4
Nel novembre del 2005 la morte di due giovani inseguiti dalla polizia e le
provocazioni dell'allora ministro degli interni Sarkozy hanno scatenato in tutta la
Francia la più forte rivolta delle periferie che il paese abbia mai conosciuto.
L'incendio di migliaia di automobili, scuole ed imprese è venuto a lacerare il
velo sull'ipocrisia della beneficenza e sui bei discorsi riguardo alle zone di
confine, su una crisi sociale che covava da molto tempo. Trenta anni di politiche
inutili contro la disoccupazione, per «l'integrazione», «le pari opportunità», una
«politica della città» di cui l'ultima parola è la repressione.
Tutti i governi hanno avuto un loro piano contro la disoccupazione. Molti
designano questo flagello come la causa prima delle sommosse. Ciò che nessuno
ha detto, è che nessuno piano ha mirato mai a vincere la disoccupazione, ma a
contenerla, organizzarla sempre più, sfruttarla per esercitare una maggiore
pressione sui salari, una migliore flessibilità del lavoro ed una concorrenza
efficace tra i lavoratori. Tale è la legge della produzione capitalista, il ruolo di ciò
che Marx chiamò «l'esercito industriale di riserva». Non c'è dunque da aspettarsi
uguaglianza da un sistema che si basa interamente sulla concorrenza ed il profitto.
Si fermano qui tutti i discorsi di solidarietà e di integrazione. Non hanno per
scopo che mantenere una fragile pace sociale sulla quale vegliano educatori e
poliziotti.
Nella prima parte di questo elaborato ho ricostruito il percorso storico ed
urbano delle banlieues, ponendo maggior attenzione a quelle caratterizzate dai
Grands Ensembles (Hlm), che sono state lo scenario degli scontri del 2005.
Il problema delle periferie è cominciato fin dal dopoguerra, quando migliaia
di immigrati si ammucchiavano nelle bidonville per ricostruire la Francia
devastata. Venivano assunti per i lavori i più faticosi, i più male pagati, ma le
misere case dei quartieri popolari, comparate alle baracche fangose ed insalubri,
furono per essi come un assaggio di paradiso.
L'assenza di diritti, le condizioni di lavoro, di stipendio e di alloggio
aggravate dall'inflazione provocarono conflitti, che padroni e sindacati si
accordarono per deviare verso rivendicazioni socio-culturali e religiose.
Nella seconda parte ho approfondito il panorama delle varietà linguistiche
contemporanee del francese e, in particolare, la sua evoluzione nella lingua di tutti
5
i giorni, in un ambiente molto fertile come quello della periferia parigina, in
particolare la periferia nord, luogo di residenza di molti immigrati, nonché di
molte gangs giovanili.
Il francese standard, lingua ufficiale della nazione, è ben diverso dalla
lingua che troviamo recandoci nel paese, vivendo a contatto con le persone che vi
abitano. Le variazioni linguistiche che si possono incontrare sono molteplici; il
francese di tutti i giorni riunisce in sé il francese familiare, quello popolare, le
varietà della lingua scritta e di quella parlata. In periferia inoltre, entrano in gioco
in forma massiccia anche le lingue d’immigrazione, da una parte, e le pratiche
linguistiche giovanili, come l’argot e il verlan, che contribuiscono a far apparire
questa lingua come praticamente sconosciuta, agli occhi di uno straniero che l’ha
studiata e vuole metterla in pratica.
Ho attribuito maggiore rilevanza al verlan, la lingua dei giovani, che
consiste nell’inversione sillabica delle parole, a simbolo di un’identità capovolta,
dell’imperante bisogno di criptare i messaggi, per la sola comprensione degli
appartenenti al gruppo di cui fanno parte.
Nella terza ed ultima parte del mio elaborato ho voluto approfondire alcune
delle probabili cause delle rivolte del 2005, o almeno quelle ritenute da molti
studiosi come più importanti.
Prima, ma non in ordine di importanza, è la questione coloniale, legata agli
avvenimenti del 17 ottobre 1961, quando in piena guerra d’Algeria molti
immigrati vennero annegati nella Senna. Quella che doveva essere una
manifestazione pacifica venne trasformata, ad opera del governo francese, in una
violenta repressione razzista.
Un secondo elemento di continuità fra passato e presente è indubbiamente la
differenza etnica e religiosa degli immigrati, e della loro incapacità ad
“assimilarsi” alla cultura del paese ospitante. Incapacità dovuta alla rigidità della
religione praticata, che anche nelle sue versioni più “soft” rende comunque
difficile il processo di inserimento sociale. Oriente e Occidente come due mondi
inintegrabili, non solo per l’incapacità di inserimento degli uni, ma anche per
l’indifferenza e la riluttanza degli altri.
6
I giovani delle periferie detestano che si parli loro di integrazione. Si
sentono civicamente, culturalmente tanto francesi come gli altri, solamente sono
la seconda, addirittura la terza generazione di disoccupati in famiglia. Non
possono ammettere che si chieda loro di integrarsi in una società che li ha
abbandonati a loro stessi, vittime di tutte le discriminazioni. Una di queste è che i
datori di lavoro, sempre che siano disposti ad assumere dei dipendenti,
preferiranno scegliere i candidati sui quali dispongono di maggiori informazioni,
che hanno buone referenze e possono essere facilmente raggiunti.
La discriminazione a danno di arabi e africani cesserà una volta che la
disoccupazione diminuirà e il mercato del lavoro raggiungerà un equilibrio, ossia
una condizione bloccata dalle molteplici barriere create dal tanto esaltato
“modello francese”.
Nasce, dalla voglia di affermarsi come francesi, tutta una serie di produzioni
artistiche, legate alla musica con l’hip-hop, alla moda con la creazione di stili “di
strada”, alla letteratura con la nascita di collettivi, come nella terza parte del mio
elaborato ho messo in evidenza: il collettivo “Qui fait la France?”.
Emergono nuovi volti nel panorama letterario, giovani nati nelle periferie
parigine raccontano le loro banlieues, come le vivono, e lo fanno in una lingua
criptata, capovolta che non è francese e non è arabo, deriva dal bisogno di
appartenenza ad un gruppo, e di affermarsi come parte di questo.
Gli avvenimenti di novembre hanno danneggiato la reputazione della
Francia come destinazione turistica, ma il loro costo materiale diretto è stato una
“puntura di zanzara”. Ciò nonostante, si è trattato di un segnale d’allarme che ha
evidenziato come il “modello francese” sia tutto fuorché privo di problemi. È
abbastanza probabile che l’esplosione di rabbia del novembre 2005 non sia
seguita da un devastante crollo nei prossimi anni. Lo scenario più probabile
continua ad essere quello di un declino relativamente senza scosse. Tuttavia, dopo
le sommosse delle banlieues, la residua possibilità che il “modello” finisca con
l’autodistruggersi si è fatta nettamente più marcata.
8
«Nella formazione del carattere di un
rivoluzionario conta l’innesco della commozione.
Non basterà mai l’analisi astratta delle forze economiche.
Ci vuole il soprassalto del sangue
salito in faccia in seguito a una prepotenza,
a una vergogna per non averla impedita.
La commozione, le lacrime agli occhi
fanno correre alle barricate e alle armi».
ERRI DE LUCA
Senza sapere invece, 2008.
Le banlieues parigine
Con il termine “banlieue” si indica la zona periferica dei grandi agglomerati
urbani francesi. L’etimologia del termine è oggetto di un dibattito dal quale si
possono estrarre due ipotesi principali. La prima fa riferimento al Medio Evo,
durante il quale la banlieue corrispondeva al territorio o luogo (lieu) che si
estendeva tra la città e la campagna, in cui il signore, l’abate o il comune
esercitavano il potere di amministrare il territorio e il diritto di bandire (ban),
interdire o giudicare chiunque non rispettasse le regole al suo interno. La seconda
ipotesi invece riguarda il senso di esclusione che la periferia evoca rispetto al
centro cittadino e fa quindi risalire l’origine del termine alla “messa al bando”
(lontano dalla città) degli individui più poveri e ritenuti più pericolosi.
1.1 L’evoluzione storica: immigrazione e “naturalizzazione”
La Francia, che nel 1789 era il paese europeo più popoloso, nei primi
decenni del secolo seguente subì un contraccolpo demografico dovuto agli eventi
9
rivoluzionari e alle guerre napoleoniche, che furono implicitamente causa di una
forte caduta del tasso di natalità. Cosi, quando, dopo il 1820, cominciò la sua
industrializzazione, emerse una consistente domanda di forza - lavoro che l’offerta
interna non poté soddisfare: una situazione che si è protratta sino ai giorni nostri,
con alti e bassi, date anche le due grandi guerre mondiali.
L’immagine negativa legata alle banlieues si consolida a partire dalla Belle
Époque. Fino al 1930 circa, questa zona verrà considerata parte della «ceinture
noire de la misère»
1
, in quanto abitata da una popolazione più povera ed
emarginata, il cui senso di esclusione si accentua dal 1919 in seguito alla
costruzione di fortificazioni che la separeranno, anche geograficamente, dall’area
urbana di Parigi. È a partire dalla metà degli anni Venti che si assiste alla crescita
della popolazione operaia, non solo francese ma anche straniera, grazie
all’affermazione dell’importante ruolo industriale che viene ad assumere la
periferia parigina nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Nel 1935-36, le elezioni sono vinte dalla coalizione dei partiti del Fronte
popolare di sinistra. Essi daranno un forte contributo al miglioramento
dell’immagine delle banlieues rouges
2
, rivendicando i diritti della classe operaia e
attuando delle misure sociali in suo favore: ad esempio, la bonifica e il
risanamento del territorio, sussidi ai giovani e alla scuola, rigore nella gestione
politica e finanziaria delle risorse pubbliche. Inoltre, promuovono incontri, attività
e manifestazioni che possano dar voce agli operai, volendo creare una comunità
«relativamente omogenea, che elaborasse una cultura propria»
3
.
Il bilancio post-bellico per la nazione francese fu estremamente negativo per
ciò che concerne le perdite umane: nel conflitto perirono circa 1,5 milioni di
persone e migliaia rimasero permanentemente invalide. Solo una massiccia
immigrazione, incoraggiata dallo Stato, rese possibile un aumento della
popolazione: furono fatti affluire in Francia due milioni di “stranieri”
4
.
1
J. M. STÉBÉ, La crise des banlieues, Presses Universitaires de France, Paris, 2007, p. 19
2
Dal punto di vista sociologico, il concetto di “banlieue rouge” può essere così riassunto: «il
modo d’organizzazione sociale che risulta dall’incontro, attorno ad un sistema politico municipale,
di una comunità popolare e di una coscienza di classe operaia». F. DUBET, D. LAPEYRONNE, Les
quartiers d’exil, Le Seuil, Paris, 1992, p. 49.
3
Ibidem, p. 51
4
Questi flussi migratori provenivano soprattutto dalle ex colonie francesi, che in quel periodo
stavano ottenendo l’indipendenza, prevalentemente dall’Africa del Nord e dell’Ovest.