1. Introduzione: Donne, diritto di asilo e violenze di genere
La storia umana è segnata dagli orrori della guerra, dell'oppressione e dell'arbitrio del potere. Però,
nello stesso modo consiste anche nelle lunghe lotte contro queste ingiustizie e di grandi vittorie che
si esprimono tramite la pace, la democrazia ed il riconoscimento e la tutela dei diritti. Il secolo
scorso viene spesso identificato come il più sanguinoso della storia, sia per il numero di vittime, sia
per i metodi di guerra che sono stati usati. Parallelamente alla perversa raffinatezza della crudeltà
dell’uomo, sono però anche aumentate le codificazioni del diritto internazionale, sia in guerra che in
pace, per tutelare i diritti umani. Dal momento in cui congiuntamente si giunge alla
postitivizzazione ed alla universalizzazione dei diritti umani, come Bobbio definisce la
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo nel 1948, la produzione di strumenti per tali diritti,
sia internazionali che regionali, è stata pressoché infinita.
Una disciplina che però ha subito una negligenza ancora più lunga e grave dei diritti umani in
generale, è quella dei diritti delle donne. Anche se, di regola, i diritti vengono riconosciuti più nello
specifico e sono meglio tutelati nei luoghi dove la democrazia garantisce la libertà, dove l'economia
assicura il benessere e dove l'educazione crea consapevolezza e coscienza fra la popolazione, il
ruolo della donna in tutte le società, sia ricche che povere, è indebolita da secoli di potestà maschile
e non c'è nessun luogo del pianeta che può considerarsi perfettamente egualitario fra i due sessi1. La
rivendicazione e l'implementazione dei diritti delle donne sono però ancor più catastroficamente
lente nelle società di tradizione maschilista, nei paesi poveri, non-democratici o lì dove la
popolazione subisce le conseguenze di un conflitto armato in atto o situazioni di post-conflitto.
Il nostro oggetto di studio, pertanto, sarà rappresentato dalla condizione delle donne soggette alla
gender-based persecution in guerra e costrette a fuggire verso l'Europa. Durante i conflitti,
tantissime donne subiscono violenze specifiche di genere, o violenze sessuali come vengono anche
definite, come lo stupro, la gravidanza forzata, le mutilazioni di organi genitali ecc. Dal 1993, con
la creazione del Tribunale per l'ex Yugoslavia, questi crimini sono soggetti alla disciplina del diritto
internazionale penale.
Ciò che vedremo nelle prossime pagine è come l'Unione Europea ha scelto di accogliere queste
vittime di crimini sessuali in guerra. L'Unione sta attraversando una fase di ricostruzione e di
approfondimento della cooperazione fra gli Stati membri in materia di diritto di asilo, pertanto
analizzeremo come le nuove politiche comunitarie affliggono le donne vittime di gender-based
violence che scappano dalla guerra verso la più pacifica Europa facendo richiesta dello status di
1
Il Rapporto del 2000 sullo Sviluppo Umano del UNDP (UNDP, Human Development Report 2000, red. R. Jolly, S.
Fukuda-Parr, Oxford University Press, New York – Oxford, 2000) indica che neanche il Canada e la Norvegia, i
primi paesi del mondo per l'indice di sviluppo umano (HDI), per l'indice di sviluppo di genere (GDI) ed anche per la
misura dell'empowerment di genere (GEM), sono perfettamente egualitari. Arrivano solo ad un valore di GDI pari a
0.932 punti sul massimo punteggio di 1.0 ed a un valore di 0.739 rispettivamente 0.825 punti su 1.0 per la GEM.
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rifugiato e del diritto di asilo. Come vengono definite e disciplinate le violenze di genere? Quali
sono gli strumenti internazionali ed europei che tutelano i diritti delle donne vittime di gender-
based violence in generale ed in caso di conflitto armato? Si può interpretare la persecuzione di
genere nel quadro della Convenzione del 1951? Come si sta sviluppando la disciplina di diritto di
asilo nell'Unione Europea? Infine, che effetto avrà quest'ultima sulle vittime oggetto del nostro
studio? Queste sono le principali domande a cui cercheremo di fornire una risposta.
Per questo motivo, ci interessano soprattutto due ambiti specifici dei diritti umani: quello dei diritti
dei rifugiati, con lo sguardo puntato sulla Convenzione di Ginevra del 1951, e quello dei diritti delle
donne con riferimento alle tante convenzioni e dichiarazioni volte alla loro tutela. Inoltre, le
discipline in materia sia di violenze di genere nel diritto internazionale penale, sia di diritto di asilo
nell'Unione Europea, rappresentano le norme di diritto positivo parte dello studio in questione.
1.1. Rifugiati e richiedenti asilo nel mondo e nell'Unione Europea
Quando si parla di rifugiati nel linguaggio corrente, ci si riferisce a persone che fuggono da un
paese ad un altro per paura di perdere la vita messa a rischio da persecuzioni, di solito durante
guerre o conflitti. L'UNHCR (l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) riporta che
alla fine del 2003, c'erano 13.7 milioni di rifugiati in tutto il mondo, fra cui più della metà
beneficiavano della protezione del medesimo2 e circa 75 % sono donne e bambini. A queste cifre
vanno aggiunte le persone che fuggono da una regione all'interno di un paese ad un altro, le così
dette IDPs (internally displaced persons). Nel 2003, nei 15 Stati membri dell'Unione Europea si
erano recati circa 1.8 milioni di rifugiati. Fra gli oltre 800.000 richiedenti asilo nel 2003 i paesi
dell'Unione ne ospitavano quasi la metà3. Nel 2004, la Francia era il paese in cui il più grande
numero di persone hanno fatto domanda di asilo e nel periodo 2000-2004 Cipro ed Austria erano i
paesi che in proporzione alle loro popolazioni hanno ricevuto il più alto numero di richieste.
L'articolo 1(A) della Convenzione sullo Status di Rifugiato, firmata a Ginevra nel 1951, fornisce la
vera e propria definizione del termine di rifugiato, applicabile:
“[...] 2) a chiunque, [...] nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua
cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori
dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di
detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali
avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole tornarvi.”
2 2003 Global Refugee Trends: Overview of Refugee populations, new arrivals, durable solutions, asylum seekers and
other persons of concern to UNHCR, Ginevra, giugno 2004.
3
Idem.
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Nel mondo industrializzato, la differenza fra la definizione di “rifugiati“ e di “richiedenti asilo”
risale agli anni '80 e '90 quando gli organi per l'immigrazione in tanti Stati riceventi hanno iniziato a
sospettare che una grande porzione delle persone che facevano domanda di asilo erano in realtà dei
“rifugiati per motivi economici” che non potevano considerarsi vittime di nessuna delle cinque
forme di persecuzioni considerate dalla Convenzione di Ginevra. Hanno perciò iniziato a qualificare
come “rifugiati” solo coloro che avevano avuto la loro richiesta asilo accettata in base alla
Convenzione, e chiamavano invece semplicemente “richiedenti asilo” tutte le persone che avevano
fatto domanda ma che non avevano ancora avuto la risposta finale4. Questa definizione capovolge i
profili delle statistiche dell'UNHCR riportate qui sopra ed applica invece la definizione di rifugiato
rigorosamente secondo la Convenzione di Ginevra e cioè solo ed esclusivamente a coloro che hanno
potuto provare in sede ufficiale di essere vittime di persecuzioni e di non aver ottenuto protezione
da parte dello Stato di origine. Perciò, per chiarire come verranno usati i termini in questa tesi, in
materia legale il termine “rifugiato” si rifà alla Convenzione di Ginevra. Quando vengono invece
esaminate le statistiche delle organizzazioni come l'UNHCR, il rifugiato è qualsiasi persona
scappata dalla regione di origine verso un altro paese.
Per quanto riguarda le informazioni specifiche sulle donne rifugiate o richiedenti asilo, queste sono
molto limitate a causa dell'incapacità dei paesi industrializzati accoglienti nel fornire dati precisi sul
sesso dei richiedenti. Solo il 44% dei paesi europei (anche extra-UE) forniscono delle informazioni
sul sesso del richiedente asilo e solo 19% forniscono delle statistiche di genere per quanto riguarda
le decisioni. Paradossalmente, l'informazione sul sesso è più facilmente accessibile nei paesi in via
di sviluppo dove l'UNHCR di solito è direttamente coinvolto nella registrazione e nel raccoglimento
dati. Nei paesi industrializzati, invece, questo viene fatto direttamente dagli appositi organi di
governo che tante volte purtroppo non seguono i consigli dell'UNHCR per una raccolta completa
dei dati. Infatti, meno di un terzo di questi paesi dispongono di dati sul sesso dei richiedenti asilo5.
Di conseguenza, è difficile sapere con esattezza quante sono le donne nell'Unione Europea che
hanno fatto domanda di asilo. Secondo l'UNHCR, complessivamente nel mondo industrializzato,
solo il 26% dei richiedenti asilo che hanno fatto domanda autonoma sono donne, anche se si tratta
di un dato poco esatto a causa della già menzionata mancanza di statistiche differenziate per genere.
Inoltre, questa cifra non deve ingannare, facendo pensare che le donne che cercano protezione sono
effettivamente così poche, poiché tantissime di esse fanno domanda in quanto familiari dei
richiedenti, cioè come dipendenti dai mariti o dai compagni.
4 P. Stalker, The No-nonsense Guide to International Migration, New International Publications Ltd and Verso,
Oxford-London, 2001, p. 11-12.
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ICAR Navigation guide to Women refugees and asylum seekers in the UK.
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1.2 La situazione delle donne rifugiate e richiedenti asilo
Le donne che si trovano nella situazione estremamente vulnerabile di dover fuggire dal proprio
luogo di domicilio hanno bisogni particolari. Tante volte la fuga ha luogo in occasione di caos totale
e di assenza di protezione della popolazione civile, sono situazioni in cui vale la legge del più forte.
Sono di solito le donne che si occupano dei vecchi, dei bambini ed in generale dei più deboli, quindi
la scelta di scappare diventa ancora più difficile dato l'altissimo rischio che la fuga comporta. Se
invece scelgono di portare i figli con loro, questo comporta ulteriori conseguenze. La scelta di
scapparsene risulta più difficile per le donne che si trovano a dover partire da sole, per varie ragioni.
Per esempio, nella maggior parte del mondo, le donne guadagnano di meno degli uomini, se titolari
di un lavoro, dipendendo dal reddito del marito, del padre o dei fratelli, non disponendo di danaro
necessario per fuggire. Un altro ostacolo per le donne in fuga sono le restrizioni alla libertà di
movimento imposte dalla propria cultura, secondo cui viaggiare senza la compagnia di un parente
maschio può essere molto rischioso. Inoltre, il rischio che affrontano tutte le donne rifugiate durante
la loro fuga è quello delle violenze sessuali come lo stupro e le molestie.
Una volta arrivata nello Stato di destinazione, gli ostacoli sono forse diversi ma non inferiori.
Donne che vengono da società con forte segregazione fra i sessi si trovano spesso senza la rete di
amiche e parenti donne, essendo spesso confinate nella realtà domestica. Se la donna si trova in un
centro di accoglienza, può succedere che non le viene garantito di dormire in una stanza senza
uomini estrani, e tanto meno di soggiornare in vani comuni solo per donne. Questo può essere di
grande importanza per donne di certe culture, specialmente se sono incinte, ed ovviamente anche
per le vittime di crimini sessuali che possono ancora soffrire dei traumi della violenza subita e che
perciò si sentono minacciate dalla presenza di uomini estranei.6
In generale, le donne vengono spesso percepite dalla propria comunità come le guardie e custodi
delle tradizioni e della cultura. Questo può creare ulteriori problemi per le donne che devono
affrontare, contemporaneamente, la difficile procedura della domanda di asilo, l'adeguarsi ad un
nuovo paese in cui si devono occupare di ciò che hanno sempre fatto, come curare la casa ed i
bambini figli, dovendo pure non tradire la cultura propria dando un senso di stabilità alla comunità
od alla famiglia. Tutto ciò comporta che sia ancora più difficile cercare aiuto per confrontare le
memorie delle esperienze passate o delle violenze sessuali subite, ciò che in certe culture viene visto
come una vergogna per la vittima, ragione per cui evitare il coinvolgimento dei familiari diventa
importante. Infatti, il Consiglio d'Europa constata che:
“The temptation to withdraw into the memory of the standards of the society of origin is all the stronger where
the host society does not regard the immigrant as a future citizen. In this context women have the task of
6 H. Dumper, Women refugees and asylum seekers in the UK, ICAR, novembre 2003/giugno 2004, pp. 22-29.
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