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Prefazione
Lo studio approfondito di tematiche come la leadership, il cambiamento e la
cultura nell’ambito organizzativo viene fatto comunemente risalire alla seconda metà del
secolo scorso. In quegli anni infatti, il neonato Human Relations Movement, in
contrapposizione al modello taylorista, si è opposto alla visione dell’uomo come mero
strumento a servizio dell’impresa, proponendo un nuovo paradigma che guarda al
dipendente come a un essere sociale, i cui diversi comportamenti possono fare la
differenza tra il successo o l’insuccesso dell’azienda stessa. Questo nuovo filone di
pensiero ha spinto a un naturale spostamento del focus dei ricercatori verso gli aspetti più
soft dell’organizzazione, cioè quelli che considerano elementi come il contesto sociale, la
motivazione, l’emotività e il dialogo. Da qui, fattori come la leadership, l’accettazione del
cambiamento e l’identificazione di una cultura hanno trovato la loro dimensione anche
all’interno delle organizzazioni, ma, data la loro complessità e astrattezza, le decine di
viottoli in cui si divide la letteratura non definiscono nessuna ‘ricetta’ che garantisca un
successo sicuro nella gestione di questi ambiti (Kreitner e Kinicki, 2010).
Tuttavia quello che gran parte degli studiosi sembra aver confermato è il forte legame che
intercorre tra questi tre aspetti. A tal proposito, affrontando la tematica del cambiamento,
Machiavelli già nel 1513 con la sua opera Il Principe affermava che:
E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più
pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per
nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli
ordini nuovi farebbono bene. La quale tiepidezza nasce, parte per paura delli avversarii, che
hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini: li quali non credano in verità le
cose nuove se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che qualunque volta quelli
che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri defendano
tepidamente; in modo che insieme con loro si periclita (Machiavelli, 1961, pp. 19-20).
Le parole dell’autore fiorentino descrivono molto bene la situazione in cui si trova un
innovatore quando cerca di introdurre un cambiamento in una società. Nella maggior
parte dei casi infatti, le critiche opposte non sono tanto riconducibili alla bontà del
cambiamento in sé, quanto agli effetti che questa modifica comporta alla dimensione
personale degli individui. Di conseguenza, la rottura dello status quo non viene vista di
buon grado da chi dalla situazione attuale ci guadagna e, siccome ogni trasformazione è
fonte d’incertezza, può accadere che nemmeno coloro che attraverso il cambiamento
possono migliorare la loro condizione ne siano strenui difensori, perché non ne conoscono
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concretamente gli effetti o sono spaventati dallo stravolgimento che la modifica può
comportare al loro modo di pensare e agire.
Allargando il discorso alle organizzazioni, è facile intuire come la cultura, definita dalle
pratiche e dai valori correnti, spesso costituisca un vincolo a ogni grande cambiamento.
Vincolo superabile solo grazie a una grande leadership che, servendosi del proprio
carisma e di una visione positiva del futuro, appare come l’unico elemento in grado di
plasmare questi aspetti (Kotter, 1996; Schein, 2009; Spector, 2010).
Oggi, agli albori del secondo decennio del duemila, tutti questi elementi sembrano aver
assunto una connotazione ancora più importante rispetto a mezzo secolo fa. La
globalizzazione sta spingendo i Paesi del mondo verso una sempre maggiore integrazione
economica che punta alla creazione di un mercato unico, in cui le imprese competono a
livello globale. Tutto questo si traduce in nuove opportunità, ma anche in un aumento
della competitività in contesti che prima erano protetti (Cavusgil, Knight e Riesenberger,
2012). Se si pensa ad esempio alle PMI italiane, che si trovano a dover affrontare la
concorrenza delle grandi multinazionali o di imprese di Paesi Emergenti i cui costi per il
lavoro sono risibili, ci si rende subito conto che nella maggior parte dei casi la sfida
riguarda esclusivamente la sopravvivenza. In mancanza di altre tutele, l’unica soluzione
possibile sembrerebbe quindi essere quella di cambiare e adattarsi all’ambiente.
Fatte le dovute premesse quindi, questo elaborato nasce con l’obiettivo di
dimostrare la correlazione che intercorre tra questi tre aspetti. Più precisamente,
l’indagine parte dal presupposto che il successo del cambiamento sia generalmente
imprescindibile dalla qualità della leadership che lo conduce e che tutto questo rifletta i
suoi effetti nella cultura dell’organizzazione.
A sostegno di tale ipotesi, si è scelto di raccogliere e raccontare l’esperienza di un
imprenditore ‘visionario’ e carismatico come Adrio Maria de Carolis e del cambiamento
strutturale e culturale apportato alla sua azienda SWG.
L’intervista all’amministratore delegato dell’azienda triestina è stata però preceduta da
una profonda analisi della letteratura riguardo alle tre tematiche fondamentali che
caratterizzano questa tesi. La finalità di fondo della parte prettamente ‘teorica’ del lavoro
ha riguardato l’analisi storica e concettuale dei diversi approcci utilizzati per lo studio di
queste materie, in modo da cogliere i contributi apportati dalle varie ricerche e supportare
così la scelta di modelli che fossero di aiuto per la lettura del caso di business.
L’elaborato si struttura quindi in cinque Capitoli, di cui i primi quattro ne rappresentano
la parte teorica, mentre il quinto ne configura quella pratica.
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Il primo Capitolo tratta la tematica della leadership, cercando di darne una definizione
nell’ambito organizzativo e operando un’importante distinzione di questo concetto da
quello di management. Distinzione che come si vedrà, non riguarda solo l’aspetto
semantico, ma anche quello operativo. Il concetto viene poi sviscerato in maniera più
profonda attraverso l’analisi delle teorie più importanti che distinguono i cinque diversi
approcci che hanno caratterizzato lo studio di questa materia, in modo da costruire uno
strumento per la sua valutazione puntuale e completa che verrà utilizzato nel caso preso in
esame. L’ultima sezione di questo primo Capitolo entra nel dibattito secolare e non
ancora concluso sulla possibilità di apprendere la leadership da parte delle persone,
prendendo in esame i due diversi filoni di pensiero: quello ‘innatista’ e quello
‘democratico’. Lo scopo della digressione, che sostanzialmente ricalca l’evoluzione
storica dei diversi filoni di studio, è quello di evidenziare, in modo pratico e concettuale,
le modalità con quali le imprese possono sviluppare al loro interno nuovi leader; necessità
che assume una certa rilevanza, come si vedrà nei Capitoli successivi, nel momento in cui
il cambiamento deve essere istituzionalizzato nell’organizzazione.
Il secondo Capitolo è dedicato a quello che forse rappresenta l’argomento principale di
questo elaborato e al quale sono legati tutti gli altri: il cambiamento organizzativo. Dopo
aver dato una definizione generale del concetto e delle varie forme in cui è solitamente
classificato, vengono prese in considerazione le cause che negli ultimi anni hanno fatto
registrare una crescente necessità nelle imprese di adottare questo processo. Come per la
leadership poi, il Capitolo prosegue riportando due studi che sintetizzano le diverse teorie
di base che caratterizzano il fenomeno, così da definire quali siano gli elementi più
importanti che vengono coinvolti nel cambiamento. Come si vedrà, gli aspetti emotivi e
comportamentali rappresentano la maggiore fonte di preoccupazione durante
l’implementazione di ogni tipo di trasformazione e, per questo motivo, l’analisi si
concentrerà sulle risposte umane al processo di cambiamento, con particolare riferimento
alla resistenza, il vero titano da sconfiggere quando si decide di avventurarsi in una
modifica degli aspetti salienti dell’organizzazione. Dopo aver presentato la ‘malattia’, si
cerca di proporre la ‘medicina’, che in questo caso è rappresentata dalla leadership,
evidenziando come nella maggior parte della letteratura esistente quest’abilità sia
considerata la più importante ‘pallottola d’argento’ in grado di abbattere tutte le barriere
che fanno da ostacolo a un’implementazione efficace del cambiamento. Tuttavia,
nonostante la ferma convinzione da parte di chi scrive della veridicità di questa tesi, per
non incanalare il discorso verso un binario a senso unico e garantire così a chi legge la
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pluralità delle prospettive, si è scelto di inserire in questo contesto anche l’opinione di
alcuni autori che dissentono da quest’idea, in modo che ognuno possa trarne le proprie
personali conclusioni. Questo secondo Capitolo si conclude con la presentazione di uno
dei più conosciuti e autorevoli modelli per l’introduzione di un cambiamento
comportamentale in un gruppo, la teoria del campo di Lewin (1951). Gli studi di Lewin
costituiranno infatti lo schema di base attraverso il quale sarà possibile introdurre e
leggere i due successivi modelli di cambiamento utilizzati in questo elaborato per l’analisi
del caso aziendale.
Il terzo Capitolo ha come oggetto la cultura organizzativa che, dopo la leadership e il
cambiamento, rappresenta l’ultimo argomento d’indagine di questa tesi. Come per le due
precedenti tematiche, anche il discorso sulla cultura comincia cercando di inquadrare il
concetto sulla base delle diverse prospettive utilizzate dagli studiosi, al fine di darne una
prima e intuitiva definizione. Successivamente, si cerca di sviscerare l’argomento più in
profondità per capire quali siano gli elementi principali che possono essere identificati
all’interno di una cultura organizzativa, presentando i risultati di due ricerche
accumunabili ai due principali filoni di pensiero che caratterizzano lo studio di questa
materia. Infine, dopo aver presentato il legame fra trasformazione organizzativa e cultura
dell’impresa, si passa all’introduzione di una prima evoluzione della teoria di Lewin, il
modello semplificato per il cambiamento culturale (Schein, 2009) che verrà utilizzato per
l’analisi del caso SWG relativamente alla modifica delle norme e dei valori di base
dell’azienda triestina.
Con il quarto Capitolo, sì e voluto dare un ampio spazio a quello che sarà lo strumento
principale per la costruzione delle fondamenta a sostegno della parte pratica di questo
elaborato: il modello a 8 stadi di Kotter (1996). Questa seconda evoluzione della teoria
del campo rappresenta infatti uno dei più recenti ed elaborati metodi a disposizione dei
promotori di un cambiamento per una sua implementazione di successo. In questa sede, lo
strumento verrà utilizzato come matrice per la lettura del cambiamento organizzativo
realizzata in SWG e, per questo motivo, ogni sezione del Capitolo si occuperà di
approfondire i diversi stadi di cui si compone il modello, integrando le direttive elaborate
da Kotter con gli studi provenienti da altri autori in grado di arricchire e confermare le sue
tesi.
Con il quinto e ultimo Capitolo, si passa quindi alla parte pratica di questo elaborato nella
quale si propone un’analisi del cambiamento organizzativo e culturale condotti da Adrio
de Carolis in SWG, un’azienda triestina specializzata nella realizzazione di ricerche di
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mercato, d’indagine e istituzionali. La redazione di questo caso aziendale è stata possibile
grazie alla gentilezza e alla cortesia del sig. de Carolis che, contattato telefonicamente
tramite il Prof. Andrea Giacomelli, si è dimostrato fin da subito disponibile al rilascio di
intervista personale diretta, che ha avuto luogo il 18 settembre nella sede della sua
azienda. Data la vastità e la complessità degli argomenti trattati, si è optato per la
redazione di un questionario semi-strutturato, composto esclusivamente da domande
aperte. L’analisi di questa esperienza imprenditoriale e personale è sicuramente un
elemento di grande interesse perché, oltre a raccontare una storia di successo dalla quale
si può trarre un’enorme fonte d’ispirazione, rappresenta anche l’occasione per chi scrive
di fornire una rielaborazione critica personale dei temi trattati in questo elaborato,
attraverso la loro indagine in un contesto reale. Il Capitolo si struttura in quattro parti
fondamentali. L’analisi del caso aziendale inizia attraverso un breve excursus nella storia
di SWG, dalla sua fondazione all’entrata nel 2011 del nuovo CEO, in modo da fornire una
panoramica sugli eventi salienti della vita dell’organizzazione e comprendere così le
cause che l’hanno portata alla necessità di cambiare. Successivamente, si passa alla
valutazione della leadership adottata dall’amministratore delegato, sulla base delle
considerazioni emerse dallo studio dei contributi apportati dai diversi approcci storici alla
materia. Infine, le ultime due parti del caso verteranno sull’analisi del cambiamento
organizzativo e culturale apportati in SWG, realizzata attraverso i due modelli presentati
nel terzo e nel quarto Capitolo di questo elaborato.
Alla luce degli argomenti trattati quindi, si può osservare come questa tesi assuma
un ‘taglio’ sociologico, in quanto l’organizzazione è vista come un sistema aggregato di
persone, i cui risultati dipendono proprio dal comportamento degli individui, elemento
che conferma come l’economia sia una materia omnia, cioè capace di intrecciare una
vasta pluralità di discipline.
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1. La leadership
Il primo Capitolo di questo elaborato si occupa di presentare il concetto di leadership per
poter comprendere il suo significato e le modalità attraverso le quali possa essere valutato
e appreso. La sezione 1.1 definisce la materia in linea generale nell’ottica organizzativa,
mentre la sezione 1.2 delinea una sua distinzione dal concetto di management. La sezione
1.3 cerca di valutare la leadership secondo varie prospettive in quanto riporta, dalla più
vecchia alla più recente, le principali teorie in materia. La sezione 1.4, riepilogando i vari
contributi apportati dai diversi studi, si propone di sviscerare il concetto più in profondità,
in modo tale da definire tutti i fattori che devono essere considerati per la sua valutazione.
La sezione 1.5 conclude questo Capitolo indicando le modalità in cui la leadership possa
essere appresa dagli individui e dalle organizzazioni.
1.1 La leadership nelle organizzazioni
Attualmente non esiste una definizione di leadership universalmente condivisa. La
materia è stata oggetto di moltissimi studi, in particolar modo negli ultimi 150 anni e, per
ognuno di essi, è stata data una diversa definizione del concetto a seconda della
prospettiva dell’autore che eseguiva la ricerca. Alcuni infatti associano la leadership a
tratti della personalità, altri ritengono che sia un insieme di comportamenti predefiniti e
altri ancora asseriscono che sia un ruolo temporaneo che può essere ricoperto da tutti
(Kreitner e Kinicki, 2010). Per riuscire definire la leadership è innanzitutto opportuno
introdurre tre concetti a essa sottostanti: il potere, l’autorità e il controllo.
Il potere: è il mezzo attraverso il quale il leader influenza il comportamento delle
altre persone per ottenere il consenso. Può derivare dalla posizione che si occupa
all’interno dell’azienda (es. capacità di dare ricompense e sanzioni, disponibilità di
risorse, ecc.) oppure può essere personale, cioè dipendere dalle caratteristiche
dell’individuo (es. carisma, competenze tecniche, ecc.) che permettono di fare leva
sull’emotività degli altri
(Etzioni, 1961).
L’autorità: è il grado di legittimità che le persone attribuiscono l’uso del potere e di
conseguenza deriva solamente dal ruolo formale ricoperto dal leader all’interno
dell’organizzazione (Novara e Sarchielli, 1996).
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Il controllo: è il modo in cui il leader esplica concretamente suo potere, verificando il
raggiungimento degli obiettivi organizzativi (Novara e Sarchielli, 1996).
La leadership all’interno delle organizzazioni, essendo connessa a tutti e tre gli elementi,
può essere definita genericamente come l’abilità di costruire un gruppo e di guidarlo al
raggiungimento degli obiettivi, influenzano il comportamento di membri in modo che
questi sacrifichino i propri interessi personali in favore di quelli comuni. Più
precisamente, la leadership è un processo di influenza sociale
(Aronson, Wilson e Akert,
2005), in quanto i pensieri, i sentimenti e i comportamenti dei membri del gruppo sono, in
un modo o nell’altro, influenzati dalla presenza del leader.
L’importanza della leadership risiede nel fatto che, più di ogni altro fattore, determina il
successo o il fallimento di qualsiasi organizzazione
(Fiedler e Chemers, 1984); essa è
infatti strettamente collegata alla riuscita di un processo di cambiamento organizzativo
(Kotter, 1996)
1
e alla performance di un gruppo (Lieberson e O’Connor, 1972)
2
.
1.2 Leadership vs. management
Per comprendere meglio la materia trattata, occorre fare una precisazione importante:
nonostante vengano spesso utilizzati come sinonimi, leadership e management sono due
concetti totalmente differenti e non solo sul piano semantico (Kotter, 1996).
Il management
3
può essere infatti definito come un insieme di processi che permette di
far funzionare efficacemente un complicato sistema di persone e tecnologie. Comprende
la pianificazione e il budgeting, l’organizzazione del personale, il controllo e il problem
solving. La sua finalità è quella di gestire la complessità garantendo ordine e coerenza
nelle dimensioni fondamentali dell’azienda come la qualità e la redditività dei prodotti in
modo da non cadere nel caos
(Kotter, 1996). Anche la leadership
4
è un insieme di
processi, ma in questo caso volti a creare organizzazioni di primo livello o a riuscire ad
adattarle in modo significativo alle circostanze. I suoi obiettivi sono quindi l’innovazione
e il cambiamento (Kotter, 1996).
1
Concetto approfondito nella sezione 2.5 del Capitolo 2.
2
A tal proposito, alcune ricerche hanno dimostrato che le squadre universitarie di pallacanestro e di
baseball vincevano più partite se i giocatori ritenevano che il loro allenatore fosse un leader.
3
Dall’inglese to manage (gestire).
4
Dall’inglese to lead (guidare).
9
Di conseguenza, manager e leader terranno dei comportamenti differenti. I primi infatti,
per riuscire a ottenere risultati positivi, si occuperanno di pianificare le attività, di
organizzare le persone in ruoli, sistemi e strutture in modo da implementare i piani
definiti e di controllare e risolvere i problemi in caso di scostamenti. I secondi invece,
dovranno sostenere il cambiamento e quindi, si occuperanno di raccogliere un insieme di
dati che permettano di delineare le possibili opportunità e minacce del mercato, in modo
definire una visione che risponda agli interessi del gruppo e indichi la direzione
strategica da seguire. I leader dovranno poi allineare le persone comunicando la visione
definita non solo ai dipendenti, ma a tutti coloro che entrano in contatto con l’azienda per
promuoverne l’accettazione. Infine dovranno prestare un’elevata attenzione alla
motivazione dei dipendenti coinvolgendoli e responsabilizzandoli, così da infondere
l’energia necessaria per il raggiungimento degli obiettivi
(Kotter, 1999).
La Tabella 1.1 delinea una sintesi dei differenti comportamenti di leader e manager.
Tabella 1.1: Differenze tra leadership e management
Leader Manager
Innovano/cambiano
Sviluppano
Inspirano
Hanno una visione a lungo termine
Chiedono cosa e chi
Generano
Sfidano lo status quo
Fanno le cose giuste
Gestiscono
Mantengono
Controllano
Hanno una visione a breve termine
Chiedono come e quando
Specificano
Accettano lo status quo
Fanno le cose in modo giusto
R. KREITNER, A. KINICKI, Organizational Behavior, New York City 2010
9
, p. 549.
1.3 I cinque diversi approcci allo studio della leadership
Come già citato nella sezione 1.1, la leadership è stata oggetto di moltissime ricerche nel
corso della storia e in più di 150 anni sono state sviluppate decine di teorie per darne una
definizione e capire se esista un modo migliore nell’esercitarla. Citarle tutte, oltre a essere
molto difficile, richiederebbe una trattazione specifica, per cui questa sezione si occuperà
di evidenziare quali siano gli approcci utilizzati descrivendo per ognuno di essi le
principali teorie che lo caratterizzano nei punti che seguono. Gli approcci infatti hanno
seguito un andamento pressoché sequenziale (salvo alcune sovrapposizioni) e dal più
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vecchio al più recente possono essere definiti in: personalistici, comportamentali,
situazionali, transazionali e trasformazionali.
1) Gli approcci personalistici
Gli studi che seguono un approccio personalistico possono essere tutti sintetizzati
nella teoria di tratti o della grande persona, che si basava sull’assunto che “leader si
nasce e non si diventa”. L’obiettivo era quello di individuare empiricamente una serie di
caratteristiche innate della personalità che facessero di un individuo un buon leader
5
. I
primi risultati identificarono una persona di sesso maschile e aspetto gradevole, attiva,
rapida e abile nei rapporti sociali
(Terman, 1904). Studi successivi
(Stogdill, 1948; Mann,
1959) ampliarono la gamma dei tratti e riconobbero come fattore distintivo tra leader e
follower l’intelligenza, supportata dal predominio, dalla fiducia in sé stessi, dall’energia e
dalla conoscenza delle attività.
Le ricerche tuttavia non hanno dimostrato la presenza di legami forti infatti, solamente
poche caratteristiche della personalità sono state riscontrate in tutti i leader, che tendono a
essere leggermente più intelligenti della media, più carismatici, desiderosi di potere e
maggiormente in grado di adattarsi alle situazioni
(Aronsow, Wilson e Akert, 2005).
Ulteriori critiche riguardavano il fatto che queste teorie consideravano il desiderio di
potere un fattore sempre positivo e non riuscivano a identificare le caratteristiche della
personalità universali che potessero essere associate all’efficacia del comportamento di un
leader in determinate situazioni (Malaguti, 2001).
Il limite fondamentale inoltre era l’unilateralità della concezione di leadership che
caratterizzava la teoria dei tratti. La psicologia sociale insegna infatti che i processi
d’influenza sociale sono reciproci, nel senso che il leader influenza i comportamenti dei
membri del suo gruppo, ma contemporaneamente anch’egli è influenzato dalle stesse
persone che guida (Aronson, Wilson e Akert, 2005)
6
. Di conseguenza la leadership non è
una persona, ma un processo che richiede l’iterazione tra il leader, i suoi seguaci e la
situazione in cui questi operano.
5
Sono stati realizzati degli studi analoghi anche per quanto riguarda la figura dell’imprenditore con la teoria
dei tratti imprenditoriali.
6
Da qui la definizione di Brown (1989, p. 86): «il leader è il soggetto che in un gruppo influenza gli altri
membri più di quanto sia egli stesso influenzato».
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Gli evidenti limiti hanno determinato progressivamente un abbandono della teoria della
grande persona lasciando lo spazio ad altri due modelli: la teoria degli stili
comportamentali e l’approccio situazionale
7
.
2) Gli approcci comportamentali
L’approccio comportamentale nasce per superare i limiti evidenziati dalla teoria dei tratti
e cerca di valutare l’efficacia delle qualità stabili di un leader nell’affrontare diverse
situazioni (Malaguti, 2001).
La prima ricerca in materia fu lo studio dei comportamenti, che nacque da una
serie di esperimenti condotti da Lewin, Lippitt e White (1939) che miravano a identificare
le conseguenze delle azioni poste in essere da un leader nei confronti della produttività e
del clima sociale del gruppo da lui diretto.
Dallo studio emersero tre diversi stili di leadership di seguito elencati.
Autoritario: il leader ha il comando assoluto del gruppo infatti la comunicazione è
centralizzata e il capo è l’unico a prendere le decisioni che vengono comunicate ai
subalterni senza dare spiegazioni; generalmente è una persona fredda e distaccata e
non presta la minima attenzione alla sfera emotiva. Questo approccio permette di
rispondere rapidamente alle situazioni di pericolo e mantenere un buon livello di
produttività, in quanto il rispetto delle decisioni è ottenuto grazie a meccanismi di
coercizione. Il limite è rappresentato dal fatto che il basso coinvolgimento e la scarsa
fiducia dimostrata nei confronti dei membri del gruppo porta inevitabilmente a
conflitti e tensioni interne.
Democratico: il leader coinvolge tutti i membri del gruppo nelle decisioni, ma rimane
il responsabile ultimo delle scelte; è aperto al dialogo e cerca di instaurare un clima di
fiducia e di collaborazione prestando grande interesse alla sfera emotiva. Il
coinvolgimento nel processo decisionale, il sostegno e la fiducia nei confronti degli
altri membri permettono di ridurre i conflitti e aumentare la motivazione mantenendo
un clima sereno. Nonostante il livello di produttività sia discreto, questo stile rischia
di essere eccessivamente orientato al mantenimento di buone relazioni tra leader e
singolo membro a discapito degli interessi collettivi dell’intero gruppo.
7
In realtà sono seguiti altri studi basati su quest’approccio. Ad esempio, McClelland (1975), elaborando la
teoria dei bisogni, asserì che un leader è caratterizzato da un elevato desiderio di potere e di successo.
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Permissivo: riguarda il caso in cui la partecipazione del leader alla vita del gruppo sia
ridotta al minimo indispensabile; ogni membro ha un’autonomia elevatissima,
conosce il suo compito, sa come eseguirlo e il capo interviene solamente su richiesta.
Anche se l’elevata autonomia può favorire la motivazione, generalmente questo stile è
caratterizzato da una bassa produttività e da un clima caotico e confusionario.
Nonostante i limiti evidenziati in ogni tipologia, le ricerche dei tre studiosi evidenziarono
che, nella maggior parte dei casi, lo stile di leadership che permetteva di coniugare
un’elevata produttività del gruppo con un buon clima sociale era quello democratico.
La seconda ricerca in merito al comportamento del leader è stata effettuata
dall’Università dell’Ohio
(Stogdill, Fleishman e Hemphill, 1974) che ha cercato di
redigere una lista dei possibili comportamenti tenuti dai leader. Gli studiosi arrivarono
alla conclusione che le variabili che vanno a definire uno stile comportamentale sono
fondamentalmente due: la considerazione e la specificazione del metodo di lavoro.
Considerazione: si riferisce ai comportamenti tenuti dai leader per aiutare i propri
sottoposti, creare un clima di fiducia, rispetto e amicizia all’interno del gruppo e
favorire una comunicazione bidirezionale. Si sostanzia con una grande attenzione ai
problemi dei singoli membri e con la partecipazione di tutti al processo decisionale.
Specificazione del metodo di lavoro: si riferisce al grado di attenzione mantenuto dal
leader nel chiarire ai propri sottoposti le modalità per raggiungere risultati eccellenti.
Le azioni che caratterizzano quest’aspetto sono la pianificazione, l’organizzazione del
lavoro e la definizione di ruoli, responsabilità, regole e procedure.
È opportuno specificare che le dimensioni non sono opposte, ma indipendenti, quindi un
leader potrebbe prestare grande considerazione alla dimensione sociale senza trascurare
l’attenzione alla strutturazione dei compiti. Al contrario un leader potrebbe non prestare
attenzione a nessuno dei due aspetti o solamente a uno. Di conseguenza, come mostra la
Figura 1.1 a pagina seguente, gli stili di leadership individuati dagli studiosi sono quattro
e dipendono dalle combinazioni tra considerazione e specificazione del metodo di lavoro.
Secondo gli autori inoltre non esiste uno stile ottimo, ma ognuno di essi è adatto a
differenti situazioni.
Tuttavia studi successivi
(Fleishman, 1989) hanno dimostrato come, nella maggior parte
dei casi, un leader che riesce a combinare un’elevata specificazione del compito con
un’altrettanto alta considerazione dei desideri dei suoi sottoposti, ottiene risultati migliori
in termini di performance.
13
Adattamento da R. KREITNER, A. KINICKI, Organizational Behavior, New York City 2010
9
, p. 554.
Questo modello, analogamente agli altri, è stato sottoposto a svariate critiche. In
particolare, sono state messe in discussione sia le misure scelte per identificare i diversi
stili, sia il fatto che fossero tra loro indipendenti, ma nonostante tutto rimane una pietra
miliare degli studi del comportamento del leader. I quattro stili sono stati infatti
largamente utilizzati da altri autori come base per le ricerche successive (Malaguti, 2001).
Un altro studio focalizzato sul comportamento del leader, contemporaneo alla
ricerca dell’Università dell’Ohio, è stato realizzato dall’università del Michigan (Katz e
Kahn, 1953; Hemphill, 1950). La ricerca valutò i leader secondo due variabili:
orientamento alla produzione: il capo è essenzialmente interessato ai risultati ed
esercita forti pressioni per ottenerli;
orientamento alla relazione: il capo è interessato a mantenere un clima di fiducia
reciproca e quindi presta molta attenzione ai sentimenti degli altri membri.
Le misure non erano molto diverse dalla considerazione e dalla specificazione scelte dagli
studiosi dell’Ohio tuttavia, la differenza sostanziale riguardava il fatto che questa ricerca,
invece di focalizzarsi sul comportamento che il leader teneva nel posto di lavoro,
concentrava la sua attenzione solamente su quei comportamenti che avevano influenzato
in maniera determinante la performance del gruppo.
Figura 1.1: I quattro stili di leadership dell’Università dell’Ohio
Bassa specificazione, alta
considerazione
È posta meno enfasi nella
specificazione dei compiti mentre il
leader si concentra sulla
soddisfazione dei bisogni e dei
desideri dei collaboratori
Alta specificazione, alta
considerazione
Il leader fornisce molte indicazioni
su come i compiti possono essere
completati, mentre tiene in alta
considerazione i bisogni e desideri
dei collaboratori
Alta specificazione, bassa
considerazione
L’enfasi maggiore è posta sulla
specificazione dei compiti mentre il
leader dimostra poca
considerazione per i bisogni e i
desideri dei collaboratori
Bassa specificazione, bassa
considerazione
Il leader fallisce nel fornire la
necessaria specificazione e
dimostra poca considerazione per i
bisogni e i desideri dei
collaboratori
Bassa Alta
Alta Bassa
Considerazione
Specificazione del metodo di lavoro