Lean Manufacturing nel settore aerospaziale. L’esperienza Boeing – Alenia Aeronavali
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Nei primi, si ritrovano esempi delle tecniche descritte in precedenza, e ne vengono
elencati i risultati operativi e le difficoltà incontrate.
Viene presentato già un elemento di novità per i canoni classici della Lean, costituito
dalla gestione di un magazzino.
Altri interventi, più significativi, in quanto applicati nelle funzioni tecniche, danno il la
per gli ultimi capitoli, che rappresentano una parte innovativa della Lean,
scarsamente esplorata ed applicata, soprattutto in Italia.
Nel capitolo 12, progetti snelli, sono rielaborati i concetti base della Lean, per farli
aderire ad una attività concettuale, alla quale non sempre si adattano le sue
tecniche.
Vengono descritti quindi tutti gli aspetti di un progetto in dettaglio, come debbano
essere modificati, e quali possano essere i vantaggi in termini di efficienza ed
efficacia.
L’ultimo capitolo, presenta la frontiera del settore spaziale.
Quali siano le sue peculiarità, i tentativi di renderlo più efficiente, e dove possa
essere applicata con successo la Lean Manufacturing, sono solo alcuni degli
argomenti trattati; portando anche alcuni semplici esempi pratici di possibili
miglioramenti.
La difficoltà nel descrivere la Lean, deriva dal fatto che è, prima di tutto, un nuovo
modo di pensare. Le sue metodologie intervengono infatti: sulle persone, sui prodotti,
sulle strategia, sul modo di risolvere i problemi, sugli spazi e gli ambienti di lavoro,
ecc.
Il modo scelto per affrontare gli argomenti, è stato quello di descrivere inizialmente la
situazione ideale semplificata, quindi spostarsi su tutti i sistemi al contorno ed infine
affrontare tutti i problemi che possono nascere.
Si fa riferimento molto spesso all’”azienda tradizionale” come termine di paragone
totalmente negativo. In realtà questa visione è volutamente pessimistica. Tuttavia
molti degli errori di questo antagonista, sono quelli rintracciabili in qualsiasi processo
che non abbia subito una rivisitazione in ottica snella.
Gli esempi tratti dall’esperienza in Aeronavali sono molto utili per capire come un
intervento lean si concretizzi andando a toccare molti dei fattori sopraelencati.
Per lo stesso motivo sono spesso riportati aneddoti ed altri esempi, soprattutto di
Toyota e Boeing.
Le tecniche nascono dalle esigenze di soluzione dei problemi quotidiani, e questa
caratteristica, senza l’aiuto degli esempi pratici, può provocare una lettura errata.
Troppo spesso si è tentati di ridurre la Lean ad una semplice raccolta di strumenti
utili. Bisogna guardare più attentamente e capire quando questi debbano essere
applicati e soprattutto comprendere che la chiave sono i due pilastri: miglioramento
continuo e rispetto per le persone.
Senza un piano aziendale di trasformazione, si finisce per ottenere soltanto risultati
isolati e non le eccezionali performance di chi, Toyota in primis, ha fatto della Lean la
sua cultura.
Alcune tecniche presentate sembrano puro buon senso, ed in molti casi è così,
essendosi sviluppate per decenni (in Toyota) come il modo migliore per fare le cose.
INTRODUZIONE
11
Per altre invece è opportuno abbandonare il senso comune e fidarsi dei metodi di
quello che è oggi il maggior produttore mondiale di autoveicoli, con profitti quasi
doppi rispetto al secondo.
Per tutte le tecniche, vale comunque il consiglio di provare per credere.
I vantaggi offerti vanno molto al di là del semplice produrre tanto e bene in poco
tempo.
L’insegnamento della Lean è che solo partendo dal basso con piccoli miglioramenti
quotidiani si possono ottenere le grandi trasformazioni.
In concreto, questa tesi, è servita a raccogliere molte esperienze, ma anche a fornire
proposte concrete di applicazione in ambiti, come la progettazione ed il settore
spaziale, in cui i tentativi in questo senso sono ancora troppo timidi.
Quindi buona lettura e soprattutto buon lavoro.
Lean Manufacturing nel settore aerospaziale. L’esperienza Boeing – Alenia Aeronavali
12
1. Nascita e diffusione della Lean Manufacturing
13
1. Nascita e diffusione della Lean Manufacturing
1.1. Toyota
1.1.1. Le origini 1
Sakichi Toyoda sul finire del 1800 era impegnato nel tentativo di migliorare i telai
impiegati dalla sua famiglia. Inizialmente ne semplificò la struttura per rendere più
agevoli le operazioni manuali di tessitura, successivamente riuscì ad automatizzare
completamente il telaio.
Fin qui la sua ricerca di miglioramento era guidata unicamente dalla volontà di
sgravare i suoi familiari dalla fatica del lavoro.
Nonostante il risultato portasse già i suoi telai un passo avanti rispetto agli standard
contemporanei, Toyoda si spinse oltre per svincolare completamente dalla macchina
l’individuo che era ancora costretto a sorvegliarne tutte le fasi di lavorazione. Creò
quindi un sistema automatico di blocco del telaio nel caso di rottura di un filo di trama
o ordito. Questo sistema prese il nome di “jidoka”: automazione con un tocco umano.
Questa semplice innovazione permise, per fasi successive, di arrivare ad un rapporto
di venti telai per ciascun operaio.
Osservando oggi il sistema produttivo Toyota, e tutti gli strumenti di analisi e
ottimizzazione del lavoro sviluppati durante la storia di questa azienda, si
riconoscono i tratti fondamentali di uno “spirito Toyota” che da allora non è cambiato.
1.1.2. L’ingresso nel mondo dell’automobile
Il brevetto dei telai automatizzati e a prova di errore venne venduto in Inghilterra nel
1929 e nel 1930 nacque la Toyota Motor Company sulle basi di quel consistente
guadagno (Toyoda in giapponese significa: “risaia fertile”, considerandolo poco
adatto venne scelto Toyota che in giapponese non ha alcun significato).
I primi passi compiuti da Sakichi Toyoda furono alcune visite in America, agli
stabilimenti Ford, e l’istruzione di suo figlio Eiji come ingegnere meccanico.
Prima della guerra furono costruiti solo alcuni prototipi di autovetture, ma quasi subito
la fabbrica fu riconvertita alla produzione di autocarri militari principalmente con
metodi artigianali.
1.1.3. La condizione giapponese dopo la seconda guerra mondiale
Nel dopoguerra, il Giappone presentava alcune caratteristiche che influenzarono
radicalmente lo sviluppo di Toyota:
» il mercato interno era molto limitato e richiedeva una grande varietà di mezzi
di trasporto in piccoli volumi
» i lavoratori chiedevano condizioni di lavoro migliori ed erano sostenuti dalle
nuove leggi sindacali introdotte dall’occupazione americana
» la mancanza di capitali impediva grandi acquisti di materie prime e di
tecnologie occidentali
» i produttori esteri di automobili spingevano per entrare anche sul mercato
giapponese
1
Per la storia Toyota: Womack,Jones,Roos “La macchina che ha cambiato il mondo” 1990
Lean Manufacturing nel settore aerospaziale. L’esperienza Boeing – Alenia Aeronavali
14
Il governo attuò misure protezionistiche per supportare l’industria nazionale, ma
cercò anche di forzare i vari produttori di automobili a concentrarsi ognuno su uno
specifico settore.
Rifiutando questa condizione, Toyota puntò, fin da subito, a fornire grande varietà e
piccoli volumi, in aperto contrasto con i canoni della produzione di massa.
1.1.4. L’influenza dei modelli occidentali
Il modello Toyota, può essere visto come la realizzazione dei sogni di Ford e Taylor,
come sostenuto da Marco Revelli nell’introduzione a “Lo spirito Toyota”, ma al di là
del cercare accademicamente la continuità tra i modelli produttivi, è storicamente
provato come Tahichi Ohno, riconosciuto come fondatore del sistema Toyota, ed Eiji
Toyota, studiarono per diverso tempo la letteratura dei metodi produttivi, ad esempio
“Today and tomorrow” di Henry Ford e “Scientific Management” di Taylor.
Il risultato dei loro studi li portò però alla realizzazione di un sistema nuovo,
essenzialmente perché non copiarono i metodi di lavoro delle altre realtà produttive,
ma cercarono di rendere applicabili le idee originali alle condizioni del loro paese.
Ad esempio Ohno colse da Ford l’importanza del “lavoro standard”, definito se
possibile dagli stessi lavoratori, e l’idea del “flusso continuo” a partire dalle materie
prime fino al prodotto finito.
Superò invece le applicazioni pratiche degli stabilimenti Ford in cui per garantire il
flusso erano nati enormi magazzini intermedi, tipici della produzione di massa.
Da Taylor traspose dal lavoratore all’azienda l’idea della massima saturazione della
giornata lavorativa senza sprechi ed inefficienze. Applicandola all’azienda però andò
oltre il risultato ottimale ritenuto immutabile perché discendente dall’analisi
scientifica, e introdusse il concetto di miglioramento continuo del lavoro degli operai
per aumentare l’efficienza del processo.
Nonostante il modello Toyota abbia dimostrato di essere sostanzialmente diverso
nella pratica da qualsiasi altro, è significativa la frase di Ohno: “sono convinto che se
Ford fosse ancora in vita avrebbe inventato lui stesso quello che noi abbiamo messo
a punto alla Toyota”2.
Un’altra fonte di ispirazione per la nascita del metodo Toyota fu il sistema che gli
esperti dell’esercito americano avevano sviluppato per la produzione bellica durante
la seconda guerra mondiale, denominato TWI (training within industry), che venne
insegnato alle imprese giapponesi durante la ricostruzione del dopoguerra. Questo
metodo comprendeva la ricerca dell’ottimizzazione produttiva tramite la definizione di
“lavoro standard” che doveva avvenire tra tecnici di produzione e lavoratori dopo
un’attenta osservazione sul campo.
1.1.5. L’opera di Tahichi Ohno
Tahichi Ohno è considerato il padre del sistema di produzione Toyota (Toyota
Production System o TPS) in quanto fu il primo ad applicarne sistematicamente le
tecniche principali e a sistematizzare un nuovo approccio ai problemi della
produzione. Essendo un tecnico impiegato nei reparti produttivi si concentrò sulle
difficoltà proprie della produzione nelle condizioni del dopoguerra giapponese già
descritte.
2
Tahichi Ohno “Lo spirito Toyota” 1978, anche per il paragrafo successivo
1. Nascita e diffusione della Lean Manufacturing
15
I due pilastri da lui indicati sono: il “just in time” e l’”autoattivazione” con lo scopo
dell’eliminazione totale degli sprechi.
» Il JIT (just in time) nasce dall’idea di fornire il componente da montare durante
l’assemblaggio solo nel momento e nella quantità richiesti. Estendendo il
concetto si ottiene una catena ininterrotta che parte da valle, dal cliente, e
arriva a monte, al fornitore, senza interruzioni, e senza accumuli.
» L’autoattivazione (jidoka) nasce dall’idea originale di Toyoda per i telai che si
arrestavano in caso di errore, lo stesso secondo Ohno deve valere per
qualsiasi persona o processo, che non deve mai lasciar passare un difetto.
Per la loro applicazione dovette scontrarsi con il senso comune che suggerisce
spesso soluzioni cautelative che generano sprechi ed inefficienze. Ad esempio il
pericolo di rimanere senza approvvigionamenti porta solitamente ad aumentare di
molto le scorte, considerate uno dei problemi maggiori nell’ottica del JIT.
Da questi due pilastri furono sviluppate già negli anni ‘50 e ‘60 la maggior parte delle
tecniche che verranno discusse in seguito come “Lean Manufacturing” o “Produzione
Snella”.
Da ricordare negli scritti di Ohno anche:
» l’attenzione al metodo di risoluzione dei problemi, volto ad identificarne la
causa prima, con l’obbiettivo della qualità di ogni pezzo ancor più che la
qualità del prodotto finale
» lo sviluppo di svariati sistemi semplici per risolvere tutti i più piccoli
inconvenienti pratici all’interno della fabbrica.
1.1.6. L’espansione Toyota3
Alla fine del 1950 Toyota aveva prodotto circa 2700 automobili in 20 anni di attività
contro le 7000 che lo stabilimento Ford di Rouge assemblava ogni giorno.
Nel 2003 Toyota sorpassò per la prima volta una delle tre grandi case produttrici
americane (Chrisler) come numero di autoveicoli venduti negli Stati Uniti, e il suo
profitto, nello stesso anno, superò quelli di Chrisler, General Motors e Ford messi
insieme. Inoltre le sue vendite non riguardavano più vetture compatte ed economiche
ma, con il marchio Lexus, introdotto nel 1989, per il terzo anno consecutivo vendeva
più auto di lusso di BMW, Cadillac e Mercedes, sempre negli Stati Uniti.
Nel 1997 Toyota fu anche la prima casa automobilistica a sviluppare e lanciare sul
mercato un’automobile ibrida, la Prius. La sua progettazione richiese, da zero,
soltanto 15 mesi per esser messa in produzione, quando i concorrenti avevano tempi
di sviluppo non inferiori ai 2 anni per un’automobile convenzionale.
Cosa è successo in mezzo secolo?
Le condizioni di lavoro delle aziende sono andate uniformandosi per gli effetti della
globalizzazione del mercato (le vetture vendute negli Stati Uniti da Toyota sono per
la maggior parte prodotte da operai e manager americani in stabilimenti americani)
quindi il modello Toyota ha provato la sua adattabilità ad un ambiente
completamente diverso dal Giappone e con volumi nemmeno paragonabili a quelli
del dopoguerra.
Come espresso da J.K. Liker: “…Toyota ha usato l’eccellenza operativa come arma
strategica”.
3
Per i dati sulla produzione Toyota si veda Jeffrey K. Liker “The Toyota Way” 2005
Lean Manufacturing nel settore aerospaziale. L’esperienza Boeing – Alenia Aeronavali
16
Semplificando molto le cause di questa incredibile crescita, si possono individuare
due differenze fondamentali tra il sistema di produzione di massa e quello snello.
La prima differenza riguarda il rapporto con il mercato: i grandi costruttori non erano
in grado di affrontare un mercato limitato con crescita lenta, come quello venutosi a
creare dopo la crisi petrolifera del 1973. Il modello Toyota invece, era nato proprio
per un mercato a crescita lenta o nulla, ed aveva costruito la sua efficienza
indipendentemente dai volumi produttivi. Imparando inoltre ad adattarsi ad ogni
minima fluttuazione del mercato e facendo dipendere da esso tutta la catena
produttiva che doveva essere quindi pronta a reagire dal basso con la minima
inerzia.
La seconda differenza riguarda il nuovo ruolo delle persone all’interno dell’azienda,
che già Ohno aveva sottolineato con l’autoattivazione: valorizzare al massimo le
persone significa garantire che il loro lavoro non venga sprecato e sfruttare le loro
capacità di individuare gli sprechi insiti in ogni operazione per ottenere un
miglioramento continuo autosostenuto.
Si può affermare quindi che l’attenzione di Toyota sia stata, fin dalle sue origini, non
tanto una ricerca di un vantaggio competitivo per avvantaggiarsi sulla concorrenza,
quanto piuttosto la ricerca del perfetto adattamento ad un ambiente in continua
evoluzione. Questo le ha permesso non solo di crescere in condizioni varie e poco
prevedibili, ma di coltivare nel contempo la massima flessibilità.
1.2. La diffusione della Lean Manufacturing
1.2.1. L’interesse del mondo e gli studi
La crisi petrolifera del 1973 vide la Toyota in difficoltà per un periodo di gran lunga
inferiore ai suoi concorrenti, fu infatti il primo produttore a risollevarsi. Negli anni ’80
divenne chiaro come ci fosse qualcosa di diverso riguardo alla produzione
giapponese soprattutto per gli standard di qualità e per l’efficienza. Solo negli anni
‘90 tuttavia, si arrivò ad una visione chiara delle caratteristiche della produzione
giapponese ed in particolare delle caratteristiche peculiari di Toyota.
Il primo studio approfondito sulle differenze di efficienza e di metodo produttivo, nel
settore automobilistico, fra costruttori americani e giapponesi, denominato IMVP
(International Motor Vehicle Program) fu portato avanti dal MIT (Massachusset
Institute of Technology) tra il 1985 e il 1990.4
Spesso il sistema Toyota è stato identificato con il just in time o il kanban (strumento
che verrà descritto più avanti) o con altre tecniche specifiche, con conseguenti
tentativi approssimativi di applicazione e aspre critiche derivanti dagli inevitabili
fallimenti.
I successi Toyota sono stati attribuiti alternativamente all’automazione spinta o alle
particolari condizioni lavorative del Giappone e alle caratteristiche culturali
giapponesi (ad esempio facendo riferimento alle facilitazioni fiscali operate dal
governo o su una presunta predisposizione dei Giapponesi al pensiero snello).
4
“La macchina che ha cambiato il mondo” del 1991, nato proprio dal progetto IMVP, è il primo testo
che introduce il termine “Lean Manufacturing”, in riferimento unicamente ai sistemi produttivi Toyota.
1. Nascita e diffusione della Lean Manufacturing
17
Sono state inoltre avanzate ipotesi sull’inadeguatezza del sistema ad adattarsi a
particolari condizioni come la competizione sull’innovazione (in parte confutabili con
alcuni esempi come la Toyota Prius o le capacità di rapido sviluppo prodotti
dimostrata da Toyota).
Nonostante tutti questi dubbi, svincolandosi dal destino della Toyota stessa, continua
ad aumentare il numero di aziende che riesce ad ottenere sostanziali miglioramenti
dall’applicazione della Lean Manufacturing e cresce anche la diversità di ambiti in cui
si rivela efficace l’eliminazione degli sprechi.
1.2.2. Il confronto con altri metodi produttivi
Il sistema Toyota fu la scelta razionale di fronte all’inadeguatezza della produzione di
massa alle caratteristiche del Giappone rilevata da Eiji Toyoda.
Nella nuova produzione snella si possono rintracciare il meglio della produzione
artigianale e alcune caratteristiche della produzione di massa che favoriscono i
grandi volumi produttivi.
Di seguito è riportato l’esempio della produzione automobilistica, ma le osservazioni
legate ai vari metodi produttivi si possono facilmente estendere a molti altri settori.
La produzione artigianale era entrata in crisi alla fine dell’ ‘800 ed i motivi erano
essenzialmente i costi produttivi che non diminuivano all’aumentare della produzione
e la scarsa qualità dovuta al fatto che ogni auto era un prototipo sul quale i vari pezzi
dovevano essere adattati. Inoltre la necessità di introdurre innovazioni tecnologiche
non poteva essere seguita, data la sua complessità, da artigiani tuttofare.
Ford trovò soluzione a questi due difetti focalizzandosi sulla standardizzazione dei
componenti dei veicoli (prima ancora che sull’assemblaggio in linea). Questo
permetteva un netto incremento della qualità, intesa come minori adattamenti
necessari per montare i pezzi, e soprattutto permetteva economie di scala.
La crisi della produzione di massa si può riscontrare in due problemi evidenti: la
difficoltà nel migliorare la qualità dei prodotti e la presenza di gravi inefficienze come
ad esempio la necessità di gestire grandi magazzini intermedi e la lentezza nel
convertire la catena ad un nuovo prodotto. Questo perché le innovazioni venivano
utilizzate per aumentare la velocità di produzione a scapito della flessibilità (come ad
esempio grandi macchinari per lo stampaggio di lamiere), basando la crescita su
previsioni di lungo periodo sempre più complesse. Senza contare che l’idea della
produzione alienante della catena di montaggio ormai non veniva più accettata dagli
operai.
La produzione snella nasce con l’obbiettivo di minimizzare gli sprechi, primo fra tutti
la sovrapproduzione; tutta l’azienda deve essere pilotata dalla richiesta del cliente e
deve quindi essere snella (lean) in ogni suo processo. Il concetto di efficienza della
produzione snella risulta completamente svincolato dai volumi produttivi e dalla
velocità di produzione.
Alcune eccezioni a questa evoluzione sono facilmente identificabili, ad esempio i
produttori di auto di lusso che hanno proseguito sulla strada dell’artigianato. Queste
aziende hanno dovuto però affrontare i problemi dell’innovazione e della complessità
dei propri prodotti che hanno portato molte di esse ad essere assorbite per lungo
tempo da produttori di massa (ad esempio Ferrari, Lamborghini, Aston Martin,
Jaguar, Bentley, Rolls Roice) o a giungere sull’orlo del fallimento (Porsche, poi
salvatasi grazie ad un’applicazione del modello Toyota, tra le più fedeli in Europa5).
5
J. P. Womack, D.T. Jones “Lean Thinking” 1996
Lean Manufacturing nel settore aerospaziale. L’esperienza Boeing – Alenia Aeronavali
18
Anche alcuni produttori di massa di fronte alla crisi hanno cercato una riconversione
alla produzione artigianale come ad esempio Volvo, che introdusse delle isole di
lavoro in cui squadre di operai assemblavano un intero veicolo. Questo tentativo
riguardò unicamente l’assemblaggio finale e gli stessi promotori di questo metodo si
resero conto rapidamente di non poter competere con la qualità e l’efficienza dei
migliori produttori giapponesi6. Mancava infatti nel modello Volvo l’integrazione
profonda con i fornitori per garantire la qualità e il concetto di miglioramento continuo
del lavoro, inattuabile senza standardizzazione dei compiti.
La vera differenza tra la produzione di massa e la produzione snella risiede però
negli obiettivi delle due:
» per la produzione di massa l’obiettivo è l’aumento dei volumi produttivi per
raggiungere margini di guadagno grazie alle economie di scala. Il numero di
difetti deve essere limitato, così come le scorte, ad un livello accettabile
» la produzione snella fissa i suoi obbiettivi alla perfezione: costi in continuo
calo, zero difetti, zero scorte ed una varietà infinita di prodotti.
Come verrà illustrato nel prossimo capitolo, il modello Lean Manufacturing deve
essere considerato un sistema originale. Le eccezioni in cui si potrebbero ritenere
validi metodi produttivi simili a quello artigianale e a quello di massa si riducono
rapidamente valutando la varietà di soluzioni ai problemi aziendali nate dall’approccio
snello.
Un’azienda di dimensione globale come Toyota è stata costretta, ed è riuscita, a
creare nuovi metodi di ottimizzazione del lavoro assolutamente slegati dalla
produzione e che riguardano ad esempio le comunicazioni o lo sviluppo prodotti.
Questo conservando i principi base dei suoi fondatori.
Le tecniche di ottimizzazione quindi non sono che la punta dell’iceberg della Lean
Manufacturing.
Qualsiasi processo dell’azienda ha seguito il suo percorso di miglioramento continuo
e ha sviluppato parallelamente strumenti per snellire qualsiasi genere di attività si
possa trovare in un’azienda.
1.2.3. La diffusione in Giappone (Toyota non è il Giappone)
Come verrà illustrato più avanti, un’azienda che si spinge lungo la via della
produzione snella inevitabilmente si vedrà costretta a coinvolgere i propri fornitori.7
Questo aspetto è facilmente intuibile considerando un vasto impiego della
metodologia del just in time: se si fanno tendere a zero le scorte, la reattività dei
fornitori dovrà necessariamente uniformarsi a quella richiesta dal cliente.
Inoltre gli obbiettivi di riduzione continua dei costi e dell’assenza totale di difetti non si
possono perseguire senza che vengano coinvolti i fornitori.
Per questi motivi Toyota ha iniziato quasi subito ad esportare le sue tecniche per
migliorare l’efficienza dei fornitori di prima fascia, cioè i fornitori della componentistica
principale. In seguito le sue richieste hanno spinto questi ultimi a fare altrettanto con i
6
Christian Berggren “Alternatives to Lean Production” 1992
7
Anche Ford aveva individuato la necessità di un flusso controllato dalla materia prima al prodotto
finito e, diversamente da Toyota, si era spinto all’acquisto di tutta la catena dei suoi fornitori fino ad
avere sotto il suo controllo anche alcune miniere.
1. Nascita e diffusione della Lean Manufacturing
19
fornitori di seconda fascia, con l’obbiettivo dichiarato di arrivare a coinvolgere tutta la
catena fino alla materia prima.8
Nonostante questa diffusione, gli altri costruttori di automobili giapponesi non hanno
seguito un’evoluzione, dei metodi produttivi, simile a quella Toyota. Mazda ad
esempio iniziò un processo di trasformazione solamente dopo il fallimento della sua
strategia basata sull’innovazione del suo motore Wankel, avvenuta in concomitanza
con la crisi petrolifera. Womack, Jones e Ross riportano nel 1990 uno studio
sull’efficienza di oltre 60 stabilimenti di assemblaggio rilevando una grande variabilità
anche fra i soli siti giapponesi di diverse marche.
Anche Porter nel 1990 sottolinea: “…come tutte le nazioni, il Giappone ha raggiunto
un vantaggio competitivo con alcune industrie, ma ha fallito con molte altre.
Qualunque cosa stia accadendo in Giappone chiaramente non si applica ugualmente
bene per tutte le industrie”.9
1.2.4. La diffusione in America ed Europa
Come per la diffusione in Giappone, il primo artefice di questo processo è stata la
stessa Toyota. All’inizio degli anni ’80 Toyota formò una joint venture per la
creazione di uno stabilimento di assemblaggio, sfruttandone uno chiuso qualche
anno prima da General Motors. In breve tempo il NUMMI (New United Motor
Manufacturing Inc.) si dimostrò lo stabilimento più produttivo degli Stati Uniti e anche
quello con la difettosità più bassa. Si trasformò anche in una “scuola” di Lean
Manufacturing che venne visitata da moltissimi manager americani delle aziende
concorrenti.10
È difficile comprendere il motivo per cui Toyota abbia concesso così facilmente le
sue conoscenze alla concorrenza, ma si possono rintracciare alcune motivazioni
plausibili:
» si trattava del primo stabilimento americano Toyota, ed essendo visto come
banco di prova doveva servire anche per raccogliere informazioni
» i metodi di lavoro, caratterizzati dal miglioramento continuo e dal just in time,
erano visti come condizioni inumane e bisognava rendere evidente a fornitori
e società americana quanto invece fossero rispettosi della persona ed efficaci
» la forza dei sindacati forse preoccupava Toyota, abituata ad operare in
Giappone con associazioni sindacali distinte per azienda che comprendono
qualsiasi lavoratore dal dirigente all’operaio.
Una volta divenuta evidente l’efficacia del sistema di produzione snella, e la sua
applicabilità, molte aziende decisero di tentare di percorrere la nuova strada con
risultati alterni; in generale riuscirono molto meglio se supportate da ex specialisti di
Toyota.
Similarmente in Italia, come sostenuto da James Womack durante un incontro tenuto
a Reggio Emilia nel 200511, una della barriere alla diffusione del pensiero snello è
l’assenza di Toyota o di grandi multinazionali che operino in maniera snella.
8
Come verrà illustrato nei prossimi capitoli l’appoggio dato ai fornitori va molto al di là di un semplice
requisito di efficienza o qualità, ma si esplica in molteplici forme di supporto tecnico da parte di
specialisti Toyota.
9
Michael Porter “The competitive advantage of nations” 1990
10
Per la storia dello stabilimento NUMMI si vedano “La macchina che ha cambiato il mondo”; “The
Toyota Way”; e Takahiro Fujimoto “The evolution of a manufacturing system at Toyota” 1999.
11
“Workshop sul Lean Thinking” Canossa (RE), 19 luglio 2005. James Womack oltre che autore di
diversi testi sulla Lean Manufacturing è stato ricercatore del MIT ed è “fondatore e presidente del Lean
Enterprise Institute (LEI), situato negli USA, organizzazione di ricerca e formazione senza scopo di
Lean Manufacturing nel settore aerospaziale. L’esperienza Boeing – Alenia Aeronavali
20
In quella stessa occasione, facendo un bilancio sulla diffusione della Lean,
sosteneva che se nel 1980 solo il 40% aveva sentito parlare dell’argomento e il tot
5% era entrato in contatto con alcune sue applicazioni, allo stato attuale le
percentuali erano rispettivamente 80% e 20%.
1.2.5. La difficoltà nel copiare il sistema Toyota
Come già espresso in precedenza la produzione snella deve essere considerata un
vero e proprio modello produttivo originale.
A Toyota servirono decenni di impegno costante e di errori per creare le tecniche e
rendere snelli i processi produttivi, di sviluppo prodotto, di gestione dei fornitori, e di
tutto quello che ruota intorno ad un grande produttore di automobili.
Non stupisce scoprire quante aziende abbiano fallito nel tentativo di copiare Toyota.
La prima motivazione potrebbe essere la seguente: per decidere di abbracciare
completamente questa nuova metodologia, è necessaria una grave crisi che però
può spingere a cercare soluzioni a breve termine, non compatibili con un percorso
lungo come quello volto a diventare realmente snelli.
Alcuni autori fanno riferimento alla necessità che si formi col tempo una sorta di
nazionalizzazione del modello Lean Manufacturing, adatta al paese in cui si opera.
Ciò è condivisibile vista anche la portata dei cambiamenti che si generano passando
dalla produzione di massa alla produzione snella.
Le chiavi del sistema produttivo Toyota rimangono però i suoi principi più che le sue
tecniche. Riconoscendo la superiorità del nuovo modello e l’inevitabilità del
cambiamento, si possono trovare centinaia di esempi di altre aziende che sono
riuscite lentamente a trasformarsi.
lucro costituita nel 1997 per promuovere un insieme di idee noto come lean production e lean
thinking”.
2. Cosa significa essere snelli
21
2. Cosa significa essere snelli
2.1. I principi alla base del sistema Toyota
Riconoscendo in Toyota il massimo esempio di Lean Manufacturing, l’analisi dei suoi
obiettivi e dei suoi metodi chiarisce quali siano le basi necessarie per la
trasformazione.
Per Toyota i due pilastri sono: miglioramento continuo (in giapponese Kaizen) e
rispetto per le persone.1 Il primo necessita del secondo e nessuna azione o decisione
può essere presa in contrasto con questi due principi di base.
Questo garantisce la base stabile, una filosofia di lungo periodo.
Sul piano operativo, come dichiarato nel 2005 dal suo presidente Fujio Cho:
“La chiave della via Toyota, e ciò che la distingue, non è nessuno dei
suoi elementi preso singolarmente. L’importante è avere tutti gli elementi
insieme in forma di sistema. Questo deve essere portato avanti giorno
per giorno in modo regolare e coerente”.2
È interessante inoltre notare come Toyota non consideri nessuna delle sue tecniche
come essenziale, a differenza di quanto troppo spesso frainteso dai suoi imitatori.
Non sono il just in time o il kanban o altre tecniche a costituire il modello Toyota,
sono stati l’applicazione assidua dei suoi principi e la creatività nell’approntare nuove
soluzioni ai problemi quotidiani della loro integrazione, a portare i risultati visibili oggi.
Si configura quindi un’azienda che, ad un livello più profondo, basa la sua strategia
su un sistema in cui tutte le parti devono poter contribuire alla realizzazione
dell’obiettivo comune. Per questo forse l’abilità maggiore di Toyota consiste nel
coltivare costantemente:
» la leadership
» il lavoro dei gruppi
» la cultura aziendale
» la strategia
» il rapporto coi fornitori3.
Tutto questo non sarebbe possibile senza che venisse promosso ad ogni livello il
concetto di “learning organization” (organizzazione che impara), intesa sia come
un’azienda in cui il miglioramento ottenuto si consolida per piccoli passi, ma anche e
soprattutto come “evolutionary learning capability” (capacità evolutiva di imparare)
cioè un’azienda che impara nuovi modi di rispondere ai cambiamenti4.
Cambia quindi la definizione di efficacia, in cui i prodotti non sono più al centro
dell’attenzione, e l’obiettivo diventa compiere nel miglior modo possibile qualsiasi
azione.
Ohno a tal proposito riporta le parole di Henry Ford:
“La ragione per cui la parola efficacia è così detestata è perché viene
pensata come efficienza delle cose. L’efficacia reale consiste invece,
1
Jeffrey K. Liker “The Toyota Way” 2005
2
“The key to the Toyota Way and what makes Toyota stand out is not any of the individual
elements.... But what is important is having all the elements together as a system. It must be practiced
every day in a very consistent manner, not in spurts”, Jeffrey K. Liker “The Toyota Way” 2005
3
Jeffrey K. Liker “The Toyota Way” 2005
4
Takahiro Fujimoto “The evolution of a manufacturing system at Toyota” 1999.
Lean Manufacturing nel settore aerospaziale. L’esperienza Boeing – Alenia Aeronavali
22
semplicemente, nel compiere un lavoro nel modo migliore piuttosto che
nel modo peggiore. L’efficacia è trasportare un tronco su una collina
usando un camion piuttosto che portarlo sul proprio dorso.”
Come tutto questo possa (e debba) nascere, a partire dalle semplici operazioni
quotidiane di ogni lavoratore dell’azienda snella, è descritto in questo e nel prossimo
capitolo.
2.2. I concetti fondamentali
2.2.1. Il cliente
Per iniziare quest’analisi si può cominciare con una domanda: perché esiste
un’azienda? La risposta ovvia è che essa esiste per soddisfare i bisogni del cliente.
La conseguenza, chiave del pensiero snello, è che l’attenzione di tutti deve essere
incentrata sulla soddisfazione del cliente, l’obbiettivo è fornire al cliente:
» quello che vuole
» quando ne ha necessità
» nella quantità richiesta
» privo di difetti
» al minimo prezzo
Più in generale il cliente potrebbe essere un ufficio o un altro operaio che stanno a
valle della catena produttiva e attendono il prodotto per poter compiere le loro azioni.
2.2.2. Valore e spreco
Per migliorare giorno per giorno il proprio lavoro la prima cosa da fare, secondo il
pensiero snello, è individuare esattamente che cosa si debba fare. Una volta che sia
chiaro chi è il cliente, il secondo passo è definire le sue necessità. Successivamente
è necessario analizzare a fondo le caratteristiche del prodotto per valutare quanto
questo risponda alle necessità del cliente. Già a questo punto si potrebbero trovare
particolari che non sono nati dalla richiesta del cliente, l’obiettivo è eliminarli.5
Percorrendo tutta la produzione le attività cosiddette “a valore” risulteranno essere
quelle che informano il prodotto, cioè ne modificano le caratteristiche verso quanto
richiesto dal cliente.
Questo metodo d’indagine, soprattutto nel caso di prodotti complessi, può risultare
difficile, per questo già Ohno aveva definito 7 sprechi fondamentali (in giapponese
muda) a cui se ne può aggiungere un ottavo, come suggerito da alcuni autori.
Gli 8 muda sono:
» scorte
» sovrapproduzione
» spostamenti per compiere diverse operazioni
» rilavorazioni dovute a prodotti difettosi
» trasporto di materiali o attrezzature
5
Si potrebbe pensare che questo genere di errori sia raro. Nella pratica se per cliente si immagina un
ufficio a valle del proprio a cui si passano diversi tipi di documenti (prodotti), i casi si moltiplicano. La
risposta classica potrebbe essere: “questo timbro noi non lo richiediamo, ma se l’ufficio precedente lo
mette ci sarà qualcuno a valle che ne ha bisogno…”. Potrebbe invece trattarsi effettivamente di
un’operazione inutile. Purtroppo la vicinanza degli uffici non migliora le cose, fin che si mantiene una
netta divisione funzionale questo genere di sprechi è destinato a moltiplicarsi.
2. Cosa significa essere snelli
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» inefficienze di processo
» tempo inutilizzato
» creatività inutilizzata
La maggior parte di questi sprechi rientrano nel senso comune del termine ma alcuni
di questi per essere compresi in ottica lean necessitano di spiegazione.
Primo fra tutti le scorte, caratteristica distintiva della produzione di massa, derivanti
spesso dalla sovrapproduzione. In questo caso ci si riferisce a qualsiasi genere di
scorta: materie prime, semilavorati e prodotti finiti. Tradizionalmente le code di
semilavorati sono state sempre accettate e mai particolarmente osteggiate, si
possono però riconoscere una serie di problemi legati alle scorte:
» i materiali sono beni immobilizzati che possono avere valore consistente se si
considera un intero stabilimento produttivo
» qualsiasi difetto sia presente all’interno di un lotto di semilavorati verrà
scoperto dopo diverso tempo con la possibile conseguenza di dover
distruggere un intero lotto prodotto in settimane di lavoro o rilavorarlo
» lo stesso difetto, soprattutto se circoscritto ad uno o pochi pezzi genera una
conseguenza molto più pericolosa, la mancata identificazione e la
sottovalutazione della causa
» non vi è alcun interesse al miglioramento fintanto che permangono grosse
scorte a monte e a valle del proprio processo
» la manutenzione o i guasti delle macchine non influiscono sulla produzione
finendo per essere accettate come avvenimenti inevitabili.
Le scorte assumono quindi un ruolo di “rete di sicurezza” per i processi che tendono
a separarsi gli uni dagli altri temporalmente e fisicamente, per la presenza dei
magazzini intermedi, finendo per essere completamente indifferenti alle richieste del
cliente se non per imposizioni direttive dall’alto.
Figura 1 Raffigurazione di come l’elevato livello di scorte nasconda le inefficienze
A proposito dello spreco legato alle scorte esiste un aneddoto, avvenuto
probabilmente alla Porsche, quando un esperto giapponese si fece accompagnare
dal direttore di produzione sulla linea di assemblaggio. Appena entrato esclamò:
“Dov’è la fabbrica? Questo è il magazzino!”. Nei giorni seguenti tornò con una sega
elettrica e, insieme al direttore di produzione, tagliò a metà tutti gli scaffali.6
Se questo può far sorridere, un esempio che non può lasciare indifferenti è il
percorso tipico dei documenti. Per un impiegato avere una certa coda di documenti
6
James P. Womack, Daniel T. Jones “Lean Thinking” 1996
Lean Manufacturing nel settore aerospaziale. L’esperienza Boeing – Alenia Aeronavali
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in ingresso al proprio ufficio e altrettanti in uscita per l’ufficio successivo, può essere
considerata una situazione normale. Se oltre a ciò il numero di documenti da lui
processati giornalmente è molto elevato, si considererà sicuramente efficiente e non
sarà disposto ad accettare critiche visto l’impegno profuso. Immaginando di essere
un cliente in attesa di uno dei documenti nel mucchio la visione diventa subito
diversa. Ciò che conta non è più l’efficienza del singolo ufficio, ma il tempo totale per
percorrere tutti gli uffici coinvolti. Immaginando poi la presenza di difetti, il tempo
necessario a scoprirli e la difficoltà di risalire all’autore, si comincia a comprendere
perché le code debbano essere eliminate ad ogni costo da qualsiasi tipo di processo.
Figura 2 Esempio di processo a “lotti e code” per la gestione degli ordini
Figura 3 Lo stesso processo della figura precedente riorganizzato eliminando gli sprechi
Spostiamo ora l’attenzione sulle “inefficienze di processo”. Con questo termine si
intendono tutti i percorsi che il prodotto deve compiere e che non aggiungono valore,
ad esempio azioni non a valore o qualità aggiuntiva non richiesta dal cliente. Questi
esempi possono sembrare eventualità molto rare, ma nella pratica possono essere
molto frequenti e consistenti in termini di tempi persi e lavoro sprecato. Le cause
principali possono essere: standard di lavoro non aggiornati, timbri o firme su
documenti che nessuno richiede o altro.
Già da questi pochi esempi si possono trarre alcune conclusioni:
» lo spreco genera spreco (ad esempio la rilavorazione di un lotto può essere
vista come conseguenza della presenza delle scorte)
» l’identificazione di alcuni sprechi porta rapidamente ad individuarne altri
» il concetto di spreco può facilmente essere esteso a qualsiasi ambito (ad
esempio lo spostamento per pagare una bolletta in un ufficio postale può
essere eliminato pagando via internet).
Un’altra osservazione in ottica lean richiama l’importanza delle persone. La persona
che si adatta meglio a diventare “cacciatore di sprechi” è sicuramente la persona
stessa coinvolta nel lavoro. Presupponendo di dargliene la possibilità, incentivarlo e
fornirgli un’adeguata formazione, chiunque si accorgerà dei vantaggi di questa