13
INTRODUZIONE
Di fronte alle crisi suscettibili di pregiudicare la pace e la sicurezza internazionale,
le forze di peace-keeping hanno rappresentato uno dei piø importanti strumenti a dispo-
sizione dell’Organizzazione. A dimostrarlo sono innanzitutto le cifre: dal 1948 sono
state condotte 59 operazioni (di cui 16 ancora in corso) in 40 paesi, con l’impiego di
quasi 800.000 persone tra militari, forze di polizia e civili. La fine della guerra fredda ha
comportato un diverso peso specifico delle Nazioni Unite nel sistema internazionale, ma
anche un consistente aumento degli oneri a suo carico: infatti, se è vero che le opera-
zioni organizzate fino al 1987 sono state soltanto 13 (a dispetto delle 46 che hanno ca-
ratterizzato il periodo successivo), non va dimenticato che questo straordinario attivi-
smo ha fatto lievitare notevolmente le spese dell’Organizzazione.
Il crescente coinvolgimento delle Nazioni Unite nella gestione di missioni che
vietano l’uso della forza per scopi diversi dalla legittima difesa ha evidenziato altri pro-
blemi. Inizialmente, quel limite è stato interpretato in modo restrittivo, poi la diversifi-
cazione qualitativa delle operazioni ne ha decisamente esteso la portata, aumentando il
rischio del verificarsi di comportamenti lesivi della dignità umana dei civili presenti sul
territorio di stabilimento della missione. Nella misura in cui violino obblighi internazio-
nali derivanti dal diritto generale o convenzionale, queste condotte possono essere fonte
di responsabilità dell’Organizzazione, degli Stati che hanno messo a disposizione i con-
tingenti dispiegati (gli Stati fornitori) e del personale delle operazioni.
Data la complessità della materia, questa tesi non può che limitarsi ad analizzare il
solo profilo della responsabilità dei membri della componente militare, piø comunemen-
te noti come “caschi blu”. Certo, non mancherà qualche riferimento alle altre categorie
di personale impiegato nelle operazioni, ma il riferimento costante del discorso resterà
quello assegnato alla componente militare. Le ragioni di questa scelta sono sostanzial-
14
mente riconducibili alla straordinaria attualità della questione dell’immunità dei membri
rispetto alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale. A ciò si aggiunga una peri-
colosa tendenza manifestata da non pochi Stati a sacrificare il multilateralismo sull’al-
tare degli interessi nazionali. Una seconda motivazione decisiva è legata ai recenti passi
compiuti dagli ordinamenti di alcuni paesi a favore della creazione dei presupposti per
una giurisdizione penale universale, un tema che peraltro non riguarda soltanto il perse-
guimento dei crimini compiuti dai caschi blu.
Il primo capitolo è stato concepito allo scopo di contestualizzare le operazioni ri-
spetto all’attività delle Nazioni Unite: dal punto di vista storico-politico, la strada del-
l’elaborazione di una definizione dettagliata e condivisa si è rivelata impraticabile, a
causa di una prassi tutt’altro che uniforme; sotto l’aspetto operativo, verrà fornito un
prospetto generale relativo alla costituzione, gestione e cessazione delle operazioni, gra-
zie al supporto della Carta di San Francisco e alla copiosa esperienza maturata fino ad
oggi.
Del complesso rapporto tra la componente nazionale e quella internazionale del
peace-keeping parla invece il secondo capitolo, introducendo le nozioni di “organo sus-
sidiario” a proposito delle forze e “agente dell’Organizzazione” riferendosi ai membri
delle operazioni. La coesistenza di queste due “anime” costituisce la chiave di lettura
dell’intero capitolo: dal sistema delle immunità e dei privilegi alla protezione diploma-
tica e funzionale, per finire con l’obbligo di rispettare e far rispettare le norme di diritto
internazionale umanitario in caso di ricorso alla forza.
Nel terzo capitolo, partendo dai principi generali della responsabilità penale indi-
viduale e dall’analisi delle fattispecie dell’illecito internazionale, si cercherà di indivi-
duare chi debba far applicare il diritto (quello dei conflitti armati) punendo chi non lo ri-
spetta. A ben guardare, si tratta di conciliare l’irrinunciabile esigenza del mantenimento
della pace e della sicurezza internazionale e la necessità di non raggiungere questo
obiettivo a scapito della vita e della dignità umana.
15
CAPITOLO PRIMO
LE OPERAZIONI
SOMMARIO: 1. La definizione di “operazione di mantenimento della pace.” – 2.
I requisiti fondamentali: il consenso dello Stato ospite e delle parti in lotta. – 3. (segue)
Il divieto di ricorso all’uso della forza salvo in caso di legittima difesa. – 4. (segue) La
neutralità rispetto alle parti in lotta. – 5. La struttura delle competenze degli organi delle
Nazioni Unite: A) Il Consiglio di Sicurezza; B) Il Segretario Generale; C) L’Assemblea
Generale.
1. La definizione di “operazione di mantenimento della pace”
Le operazioni di peace-keeping delle Nazioni Unite sono uno dei prodotti del-
l’evoluzione del sistema internazionale dopo la fine della seconda guerra mondiale e
dell’impossibilità per l’Organizzazione di far funzionare in quel periodo il sistema di si-
curezza collettiva previsto dal capo VII della Carta (
1
). Nel corso della guerra fredda,
l’autorità investita della responsabilità primaria del mantenimento della pace, il Consi-
glio di Sicurezza, è divenuto ostaggio della contrapposizione tra i blocchi, rendendo dif-
ficile qualsiasi tipo di collaborazione tra i cinque membri permanenti (in particolare, gli
Stati Uniti e l’Unione Sovietica). In questo contesto, la risposta migliore alle situazioni
(
1
) Picone, p. 13: “[…] Il peace-keeping tradizionale, con i suoi limiti di funzionamento e le caratteristi-
che del modello originario, costituisce quindi la risposta limitata e parziale che l’Organizzazione era in
grado di fornire per contribuire almeno in parte alla soluzione dei conflitti armati, in alternativa all’im-
possibile funzionamento del capo VII della Carta […]”. Si veda, in proposito, anche Abi-Saab, p. 2.
16
di tensione e ai conflitti legati al processo di decolonizzazione e alla nascita di nuovi
Stati è sembrata l’istituzione di operazioni di peace-keeping.
Dopo la caduta del muro di Berlino, si registra un forte rilancio dell’attività delle
Nazioni Unite grazie ad un incremento costante e una maggiore complessità e diversifi-
cazione delle missioni, tanto da rendere ardua la ricerca di una definizione universal-
mente accettata. Il fatto che l’Organizzazione non sia mai riuscita nell’intento non age-
vola il compito. Istituito dall’Assemblea Generale con l’incarico di occuparsi dei diver-
si aspetti del peace-keeeping (
2
), il Comitato Speciale per le operazioni di mantenimen-
to della Pace non è mai riuscito ad andare oltre l’elaborazione di una serie di linee-guida
generali per la creazione delle operazioni (
3
), peraltro non recepite dall’Assemblea. Nel
corso degli anni, il Comitato ha approfondito varie questioni senza arrivare ad una defi-
nizione formale e presentato rapporti annuali che l’Assemblea si è limitata ad approva-
re. Pur essendosi occupato molto di operazioni di peace-keeping, nemmeno il Segreta-
rio Generale ha utilizzato un concetto univoco, preferendo introdurre schemi classifica-
tori ai quali l’Organizzazione non si è comunque adeguata (
4
). Per parte propria, il Con-
siglio di Sicurezza ha accolto con favore il tentativo di sistematizzazione fatto dal Se-
gretario, ma ha continuato a istituire missioni senza definirne l’appartenenza all’una o
all’altra categoria. Pur in mancanza di una definizione, le Nazioni Unite hanno stabilito
che
(
2
) Comprehensive review of the whole question of peace-keeping operations in all their aspects, GAOR,
19
th
Sess., 1330
th
Plen. Meet., UN Doc. A/RES/2006 (XIX), 18 February 1965, par. 3: ”The General As-
sembly […] instructs the Special Committee […] to undertake as soon as possible a comprehensive re-
view on the whole question of peace-keeping operations in all their aspects […]”.
(
3
) Draft Formulae for Articles of Agreed Guidelines for United Nations Peace-keeping Operations,
GAOR, 32
nd
Sess., Agenda Item 56, UN Doc. A/32/394, Annex 2, Appendix 1, 2 December 1977 (d’ora
in poi, Draft Formulae).
(
4
) An Agenda for Peace: Preventive Diplomacy, Peace-making and Peace-keeping. Report of the Secre-
tary-General Pursuant to the Statement Adopted by Summit Meeting of the Security Council on 31 Ja-
nuary 1992, GAOR, 47
th
Sess., Agenda Item 10, SCOR, 47
th
Year, UN Doc. A/47/277-S/24111, 17 June
1992, parr. 20-59 (d’ora in poi, An Agenda for Peace); Supplement to an Agenda for Peace: Position Pa-
per of the Secretary-General on the Occasion of the 50
th
Anniversary of the United Nations. Report of the
Secretary-General on the Work of the Organization, GAOR, 50
th
Sess., Agenda Item 10, SCOR, 50
th
Year, UN Doc. A/50/60-S/1995/1, 3 January 1995, parr. 23-80 (d’ora in poi, Supplement to an Agenda for
Peace).
17
“[…] a peace-keeping operation has come to be defined as an operation involving military personnel, but
without enforcement powers, undertaken by the United Nations to help maintain or restore international
peace and security in aereas of conflict. These operations are voluntary and are based on consent and coo-
peration. While they involve the use of military personnel, they achieve their objectives not by force of
arms […]. Peace-keeping operations have been mostly employed to supervise and help maintain cease-
fires, to assist in troop withdrawals and to provide a buffer between opposing forces. […] Peace-keeping
operations are never purely military. They have always included civilian personnel to carry out essential
political or administrative functions […]” (
5
).
A differenza di altre definizioni (
6
), questa è sufficientemente ampia da comprendere le
operazioni piø recenti, che non consistono piø soltanto nell’interposizione tra le parti in
conflitto (
7
), ma anche nell’intervento umanitario (
8
) e nel controllo relativo alla costru-
zione dei requisiti minimi per l’implementazione di accordi di riconciliazione nazionale
(
9
). La definizione sopra riportata ha il suo maggior punto di forza nel fatto di contenere
(
5
) United Nations, The Blue Helmets, pp. 4-5. Si veda anche Report of the Panel on United Nations Pea-
ce-keeping Operations, GAOR, 55
th
Sess., Agenda Item 87 of the Provisional Agenda, SCOR, 55
th
Year,
UN Doc. A/55/305-S/2000/809, 21 August 2000, par. 12: “Peacekeeping is a 50-years-old enterprise that
has evolved rapidly in the past decade from a traditional, primarily military model of observing ceasefires
and force separations after inter-State wars, to incorporate a complex model of many elements, military
and civilian, working together to build peace in the dangerous aftermath of civil wars” (d’ora in poi, Pa-
nel Report).
(
6
) Si veda, per esempio, An Agenda for Peace, nota 4, par. 20: “[…] Peace-keeping is the deployment of
a United Nations presence in the field, hitherto with the consent of all parties concerned, normally invol-
ving United Nations military and/or police personnel and frequently civilians as well. Peace-keeping is a
technique that expands the possibilities for both the prevention and the making of the peace […]”; Arend
e Beck, pp. 65-66; Goulding, p. 452.
(
7
) General Assembly Resolution on the Establishment of an United Nations Command for an Emergency
International Force, GAOR, 1
st
Emer. Spec. Sess., 574
th
Plen. Meet., UN Doc. A/RES/1000 (ES-I), 5 No-
vember 1956, par. 1.
(
8
) Security Council Resolution 776 (1992) on Enlargement of the Mandate of the UN Protection Force
(UNPROFOR) and Strength in Bosnia and Herzegovina, SCOR, 47
th
Year, 3114
th
Meet., UN Doc. S/
RES/776, 14 September 1992, par. 1.
(
9
) Security Council Resolution 745 (1992) on Establishment of the UN Transitional Authority on Cam-
bodia (UNTAC), SCOR, 47
th
Year, 3057
th
Meet., UN Doc. S/RES/745, 28 February 1992: “[…] desiring
to contribute to the restoration and maintenance of peace in Cambodia, to the promotion of national re-
conciliation, to the protection of human rights and to assurance of the right to self-determination of the
Cambodian people through free and fair elections […]”.
18
le tre caratteristiche fondamentali delle operazioni di mantenimento della pace: il con-
senso, la legittima difesa e la neutralità.
2. I requisiti fondamentali: il consenso dello Stato ospite e delle parti in lotta
Il consenso preventivo dell’autorità che controlla effettivamente il territorio in cui
la forza è chiamata a svolgere il proprio mandato è un presupposto operativo indispen-
sabile, sia per la realizzazione degli obiettivi dell’operazione (
10
), sia per la sicurezza del
personale coinvolto (
11
). Esso può essere prestato dallo Stato, dalle parti in lotta o da en-
trambi (qualora si tratti di un conflitto che oppone un governo a forze ribelli), in seguito
ad una richiesta esplicita dell’Organizzazione (
12
), ad un appello con cui i belligeranti si
dichiarino disponibili (
13
) o nel quadro di un accordo di pace globale (
14
).
(
10
) Supplement to an Agenda for Peace, nota 4, par. 33: “The United Nations can be proud of the speed
with which peace-keeping has evolved in response to the new political environment resulting from the
end of the cold war, but the last few years have confirmed that respect for certain basic principles of
peace-keeping are essential to its success. Three particularly important principles are the consent of the
parties, impartiality and the non-use of force except in self-defence […]”.
(
11
) Convention on the Safety of United Nations and Associated Personnel. Adopted by the General As-
sembly of the United Nations on December 9, 1994, 2051 UNTS 363 (1999), p. 392, pream.: “[…] ac-
knowledging that the effectiveness and safety of United Nations operations are enhanced where such ope-
rations are conducted with the consent and cooperation of the Host State […]” (d’ora in poi, Safety Con-
vention).
(
12
) Resolution on the Situation in Cyprus Adopted by the Security Council on 4 March 1964, SCOR, 19
th
Year, 1102
nd
Meet., S/RES/186, 4 March 1964, par. 2: “The Security Council […] asks the Government
of Cyprus […] to take all additional measures necessary to stop violence and bloodshed in Cyprus”.
(
13
) Security Council Resolution 626 (1988) on Establishment of the UN Angola Verification Mission
(UNAVEM I), SCOR, 43
rd
Year, 2834
th
Meet., S/RES/626, 17 December 1988, pream.: “[…] considering
the request submitted to the Secretary-General by Angola and Cuba in letters dated 17 December 1988
[…]”.
(
14
) Security Council Resolution 976 (1995) on Establishment of UN Angola Verification Mission III
(UNAVEM III), SCOR, 50
th
Year, 3499
th
Meet., S/RES/976, 8 February 1995, pream.: “[…] welcoming
the signing of Lusaka Protocol of 20 November 1994 (S/1994/1441, annex) as a major step towards the
establishment of peace and stability in Angola […]”.
19
Tale requisito ha anche un fondamento giuridico derivante dall’obbligo di rispet-
tare uno dei principi basilari su cui si fondano le relazioni internazionali: l’indipendenza
sovrana degli Stati (
15
). In mancanza di questo presupposto, la presenza delle forze delle
Nazioni Unite sul territorio potrebbe essere qualificata come una misura coercitiva ai
sensi dell’art. 42 della Carta e rientrerebbe nel quadro del peace-enforcement (
16
).
Fin dalle prime esperienze, l’Organizzazione ha dimostrato di considerare il con-
senso come una condizione di liceità per lo stabilimento delle operazioni di peace-kee-
ping: così, ad esempio, particolare rilievo gli è stato attribuito dall’Assemblea Generale
(
17
), dal Segretario Generale (
18
), dal Comitato Speciale (
19
) e anche dagli Stati, con di-
chiarazioni in sede di approvazione di risoluzioni istitutive di operazioni o scambi di let-
tere con il Segretario (
20
).
Per comprendere la centralità del consenso nel quadro delle operazioni di peace-
keeping, basti ricordare quanto accaduto nel 1967 a proposito dell’UNEF I, dislocata
nel Sinai e nella zona del Canale di Suez a partire dal novembre 1956 come forza cu-
scinetto tra le truppe israeliane, francesi e britanniche da un lato e quelle egiziane dal-
l’altro. Pienamente consapevole della difficile situazione sul campo, il Segretario Gene-
rale aveva tentato di raggiungere un accordo con il Cairo al fine di evitare un prematuro
ritiro del consenso, ottenendo però solo una promessa di agire in buona fede (
21
). Nell’a-
(
15
) Brown D., p. 561.
(
16
) Di Blase, p. 55.
(
17
) Second and Final Report of the Secretary-General on the Plan for an Emergency International Uni-
ted Nations Force Requested in Resolution 998 (ES-I). Adopted by the General Assembly on 4 November
1956, GAOR, 1
st
Emer. Spec. Sess., Agenda Item 5, UN Doc. A/3302, 6 November 1956, par. 9: “[…]
the Force, if established, would be limited in its operations to the extent that the consent of the parties
concerned is required under generally recognized international law […]”.
(
18
) Supplement to an Agenda for Peace, nota 4, par. 23: “[…] peace-keeping […] can be employed only
with the consent of the parties to the conflict […]”.
(
19
) Report of the Special Committee on Peacekeeping Operations, GAOR, 57
th
Sess., Agenda Item 78,
UN Doc. A/57/767, 28 March 2003, par. 46.
(
20
) Per qualche esempio, si veda Pineschi, pp. 85-87.
(
21
) L’accordo stipulato dal Segretario Generale con il Presidente della Repubblica Araba Unita (Stato fe-
derale formato da Egitto e Siria) è contenuto in Aide-memoire on the Basis for the Presence and Functio-
ning of the United Nations Emergency Force in Egypt, GAOR, 11
th
Sess., Agenda Item 66, UN Doc. A/
3375, Annex, 20 November 1956, par. 1.
20
prile 1967, una vigorosa reazione israeliana agli attacchi condotti dall’Organizzazione
per la Liberazione della Palestina portò al coinvolgimento delle forze siriane e ad un no-
tevole aumento della tensione. La risposta egiziana fu una massiccia concentrazione di
truppe nei pressi del confine con Israele, proprio vicino alle postazioni dell’UNEF I: alla
richiesta di evacuazione dei contingenti delle Nazioni Unite presentata il 16 maggio dal
Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate egiziane, il Comandante in capo dell’UNEF
I oppose il proprio rifiuto. Due giorni dopo, il Segretario Generale ricevette una nota
formale con la quale il Cairo comunicava l’intenzione di ritirare il proprio consenso alla
permanenza della forza dell’Organizzazione (
22
).
3. (segue) Il divieto di ricorso all’uso della forza salvo in caso di legittima difesa
Il principio secondo il quale i contingenti impegnati nelle operazioni di manteni-
mento della pace sono autorizzati a ricorrere all’uso della forza armata solo a titolo di
legittima difesa è menzionato in quasi tutti i documenti in cui gli organi delle Nazioni
Unite si sono occupati di peace-keeping (
23
) e la stessa dottrina si è trovata concorde
nell’asserire l’obbligatorietà per il personale impegnato nelle operazioni di conformarsi
a questa regola. Sebbene dalla prassi emerga un’applicazione sostanzialmente uniforme
del principio, l’espressione “legittima difesa” sembra essere piuttosto ambigua, consi-
derando che i membri delle forze possono e hanno potuto in passato ricorrere alle armi
in circostanze non del tutto compatibili con il significato attribuito originariamente al
termine.
In un primo tempo, solo la protezione della propria persona, dei soggetti posti sot-
to tutela e delle posizioni occupate in base agli ordini superiori erano ritenute motiva-
(
22
) Report of the Secretary-General on the Withdrawal of the United Nations Emergency Force, GAOR,
5
th
Emer. Spec. Sess., Agenda Item 5, UN Doc. A/6730/Add.3, 27 June 1967, par. 22. Il Consiglio di Si-
curezza avrebbe potuto continuare ad appoggiare la presenza della forza sul territorio soltanto in forza di
una decisione adottata ai sensi del Capo VII della Carta, trasformando l’UNEF I in un’operazione di
peace-enforcement.
(
23
) Si veda, da ultimo, Panel Report, nota 5, par. 48, che ha inserito la legittima difesa tra i principi fon-
damentali delle operazioni di mantenimento della pace.
21
zioni valide per l’uso della forza (
24
). In seguito, il modello ha subito scostamenti note-
voli, pur giustificati alla luce del contenuto dei mandati attribuiti alle operazioni e delle
mutevoli circostanze riscontrabili sul campo. Pertanto, il ricorso alla forza è stato soste-
nuto al fine di garantire il pieno adempimento del mandato (
25
), i presupposti indispen-
sabili per portare gli aiuti umanitari alla popolazione civile (
26
), la sicurezza e la libertà
di movimento del personale delle Nazioni Unite nel luogo di stabilimento (
27
).
Per contro, un netto distacco dal principio della legittima difesa si è realizzato nel
momento in cui i peace-keepers hanno agito (ONUC) o sono stati inviati (UNOSOM II)
in una situazione di totale collasso dell’autorità statale, nella quale diversi gruppi armati
controllavano differenti porzioni di territorio. Nel caso dell’ONUC, furono i violenti
scontri tra le fazioni secessioniste a costringere il Consiglio di Sicurezza alla revisione
del mandato iniziale, dotando la missione di un uso piø esteso della forza per prevenire i
rischi di una guerra civile (
28
). Per contro, pur essendo fatta rientrare tra le operazioni di
(
24
) Il documento contenente la prima esposizione del concetto di legittima difesa è United Nations Emer-
gency Force. Summary Study of the Experience Derived from the Establishment and Operation of the
Force. Report of the Secretary-General, GAOR, 13
th
Sess., Agenda Item 65 (c), UN Doc. A/3943, 9
October 1958, par. 179: “[…] men engaged in the operation may never take the initiative in the use of ar-
med force, but are entitled to respond with force to an attack with arms, including attempts to use force to
make them withdraw from positions which they occupy under orders from the Commander […]”. Si ve-
dano anche Goulding, p. 454, e Abi-Saab, p. 3.
(
25
) Aide-Memoire of the Secretary-General Concerning Some Questions Relating to the Function and
Operation of the United Nations Peace-keeping Force in Cyprus. Note by the Secretary-General, SCOR,
19
th
Year, UN Doc. S/5653, 10 April 1964, par. 18, lett. c.
(
26
) Security Council Resolution 918 (1994) on Expansion of the Mandate of the UN Assistance Mission
for Rwanda and the Imposition of an Arms Embargo on Rwanda, SCOR, 49
th
Year, 3377
th
Meet., UN
Doc. S/RES/918, 17 May 1994, par. 4: “The Security Council […] recognizes that UNAMIR may be re-
quired to take action in self-defence against persons or groups who threaten […] the means of delivery
and distribution of humanitarian relief”.
(
27
) Security Council Resolution 871 (1993) on Extension of the Mandate of the UN Protection Force and
Implementation of the UN Peace-keeping Plan for Croatia, SCOR, 43
rd
Year, 3286
th
Meet., UN Doc. S/
RES/871, 4 October 1993, par. 9: “The Security Council […] authorizes UNPROFOR, […] acting in self
defence, to take necessary measures including the use of force to insure its security and its freedom of
movement”.
(
28
) Il mandato iniziale è contenuto in Resolution Concerning the Situation in the Republic of the Congo
Adopted by the Security Council on 14 July 1960, SCOR, 15
th
Year, 873
rd
Meet., UN Doc. S/RES/143, 14