che possedeva per partire. Affrontava una
traversata pericolosa che poteva durare dodici giorni o più (dipendeva dal mare),
stipato in un‟affollata e promiscua terza classe. Si noti come lo descrive lo stesso
Diamante: “In quei dormitori – è cosa risaputa – nelle interminabili dodici notti di
viaggio sparisce tutto – dai risparmi al formaggio, dalle teste d‟aglio alla verginità –
e niente si ritrova” (p.15). L‟arrivo, l‟impatto con la realtà era difficile sin dai primi
istanti: gli emigranti italiani erano, infatti, costretti a rimanere in quarantena
nell‟isola della Statua della libertà, in apposite strutture ricettive, per evitare
eventuali diffusioni di malattie. Isolati dal mondo, i nuovi arrivati erano poi
sottoposti a una dura selezione, dove erano prima visitati da medici, e poi registrati e
interrogati dagli ispettori governativi. La stessa cosa capita a Diamante,
“La prima cosa che gli tocca fare in America è calarsi le brache.
Tanto per chiarire. Gli tocca mostrare i gioiellini penzolanti e
l‟inguine ancora liscio come una rosa a decine di giudici appostati
dietro una scrivania. Lui nudo, in piedi, desolato e offeso, quelli
vestiti, seduti e tracotanti. [...] Il risultato del suo estremo pudore è
che gli hanno fatto una croce sulla schiena e lo hanno respinto in
fondo alla fila, per rimpatriarlo appena riparte la nave” (p.15).
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“Funziona così. A Ellis Island gli americani ti rifilano una serie di
domande – una specie di interrogatorio. L‟interprete – un tizio
perfido, un vero acciso che deve aver fatto carriera esercitando il
proprio zelo contro i suoi compatrioti – ti spiega che devi dire la
verità, solo la verità, perché in America la menzogna è il peccato
più grave, peggio del furto. Ma purtroppo la verità non serve a loro
e non serve a te” [..], (p.21).
È la rappresentazione di un sogno spezzato in una città dove gli italiani erano
considerati gli ultimi, i peggiori: “erano negri che non parlavano nemmeno
l‟inglese”.
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Nelle principali città degli Stati Uniti si erano create delle Little italies,
quartieri abitati solo da italiani con negozi che vendevano prodotti di importazione,
dove la lingua comune era rappresentata dalla mescolanza dei vari dialetti di
provenienza. Gli emigranti erano stipati in edifici di cinque o sei piani, se non di più,
in cui le condizioni di vita erano precarie date le pessime condizioni igieniche e gli
ambienti malsani. Si veda di seguito come viene descritta la casa dello zio Agnello a
Prince Street:
“La casa è tutta nera, fatiscente, decrepita che sembra dover cadere
da un momento all‟altro. L‟appartamento uno dei tanti. In cima alle
scale, all‟ultimo piano, è dello zio Agnello” (p.15).
“L‟ispettrice gettò un‟occhiata nel tugurio. Panni stesi ovunque.
Tre galline afflitte da una grave forma di alopecia razzolavano nel
pavimento, un merlo afono saltellava in una gabbietta di ferro
appesa sull‟acquaio, un gatto scorticato passeggiava sulle stoviglie
sporche, mucchi di stoffa, aghi, filo, forbici, colla, e nei locali mal
areati, mal riscaldati, un livello di umidità prossimo alla
saturazione” (pp.103-4).
Gli italiani erano accusati di essere sporchi, di mantenere un basso livello di vita, di
essere rumorosi e di praticare riti religiosi primitivi. Purtroppo, rimanendo chiusi e
uniti si erano privati della possibilità di imparare la lingua, usi e costumi degli
americani, proibendosi così l‟integrazione con questi. Impedivano ai loro stessi figli
di andare a scuola, preferendo mandarli a lavorare e contribuendo in questo modo al
loro analfabetismo. Nel capitolo Il caso di Vita M., si racconta di come Agnello
Mazzucco avesse predisposto Vita al lavoro nel bordo,
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privandola dell‟istruzione.
Sarà un‟ispettrice a riportare la piccola a scuola, imponendo al padre, secondo la
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“Gli italiani erano la minoranza etnica più miserabile della città. Più miserabili degli ebrei, dei
polacchi, dei rumeni e perfino dei negri” (p.42).
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Italoamericanismo: bordo “pensione” da board.
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legge sull‟istruzione obbligatoria, un‟ammenda di 5 dollari per la prima infrazione
(pp.103 – 9, p.165). Erano degli emarginati che nessuno capiva. La parola è, infatti,
uno dei temi ricorrenti e più importanti del libro; Diamante in particolare è colui che
più risente di questa mancanza. Fiero di essere in Italia il primo della classe e allo
sbarco in America, l‟unico in grado di scrivere il proprio nome sul foglio d‟ingresso,
si ritrova ora ignorante come tutti gli altri, e capisce cosa significhi essere italiano
negli Stati Uniti. Si veda di seguito il passo tratto dal capitolo Bad – boys:
“Sui portoni c‟è scritto NO DOGS NIGGERS ITALIANS NEED
APPLY. Sulle vetrine dei caffè NO DOGS NIGGERS ITALIANS.
Rimediano insulti e sfottò – e ormai Diamante capisce cosa vuol
dire la parola che suona come guappo. È wop, invece, e significa
italiano. E italiano è un insulto – anche se alla scuola di Tufo li
hanno imbrogliati dicendogli che l‟Italia è la culla della civiltà e
italiani erano Marco Polo Cristoforo Colombo Michelangelo
Giuseppe Verdi e Giuseppe Garibaldi. L‟altro insulto possibile è
dago, e anche dago significa italiano. Se dici dago a qualcuno lo
consideri peggio di un cavallo con la diarrea. [... ] Se insisti a
gironzolare davanti alle loro vetrine, i biondi ti cantano dietro una
canzoncina che suona più o meno ghini ghini gon. Ora gon, anzi
goon, significa gorilla. Il gorilla è l‟animale più stupido che ci sia.
[...] E poi c‟è la parola più difficile, grinoni, cioè greenhorn, che
Diamante decifra solo dopo settimane di marciapiedi. Significa:
pivellino, non sei capace di dire una parola in americano”(p.61).
Anche la criminalità era considerata come un prodotto importato dagli italiani. Dal
1880 in poi arrivarono dall‟Italia milioni di persone: ogni settimana partivano da
Napoli braccianti, manovali, contadini con un fagotto pieno di stracci, proprio come
quello di Diamante, ricavato da una federa a righe di un cuscino di casa sua,
conteneva i suoi pochi averi.
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Quando sbarcavano dovevano trovare un‟occupazione
a qualunque condizione; se ciò non avveniva, in preda alla disperazione era facile
cadere nella malavita e ritrovarsi da onesto cittadino a ladro. Nelle Little italies la
violenza era così grande da straripare nei quartieri vicini. Nel libro, origine di ogni
brutalità è la cosiddetta Mano Nera, descritta da Diamante come “un‟organizzazione
sofisticata e capillare. Diabolica e geniale. Che terrorizza Dagoland e la tiranneggia”.
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“Diamante rovistò nel suo bagaglio. Ne rovesciò il contenuto sull’erba. Caddero, in disordine: una
camicia, tre sigari toscani, una conserva di pomodoro, un pettine, un pezzo di sapone, una manciata
di noci, un pugno di fichi secchi, una piccola latta d’olio, tre peperoncini rossi, due fazzoletti, una fila
di salsicce rinsecchite, una lettera scritta da Antonio e da recapitarsi ad Agnello, un pezzo di
formaggio e un involto di pane tutto crosta” (p.32).
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La Mano nera rappresentava criminali e bande metropolitane occupate
nell‟estorsione, rapine, racket dei negozi, lavoro nero; molto spesso gli affiliati
facevano arrivare lettere minatorie, messaggi contrassegnati da una mano nera che
stringeva un pugnale. Gli italiani lavoravano per altri italiani, rimanevano sempre nel
quartiere, per cui non si fidavano delle autorità e tendevano a non denunciare i torti
subiti, oppure, nei casi estremi, ricorrevano alle armi per difendere ciò che duramente
avevano costruito nel tempo. Si noti come il personaggio di Agnello affronti una
situazione di questo genere nel suo negozio di frutta e verdura situato in Elizabeth
Street:
“Ma il benessere non lo nascondi – e in giro ha finito per risapersi
che Agnello s‟è sistemato. Prima sono venuti due loschi figuri alla
frutteria, hanno annusato con aria proterva i suoi pomodori riarsi
dal gelo e gli hanno detto di preparare duecento dollari altrimenti
gli bruciavano il negozio. Agnello li ha mandati all‟inferno e si è
comprato un fucile a pallettoni. Per un mese, non è mai uscito da
quel buco, dormendo seduto in un angolo, fra le cassette di arance e
di cipolle, col fucile carico fra le gambe e il dito sul grilletto. Era
pronto ad accogliere visitatori. Ma ora c‟è la lettera. E la lettera –
lui lo sa, è successo a tanti altri – significa guai veri. O paghi o
muori. E Agnello non vuole né pagare né morire” (p.27).
Le peculiari scelte di lingua e di stile adottate dall‟autrice hanno dato vita a una
struttura narrativamente efficace. Al tal fine, saranno analizzate le principali strategie
narrative utilizzate nel romanzo.
1.2 Testo e paratesto
Come nota Dardano, “il titolo di un‟opera, i titoli dei singoli capitoli (e di eventuali
parti o settori), gli eventuali sottotitoli costituiscono, per il loro carattere e stile, per i
rapporti intercorrenti tra loro, con i contenuti e con i vari aspetti della testualità nel
suo complesso, un‟importante chiave di lettura”.
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A tal proposito, analizzando il
titolo dell‟opera della Mazzucco, Vita, si può notare come questo desti curiosità nel
lettore e sia, quindi, frutto di una scelta operata dall‟autrice con attenzione e cura.
Vita, è un simbolo: non solo informa il lettore sul nome della protagonista, ma lo
rimanda al tema fondamentale del libro, suggerendo pertanto la chiave di
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Dardano M., Leggere i romanzi, Lingua e strutture testuali da Verga a Veronesi, Carocci, Roma,
2008, p.18.