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Nello stesso anno incomincia la lunga collaborazione artistica
con Perla Peragallo, un’attrice di straordinario talento di
qualche anno più giovane di lui. Entrambi attori e registi
sviluppano nei loro allestimenti
( La faticosa messinscena dell’Amleto di Shakespeare –
presente al convegno per un Nuovo Teatro, Ivrea 1967 – e Sir
and Lady Macbeth del 1968) la tecnica dell’improvvisazione,
occupandosi pertanto più dell’autoespressione che
dell’interpretazione dei ruoli.
Successivamente Leo e Perla lasciano Roma per trasferirsi in
un piccolo paese della provincia di Napoli, dove fondano il
Teatro di Marigliano, esordendo con il Film A Charlie Parker
(1970).La loro attività teatrale prosegue con vari spettacoli, tra
i quali: O’Zappatore (1972); King lacreme Lear napulitane
(1973); Sudd (1974), presentato anche a Parigi nel teatro di
Jean-Louis Barrault; Chianto’e risate risate’e chianto (1976);
Rusp Spers (1976); Avita a murì (1978) con il quale vincono il
premio Mondello.
Già da questi primi lavori è possibile individuare alcuni
elementi della “drammaturgia” di Leo, che ricorreranno spesso
negli anni successivi, come l’uso del dialetto , la
contaminazione e la riscrittura scenica di testi shakespeariani,
il linguaggio popolare e quello “aulico”, una forte componente
politica che gli creerà non pochi problemi presso la critica
perbenista dell’epoca ed un pubblico ancora troppo abituato
alla recitazione naturalistica di immedesimazione.
L’itinerario artistico di Leo non ha continuità o progressiva
evoluzione; al contrario è caratterizzato da brusche
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interruzioni - dettate anche da scelte etiche ed estetiche -
inaspettati cambiamenti di direzione e profonde
contraddizioni.
Nel 1981 si scioglie il Teatro di Marigliano e ha termine il
sodalizio artistico tra Leo e Perla. L’attore partenopeo si
trasferisce a Roma dove incomincia un periodo di lavoro molto
intenso, caratterizzato da rappresentazioni uniche di cui spesso
non esiste alcuna documentazione.
E’ la fase che segna il passaggio dal “ teatro del non finito”
alla “improvvisazione totale”:
“I restricted myself to going on stage and the
performance emerged”
2
Questo è il periodo in cui accostando sulla scena
improvvisazione teatrale e musicale Leo matura l’idea
dell’attore “jazzista”, colui che compone teatro come si
improvvisa free jazz, fino ad arrivare ad un montaggio di
improvvisazioni che costituiscono una sorta di schema aperto a
continue trasformazioni.
Nel 1983, con lo spettacolo “The Connection” di Jack Gelber,
si stabilisce una collaborazione tra Leo de B. e la Cooperativa
Nuova Scena-Teatro Testoni/Interaction di Bologna, dove Leo
si trasferisce.
Proseguendo una ricerca personale iniziata molto tempo
prima, riprende a lavorare su Shakespeare, di cui mette in
2
Marco de Marinis, From Shakespeare to Shakespeare, cit, p. 50. Leo : “Io mi limitavo
ad andare sul palco e lo spettacolo nasceva da sé. ”
7
scena una trilogia che comprende due versioni di Amleto (1984
e 1985), King Lear – studi e variazioni (1985) e La Tempesta
(1986), presente a Parigi nella primavera 1987.
Sempre con Nuova Scena, parallelamente allo studio di
Shakespeare, Leo continua la sua ricerca con spettacoli in cui
compare in scena da solo. Nascono così Dante Alighieri –
studi e variazioni (co-prodotto dalla Biennale di Venezia nel
1984 e con cui de Berardinis ottiene il premio UBU come
miglior attore dell’anno), Il Cantico dei Cantici (1985), Il
Ritorno, riflessi da Omero – Joyce (1986).
Nel 1987 realizza Novecento e Mille, una sorta di affresco
teatrale che unisce gli scritti di Pasolini, Beckett, Majakovskij,
Pirandello, Kafka, Eliot, e dello stesso Leo. Il risultato non è
una sintesi storica né un’antologia teatrale di questo secolo, ma
una “ discesa agli inferi della coscienza… Novecento e Mille è
un sogno fatto ad occhi aperti, una veglia notturna, a tratti un
incubo doloroso che percorre a sbalzi la contemporaneità, il
grande funerale del secolo celebrato dai suoi sopravvissuti.”
3
L’attore in scena, in quanto incarnazione della poesia, si fa
poesia vivente. Attraverso il corpo poetico dell’attore rivivono
le angosce di tutto un secolo. Tra l’iniziale Mito della Caverna
di Platone e i funerali di Lenin che concludono lo spettacolo,
trovano posto il varietà e la teoria dei quanti, l’Internazionale e
Charlie Chaplin.
3
Gianni Manzella : Nella caverna di Leo in AA. VV, Dedicato a NOVECENTO E
MILLE , Ed. Teatro di Leo, Bologna 1992, p. 80.
8
Nel ripercorrere le fonti della propria poesia, Leo avverte la
necessità di rinnovarsi. Lascia Nuova Scena e fonda il Teatro
di Leo, assumendone la direzione artistica e organizzativa.
Tuttora attivo, il Teatro di Leo è una realtà produttiva
autonoma con un nucleo stabile di attori e tecnici, ai quali di
volta in volta si affiancano collaboratori di diversa
provenienza.
La ricerca artistica di de Berardinis si pone l’obiettivo di
percorrere “le tappe di approssimazione all’attore” che Leo
chiama “totale…vale a dire all’uomo totale, compiuto,
all’uomo che ha consumato fino all’ultimo il tempo umano.”
Oltre a produrre spettacoli, organizza laboratori di ricerca e
promuove giornate di studio sul teatro, convegni e rassegne
teatrali.
Proprio in occasioni come queste è possibile cogliere non solo
considerazioni illuminanti sugli studi fatti intorno ad uno
spettacolo, ma anche veri e propri insegnamenti sull’attore,
l’arte, la vita.
Cercando di individuare un percorso ideale e allo stesso
tempo di suggerire i motivi che hanno sin dall’inizio
caratterizzato le scelte poetico-drammaturgiche di Leo,
punterò la mia attenzione sulla produzione shakespeariana
dell’attore, in particolare quella realizzata col Teatro di Leo.
Nel tentativo di rendere conto di un approccio al teatro
strettamente collegato al problema della conoscenza umana, e
quindi al disvelamento delle convenzioni che condizionano la
nostra immagine mondo, mi propongo di approfondire la
9
messinscena di King Lear n. 1 prodotto a Bologna nel 1996-7.
In un’epoca di spot pubblicitari, di immagini frammentate e di
omologazione di sentimenti, ripescare Lear dal caleidoscopio
shakespeariano significa proporre in teatro la tragedia dello
smembramento della realtà a partire da quella dell’individuo.
“Lear rappresenta l’unità che cerca di ricomporsi.”
Ma per farlo ha bisogno di allontanare da sé le parti malate, di
soffrire la solitudine rinunciando alla funzione sociale di re.
Così Leo ha dovuto autoemarginarsi per non cadere nel
tranello della mercificazione del Teatro e della distribuzione a
favore di realtà privilegiate, in nome di una libertà dell’arte
che è soprattutto libertà individuale.
“…Nell’immane catastrofe di Lear ci sono anche
valide speranze per un risanamento delle
lacerazioni, e sono indicati anche i mezzi per
attuare quelle speranze: uno di questi mezzi e
speranze è soprattutto il teatro con l’uomo che si
fa attore per ridiventare uomo.”
4
Alla base della scelta di Leo e della costrizione e scoperta di
Lear c’è il percorso umano dettato dall’oracolo delfico:
“ Nosce te ipsum ”.
E in teatro l’attore, si sa, deve essere soprattutto un uomo.
4
Leo de Berardinis : Introduzione al King Lear n. 1., in “Documenti”, Edizioni Spazio
della Memoria, Bologna 1997. (Documenti non numerati , di cui non si possono, se non
arbitrariamente indicare le pagine. Il lettore si può orientare scorrendo i titoli dei
paragrafi)
10
E’ interessante notare come l’uomo de Berardinis abbia sin
dall’inizio influenzato e determinato le scelte dell’attore Leo,
non venendo mai meno alla propria idea di teatro, secondo cui
l’attore è il principio e l’anima dell’evento teatrale, che risulta
essere tanto più interessante quanto più sviluppata e cosciente
è l’abilità - intesa come insieme di improvvisazione e tecnica-
dell’artista sul palcoscenico.
Per lo spazio concesso al “genio” dell’attore in scena e per le
burrascose vicende autobiografiche, Leo ci fa pensare
all’artista della Commedia dell’Arte divenuto famoso durante
il periodo rinascimentale in Italia prima e in Europa poi, e che
aveva inaugurato il mestiere dell’attore nomade per scelta e
cosmopolita per necessità. A quell’attore-autore di eccezionale
intelligenza e creatività Leo de Berardinis si ricollega, traendo
dalle proprie radici partenopee la inconfondibile vis comica
che, unita al suo costante amore per i “classici”, si propone di
condurre lo spettatore a sviluppare una soglia di percezione
che disturba i militanti dell’avanguardia e sconcerta gli
spettatori abituati ad un certo realismo teatrale, ma che cattura
l’attenzione di spettatori e attori accorti e disincantati,
continuamente alla ricerca dell’autenticità nell’arte.
“Ci sono artisti che creano mondi in cui vorresti abitare, che ‘ti
abitano’ quando ne entri in contatto, che porti con te all’aldilà
(del teatro almeno) ”
5
e Leo de Berardinis è uno di questi.
5
Antonio Attisani, Un sogno guidato in AA.VV., Dedicato a NOVECENTO e MILLE,
cit., p. 61.
11
Per noi lettori di Shakespeare, l’incontro con un maestro come
Leo, che ha la capacità di restituire al teatro la purezza dei
versi shakespeariani, liberandoli dalle sterili convenzioni
accademiche e da facili letture sceniche, ci offre l’occasione
per approfondire tematiche antiche e sempre attuali sull’uomo
e le sue lacerazioni,
“King Lear directs us to a realm of meaning that
exists outside the Lear world”
6
attraverso la fruizione del teatro, l’unico mezzo necessario per
capire appieno l’opera del grande drammaturgo inglese.
Per spiegare e completare il senso delle scelte artistiche del
regista in questione ho riportato delle testimonianze, scritte e
orali, di attori specialisti tecnici e studiosi del teatro nonché
dello stesso Leo de Berardinis.
Volendo dimostrare poi l’esistenza e l’importanza di “a clear
relationship between what a production looks like and what its
spectators accept as its statement and value”
7
, vedendo come
uno spettacolo vive e matura nella memoria degli spettatori, ho
allegato alcune recensioni che testimoniano la diversa reazione
di costoro nei confronti dello spettacolo.
6
Reibetanz John, The Lear World, University of Toronto Press, Toronto 1977, p.120
“King Lear ci conduce in un regno di significati che esiste fuori del mondo di Lear”
7
Dennis Kennedy, Looking at Shakespeare, Cambridge University Press, Cambridge
1994, p. 5 “ una chiara relazione tra come un lavoro teatrale appare e ciò che i suoi
spettatori accettano come sua affermazione e valore”
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L’errore in cui si rischia di incappare è quello, alla fine, di
“ Speak what we feel , not what we ought to say”
8
.
E questo , se può innalzare un opera teatrale a sublimi livelli
poetici, può invece essere rischioso per chi , dall’esterno, deve
tradurre in concetti chiari e coerenti, ciò che viene così
spontaneamente mostrato in teatro.
Il King Lear di Leo de Berardinis in particolare,
“makes us feel that whatever we do speak, or
could speak, is inadequate to everything else we
are brought to feel.”
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Purtroppo, come già aveva intuito B. Brecht, l’uomo deve
lottare contro la Unzulänglichkeit (inadeguatezza) delle
proprie forze e costruirsi un percorso il più possibile coerente,
quel tanto che basta per non tradire chi lo ascolta.
8
W. Shakespeare, King Lear, Atto v, scena III. (v. 323). “Dire ciò che sentiamo e non
ciò che conviene dire” (Trad. Agostino Lombardo). Tutte le citazioni da Re Lear, nella
traduzione di Agostino Lombardo, sono dall’edizione Garzanti, Milano 1995
9
S. L. Goldberg, An Essay on ‘King Lear’,Cambridge University Press,Cambridge
1974, p. 2 “ci fa sentire che qualsiasi cosa diciamo, o potremmo dire, è inadeguato
per qualsiasi altra cosa noi siamo portati a provare”