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INTRODUZIONE
“Io credo questo: le fiabe sono vere...” Scrive Italo Calvino “…Sono, nella
loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una
spiegazione generale della vita. Nate in tempi remoti e serbate nel lento
rumino delle coscienze contadine fino a noi, sono il catalogo dei destini che
possono darsi ad un uomo o ad una donna.”
Credo che queste righe racchiudano la natura comune di tutte quelle storie
che ognuno di noi porta nel cuore: la favola della buonanotte, il racconto
della nonna, le sequenze della Disney. Tutti noi conosciamo le fiabe e tutti
ricordiamo la nostra preferita, legata ai temi dell’infanzia, ma forse non è
così facile intuire l’infinito mondo di possibilità che si cela tra le righe di
una storia.
Il mio lavoro inizia da qui, dal desiderio di esplorare un universo fatto di
parole, dove vivono personaggi uguali e diversi, dove tutto è possibile e
dove qualsiasi rompicapo trova la sua immancabile soluzione. Così lontano
dalla realtà dei nostri giorni eppure così attuale, il fascino delle storie torna
a colpirci e diventa materia di studio anche per la psicologia, strumento
disponibile per il lavoro e la comprensione.
Prima di chiederci come utilizzare la fiaba c’è però da chiedersi cosa sia in
realtà, da dove arriva, quali sono gli elementi che la compongono e prima
ancora quali processi si attivano quando leggiamo o tentiamo di scrivere
una fiaba. Si tratta prima di tutto di una serie di parole da comprendere, di
frasi e periodi che si susseguono in un ordine temporale dando struttura ad
una trama e solo poi subentrano le emozioni ed il piacere della lettura.
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Così inizia la mia ricerca, dalla psicologia cognitiva che ci spiega cosa
avviene a livello celebrale quando scorriamo gli occhi sulla pagina. Il primo
passaggio di ogni lettura è infatti la decodifica dei segni grafici, primo step
del processo di comprensione, un’opera di filtraggio di informazioni
attraverso la quale i significati principali vengono separati da quelli meno
importanti.
Comprendere è fondamentale, ma la sola codifica semantica non estingue i
fini della lettura. Quando si legge, soprattutto se per piacere, la componente
emotiva è altrettanto importante poichØ è quest’ultima a creare la vera
storia.
Quando la comprensione si intreccia con le variabili soggettive,
motivazionali ed affettive del lettore, si attiva l’interpretazione. Interpretare
vuol dire “riscrivere” la storia dal proprio punto di vista, darle un nuovo
significato del tutto personale ed è a questo livello che si legge davvero un
testo. La narrativa ha infatti una peculiarità che è la sua indeterminatezza:
ogni autore ci fornisce un nuovo mondo, uno spazio ricco di incertezze, di
ambiguità e di chiaro scuri che sta al lettore chiarire.
Fruire un testo implica quindi due processi distinti: uno organizzativo che
corrisponde alla comprensione ed uno costruttivo ovvero una proiezione nel
racconto dei propri significati personali.
Diversi i meccanismi che stanno dietro la scrittura. Un tempo le storie non
venivano scritte, ma raccontate e coloro che conoscevano a memoria
racconti e leggende godevano di grande prestigio all’interno della comunità.
Le parole venivano fuori ogni volta diverse e chi ascoltava poteva poi
raccontare a sua volta, aggiungendo immancabilmente qualcosa di suo.
La scrittura ha permesso a quelle stesse storie e a molte altre di essere
preservate e sempre accessibili, ma allo stesso ha posto allo scrittore nuovi
problemi.
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Scrivere è innanzitutto un’abilità cognitiva superiore acquisita e non innata,
pertanto presuppone un processo di apprendimento. Il neuropsicologo
Lurija descrisse le caratteristiche di quest’abilità complessa ed in particolare
ne individuò le tre componenti principali: analisi fonemica, associazione
fonema-grafema e recupero della forma ortografica.
Lungi però da un approccio così altamente cognitivo, bisogna considerare
che scrivere pone all’autore questioni piø immediate, ma non meno
importanti della grammatica e della sintassi. Chi decide di produrre un
qualsiasi testo deve prima di tutto chiedersi cosa scrivere, come scriverlo,
che stile seguire e soffermarsi piø e piø volte sulla scelta delle parole piø
giuste, anche in funzione del suo target.
Scrivere diventa allora un atto di ricerca, autoriflessivo ed ovviamente
creativo. Da questo punto di vista la psicologia della creatività si è
interrogata in molti modi sulle funzioni della scrittura come azione creativa:
a seconda della scuola di riferimento si può definire un atto di espressione,
di sublimazione, di riparazione o come oggetto transazionale.
E’ in quest’ottica che scrivere acquista valore psicologico, quando lo si
riconosce come atto comunicativo e resoconto dell’ esperienza personale. In
tal modo la scrittura può fungere da strumento terapeutico ed auto-
terapeutico e se correttamente utilizzata, riesce a svolgere funzioni
importanti per il benessere psichico.
La prima parte del mio lavoro si soffermerà su queste funzioni, analizzando,
secondo diversi approcci psicologici, la capacità della scrittura di allentare
la tensione psichica, definire l’identità soggettiva o fornire un mezzo valido
di comunicazione. Allo stesso modo verrà approfondito il tema della
lettura, con particolare attenzione rivolta al “piacere di leggere” in tutte le
sue forme e alle potenzialità di alcuni suoi aspetti, come identificazione ed
empatia emotiva.
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Dopo questa riflessione, l’attenzione verrà posta sulla fiaba che è la vera
protagonista del mio elaborato.
Impossibile da identificare nella sua origine precisa, la fiaba sembra essere
nata insieme agli esseri umani ed averli accompagnati sin dalla preistoria,
col loro carico di valori ed insegnamenti. Tramandate oralmente dagli
anziani delle comunità, inizialmente non erano solo per bambini, ma anche
per gli adulti. Le storie rispecchiavano la vita quotidiana, ma anche le
fantasticherie sulla vita dei ricchi e potenti, o su luoghi lontani e leggendari.
Le storie si intrecciavano con la magia, la religione ed il mito, comunque
caratterizzate dalla divisione lampante ed incontestabile tra bene e male.
Secondo lo studioso Vladimir Propp le fiabe sarebbero scaturite dagli
antichi riti di iniziazione delle comunità primitive ed in particolare dalla
loro estinzione. Nei tempi antichi i giovani, per dimostrare di essere pronti
per il mondo adulto, venivano coinvolti in prove talvolta difficili e
pericolose, che avevano lo scopo di simulare la morte e simboleggiare la
fine dell’infanzia. Quando questo tipo di tradizione si è estinta, dai racconti
del passato sarebbero scaturite le fiabe.
Propp è probabilmente lo studioso di fiabe piø riconosciuto, ma come lui
anche molti altri si sono interessati al genere, ad esempio Aarne o
Thompson. Seguendo gli studi di questi ed altri autori è possibile
individuare una classificazione del genere in base ai sottotipi, agli elementi
che compongono le storie, ai personaggi e alle funzioni che svolgono nel
racconto. Lo stesso Wundt, fondatore della psicologia, tentò una prima
classificazione delle favole nella sua opera “Psicologia dei popoli”,
individuandone sette tipologie in base a caratteristiche formali e strutturali.
Ad oggi il tema è molto piø ampio e nel capitolo verranno analizzati i
diversi approcci alla fiaba, i tentativi di classificazione e le componenti, con
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un occhio particolare alle funzioni e ai personaggi che, nel tempo e nelle
culture, risultano essere comunque costanti.
Questo modo di essere sempre coerente, che non risulta mai banale bensì
rassicurante, è probabilmente ciò che rende la fiaba un genere sempre
attuale ed affascinante. La amano i bambini per il suo carattere fantastico e
per il suo immancabile lieto fine, ma piace anche agli adulti per lo stesso
motivo e, anche crescendo, non perde mai di valore.
Per comprendere la fiaba nel suo essere in qualche modo “necessaria” nelle
nostre vite, si dovrebbe partire da un diverso presupposto. Le fiabe sono
racconti e raccontare è una delle esigenze umane piø forti. La nostra vita è
una narrazione e gran parte del nostro tempo è speso a raccontare quello che
ci succede e quello che pensiamo, quasi non esistessimo se non potessimo
condividerlo. Raccontare ci permette di conoscerci e di farci riconoscere.
Bruner individuò la narrazione come uno dei meccanismi psicologici
fondamentali per l’individuo e per i gruppi sociali e culturali. L’essere
umano avrebbe un’attitudine ad organizzare l’esperienza in forma narrativa,
in risposta al bisogno di ricostruire la realtà dandogli un significato
specifico a livello temporale e culturale. Sempre secondo Bruner, ogni
individuo sente il bisogno di definirsi come soggetto e allora ricostruisce gli
avvenimenti della vita in modo che corrispondano alla propria idea di SØ.
Tra tutte le storie la fiaba ha delle caratteristiche proprie, peculiarità che
Gianni Rodari, scrittore per ragazzi ma anche pedagogista, riassume
definendola “rivoluzionaria”. Legata al mito, ma diversa da questo, è in
grado di negare la morte, di esorcizzare la paura e dare fiducia. La fiaba è
per sua natura “lenta” ovvero posta in un tempo e in uno spazio che non
hanno confini e proprio questa sua caratteristica la rende naturalmente
adatta ai bambini. Il bambino infatti è ancora immune alle necessità del
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mondo adulto, non conosce fretta ed ansia, non rincorre la semplice
performance.
Questo messaggio rivoluzionario ritorna attuale nelle nostre società
globalizzate che si fondano ormai su accelerazione, velocità e flessibilità. Il
progresso ha aumentato la nostra libertà personale, ma anche la nostra
solitudine. Il tempo è troppo poco, gli spazi sono troppo affollati e qualsiasi
notizia o informazione diventa vecchia troppo in fretta.
In questo contesto la fiaba è in grado di fornire un extra-tempo ed un extra-
spazio, riportando il mondo alla sua misura originaria. Ecco da dove nasce
il potenziale terapeutico della fiaba, sia per gli adulti che per i bambini.
Narrare storie ai bambini è da sempre un’ottima abitudine, la fiaba è
un’affascinante attività ricreativa, ma può essere opportunamente
trasformata in strumento educativo o terapeutico. L’utilizzo della fantasia
aiuta a sviluppare le abilità immaginative e di comprensione della vita
quotidiana, ma può anche sostenere lo sviluppo della personalità e l’abilità
di padroneggiare le emozioni. Il linguaggio semplice utilizzato è di facile
comprensione per i piø piccoli, ma è anche fortemente simbolico per cui
rappresenta una buona via d’accesso per la dimensione immaginativa della
mente adulta.
L’utilizzo della fiaba come strumento terapeutico e pedagogico prende il
nome specifico di fiaboterapia e rientra nella piø ampia categoria della
biblioterapia, la quale prevede l’utilizzo di altre forme letterarie.
La fiaboterapia utilizza non solo fiabe, ma anche favole, leggende, miti e
racconti del folklore popolare. La sua valenza sta proprio nel linguaggio
simbolico di queste storie che affondano le proprie radici nel passato
dell’umanità.
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La tecnica prevede non solo la lettura delle fiabe, ma anche l’ascolto
interattivo seguito da riflessioni sulla narrazione, nonchØ da ricostruzioni
individuali o di gruppo.
Una delle principali potenzialità di questo metodo è costituita dalla
possibilità di comprendere o modificare aspetti che riguardano la
concezione del tempo, trasformando gradualmente il rapporto con esso. La
capacità di compiere “movimenti mentali” sulla linea del tempo apre nuove
e diverse possibilità come riflettere sui vissuti del passato o sviluppare le
capacità di attesa e posticipazione. La fiaba può inoltre aiutare il soggetto a
sintonizzarsi col presente trovando similitudini tra le sue angosce e quelle
vissute dal protagonista.
Piø in generale la fiaboterapia consente di fornire stimoli non solo a livello
riabilitativo, ma anche preventivo. Il suo utilizzo consente di incoraggiare
l’utilizzo di immaginazione e fantasia, lavorare sulle emozioni e sulle
abilità sociali, sviluppare valori morali e migliorare le abilità comunicative.
In termini terapeutici il lavoro con la fiaba può rappresentare una buona
risorsa di appoggio. Lavorare con le storie può permettere di parlare in
maniera impersonale dei propri problemi, ma può anche aiutare ad
esprimere vissuti ed emozioni repressi o a rivedere schemi di pensiero e
comportamenti disadattivi.
Rientra in questa tecnica un metodo piø specifico che prende il nome di
fiabazione. In questo caso l’utilizzo della fiaba prevede per il soggetto
interessato la fruizione guidata della fiaba, con l’appoggio dell’esperto. La
sola lettura non dovrebbe essere lasciata all’interpretazione spontanea, ma
guidata con domande e dialoghi specifici che favoriscano la comprensione
dei temi trattati. Attraverso queste riflessioni è possibile raggiungere gli
scopi di cambiamento prefissi.
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La fiabazione prevede poi la ricostruzione della fiaba o la costruzione
guidata di una nuova storia nel caso in cui nessuna risulti adatta al tema da
trattare. In questo modo si permette al soggetto di esprimere liberamente i
contenuti del proprio mondo interiore, sempre in chiave simbolica,
abbattendo dolcemente le difese. Questo metodo può essere utilizzato anche
a scopo di diagnosi o di abreazione emozionale.
Nell’ambito della psicoterapia la fiaba può essere uno strumento molto utile
e relativamente semplice da utilizzare. Chiedere al proprio paziente di
raccontare una fiaba, che si tratti della preferita dell’infanzia o della prima
che torna alla mente, può aiutare il terapeuta ad individuare quello che si
definisce “il tema di vita” del paziente. Il tipo di storia scelta, i particolari
sottolineati oppure omessi ed eventuali blocchi nel racconto, sono tutti
indizi. Il paziente sceglie quella fiaba perchØ in quel momento è una
metafora della sua esistenza. Lavorando sulle immagini che il paziente
lascia riaffiorare si può riscrivere o completare la storia, riuscendo anche a
sciogliere i blocchi del paziente, il quale sarà sicuramente aiutato dalla
possibilità di parlare di sØ senza dover affrontare direttamente ricordi e
paure che lo angosciano.
Tutti questi aspetti verranno approfonditi prima di arrivare all’ultima parte
di questo lavoro, dedicata ad un’esperienza sul campo di fiaboterapia.
Quest’esperienza riguarderà un ulteriore aspetto della fiaboterapia, un
metodo utilizzato con i bambini che prende il nome di gioco-fiaba.
Il gioco-fiaba è uno strumento che presenta delle similitudini con la
drammatizzazione, poichØ contiene parti di animazione e di gioco.
L’utilizzo delle fiaba permette di intervenire attraverso il gioco, la creatività
e la fantasia dei bambini, ma allo stesso modo consente di utilizzare una
dimensione piø profonda, quella dei sentimenti e degli immaginari.
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Questa dimensione si accede attraverso un rapporto empatico tra bambini
ed animatori/insegnanti. La fiaba è il tramite per coinvolgere i bambini, ma
la dimensione del gioco viene intervallata da momenti di riflessione e di
“approfondimento emotivo”, prendendo spunto da momenti precisi della
storia.
In questi momenti l’operatore indirizza i bambini alla riflessione su
determinati sentimenti, incoraggiando i bambini ad esprimersi. Questo
strumento ha infatti lo scopo di aiutare i bambini a comprendere ed
esprimere ciò che provano senza timore, per poter sciogliere eventuali
conflitti. Conoscere i sentimenti permette anche di saperli gestire,
incrementando le abilità personali e sociali del bambino, sia nella vita
scolastica che in quella quotidiana ed interpersonale.
Un’esperienza di questo tipo è organizzata in una serie di fasi che iniziano
con la presentazione dell’operatore ai bambini, in quanto è fondamentale
per la buona riuscita del lavoro che si crei un rapporto spontaneo e sereno.
A questo fine l’operatore si presenta ed inizia il lavoro utilizzando un
linguaggio semplice e diretto, facilmente comprensibile per i ragazzi. E’
importante precisare che non si tratta di una prova da superare e che non
saranno emessi giudizi di alcun tipo mentre, per la creazione del giusto
setting, è possibile utilizzare musica o animazioni.
Il mio progetto di gioco-fiaba prevede un lavoro della durata di 4 ore,
ripartite in due incontri, da svolgersi in due classi di scuola elementare. Il
primo incontro sarà dedicato alla presentazione e alla prima lettura della
fiaba con i relativi commenti e le riflessioni iniziali. Il secondo incontro
sarà dedicato all’approfondimento dei temi emersi mentre l’ultima ora verrà
spesa per il lavoro di restituzione.
La restituzione è l’ultima fase del gioco-fiaba e prevede una sorta di
verifica del lavoro svolto, solitamente utilizzando una forma di arte
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espressiva come ad esempio il disegno, l’animazione o la scultura. Nel mio
caso specifico verrà utilizzato il colore in quanto forma di espressione
semplice ed immediata, allo scopo di avere una traccia grafica delle
dinamiche psicologiche attivate.
La fiaba utilizzata sarà “Biancaneve e Rosarossa” nella versione originale
raccolta dai fratelli Grimm, opportunamente modificata per evitare di
appesantire troppo la lettura. Prendendo spunto da alcuni personaggi della
storia, la fase di riflessione verrà dedicata all’esplorazione di specifiche
abilità sociali. In particolare l’attenzione verrà posta sulle emozioni e sul
riconoscimento/controllo di determinati vissuti emotivi: paura e rabbia.
Lo scopo di quest’esperienza sarà dimostrare l’importante funzione della
fiaba come “attivatore” del lavoro psicologico. La storia sarà lo strumento
utilizzato al fine di innescare vissuti emotivi specifici, mentre il lavoro di
restituzione grafica permetterà una verifica empirica delle ipotesi preposte.
Nel mezzo, un’analisi di tipo ontologico ed archetipico delle immagini
cromatiche emerse.
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CAPITOLO 1
“L’ABILITA’ DI SCRIVERE
ed
IL PIACERE DI LEGGERE”
1.1. LA SCRITTURA
Scrivere ha, secondo la nostra lingua, un significato ben preciso: scrivere
significa infatti “tracciare segni grafici rappresentanti convenzionalmente
gli elementi di un certo sistema linguistico”
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. Se però ripensassimo ai primi
anni di scuola, a quanto è stato difficile imparare oppure al tema della
maturità o ad una lettera d’amore, allora diverrebbe semplice intuire che la
scrittura non si esaurisce in una serie di segni culturalmente stabiliti.
Questo non vuol dire però che non sia importante conoscere le basi
neurofisiologiche e psicologiche di questa azione anzi, apprendere come
nasce il gesto grafico è fondamentale per poterne comprendere appieno il
valore.
La psicologia riconosce l’atto grafico come una delle forme piø complesse e
coscienti dell’attività linguistica. A differenza del linguaggio parlato che
viene assimilato per adattamento e resta per molto tempo un processo
articolatorio inconscio, la scrittura è sin dall’inizio un atto consapevole ed
intenzionale, il quale necessita di un apprendimento specifico e cosciente.
Scrivere prevede il riconoscimento di suoni, l’individuazione delle lettere e
la messa in pratica di movimenti articolatori fini, pertanto il suo
apprendimento necessita fin dall’inizio di un metodo di attuazione. Questo
1 DISC, Dizionario Italiano Sabatini Coletti, Giunti Editore, Firenze 1997
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metodo è sostanzialmente quello che tutti abbiamo appreso alle scuole
elementari, con un esercizio costante per almeno un anno e mezzo o due.
Inizialmente il bambino non riconosce il valore comunicativo della scrittura
ma è totalmente concentrato nella scomposizione delle parole e nella
trascrizione delle lettere. Ognuno di questi processi è separato dagli altri e
viene appreso indipendentemente. Secondo le ricerche dello psicologo
Gurjanov in principio anche la scrittura di ogni singola lettera è suddivisa in
piccoli gesti svincolati che vengono acquisiti separatamente; con la pratica
la composizione della lettera diventa automatica.
Uno dei piø autorevoli studiosi della scrittura è sicuramente il
neuropsicologo sovietico Aleksandr Lurija
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, allievo dell’altrettanto famoso
Vygotskij
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. Egli affermava: “Quando dobbiamo scrivere, dobbiamo
realizzare una rappresentazione fonologica della parola che poi
spezzettiamo in tante unità. Ciascuna di queste unità viene poi trasformata
in un grafema e questo ci consente di scriverla”
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Semplificando
quest’affermazione, l’atto di mettere per iscritto sarebbe composto da tre
passaggi:
- Analisi fonemica della parola
- Individuazione del fonema e del grafema corrispondente
- Recupero della forma ortografica
Ad oggi questa visione risulta per molti troppo semplicistica. La sola
conversione fonema-grafema non sarebbe infatti in grado di spiegare
l’abilità di distinguere parole in presenza di fonemi omofoni, come ad
2 (Kazan , 16 luglio 1902 – Mosca, 14 agosto 1977) Medico, sociologo e psicologo sovietico.
3 (Orsa, 17 novembre 1896 – Mosca, 11 giugno 1934) Psicologo sovietico, padre della scuola
socio-culturale. Si ricorda per la sua teoria dell’apprendimento sociale dei processi psichici
superiori.
4 Lurija A. “Neuropsicologia del linguaggio grafico” 1951
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esempio “cuoco” e quoziente”. Esisterebbe dunque innanzitutto un codice
visivo-lessicale da attivare in queste circostanze, ma anche un piø ampio e
complesso processo di apprendimento per la codifica dell’input uditivo,
necessario per differenziare tra parole simili (lago/l’ago, letto/l’etto ecc.).
Secondo questa visione moderna l’acquisizione dell’abilità scrittoria inizia
prima dell’entrata a scuola, quando il bambino ha già a che fare con le
parole scritte e formula ipotesi sul loro significato e funzionamento, poi
prosegue in ambito scolastico seguendo una serie di stadi specifici:
- Stadio ideo-grafico: all’inizio il bambino riconosce solo le parole
familiari, utilizzando le loro caratteristiche grafiche salienti; l’ordine
delle lettere viene ignorato ed è possibile identificare solo le parole
già conosciute.
- Stadio alfabetico: il bambino applica le regole di conversione
fonema/grafema in maniera sistematica e non globale. Viene
riconosciuta l’importanza dell’ordine giusto delle lettere e della
fonologia. Ora il bambino può scrivere anche parole non conosciute
prima.
- Stadio ortografico: il bambino è in grado di applicare le regole di
conversione fonema/grafema anche a sillabe, morfemi e parole
intere.
- Stadio lessicale: il bambino è in grado di scrivere in maniera globale,
senza la necessità di ricodificare fonologicamente ogni parte della
parola. A questo stadio l’abilità della scrittura è appresa.
Si tratta di un passaggio graduale. Al primo anno di scuola scrivere è un
atto che genera tensione, il bambino è totalmente concentrato sull’ascolto
della parola ed ha bisogno di ripeterla piø volte, ad alta o bassa voce,
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mentre scrive minuziosamente ogni lettera. In età adulta invece la grafia
non è piø tesa, ma scorrevole e non c’è piø necessità di ripetere.
Gurjanov sperimentò lo sviluppo dell’atto grafico facendo scrivere diversi
soggetti su un foglio di carta appoggiato ad un disco metallico in grado di
registrare le pressioni
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. Ne risultò che per i bambini piø piccoli la scrittura
si scompone in piccole pressioni isolate, mentre in quelli piø grandi le
pressioni sono già piø complesse; negli adulti infine, la grafia è il risultato
di interi e complessi gruppi motori, ogni lunga pressione corrisponde ad una
parola scritta.
1.1.1. Neurofisiologia del gesto grafico
L’atto scrittorio inizia sempre con un compito preciso che viene proposto al
soggetto o che il soggetto stesso elabora di per sØ. Ci sono poi diverse
operazioni che formano in processo grafico:
- L’analisi della composizione fonetica della parola;
- La precisazione dei suoni, ovvero l’individuazione dei suoni precisi e
specifici tra le varianti fonemiche ascoltate;
- La trasformazione dei fonemi individuati in segni grafici.
Diverse strutture celebrali partecipano alla scrittura come processo ideo-
motorio, considerando innanzitutto che l’atto grafico coinvolge diversi
sistemi, da quello uditivo a quello motorio.
Sappiamo attualmente che il linguaggio è lateralizzato nell’emisfero sinistro
nella maggioranza delle persone, mentre per quel che riguarda i mancini è
5 E.V. Gurjanov, Sviluppo di abilità di scrittura tra gli studenti. Mosca, 1940.