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Molti, infatti, hanno ottenuto dei fallimenti perché hanno commesso l’errore
di accentrare tutto nelle proprie mani, senza responsabilizzare i propri
collaboratori e creare, così, un gruppo solido.
Infine, sono state analizzate le ultime teorie, in ordine cronologico su questo
tema. William Levati e Maria Saraò affermano che l’unico modo per
stimolare i propri subordinati è quello di creare un buon ambiente di lavoro,
in cui gli individui possano sviluppare se stessi e le proprie competenze.
Questi studi, in qualche modo, negano tutte le concezioni del passato.
A questo punto, è stato creato un framework su cui basare le interviste. Per
confrontare le idee proposte dai teorici con quelle dei veri leader.
Questi ultimi sono stati scelti con l’obiettivo di avere un insieme eterogeneo
di esperienze ed opinioni. Sono stati interpellati esponenti del mondo
politico, come l’avvocato Correnti, e di quello sportivo, come Julio
Velasco, di grandi aziende internazionalizzate e non, di settori simili ma
anche diversissimi tra loro. Sono state ascoltate anche due figure di sesso
femminile, dal momento che le concezioni secondo cui solo gli uomini
possono essere visti come dei capi, al giorno d’oggi, sono ampiamente
superate e non possono essere più ritenute valide. Non è un caso, infatti, che
la dottoressa Albera e la dottoressa Sangalli lavorino per un colosso
mondiale dell’informatica.
Alla fine, sono state confrontate le opinioni di queste persone con la teoria e
sono state tratte alcune interessanti conclusioni.
Capitolo I – Il Leader
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Capitolo I – Il Leader
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1.1. INTRODUZIONE AL CONCETTO
Il concetto di leader varia a seconda delle diverse culture nazionali, tanto
che, per citare un esempio, all’interno dell’Europa, si possono identificare
diversi modi di intendere la figura di colui che è a capo di un gruppo.
In particolare, Hitler veniva chiamato: “Der Fuhrer”, mentre a Churchill era
stato dato l’epiteto di “War Leader”. Da qui si può capire che “le opinioni
sulla leadership fra la cultura tedesca e quella britannica sono separate da
un abisso molto più profondo del canale della Manica”, riprendendo
un’espressione di Andrew Roberts, autore del libro: “Hitler and Churchill:
Secrets of Leadership”.
In Spagna, esistono diverse parole che indicano il condottiero, come
caudillo, cacique o jefe, ma tutte intendono qualcosa di diverso fra loro. Per
esempio, Franco era conosciuto come “El Caudillo”, mentre Fidel Castro è
noto a tutti come “Lider Maximo”.
Infine, anche il vocabolo francese conducteur sta a significare qualcosa di
diverso rispetto ai termini indicati precedentemente.
A questo punto è utile capire quale possa essere il significato che si vuole
dare al termine “Leadership” e che può essere, in qualche modo, accettato
dalle diverse culture nazionali.
David Brewer, del Leadership Consulting Group di San Francisco, afferma,
innanzitutto, che la capacità di comando è un’arte. Più precisamente, essa è
l’arte di far sì che altre persone facciano proprio un obiettivo o una visione
di come può essere il futuro, ispirandole ed incoraggiandole a tenere saldo il
proprio impegno, in modo tale che, grazie alle singole azioni ed
all’iniziativa personale, trasformino in realtà ciò che essi volevano ottenere.
Capitolo I – Il Leader
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Questa idea viene esplicata da esempi di personaggi famosissimi come John
Fitgerald Kennedy, il quale, nonostante molti fallimenti, riuscì a far
divenire reale il sogno di mandare un uomo sulla Luna, Franklin Roosevelt,
che durante la peggior crisi economica mondiale ha affermato: “L’unica
cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”, e Nelson Mandela, il
quale ha avuto successo nel far diventare realtà la visione di un Sud Africa
non più soggetto alle crudeli regole dell’apartheid.
In ogni caso, non solo nelle grandi occasioni si dimostra di essere un leader,
ma a tutti i livelli, può esistere una figura che è in grado di guidare gli altri.
Infatti leaders non sono solo i managers o i capi di stato ma anche i singoli
individui, nel momento in cui influenzano altri e fanno sì che questi ultimi
li seguano. Quando Rosa Parks si rifiutò di lasciare il suo posto su un bus,
nei giorni in cui stava nascendo il Movimento per i Diritti Civili negli Stati
Uniti, ella fece sì che anche altri si muovessero più attivamente verso il
cambiamento. Col suo gesto è riuscita ad ottenere un risultato che nessuno
si sarebbe immaginato, considerando che era una persona semplice, senza
alcun potere formale.
Cercando sempre di inquadrare il concetto, è utile riprendere gli studi di
Ronald A. Heifetz e Marty Lintzky. Nel loro articolo “Leadership on the
Line: Staying Alive Through the Dangers of Leading”, essi affermano: ”La
leadership è un’arte di improvvisazione”. Questa frase sta a significare che
si può avere una visione positiva, dei valori chiari su cui basarsi e persino
un piano strategico, però ciò che conta di più è quello che si riesce a fare
quando quello che succede realmente non è stato pianificato. Per essere
efficaci, bisogna essere capaci di rispondere a tutti gli input che arrivano
dall’esterno, soprattutto quelli imprevisti. Inoltre i leader devono avere una
propria “Visione del futuro”, intesa come la capacità di vedere e
comprendere ciò che sta capitando e capire ciò che può avere un’influenza
sulla propria attività. (Heifetz & Lintzky, 2001).
Capitolo I – Il Leader
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Da una ricerca condotta dalla rivista “American Psychologist”, si evince
che essere leader significa persuadere, non comandare”. Questa è una
asserzione interessante, in quanto offre una visione diversa del concetto.
Infatti, non vengono considerati leader le persone che comandano gli altri
solo grazie al potere che è stato conferito loro, bensì un individuo è un vero
leader se gli altri adottano spontaneamente, per un certo periodo di tempo,
gli obiettivi di un gruppo e li considerano propri.
Per questi motivi è possibile affermare che la leadership concerne la
creazione di team di persone orientati al raggiungimento di risultati. Proprio
questo è il punto di collegamento tra leadership e performance del gruppo.
Secondo una definizione di Jack Zender, ripresa dal suo articolo: “The New
Leadership Development”, pubblicato, nel marzo del 2000, sulla rivista
“Training & Development”, il “Vero leader deve porre l’enfasi sugli
obiettivi che un’organizzazione si aspetta e deve aiutare le persone
all’interno della stessa a raggiungere risultati migliori. Inoltre egli rende le
prestazioni dei propri followers più efficaci di quanto non sarebbero state se
non ci fosse stata una guida. Tutto ciò accade quando il leader vede un
grande potenziale di crescita e non costringe nessuno a raggiungerlo”.
Secondo questa caratterizzazione, il primo compito del leader è quello di
raggiungere gli obiettivi che l’impresa si prefissa. Per fare questo le
performance dei followers devono essere in continuo miglioramento, grazie
al fatto che essi sono guidati ed indirizzati da una figura che ha indiscusse
capacità di gestione delle risorse umane.
Infatti, come ricorda Jack Zender, il leader convince i propri collaboratori a
fare cose che essi considerano impossibili, e li aiuta a farle. Egli ha capacità
di visione, di comunicazione ed è in grado di motivare ed incoraggiare i
followers.
Capitolo I – Il Leader
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Inoltre, deve saper costruire attorno a sé un sistema in cui i valori e gli
obiettivi sono condivisi da tutti, in modo tale che ognuno sappia cosa deve
fare e sia convinto di porre in atto le azioni giuste. (Zender, 2000)
1.2. I TRE AMBITI DI RICERCA.
Negli ultimi vent’anni, si sono fatti numerosi e considerevoli sforzi nello
studio e nell’analisi di leaders reali che hanno effetti ed influenza
straordinaria nei confronti dei propri followers. Gli studi sono stati portati
avanti sia tramite indagini empiriche, come le interviste e lo studio delle
reazioni di un gruppo rispetto ad un certo comportamento, messo in atto
dalla guida, sia da un punto di vista più teorico, in quanto sono state
elaborate nuove concezioni riguardo ai legami che esistono tra un gruppo di
persone e colui che le dirige.
La risorsa umana è diventata, infatti, sempre più importante soprattutto sul
piano qualitativo. Chi dirige un’impresa od un team, formato da più
individui, si trova molto spesso, sottoposto ad una duplice pressione: da
parte dell’ambiente esterno che richiede tempestività, flessibilità, coerenza,
creatività, e dell’ambiente interno che esige trasparenza, coesione, spirito di
gruppo, motivazione e professionalità.
Già nel 1992, Bryman, nel suo libro “Charisma and Leadership in
Organizations”, parla di un “New Leadership Approach”, cioè un nuova
visione del concetto di leadership. Egli afferma che questo nuovo approccio
può essere visto attraverso tre differenti punti di vista, a seconda di quale
aspetto si vuole studiare in maniera più accurata e su cui si vuole porre
l’enfasi.
a) Il manager ed il leader. Alcuni autori, come Kotter, Kouzes e
Posner, hanno incentrato la propria analisi sulle differenze che
Capitolo I – Il Leader
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intercorrono tra l’essere leader in un gruppo ed essere manager, al
quale è affidato il compito di gestire delle risorse umane.
b) Leadership trasformazionale e leadership transazionale. Altri
studiosi come Bass e Burns, già negli anni ottanta, hanno elaborato il
concetto di leadership transazionale e leadership trasformazionale.
c) Il carisma. Infine, un ultimo aspetto della ricerca, di cui si sono
occupati Steyrer, Howell, Avolio e molti altri, ha l’obiettivo di
analizzare il concetto di carisma, attributo principale che ogni leader
deve possedere per essere considerato tale.
1.2.1. LEADERSHIP E MANAGEMENT
“Management is doing the things right, leadership is doing the right things”.
(Warren Bennis, ‘96).
Questa frase di Bennis sintetizza in modo chiarissimo la differenza
sostanziale che esiste tra il ruolo del manager e quello del leader. Per molti
anni, infatti, la diversità fra i due concetti è stata alquanto chiara; nel senso
che il leader doveva ricercare l’efficacia, raggiungere gli obiettivi strategici,
influenzando, guidando e controllando le persone su cui esercitava la suo
autorità. Differentemente, il manager è colui che fa le cose bene nel senso
che persegue l’efficienza, coordinando ed organizzando i team di persone
ed il lavoro.
Questa distinzione permette di porre l’accento sulle caratteristiche di
gestione, amministrazione tipiche del manager e su quelle di influenza, di
guida, tipiche del leader.
Questa classificazione, però, applicata ad un contesto come quello attuale,
ed anche ad ipotetici scenari futuri, non può essere completamente
accettata. Infatti, le nuove teorie affermano che il leader dovrà essere, allo
Capitolo I – Il Leader
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stesso tempo, anche manager, riuscendo a raggiungere gli obiettivi di
efficienza oltre a quelli di efficacia.
Bennnis e Nanus ( “Leader. Autonomia della leadeship”. 1985),
affermavano che il leader ricercava il Know-why, prima del Know-how,
cioè prima del capire come fare qualcosa, si provava a capire il perché la si
doveva porre in essere. L’attività del leader, quindi, era orientata al problem
finding, piuttosto che dal problem solving, ossia la soluzione del problema.
Proprio per queste capacità di scopritore di problemi più che risolutore, il
leader non aveva solo il compito di dare ordini ma entrava in contatto con
tutti i suoi followers influenzandoli, formandoli ed educandoli.
Il manager, invece, era orientato maggiormente al problem solving ed alla
ricerca dell’operatività ed efficienza. (Bennis e Nanus, 1987)
A questo punto, gli autori si sono interrogati su come fosse possibile fare
una distinzione tra queste due figure. Il punto chiave sta nel definire gli
equilibri in base alle situazione in cui si deve agire.
Nello svolgere il lavoro di capi ci si trova di fronte a situazioni in cui le
variabili possono apparire in conflitto. Accade, infatti, che si passi da
momenti in cui è prioritario amministrare ad altri in cui si deve motivare,
sostenere e guidare il personale. Oppure, esistono circostanze in cui è più
conveniente essere orientati al compito ed altre in cui si deve porre
maggiore enfasi sul risultato.
Le nuove teorie affermano che, nella formazione dei manager, è importante
inserire uno stock di conoscenze e di stimoli che sviluppino le tre capacità
fondamentali del manager:
a) Capacità concettuale/strategica. Il manager deve essere in grado di
essere consapevole della complessità dell’organizzazione e dell’ambiente in
cui opera in modo da inserirvi la propria attività.
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b) Capacità tecnica/operativa. Essa deve favorire l’uso delle
conoscenze acquisite attraverso la formazione.
c) Capacità umana/relazionale. Serve per evitare le possibili
distorsioni nella comunicazione con i propri interlocutori.
Proprio per questi motivi, la formazione manageriale nelle grandi e più
evolute aziende, soprattutto in tempi recenti, si è focalizzata principalmente
su tematiche quali la gestione delle risorse umane, la leadership e la
motivazione.
Dal momento che la distinzione tra il leader ed il manager si è sempre più
assottigliata, queste due figure tendono ad avere, all’interno delle aziende,
gli stessi compiti.
La capacità di innovare e la creatività stanno diventando sempre più
importanti, tanto che i manager devono pensare a nuovi metodi di
risoluzione dei problemi in modo da anticipare i concorrenti e sopravvivere
all’interno del contesto economico contemporaneo. Per fare ciò, bisogna far
leva sul proprio bagaglio di competenze e nozioni, grazie anche
all’interazione con altri membri di un gruppo, e cercare di vedere i problemi
da un altro punto di vista.
A questo punto, quindi, si può parlare di manager integrato, nel senso che si
vuole porre l’accento sulle necessità, per chi dirige un’impresa, di inserirsi
trasversalmente nelle varie funzioni aziendali e di guidare le persone su cui
esercita la propria autorità, sempre cercando di far coincidere l’efficienza e
l’efficacia. (G. Scarpitti Brocchieri, ’91)
Seguendo questo filone, un altro autore, Craig Hickman, ha affermato che
le nuove tendenze sono quelle di fondere orientamenti diversi per creare le
aziende ottimali del futuro. Questo equilibrio non può essere raggiunto solo
grazie alle competenze di un singolo, ma può essere perseguito grazie ad un
processo che permetta l’interazione efficace del leader e del manager.
Capitolo I – Il Leader
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Secondo Hickman, il vantaggio competitivo può essere raggiunto sfruttando
quella che egli stesso definisce “tensione naturale tra manager e leader”.
I manager, infatti, sono tendenzialmente delle persone pratiche, razionali e
decise, al contrario dei leader, maggiormente utopisti, comprensivi e
flessibili. Sfruttando la tensione esistente tra questi due tipi di personalità, le
aziende possono sfruttare variabili chiave come qualità, servizio,
innovazione e creatività come leve per il successo non solo nel breve ma
anche nel lungo termine. In questo modo, sarà possibile creare un’impresa
ben integrata e ben equilibrata, capace di migliorare le proprie performance
anno dopo anno.
La tensione che esiste tra l’orientamento manageriale e la leadership si crea
a tutti i livelli dell’organizzazione; l’abilità dell’impresa sta nel saper
sfruttare queste diversità di approccio per ottenere delle innovazioni, per
quanto riguarda i prodotti e i mercati, e superare i concorrenti.
In ogni caso, è importante conoscere l’ambiente in cui si opera e saper
valutare le diverse situazioni che, volta per volta, si devono fronteggiare.
Infatti, gli executives devono essere in grado di utilizzare diverse dosi di
management e di leadership a seconda dei problemi che si devono risolvere.
Sempre secondo Hickman, il massimo motore capitalistico è alimentato dal
meglio del management e della leadership. Per raggiungere tale equilibrio
ottimale, è opportuno conoscere non soltanto le qualità, ma anche le
differenze, grandi e piccole, che sono tipiche dei due approcci. Inoltre, si
deve trovare la giusta mescolanza delle due, adatta alla situazione. (Craig
Hickman, 92)
Anche secondo Peter Drucker, il management è, soprattutto, un insieme di
pochi principi essenziali. Questi principi formano le fondamenta per il
raggiungimento dei migliori risultati ottenuti sia dai leader sia dai manager.
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Di conseguenza, nella realtà, occorre integrare i principi che governano
leadership e management, mischiando, in maniera attenta ed opportuna,
innovazione e stabilità, ordine e flessibilità. Secondo Drucker, quindi, la
soluzione a quella che Hickman chiamava tensione fra manager e leader va
risolta con la somma dei due fattori in dosi giuste. (Peter Drucker, ’97)
Quello che gli studiosi hanno concluso dai loro studi, è che, per avere
successo, serve integrare le capacità del leader con quelle del manager.
Questo non significa che sia un compito facile fondere, in modi e dosi
giusti, le caratteristiche dei due orientamenti o trovare un equilibrio. Alcune
circostanze necessitano una buona dose di management, mentre altre
richiedono un approccio orientato verso la leadership.
Il manager e il leader possono, quindi, essere visti come due tipi diversi di
persone. La prima ama esercitare il controllo, mentre l’altra è più portata
verso la responsabilizzazione dei propri collaboratori. Inoltre, si può
affermare che i manager ricercano la stabilità, tendono a vivere nel presente
e cercano di ordinare l’organizzazione in cui operano. I leader sono coloro
che reputano le eventuali crisi uno stimolo per il miglioramento,
trasformano le strutture esistenti innovandole e sono sempre orientati verso
il cambiamento e la rivoluzione. L’atteggiamento di questi ultimi, quindi,
può essere definito proattivo, in quanto cerca di anticipare o, addirittura,
provocare il cambiamento.
Secondo Hickman, il manager è ancorato alla realtà esistente e cerca di
trarne il meglio. Differentemente, il leader ha l’atteggiamento del
“sognatore”, perché vuole raggiungere degli obiettivi sempre più difficili e
che si articolano nel futuro sia a breve sia a lungo termine.
Capitolo I – Il Leader
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1.2.1.1. UNO PIÙ UNO UGUALE TRE
Negli ultimi anni, si è diffusa la convinzione che i manager debbano
adottare un approccio maggiormente orientato alla leadership. Questa
concezione, però si è dimostrata erronea, in quanto non si deve richiedere al
manager di diventare leader o viceversa ma sarebbe opportuno che entrambi
valorizzassero le proprie qualità distintive in modo da sfruttare al meglio la
tensione naturale esistente fra le due posizioni ed, in tal modo, ottenere il
risultato “uno più uno uguale tre”. Hickman, come la maggior parte degli
autori, afferma che si devono sfruttare le sinergie positive che si creano tra i
due diversi orientamenti, cosicché si possano raggiungere,
simultaneamente, l’efficacia e l’efficienza dei progetti.
Secondo questo metodo, è necessario integrare le qualità manageriali con
doti di leadership in modo che, anziché scontrarsi, si uniscano, riducendo i
punti deboli di entrambe. Coloro che sono riusciti in questo intento, hanno
raggiunto risultati straordinari, come John Young della HP e Michael Eisner
della Walt Disney.
Warren Bennis, insegnante di management alla USC, nei suoi libri, affermò
che i manager controllano i contratti o le relazioni legate al posto di lavoro,
alla sicurezza ed al denaro, creando, di conseguenza, un certo servilismo o,
quantomeno, obbedienza. I leader, invece, si adattano alle situazioni e, oltre
ad indirizzare ed a guidare le persone, le responsabilizzano e lasciano
spazio alle loro idee. In questo modo, essi creano un ambiente positivo, in
cui gli individui capiscono il significato, lo scopo e l’importanza di ciò che
stanno facendo. (Bennis, 1999)
Capitolo I – Il Leader
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1.2.2. LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE E LEADERSHIP
TRANSAZIONALE
Un filone più recente della ricerca, si è occupato di definire i processi
mediante i quali si articolano i legami che intercorrono tra il leader ed i suoi
followers.
Queste teorie hanno l’obiettivo di definire come i leader riescano a
coinvolgere ed unire, nella la ricerca di un risultato comune, i propri
followers.
La teoria della leadership transazionale, secondo gli scritti di Downton
(1973), considera i leaders come “agenti di negoziazione”, i quali trattano e,
talvolta, scendono a compromessi per “massimizzare la propria posizione
relativa”, ossia vogliono cercare di ottenere sempre più potere decisionale
all’interno di un gruppo. Per fare questo, quindi, devono porre in essere
delle azioni che permettano di influenzare e di convincere almeno quegli
individui che possono dare un significativo appoggio.
I followers vengono motivati grazie alla possibilità di ottenere ricompense
personali, di qualsiasi tipo, che solo il leader può concedere. Di solito,
questo genere di premi è di natura psicologica, come un pubblico encomio,
o economico. Solo chi si dimostra coinvolto nella missione, però, può
ottenere un riconoscimento.
La teoria della leadership transazionale si basa essenzialmente sul fatto che
ogni individuo si pone degli obiettivi. Proprio per questo motivo egli
metterà in atto dei comportamenti tali per cui sia possibile raggiungere
questo o quel risultato. In secondo luogo, ricerche hanno dimostrato che gli
individui cercano di ripetere quelle azioni che, secondo il loro punto di
vista, hanno portato a dei benefici o a delle ricompense, sia personali sia di
gruppo. Accade quindi che ci sia una sorta di selezione dei comportamenti
da seguire, in quanto, se determinati gesti hanno portato a conseguenze
negative, essi vengono scartati e non più ripetuti.
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Infine c’è da ricordare che le relazioni di scambio tra il leader ed i followers
sono regolate da norme, implicite, di reciprocità. Si instaura, quindi, un
rapporto che può essere sintetizzato dalla formula: “Do ut des”. (Downton,
1973)
Secondo Bass e Stogdill, colui che viene definito leader transazionale deve
possedere alcune caratteristiche fondamentali. In primis, egli deve essere in
grado di valutare le buone performance ed il raggiungimento o meno di un
obiettivo, in modo da distribuire ricompense. Queste devono servire come
premio per coloro che si distinguono, ma devono essere anche uno stimolo
per tutti gli altri.
Questo tipo di leader deve anche avere la capacità di “gestire per
eccezioni”, ossia capendo i segnali di una performance negativa in modo da
anticiparla e, nel caso in cui questo non fosse possibile, intervenendo per far
rispettare gli standard di prestazione.
L’ultimo aspetto basilare risiede nell’approccio che si deve adottare nei
confronti dei propri collaboratori. Infatti, si deve assumere uno stile
permissivo, basato sul “laissez faire”. In questo senso, il leader deve
concedere molta autonomia senza limitarsi ad opprimere i propri
collaboratori dando ordini, ma lasciandoli liberi di esprimere tutte le loro
potenzialità. (Bass e Stogdill, 1990)
Al contrario, il leader trasformazionale basa il proprio potere sui principi,
sull’autostima, sulla fiducia e sull’impatto motivazionale ad avere una
performance sopra la media.
Secondo Bass e Stogdill il leader transazionale fa leva sull’interesse che già
esiste nei followers, mentre quello trasformazionale cerca di cambiare
questo sistema di valori individuali costruendone uno in cui prendano forma
degli obiettivi comuni.
A questo proposito, entra in gioco l’abilità del leader nell’influenzare gli
individui, cercando di ispirarli e facendo risvegliare i propri valori più alti.