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CAPITOLO INTRODUTTIVO
Origini ed evoluzioni della normativa antitrust italiana:
il ruolo del public enforcement
SOMMARIO: 1. Cenni storici. Le origini del diritto antitrust – 2. Le finalità del diritto antitrust. 3. Il
Regolamento 1/2003 e la modernizzazione del diritto antitrust - 4. L’Italia tra intervento
pubblico e libertà di concorrenza. 4.I. Il dibattito sull’introduzione della normativa antitrust.
4.II. L’istituzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato – 5. Il contesto in cui
opera l’Autorità Garante: la definitiva comunitarizzazione del diritto antitrust. – 6. I nuovi poteri
dell’AGCM. Cenni.
1. Cenni storici. Le origini del diritto antitrust.
Le origini del diritto Antitrust si fanno comunemente risalire al 1980, anno in
cui negli Stati Uniti d’America venne redatto lo Sherman Act. Esso ha rappresentato
la reazione populista, alimentata da tambureggianti campagne di stampa e cavalcata
all’epoca da tutte le forze politiche rappresentative, contro le grandi aggregazioni
economiche (cd. Trust) che si andavano formando in quelli anni e il cui obiettivo
principale era quello di ridurre la produzione e riportare il mercato sotto il controllo
privato, con l’apparente beneplacito della comunità degli uomini d’affari e degli
stessi economisti, ma con la fiera opposizione del pubblico allargato dei non addetti
ai lavori. Tali aggregazioni (che per motivi squisitamente giuridici si organizzavano
con lo strumento del negozio fiduciario o trust) furono rapidamente in grado di
offrire ai consumatori prezzi assai inferiori al passato e posero inevitabilmente in
grave pericolo la sussistenza dei piccoli imprenditori che, vuoi nella veste di
fornitori, vuoi in quella di concorrenti dell’impresa aggregata, si trovavano ad
interagire con esse
1
.
In un suo intervento parlamentare, il Senatore Sherman, ebbe a dichiarare:
1
OSTI, C. Diritto della concorrenza, Bologna, Il mulino, 2007, 14.
13
“Se i poteri concentrati in una tale aggregazione sono affidati ad un solo
individuo, il risultato è che tale individuo assomma in sé le prerogative di un re,
cosa non coerente con la nostra forma di governo, e che dovrebbe essere fortemente
contrastata da parte dello Stato e delle autorità nazionali. Se c’è qualcosa di
sbagliato, è questo. Se non accettiamo la monarchia come forma di governo,
nemmeno dovremmo sopportare un re che regni sulla produzione, sul trasporto e
sulla vendita di qualsiasi prodotto necessario per l’esistenza. Se non ci
assoggetteremmo ad un imperatore, nemmeno dovremmo sottometterci ad un
autocrate economico”
2
.
I primi passi della nuova normativa, che in esordio venne sorprendentemente
utilizzata per colpire i sindacati dei lavoratori, non furono però promettenti. Alcuni
casi di scuola, quali il celebre Standard oil of New Jersey del 1911, che pure portò
alla dissoluzione della mother of trusts (quella facente capo al magnate Rockfeller),
si caratterizzarono per decisioni vaghe e speculari margini d’apprezzamento
interpretativo. La fragilità del quadro normativo portò, nel 1914, all’emanazione del
Clayton Act, che identificava e definiva una serie di violazioni specifiche, sottratte
alle manipolazioni della “rule of reason”, e del Federal Trade Commission Act, che
attribuiva ad una nuova autorità indipendente il compito di provvedere ad un
aggressivo enforcement della disciplina antitrust.
Iniziò così la lunga marcia dell’esperienza antitrust statunitense, la quale
avrebbe conosciuto ulteriori implementazioni normative, ma che soprattutto avrebbe
accumulato nel tempo uno straordinario patrimonio di esperienza applicativa,
prezioso per chiunque, in ogni dove abbia ad interessarsi della materia
3
.
Il diritto antitrust statunitense fu dunque espressione di una reazione della
moderna e giovane democrazia liberale ai grandi poteri economici. Sostanzialmente
diversa è l’origine delle norme concorrenziali nel Trattato istitutivo della Comunità
Europea, oggi Trattato per il Funzionamento del Mercato Unico (TFUE) - e di
2
21 Congresso 2456-57 (1890) dichiarazione del senatore Sherman. In verità, l’iniziativa del
senatore Sherman (fratello minore del generale protagonista della guerra di secessione) è stata
preceduta, nel 1889, da quella canadese e da un manipolo di interventi statali statunitensi, di scarso
impatto in ragione del loro limitato respiro giurisdizionale.
3
PARDOLESI, R. Diritto antitrust. Questioni generali. Disponibile su www.law-economics.net
14
conseguenza anche di quelle proprie della normativa italiana - da sempre attenta ad
altre finalità, quali l’integrazione del mercato, la massimizzazione del numero dei
concorrenti, la promozione della libertà di ingresso nel mercato, la tutela delle
imprese medio-piccole, la salvaguardia dell’ambiente e la competitività
internazionale
4
.
Jean Monnet così scrisse a proposito di un suo incontro con Dean Acheson,
allora segretario di Stato del governo degli Stati Uniti, in cui si trovò a presentare il
primo progetto di Trattato della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA,
oggi sciolta, il cui nucleo era quello di mettere insieme le risorse del carbone e
dell’acciaio concentrate nella zona di confine tra la Germania e la Francia, per
contribuire a scongiurare il rischio di un nuovo conflitto mirato ad ottenere il
controllo su quelle risorse):
“sospetto una sorta di grande cartello del carbone e dell’acciaio, desiderio
nostalgico degli industriali europei e peccato inespiabile per un americano
rispettoso del diritto della concorrenza e della libertà di commercio (…) occorre
ancora molta vigilanza nonché disposizioni giuridiche molto stringenti – una vera
legge anticartelli europea – per allontanare ogni sospetto della cosa, nonché la cosa
stessa”.
L’antitrust nel suo complesso può dunque considerarsi un macro-modello (che
in quanto tale ammette variazioni anche importanti sul tema) soggetto a circolazione
e trapianti. Così è stato per il Giappone e la Germania, la quale è poi arrivata a darsi
una propria monumentale legislazione
5
, e lo stesso può dirsi per l’Unione Europea
che, per mezzo del Trattato di Roma, ha fatto della disciplina antitrust uno strumento
fondamentale per coltivare le quattro libertà commerciali su si fondava la sua
impostazione originale. Nel sistema introdotto dal Trattato di Roma, infatti, si faceva
riferimento ad un “regime teso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel
mercato interno”, per assicurare la finalità economica di prosperità e sviluppo di cui
4
In tempi neppure troppo lontani, lo spettro di obiettivi che si assumevano perseguiti dal diritto
comunitario della concorrenza è parso addirittura dovesse ulteriormente dilatarsi, sino a comprendere
la politica sociale e lo sviluppo dell’innovazione, nel presupposto che il Trattato stesso postulasse
l’interazione tra le varie finalità perseguite e la politica di concorrenza dovesse necessariamente
farsene carico.
5
GWB-Gesetz del 1957
15
all’art. 2 TCE
6
. L’aver inserito il diritto della concorrenza all’interno di un Trattato
collegato alla creazione di un unico, grande mercato ha fatto si che, in maniera
piuttosto automatica, se ne rintracciasse il fine ultimo nell’integrazione dei mercati al
fine di rimuovere le barriere al commercio
7
. Ma vieppiù, la normativa antitrust è
portato diretto del trend di conversione dell’Europa occidentale al paradigma
dell’economia di mercato, quello stesso che, nell’intervallo tra le due guerre, era
stato, almeno in alcuni quadranti, battuto in breccia dal prevalere di una qualche
forma di dirigismo statale, spesso per nulla restia a guardare alle coalizioni
industriali come a possibili strumenti di politica economica. Non a caso, il processo è
stato scandito da un generale arretramento della cd. regulation, sull’onda di processi
di liberalizzazione e privatizzazione che hanno restituito, in tutto o in parte, alle
qualità del mercato settori che, nel segno dell’ovvia prevalenza degli interessi
generali e della pervasività del monopolio naturale, lo avevano tradizionalmente
escluso. Basti pensare che una qualche articolazione della disciplina antitrust è oggi
presente, o è in stato di gestazione avanzata, in più di cento Paesi, e tra questi
figurano anche quegli Stati della transizione che fino alla caduta del muro di Berlino,
avevano tentato di dar corpo ai dettami pianificatori dell’economia socialista fino a
confluirvi anche diversi paesi in via di sviluppo, seppur con i condizionamenti che
derivano loro dalla dichiarata esigenza di tutelare le strutture industriali in via di
consolidamento.
Resta, in ogni caso, che il radicamento del macro modello, su cui si basa la
normativa a tutela della concorrenza, è processo culturale ed ideologico
particolarmente complesso, anche laddove le condizioni economiche complessive del
6
All’articolo 2 del Trattato istitutivo della CE, oggi Trattato sul Funzionamento
dell’Unione Europa: “La Comunità ha il compito di promuovere, nell’insieme della Comunità,
mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante
l’attuazione e le azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, uno sviluppo armonioso, equilibrato e
sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la
partita tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di
competitività dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il
miglioramento della qualità di quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la
coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri”. A seguito delle modifiche
introdotte dal Trattato di Lisbona, l’articolo 2 TCE è stato abrogato e sostituito, nella sostanza,
dall’art. 3 TUE.
7
Sul punto si veda BASTIANON, S. “Il diritto comunitario della concorrenza e
l’integrazione dei mercati”, 2005, Milano, Giuffré.
16
sistema Paese non contribuiscono a rendere la sua implementazione più difficile di
quanto essa non lo sia già di partenza. In questo senso, come vedremo più avanti, il
lungo dibattito per l’introduzione di una disciplina organica a tutela della
concorrenza nel nostro Paese, offre un riscontro emblematico. Ora è bene soffermarsi
sul dibattito che ha riguardato le finalità del diritto antitrust e sull’evoluzione che ha
caratterizzato il sistema antitrust comunitario dalla fine degli anni’90 ad oggi.
2. Le finalità del diritto antitrust
Il dibattito sulle finalità del diritto antitrust ha registrato nel tempo oscillazioni
vistose.
Nucleo comune alle varie declamazioni legislative è il tema della
salvaguardia/promozione della concorrenza. Giustamente però ci si è posta la
domanda relativa al se basti, a rendere ragione dell’antitrust, la proclamata volontà di
arginare le insidie al dispiegarsi dell’operatività del mercato.
La scienza economica ha infatti elevato a locus classicus le virtù di un mercato
perfettamente competitivo dove il prezzo eguaglia il costo marginale. Un siffatto
mercato, il cui equilibrio esprimerebbe un ordine spontaneo, prodotto
dall’assommarsi decentralizzato di decisioni individuali, realizzerebbe quello che la
teoria economica definisce “ottimo paretiano” dal punto di vista del benessere
sociale, ossia una situazione in cui non sarebbe possibile introdurre ulteiori
miglioramenti senza che altri abbia a patirne conseguenze negative. Modello
esattamente opposto è invece quello del monopolio, il quale comporta prezzi elevati,
ridistribuisce solo una parte del surplus dei consumatori ai proprietari e brucia
risorge infliggendo una cd. perdita secca in termini di benessere sociale. Un
intervento normativo inteso a promuovere la concorrenza è dunque più che
giustificabile, tanto più che una letteratura ormai consistente ha fornito riscontri
significativi sull’entità reale dei danni che il monopolio può infliggere.
Sennonché, seppure desiderabile, la concorrenza perfetta non è di questo
mondo. I suoi presupposti (numero tendenzialmente illimitato di venditori ed
acquirenti, assoluta libertà d’ingresso e di uscita dal mercato, omogeneità dei
prodotti, assenza di costi di transazione e informazione completa e simmetrica) sono
astratti e intangibili per cui, come da più parti sottolineato, occorre rassegnarsi
17
dinanzi a scenari percorsi da più realistiche imperfezioni, in cui l’esistenza di un
potere di mercato non viene riconosciuta per la mera dismissione della supina
passività da price taker del concorrente perfetto, ma per lo spessore che quel potere
assume in concreto
8
. Sotto questo profilo, la concorrenza rappresenta piuttosto una
dimensione strumentale, e pertanto l’idea di giustificare la normativa antitrust
facendo base sulla necessità di tutelarla, rischia di annegare nel paralogismo.
Storicamente, sono stati indicati due modelli di articolazione del macro modello
dell’antitrust, il primo, adottato dal legislatore europeo, multidimensionale, il
secondo, adottato dal legislatore statunitense, monodimensionale.
Con riferimento a quest’ultimo, basti ricordare che la prima sentenza resa dopo
l’emanazione dello Sherman Act, nel caso US v. Trans-Missouri (1897), si ispirava
all’obiettivo di preservare una struttura atomistica del mercato, in cui i piccoli
operatori potessero competere con i grandi incumbents. L’idea di un antitrust a
protezione dello small business raggiunse il picco di consensi intorno agli anni ’60
del secolo scorso, in coincidenza con l’ascesa della scuola harvardiana, la quale
predicava la dipendenza delle prestazioni di mercato dalla condotta degli operatori, la
quale condotta, a sua volta, era determinata dalla struttura dello stesso mercato. Ne
discendeva una direttiva di attivismo antimonopolistico e “deconcentrazionistico”
che guardava con assoluto disfavore alle grandi dimensioni aziendali Rockefeller
style.
La fortuna dell’approccio strutturalista è tramutata per tempo, sotto i colpi della
Scuola di Chicago, la quale, a partire dagli anni ’80, ha irreversibilmente cambiato la
fisionomia del diritto antitrust statunitense. Essa ha segnato il recupero dei principi-
base della teoria economica neoclassica (comportamenti delle imprese sorretti da
presunzione di razionalità; mercati virtuosamente competitivi e dotati di strumenti di
autocorrezione; barriere all’ingresso di un unico tipo, legislativo) ai fini di una
revisione radicale della filosofia alla base del diritto antitrust. Il solo obiettivo
dell’antitrust è diventato allora l’efficienza allocativa, stella polare dell’antitrust
nordamericano. Anche se l’apporto della Scuola di Chicago non è stato esente da
8
PARDOLESI, R. Diritto antitrust, op. cit.
18
critiche, da quel momento l’argomento economico non sarebbe più stato messo in
discussione.
Quanto all’esperienza comunitaria, anch’essa ha vissuto un ampio, ed aspro,
dibattito sul punto. Qui in particolar modo ha pesato l’ipoteca del pensiero ordo-
liberale che affidava alle regole di concorrenza il compito primario di salvaguardare
l’autonomia decisionale degli operatori economici quale condizione indispensabile
per realizzare un “vollstandige Wettberwerb”
9
, sebbene l’orientamento fino a pochi
anni fa indiscusso intimava di non limitare il discorso ad un obiettivo così ridotto. I
più, contrari ad ogni contaminazione economico-funzionalista, inclinavano ad
escludere che la cd. Chicago Revolution potesse arrivare a revocare in dubbio la
multidimensionalità dell’antitrust comunitario, attento sin dall’inizio ad altre finalità,
prima fra tutte l’integrazione del mercato europeo, la quale rischiava di essere
compromessa da condotte imprenditoriali miranti a rinchiudere i mercati nazionali.
Le controspinte private al processo d’integrazione potevano allora essere arginate
mercé l’impiego della disciplina antitrust. Di qui l’attenzione spasmodica, del primo
periodo, della Comunità ai contratti di distribuzione e alle licenze di diritti di
proprietà intellettuale, in quanto sospettati di ricompartimentare il mercato, quello
stesso mercato che si voleva invece ricondurre a matrice autenticamente unitaria.
Tuttavia, con il passare del tempo, le esclusive di vendita e d’approvigionamento
hanno finito con il fruire dell’esenzione per categoria (tramite il Regolamento n.
67/67, prima e i Reg. 1983 e 1984/83 poi); la distribuzione selettiva quantitativa per
incorrere nei fulmini della repressione giudiziale più severa; il franchising,
notoriamente “the queen’s favorite” , redento dalla Corte di Giustizia delle Comunità
Europee e poi officiato da apposito Regolamento comunitario.
Un simile modo di atteggiarsi del sistema antitrust europeo entra in crisi sul
finire degli anni ’90. Con costernazione di molti, la pretesa centralità dell’obiettivo
dell’integrazione europea è venuta perdendo colpi lasciando il campo al principio
guida dell’efficienza allocativa, da perseguire tramite la repressione delle condotte
restrittive della concorrenza, quale modalità ottimale di organizzazione del mercato a
favore del benessere dei consumatori. La rivoluzione copernicana che ne è derivata
ha avuto, come punto di riferimento sostanziale, il Regolamento n. 2790/99, che per
9
letteralmente, concorrenza perfetta
19
primo ha subordinato la rilevanza anticoncorrenziale delle intese verticali al riscontro
di una loro tendenziale idoneità, in senso economico, ad incidere sul funzionamento
effettivo del mercato; essa ha, poi, raggiunto un elevato grado di consistenza con il
Regolamento 1/2003, in margine al quale si è avuto modo di precisare che
“l’obiettivo dell’art. 81 è tutelare la concorrenza sul mercato come strumento per
incrementare il benessere dei consumatori e per assicurare un’efficiente allocazione
delle risorse” pur sempre sottolineando come “gli obiettivi perseguiti da altre
disposizioni del trattato possono essere presi in considerazione nella misura in cui
possono essere fatti rientrare nelle quattro condizioni di cui all’art. 81.3”, quasi a
voler rimarcare come l’analisi microeconomica, cui si vuole comunque improntare la
prassi applicativa del diritto antitrust, mal si concilia con obiettivi di tipo più
squisitamente sociale, siano o meno essi correlati al mercato.
Dunque, per effetto della marginalizzazione, anche in Europa, delle
sollecitazioni a latere del perseguimento dell’efficienza allocativa, tanto il sistema
antitrust statunitense, quanto quello europeo, con il passare del tempo, si sono
sensibilmente avvicinati e la convergenza è avvenuta nel segno dell’analisi
economica.
Tuttavia, il contrasto tra diritto ed economia non è stato sanato del tutto. Se gli
economisti rivendicano l’analisi degli effetti come terreno su cui valutare la liceità
delle condotte tenute sul mercato, i giuristi rivendicano l’affermazione del principio
di certezza del diritto e vedono di cattivo occhio il rischio di una valutazione fattuale
che si risolva unicamente in una case-by-case adjudication. In questo contesto, il
benessere dei consumatori, più che rappresentare uno strumento operativo finisce
con diventare, più semplicemente, una finalità cui tendere, in funzione delle quale
tarare le regole da applicare al caso concreto.
Qui riemerge l’apporto cruciale dell’interprete, sensibile alla ricostruzione
giuridico-economica di un problema appunto economico, la cui opera, nel migliore
dei mondi possibili, dovrebbe consentire di disporre del migliore set di regole
utilizzabili in quel momento e che meglio si approssimano all’ottimo inarrivabile.
Nei capitoli che seguono vedremo come la Comunità Europea, e in particolar modo
l’Italia, sono arrivate all’affermazione del diritto antitrust, nella veste attuale e quali
sono stati gli aneliti che ne hanno determinato la configurazione.
20
3. Il Regolamento 1/2003 e la modernizzazione del diritto antitrust. Cenni.
Come accennato, a ridurre definitivamente ed ulteriormente la forbice tra il
sistema antitrust europeo e quello statunitense è intervenuta, nei primi anni del 2000,
la cd. Modernizzazione del diritto antitrust, iniziata, negli Stati Uniti, nel 2002 con
l’Antitrust Modenization Act del 2002, e, in Europa, con la pubblicazione, da parte
della Commissione Europea, del Libro bianco sulla modernizzazione delle norme per
l’applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato Ce.
In Europa, il processo può dirsi giunto a compimento per effetto del già
menzionato Regolamento n. 1 del 2003. Esso ha rappresentato l’esito cospicuo di una
riflessione critica innescata dalla constatazione che le regole di applicazione degli
artt. 81 e 82 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, oggi artt. 101 e 102 del
Trattato sul Funzionamento dell’Unione Eeuropa, così come dettate dal Regolamento
del 1962, avevano messo capo ad un sistema certamente “adeguato per una
Comunità di sei Stati membri, dove la cultura della concorrenza non era molto
sviluppata”, ma altrettanto certamente svilito nel contesto europeo del nuovo
millennio. Esso ha, dunque, rappresentato un passo cruciale nel riallineamento del
modello antitrust comunitario a quello, più efficiente, statunitense.
In particolare, l’obiettivo principale della riforma è stato quello di garantire
un’applicazione del diritto antitrust efficace ed omogenea su tutto il territorio
dell’Unione Europea e, nel contempo, decentrata, tendendosi quindi a “stabilire un
sistema di enforcement decentrato, avvicinando il quanto più possibile le regole di
concorrenza comunitarie a cittadini e imprese”
10
. I due pilastri attraverso cui questo
decentramento è stato attuato sono le Autorità Nazionali della Concorrenza e i
giudici nazionali che, operando nei singoli Stati membri, pur se in cooperazione con
la Commissione europea, possono garantire l’applicazione efficace del diritto
antitrust comunitario
11
.
10
SCHAUB, A. Developments of European Competition Law. Competition Commission
Conference on Developments of competition law and policy – European and National Perspective, 19
aprile 2002
11
Resta comunque fermo il ruolo essenziale della Corte di giustizia CE che assicura il rispetto
del diritto comunitario intervenendo sia in sede di rinvio pregiudiziale sulle questioni interpretative
sugli atti della Commissione (art. 234 TCE), sia come giudice di legittimità sugli atti della
21
A tal fine il Regolamento introduce due importanti novità: il sistema di
eccezione legale e la rete delle Autorità Nazionali della Concorrenza. Inoltre, per
coniugare il decentramento con l’ulteriore esigenza di uniformare il diritto antitrust,
il Regolamento fa perno sui consolidati principi, da un lato, dell’effetto diretto degli
artt. 101 e 102 TFUE e, dall’altro, dell’effetto utile del diritto comunitario. Esso è
percorso da due linee portanti
12
. Sotto il primo profilo, si stabilisce che gli accordi
che ricadono nell’art. 101, par. 3, TCE sono vietati senza che occorra una previa
decisione in tal senso e sono nulli ab origine; specularmene, gli accordi che ricadono
nell’ambito di applicazione dell’art. 101, par. 1, TFUE, ma che presentano le
condizioni di cui all’art. 101, par. 3, sono considerati automaticamente leciti, senza
che sia necessaria una previa decisione amministrativa in tal senso
13
. Nel nuovo
assetto, inoltre, la valutazione sulla restrittività delle intese potrà essere attuata non
soltanto dalla Commissione, ma anche dalle Autorità Nazionali di Concorrenza e dai
giudici nazionali, così rimuovendo un significativo ostacolo all’effettiva applicazione
in via decentrata degli artt. 101 e 102 del Trattato
14
. Questa rivoluzione
sostanzialmente comporta il passaggio da un sistema fortemente centralizzato, basato
su un controllo ex ante funzionale ad ottenere l’esenzione ivi prevista, ed un sistema,
decentralizzato, basato su un controllo ex post, il quale controllo consente alla
Commissione (art. 230 TCE), in quest’ultimo caso, affiancata, a partire dal 1989, dal Tribunale di
Primo grado delle Comunità Europee.
12
L’effetto diretto risiede nell’idoneità della norma comunitaria a creare diritti ed obblighi
direttamente ed utilmente in capo ai singoli, senza che i singoli Stati membri esercitino una funzione
di diaframma che consiste nell’emanare una normativa di attuazione. In termini pratici, esso si risolve
nella possibilità per il singolo di far valere direttamente dinanzi al giudice nazionale la posizione
giuridica soggettiva vantata in forza della norma comunitaria. Dell’effetto diretto possono essere
provviste le norme dei trattati o di un atto comunitario. La norma comunitaria provvista di effetto
diretto obbliga alla sua applicazione non soltanto il giudice, ma anche tutti gli organi
dell’amministrazione statale. Il principio del primato o prevalenza del diritto comunitario, invece,
obbliga i giudici e le amministrazioni statali a disapplicare le norme interne degli stati membri
contrastanti con il diritto comunitario. In base a tale principio, il diritto comunitario prevale, quindi, su
qualsiasi misura nazionale che possa compromettere l’efficacia (cd. Effetto utile del diritto
comunitario); tale principio svolge la funzione di criterio guida nella soluzione dei conflitti
nell’applicazione del diritto comunitario e del diritto nazionale. Cfr. TESAURO, C. Diritto
Comunitario, Padova, 2004.
13
Art. 1, par. 2 del Regolamento. Ciò è stato reso necessario dall’esigenza di alleviare il carico
di lavoro della Commissione che nel precedente sistema si trovava a far fronte ad un numero
inarrivabile di notifiche da parte delle imprese.
14
Nel sistema precedente le Autorità nazionali e i giudici erano di fatto spogliati della propria
competenza tutte le volte che veniva in rilievo la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 81, par. 2
TCE ed il mero rischio di questa eventualità era un ostacolo all’applicazione decentrata dell’art. 81,
par. 1 TCE.
22
Commissione e alle autorità nazionale di concentrarsi sulle violazioni più gravi (cd.
Hard core cartels)
15
.
Quanto al secondo profilo, il Regolamento specifica che le Autorità nazionali
della concorrenza e i giudici nazionali hanno l’obbligo di applicare gli artt. 101 e 102
TFUE tutte le volte che una fattispecie antitrust rechi pregiudizio al commercio tra
gli Stati Membri ai sensi di dette disposizioni e ciò per garantire l’effettiva
applicazione delle regole di concorrenza comunitarie e il corretto meccanismo di
cooperazione su cui è incentrato tutto il Regolamento
16
. Fermo restando che
dall’applicazione del diritto nazionale della concorrenza non possono scaturire
divieti a intese che sono lecite ai sensi dell’art. 101 TFUE, vuoi perché non ricadono
nell’ambito di applicazione dell’art. 101, par. 1, vuoi perché, pur ricadendo in tale
ambito, presentano le condizioni di cui all’art. 101, par. 3 TFUE, vuoi infine perché
beneficiano di un Regolamento di esenzione
17
.
Inoltre, è importante notare che la riforma, e in particolare il Regolamento n.
1/2003, si propone di assicurare un’armonizzazione delle legislazioni dei diversi
Stati membri per i profili essenziali e nei limiti di cui sia necessario al funzionamento
di un’applicazione decentrata degli artt. 101 e 102 TFUE. La rete europea di
concorrenza, denominata European Competition Network
18
, è una delle principali
novità introdotte dal regolamento. Essa è composta dalla Commissione e dalle
15
Si legge nella XXXII Relazione della politica della concorrenza, 16 “Senza alterare il
contenuto sostanziale degli artt. 81 e 82 del Trattato CE, la riforma semplifica in maniera
fondamentale il modo in cui le norme antitrust vengono applicate nell’Unione Europea. Il nuovo
Regolamento riduce gli oneri in materia di conformità a carico delle imprese, grazie all’abolizione
del sistema di notificazione degli accordi tra imprese, e permette un’applicazione più energica delle
norme antitrust attraverso una ripartizione migliore e più efficace dei compiti di applicazione tra la
Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza. Il Regolamento consentirà alla
Commissione e alle autorità nazionali di concentrare le proprie risorse sulla lotta contro le
restrizioni e gli abusi più dannosi per la concorrenza e per i consumatori”.
16
Cfr. Considerando n. 8 del Regolamento (CE) n. 1/2003
17
Art. 3 par. 2 del Regolamento. Tale disposto giunge quindi a codificare un obbligo di
convergenza tra il diritto antitrust comunitario e il diritto antitrust nazionale più ampio di quello
affermato dalla giurisprudenza comunitaria in ossequio al principio dell’effetto utile e del primato del
diritto comunitario, giungendo ad escludere che intese lecite ai sensi dell’art. 81, par. 1 possano essere
vietate in base alla legislazione nazionale. Per una lettura critica dell’art. 3, par. del Regolamento si v.
PACE, I fondamenti del diritto antitrust europeo, Milano 2005. L’autore sostiene che la norma è
incompatibile con il diritto comunitario in quanto “eccede quanto è necessario al raggiungimento
delle finalità dell’art. 3, par. lett g) TCE”, vale a dire di “creazione di un regime inteso a garantire
che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno”.
18
Cfr. considerando n. 15 del Regolamento
23
autorità nazionali degli stati membri e costituisce una rete di pubblica utilità
19
. La
Commissione e le autorità nazionali dei singoli stati membri sono così competenti ad
applicare gli artt. 101 e 102 del TFUE, dando luogo ad un vero e proprio sistema di
competenze parallele. Il Regolamento e il pacchetto di misure ad esso associate,
stabiliscono le modalità di funzionamento della Rete in materia di ripartizione dei
casi, scambio di informazioni, assistenza alle indagini, consultazioni, conflitto di
decisioni, volte a fare si che la rete concorra a produrre decisioni, garantendo
un’applicazione coerente su tutto il territorio dell’Unione europea del diritto
antitrust. La Rete, infine, costituisce un foro continuo di confronto tra le autorità
nazionali e queste ultime e la Commissione “per instaurare e preservare una cultura
comune in materia di concorrenza”
20
.
4. L’Italia tra intervento pubblico e libertà di mercato
In Italia, più che altrove si è discusso a lungo sull’opportunità di introdurre una
normativa antitrust, nonché sul ruolo che siffatta normativa avrebbe dovuto svolgere
nell’intero sistema. Solo in un secondo momento, la normativa antitrust, al suo
esordio deputata a cristallizzare l’intervento dello Stato nell’economia, ha cominciato
ad agire quale argine al potere economico dello Stato.
Non è allora un caso se la legge sulla concorrenza in Italia è stata introdotta con
notevole ritardo rispetto a quanto avvenuto Oltreoceano e se la sua introduzione non
ha segnato necessariamente ed automaticamente il passaggio da un sistema che
ignorava del tutto la cultura della libertà di concorrenza, o comunque la guardava con
una certa diffidenza, e un sistema che invece ponesse tale libertà a suo fondamento.
Le ragioni di un ritardo così vistoso
21
sono essenzialmente culturali e vanno
19
D’ALIBERTI, M. La rete europea di concorrenza e la costruzione del diritto antitrust,
relazione al convegno “Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario”, Treviso, 13/14 maggio
2004.
20
Comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete ANC
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Si consideri infatti che gli Stati Uniti si dotarono di una disciplina della concorrenza – lo
Sherman Act – alla fine del XIX secolo (1890) e Paesi come la Germani, la Francia e il Regno Unito
adottarono le prime legislazioni antitrust verso la fine degli anni '40, mentre le regole di concorrenza
delle Comunità europee già figuravano nel Trattato di Parigi del 1952 (CECA) e di Roma del 1957
(CEE).