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LEONARDO DUDREVILLE
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LEONARDO DUDREVILLE
La Vita.
Leonardo Dudreville nasce a Venezia il 4 aprile 1885 e muore a Ghiffa (Novara) il 13
gennaio 1975.
Un suo antenato di cognome Dudreuil era ufficiale napoleonico. Dopo molte dizioni il nome verrà
italianizzato in quello attuale Dudreville. Il padre magistrato lo indirizza a studi classici, ma sente il
richiamo della pittura con tal forza da interrompere gli studi nel 1902 quando dichiara di voler
diventare pittore. Nello stesso anno supera l’esame d’ammissione all’Accademia di Brera dove però
deve rinunciare a seguire i corsi perchè sovraffollati. Solo nell’ottobre 1903, appunto, può iniziare a
seguire i corsi. A Brera nel 1904 conosce Anselmo Bucci, giunto a Milano dalle Marche, e con lui
prende in affitto uno studio in via Ponte Seveso 12, che serve loro anche come abitazione. Con lui,
tra l’altro, Dudreville frequenta il Coenobium, un cenacolo di artisti e intellettuali di orientamento
antiaccademico che si forma a Monza nei primi anni del secolo. Qui stringe amicizia con Mario
Buggelli, singolare figura di filosofo e scrittore. La scelta di dedicarsi all’arte si era sviluppata dopo
ripetute visite alla Pinacoteca di Brera dove apprezzava soprattutto Rubens, Rembrandt, Tintoretto,
Veronese, Mantegna e in generale i maestri del Seicento.
Nel 1905, insoddisfatto degli insegnamenti e degli insegnanti, abbandona l’accademia.
Intanto, superato il momento realistico, si avvicina alla pittura divisionista e ciò è dovuto alla
grande ammirazione per Segantini, come testimonia l’opera Nei Campi. Impostata su un gioco di
linee oblique che partono dal ripiano della carriola e dalla zolla verde in primo piano e si ripetono in
vaste parallele, infondendo un sottile ritmo triangolare all’estensione statica della campagna. Alcuni
dipinti di questi anni di Dudreville si trovano al Museo di Lugano dove facevano parte
originariamente della collezione Gabriele Chiattone. Nell’inverno tra il 1906 e il 1907 insieme agli
amici Mario Buggelli e Anselmo Bucci, “ i tre moschettieri “ secondo una designazione di Bucci, si
reca a Parigi. Sono i frequentatori del Lapin Agile così spesso ricordato dal Severini nel suo libro
Tutta la vita di un pittore
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, dove si parla di Dudreville in questi termini: “ Colao e Dudreville
facevano dei disegni più o meno umoristici o artistici… In quel momento né Dudreville né Colao
lasciavano intravedere quel che avrebbero dato più tardi nel campo della pittura “. Si nota come il
riconoscimento di Severini è corretto per quanto tardivo. A Parigi Dudreville conosce Modigliani e
frequenta Severini, giunto anche lui dall’Italia in quello stesso periodo. Dell’incontro resta una
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G. Severini, Tutta la vita davanti. Garzanti 1946, p. 49.
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traccia in due carte severiniane: il pastello Ascoltando la musica, in cui Dudreville è seduto al
centro, di fianco a Buggelli, e un disegno preparatorio Studio per la testa di Dudreville.
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Il titolo del
primo lavoro è emblematico e sembra quasi un presentimento: Dudreville, appassionato di musica,
confesserà in seguito di aver avuto le prime intuizioni della sua astrazione proprio dopo il viaggio a
Parigi, approfondendo le analogie fra musica e pittura. Il rapporto con Severini, in realtà, non si
esaurisce in quegli anni. Vi sono opere come Giornata di pioggia in città, o alcuni punti delle
Stagioni in cui si avvertono le suggestioni severiniane. Che Dudreville sia rimasto in contatto con
lui, del resto, lo testimonia anche Al caffè, del 1917, dove ritrae il pittore toscano con la moglie
Jeanne e altri futuristi. Il soggiorno parigino non dura a lungo. Gia nella primavera del 1907
Dudreville, insoddisfatto dell’ambiente e umiliato dagli stenti, decide di tornare. Osserverà in
seguito che con quel viaggio aveva ottenuto “ poca soddisfazione per l’uomo e nessun vantaggio
per l’artista “. Tornato in Italia nel 1907 si stabilisce per alcuni mesi a Borgotaro sull’Appennino
parmense dove si applica allo studio dal vero, “ seguendo un indirizzo veristico-naturalista piuttosto
vago che va dal Faretto alla tecnica divisionistica di Segantini “
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, e si fa notare alla Quadriennale
della Promotrice di Belle Arti di Torino nel 1908 con Mattino sull’Appennino, il dipinto più noto
del periodo giovanile. Il quadro d’impronta divisionista, viene acquistato successivamente dal
mercante Albert Grubicy de Dragon. Dudreville, in seguito, ricorderà che Grubicy aveva rifiutato
molte opere tra cui alcuni dipinti divisionisti di Boccioni. Ora il dipinto si trova alla Galleria
Nazionale d’Arte Moderna a Roma. Grubicy inoltre gli dà modo di esporre a Parigi nella sua
galleria, non solo nella mostra divisionista del 1912, ma già del 1908.
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Sono gli anni in cui
Dudreville dipinge opere come L’aratore, La Zanetta, Vecchia sotto una pergola, Paesaggio
invernale, Onde e gabbiani. Di questa produzione non molto estesa rimangono nel tempo tuttavia
alcuni esemplari, fra i quali emerge Onde e gabbiani (Collezione Morali-Ronco di Ghiffa), eseguito
durante la permanenza a Genova, la violenza delle onde, quasi contrapposta al volo calmo dei
gabbiani, è il pretesto per una raffinata ricerca di luce. L’artista stesso giudicava che “ i riflessi
dell’acqua sulle pareti in ombra degli scogli “ fossero “ una delle cose più fini e riuscite
dell’opera”.
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Ma la trama punteggiata del divisionismo non lo soddisfa a lungo. Nel 1912, con il
pannello centrale della Trilogia campestre, torna a una pittura a tutto impasto. I paesaggi laterali del
grande trittico, ispirati alla quiete notturna e alla pace agreste, sono l’ultimo episodio della sua
ricerca divisionista, anche se in seguito avrà ancora occasione, alla I Biennale di Roma del 1921, di
esporre col gruppo Grubicy. Espone anche a Genova, Firenze e Verona. In questi anni si dedica
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Severini, Tutta la vita di un pittore, Milano 1946, p. 49.
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Sono queste, espressioni dello stesso Maestro.
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Cfr. regesto biografico, dicembre 1908-1909.
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Dudreville, lettera a Teresa Fiori, 9 maggio 1964 ( Archivio Dudreville, Monza ).
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anche intensamente alla musica che pratica da esecutore al violino e al violoncello e come
compositore di alcuni poemi sinfonici.
Ritornato a Milano dipinge con intensità. La temporanea parentesi di Brera lo ha messo in contatto
con l’ambiente artistico milanese e il suo studio di via Jaurès diventa il luogo di incontro per molti
artisti, letterati e musicisti. Nel febbraio 1910, secondo accordi presi, il suo nome avrebbe dovuto
figurare tra quelli dei firmatari del Manifesto dei pittori futuristi, ma Boccioni secondo un passo
delle memorie, ne avrebbe rifiutato l’adesione. L’artista partecipa dal 1910 alle mostre collettive
organizzate presso la Famiglia Artistica insieme agli altri artisti milanesi di punta come Boccioni,
Carrà, Bonzagni, Romani, Russolo. Nel 1911 partecipa alla mostra di Arte libera organizzata al
Padiglione Ricordi. Tra il 1911 e il 1912 si situa il passaggio dalla pittura divisionista a quella che
lui stesso definisce “ astrazione “. Nel 1912 espone Trilogia campestre alla Permanente che segna la
trasformazione della sua pittura, da una semplice osservazione della natura alla ricerca del ritmo
interiore delle cose, quindi si nota l’evoluzione verso una pittura più profonda.
I disegni delle Maschere segnano un passaggio intermedio ed è un modo ironico per pensare alla
presenza del futurismo. I personaggi che danzano mascherati sono appunto Boccioni, Carrà e
Marinetti.
In questi anni esegue malvolentieri delle illustrazioni di moda che forniscono la base finanziaria per
proseguire le sue ricerche artistiche, come ricorderà nell’Autobiografia.
Nel 1912 Dudreville espone alla galleria parigina di Albert Grubicy, in una antologica presentata da
Gaetano Previati.
Nello stesso anno si impegna a selezionare e contattare artisti, architetti e critici che nel febbraio del
1914 firmano il volantino di adesione al gruppo Nuove Tendenze. Tra i firmatari ed espositori sono
presenti: i critici U. Nebbia, G. Macchi e D. Buffoni; i pittori L. Dudreville, A. Funi, C. Erba e A.
Bisi Fabbri; lo scultore G. Possamai; gli architetti A. Sant’Elia, G.U. Arata e M. Chiattone; i pittori
decorativi A. Fidora e M. Nizzoli. Nel maggio del 1914 il gruppo espone alla Famiglia Artistica di
Milano con una mostra collettiva ed un programma presentato sotto forma di manifesto e di credo
artistico. Tra tutti i firmatari, nelle sue memorie Dudreville ricorda con particolare nitidezza ed
emozione l’adesione al gruppo di Sant’Elia destinata a provocargli tante ostilità e critiche. Nella
mostra i suoi 10 dipinti sono collocati in una sala personale: i 4 pannelli delle Stagioni,
l’Espansione della lirica, l’Urto del tragico, il Dissidio domestico quotidiano, i Ritmi emanati da A.
Sant’Elia, da U. Nebbia e dallo scultore E. Pellini. Il catalogo dell’esposizione contiene anche una
dichiarazione di poetica di Dudreville dove chiarisce la sua posizione. I principi elencati nel suo
scritto non differiscono molto da quelli del gruppo futurista, solo che l’artificio che tende ad
ottenere l’emotività è accentrato nel “ senso-vita “ con l’esclusione degli altri sensi tirati in ballo
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dagli artisti futuristi. La meta è sempre quella della sintesi massima da cui la rappresentazione
dell’aspetto esteriore, fotografico non deve distrarre. Quello che conta è la resa dell’espressione
interiore tradotta nella molteplice potenza di forma-colore, profondità ecc… Fa capolino la parola
ASTRAZIONE da intendere come essenza espressiva interiore. L’autore riconosce che i propri
quadri rappresentano solo una piccola parte della sua aspirazione, in quanto solo l’elemento moto
potrebbe redimere la pittura da quella staticità funebre in cui è fatale nel fissare graficamente
l’oggetto. Egli ricerca la fonte nei ritmi cromatici, nella forza della luce ecc… Come si vede, non
sono molto distanti dal credo futurista ma, nel dettaglio, i concetti sono divergenti a tal punto da
rendere impossibile il dialogo di Nuove Tendenze con i Futuristi. Tra le numerose recensioni della
mostra, risaltano una del giovane futurista Prampolini che accusa il gruppo Nuove Tendenze di
scarsa originalità e Dudreville in particolare di “ essere un volgarizzatore molto frammentario delle
composizioni di Kandinsky “. Carrà nello scritto su “ Lacerba “ del 1° giugno 1914 osserva che a
Milano esiste un gruppo di “ giovani artisti, che oggi ci plagiano e domani ci accusano “.
La mostra di Nuove Tendenze suscitò l’interessamento del pubblico e di qualche critico, come
Diego Valeri
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, che dedicò un ampio articolo soprattutto alla pittura di Dudreville. Per il Valeri
l’aspirazione all’astratto è una tendenza rischiosa in quanto “ forma e astrazione sono stati sempre
dei termini inconciliabili “. Di qui i suoi apprezzamenti che conferiscono a Dissidio domestico
quotidiano e all’Urto del Tragico la qualifica di scherzi innocenti destinati a sbalordire il villico.
Viceversa le Quattro Stagioni guadagnano il suo rispetto e lo inducono a tentare un’interpretazione
che più gli riesce semplice quanto più riconoscibili sono i concetti che l’astrazione ha risparmiato
alla forma. Nell’opera Estate la fila di camicie stese ad asciugare hanno proprio l’aspetto di camicie
e questo lo convince a riconoscere all’opera un sottile e delicato spirito di poesia. Il Valeri chiude
consigliando al giovane pittore di tenersi lontano dalle infatuazioni ideologiche e di esimersi dal
mettere la propria arte al servizio di una formula.
Il suo futurismo fu dotto e ingegnoso, fu piacevole e non sbalorditivo, riuscì a dipingere un quadro
classico anche quando non aveva intenzione di farlo. Egli fu, probabilmente, il più gentile, il più
delicato e conscio fra i ribelli che non per prudenza, ma per vizio e virtù si tenne sempre in
comunicazione con il proprio passato e dotato di sensibilità riecheggiò involontariamente le mode
contemporanee. Dudreville tentò ogni sorta di escogitazioni che a lui dovevano sembrare nuove ed
erano indubbiamente originali, in quanto non sapeva ciò che altrove e soprattutto al di là delle Alpi
veniva osato da altri, ma non poteva non imbattersi in conclusioni affini risultate dallo sviluppo di
argomentazioni basate sulle medesime premesse culturali.
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D. Valeri, Nuove Tendenze, in << Miricae >> 20 giugno 1914.
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La mostra tenutasi a Milano avrebbe dovuto soggiornare in altre città d’Italia e della Svizzera, data
la presenza nel gruppo dell’architetto ticinese Chiattone, ma tutto saltò a causa delle beghe interne,
nonostante le numerose offerte. Immediatamente dopo l’esposizione alla Famiglia Artistica,
Dudreville viene accusato da Funi di tenere per sé tutta la gloria. Durante la mostra Marinetti,
Boccioni e Carrà convincono Sant’Elia ad unirsi alle file futuriste, in quanto sia Boccioni prima che
Prampolini poi avevano tentato di dare una formulazione in chiave futurista dell’architettura, ma ora
che c’era un architetto non bisognava farsi sfuggire l’occasione. Dudreville ricorda nelle sue
memorie l’abbandono di Sant’Elia e di Funi con molta amarezza.
Nel 1915 con l’entrata in guerra dell’Italia, Dudreville rimane a Milano a lavorare in quanto non
viene chiamato alle armi a causa della sua cecità ad un occhio provocata da un incidente avvenuto
all’età di 9 anni. Il suo contributo alla “ causa nazionale “ avviene attraverso le tavole, eseguito non
solo da lui, ma anche da altri disegnatori e caricaturisti come Bonzagni, della raccolta Gli Unni… e
gli Altri, di ispirazione satirico-patriottica. A partire dal 1914-15 esegue in gran quantità i soldatini
di piombo che sono la trasfigurazione nell’immaginario di questo evento sentito fin dal principio
come una vera e propria catastrofe. In questi anni di guerra nell’opera di Dudreville si realizza una
sensibile evoluzione che passa dall’ “ astrazione “ a quello che lui stesso definirà come “ realismo “.
L’opera, senza dubbio, più significatica di questo periodo è Il Caduto del 1919, che si trova al
Civico Museo d’Arte Contemporanea di Milano. Con quest’opera termina l’esperimento futurista e
ritorna palesemente al figurativismo.
Nell’aprile del 1919 partecipa alla Grande esposizione futurista a Palazzo Cova con una serie di
opere eseguite precedentemente. Una parte sono dipinti già esposti alla mostra Nuove Tendenze, le
novità sono gli olii e i pastelli realizzati nel 1916-17.
I critici acuti e a lui vicini come Giannetto Bisi e Margherita Sarfatti commentano con scetticismo
la sua presenza alla rassegna futurista, ma viene contrariamente lodata in maniera positiva da
Marinetti. Per volontà del capo del futurismo la mostra del Cova era dedicata allo scomparso
Boccioni: “ Intorno alle sue grandi pitture lo festeggiano gli ingegni pittorici di Russolo, Dudreville,
Depero con smisurate tavole parolibere multicolori e tattili olfattive descritte da me in un articolo
poetico e polemico del ‘ Popolo d’Italia ‘ “
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Nel marzo 1921 partecipa alle mostre tedesche del gruppo Valori Plastici; nel 1922 alla Primaverile
fiorentina viene presentato da Vincenzo Bucci. Il critico scrive: “ Quando si scriverà la storia della
nostra giovine arte, distinta in due capitoli corrispondenti alle sue parti – ‘Iconoclasti’ e ‘
Convertiti’ – bisognerà dare a Leonardo Dudreville un buon posto tanto nel primo che nel secondo.
Dudreville, nato a Venezia nel 1885, ha avuto egli pure la sua scarlattina futurista (ma si dice che
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Marinetti, La grande Milano tradizionale e futurista.
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certe febbri sono febbri di salute), durata forse un po’ più del necessario. E siccome ingegno ne ha
dalla nascita, scintille ne sprizzavano anche da quella sua prima maniera. Certe erano, almeno per
noi profani, della stravagante tappezzeria, ma ricca di fantasia e di colore. Ora il libro della sua arte
è aperto ad una rubrica la quale dice: ‘Incipit vita nova’ ”.
Dudreville non giudicherà mai durante la sua attività il suo avanguardismo come un peccato di
gioventù. Questo equivoco critico per cui lo si fa risultare un “ pentito “ inciderà in maniera
negativa negli anni successivi.
Alla fine del 1922 entra a far parte del gruppo che sotto gli auspici del critico d’arte del “ Popolo
d’Italia “ Margherita Sarfatti si aggrega presso la Galleria Dedalo di Milano. L’espressione “ Sette
pittori del ‘900 “ si deve all’ispirazione di Bucci. Gli artisti aderenti sono: Bucci, Dudreville,
Malerba, Funi, Marussig, Sironi, Oppi. La denominazione viene definita “ bizzarra e pretenziosa “
da Carrà in una nota su “ L’Ambrosiano “ dell’8 dicembre 1922. Carrà osserva: “ Quello che
piuttosto bisognerebbe far notare ai nostri cari colleghi novecentisti, gli è che essi si pappano
addirittura il privilegio di rappresentare il secolo nuovo. Ma questa, cosa mai, è questione che
riguarda tutti gli altri pittori. Vedremo se essi si lasceranno mettere fuori dalla storia in modo così
spiccio… “
Con il gruppo dei “ Sette “ espone nel 1923 alla Galleria Pesaro e alla Biennale di Venezia del 1924
quando già la formazione è priva di un elemento, in quanto Oppi ha accettato l’invito per esporre in
una sala personale ed il gruppo è lacerato da polemiche interne. La Biennale rappresenta anche
l’ultimo atto pubblico di esistenza della formazione date le preannunciate dimissioni di Dudreville e
Bucci, seguite da quelle di Malerba, che espone il “ polittico “ Amore: discorso primo del 1923
(Busto Arsizio, collezione privata). Successivamente alla parentesi del gruppo dei “ Sette “ ritorna
alla sua attività privata, respinge gli inviti della Sarfatti di entrare a far parte dei promotori del
Novecento italiano. Da espositore partecipa alla prima mostra del nuovo gruppo che si apre alla
Permanente nel 1926. Alcune sue opere durante gli anni Venti e Trenta entrano a far parte di
importanti collezioni pubbliche come le Gallerie d’Arte Moderna di Milano, Firenze, Venezia, il
Museo Ricci-Oddi di Piacenza, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Nel 1929 gli viene conferito il Premio Rotary da una giuria in cui fanno parte il critico Ojetti e lo
scultore Canonica. La Sarfatti nel 1930, a causa delle recenti polemiche e prese di posizione di
Dudreville per quanto riguarda l’indipendenza dell’arte dall’autorità politica, ne “dimentica“
l’esistenza in Storia della pittura moderna edita a Roma presso l’editore Cremonese.
Dudreville nelle ampie personali che tiene nel 1936 alla Galleria Dedalo e nel 1940 alla Galleria
Gian Ferrari espone gli indirizzi della sua poetica nelle autopresentazioni. Nel 1938 riceve il premio
dell’Accademia d’Italia e nel 1939 il riconoscimento intitolato a Pieretto Bianco dall’Associazione
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Bagutta. Dudreville autodefinisce la sua pittura “ fiamminga “ perché la vuole differenziare dal
trionfalismo e dall’ottimismo del Novecento italiano. La sua opera si caratterizza per una carica
intimistica e per una relazione oggettiva con la realtà naturale, senza abusare di schemi storicistici e
di citazioni museali.
Importante fonte di sostentamento in questi anni è il “ mensile “ dell’editore Meschina. Nel 1942
abbandona la città, come la maggior parte dei milanesi. Si trasferisce a Ghiffa, sul Lago Maggiore,
questo suo allontanamento dalla città ha anche un significato di sottolineatura del distacco
dall’ambiente artistico ufficiale.
Per lui, comunque, essere appartato non significa essere disinformato su quanto accade nel
panorama espressivo. Anche nel dopoguerra, anzi, è attento alle vicende artistiche e cerca, sia pur
inutilmente, di prendere contatto con i “ pittori della realtà “. Mentre ferve il dibattito sul
neorealismo, scrive lui stesso alcune pagine sul concetto di realismo.
E’ questa, del resto, la categoria che più si attaglia alla sua pittura. Se, al di là di gruppi e tendenze,
volessimo definire la sua opera, è di realismo che dovremmo parlare.
A partire dalla metà degli anni Venti i soggetti preferiti della sua pittura sono ritratti, paesaggi e
nature morte, con la cacciagione come soggetto privilegiato. Gli anni a partire dal 1939 vengono
occupati anche da altri interessi, oltre che dalla pittura e dalla musica, dalla stesura di molti
quaderni di memorie, ricordi e testimonianze che nelle due diverse redazioni del 1939 e del 1945
sono dedicate ai primi due figli Giacomo e Emilio, rispettivamente morti nel 1939 in un
esercitazione aerea e nel 1944 in un campo di concentramento nazista. Il terzo figlio Pietro era nato
a Milano nel 1939.
Dopo la guerra, molti amici, come il gallerista Ettore Gian Ferrari, lo incitano a tornare a Milano e
intendono sottolineare che il clima di imitazione e di reciproco stimolo è quello maggiormente
fecondo per un artista, ma risponde che preferisce restare nel clima rarefatto del lago, con i tramonti
argentati, mantenendosi distaccato. Preferisce dedicarsi alla pittura all’aperto, alle letture preferite,
alla pesca, alla caccia e alla ideazione e costruzione di barche piuttosto che ritornare nella città
milanese e rischiare di incontrare per strada Carrà, Tosi, Funi, Sironi ecc… : i quali sono stati i
protagonisti di quell’ “ assalto alla diligenza “ come acutamente definisce le mire rapaci del
Novecento italiano, e questo è molto sufficiente a motivare le sue scelte.
Nel 1947 vince un premio ottenuto a Siena; mentre nel 1956 viene premiato a Suzzara; il
riconoscimento è in natura, come, del resto, tutte quelle distribuite in quella sede: 1000 mattoni.
Nel 1960 entra in contatto, con molta soddisfazione, con un illuminato collezionista di Philadelphia,
Richard Miller, che acquista e porta con sé oltre oceano alcune delle sue opere esposte alla mostra
Nuove Tendenze tenutasi nel 1914 e a quella futurista del 1919: Dissidio domestico quotidiano,
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Espansione della lirica, Urto del tragico, Ritmi emanati da Antonio Sant’Elia, In treno verso la
pianura padana. Successivamente Mr. Miller regala i quadri al Museum of Modern Art della sua
città, dove si trovano tuttora.