II
imperi asiatici rivela una profonda differenza con le concezioni
spirituali dei popoli europei: infatti, l’indagine conoscitiva, che
in Oriente è rivolta soprattutto all’interiorità dell’uomo, si
rivolge in Occidente al mondo esterno e al cosmo.
La contrapposizione è già netta, ma si intensifica
ulteriormente per la diversità degli schemi di organizzazione
sociale, del modo di produzione, dell’intero comportamento
individuale e collettivo dell’universo asiatico, che spesso urta in
maniera stridente con i principi fondamentali, di valore e di
vita, dominanti nel mondo classico della polis greca e, più tardi,
del civis romano.
Quanto al fenomeno arte, l’orgoglio e la coscienza del
miracolo greco relega a livello barbarico ogni altra produzione.
Eppure, se è questa la visione dominante e sinteticamente
riassuntiva dei greci – e dell’intero Occidente - l’analisi
scientifica approfondita delle due culture riporta oggi in primo
piano i fatti ed i fenomeni che, già in epoca classica,
avvicinavano i due continenti, anche se allora non furono
minimamente evidenziati.
III
I grandi monumenti persiani – limitandosi ad annoverare
sono le manifestazioni più palesi - simbolo della potenza e del
carisma imperiale, furono, infatti, eseguiti da artisti greci
dell’Asia Minore che, pur aderendo al gusto e all’intento dei
dominatori, conservarono le tecniche e la mano greche. Così
alcuni dei maggiori capolavori di oreficeria scita, estranei e
addirittura antitetici alla concezione classica di bellezza,
portano firme di artefici indiscutibilmente greci, che, sebbene
lavorassero su commissione, dimostrano con chiarezza di avere
assimilato le simbologie e lo stile scita non per semplice
mestiere ma per convinta partecipazione.
La contrapposizione tra Oriente ed Occidente non è, quindi,
così rigida e isolante, anzi tende, nel corso dei secoli, ad
assottigliarsi, per divenire quasi inesistente in epoca medievale,
quando l’uomo europeo guarda ad oriente per cercare un
linguaggio simbolico diverso, atto ad esprimere la sua nuova
concezione del mondo.
L’Asia medievale, terra di avventure e di esperienze
fantastiche, di miti e riti pagani e cristiani, rappresenta la fonte
IV
della civiltà europea e l’uomo occidentale, figlio dei “secoli bui”,
sembra esserne consapevole.
I caratteri distintivi del linguaggio simbolico medievale,
infatti, muovono dall’apparentemente lontano ed inconciliabile
immaginario asiatico, da cui l’uomo occidentale attinge
continuamente, rinnovando i consunti parametri classici,
inadatti ad esprimere la nuova ideologia cristiana.
È il caso, per esempio, di alcuni motivi decorativi (carattere
cufico) e temi iconografici (demoni con le ali di pipistrello), di
grande valenza simbolica, diffusi in Europa dalla fine del XIII
secolo, presentanti evidenti analogie e richiami precisi al
linguaggio figurativo esotico, che diviene il sostrato culturale
dell’artista medievale.
Questi apporti asiatici giungono in Occidente attraverso le
rotte commerciali, carovaniere e marittime, suggestivi scenari
dell’intrecciarsi di tradizioni ed usanze di popoli lontani, il cui
incontro alimenta l’immaginario medievale, che cresce proprio
per effetto di questi contatti e di questi più estesi confini.
I capitoli che seguono cercano di individuare ed illustrare le
contaminazioni orientali nel panorama artistico europeo, con
V
particolare attenzione alla produzione orafa del Meridione
italiano, i cui canoni sembrerebbero ricalcare quelli
dell’artigianato indiano.
Attraverso una minuziosa analisi dei rapporti commerciali
eurasiatici e delle testimonianze dirette dei viaggiatori d’Oriente
- che, sin dall’età classica, hanno contribuito ad eliminare il
diaframma che separava i due continenti - è stato, infatti,
ricostruito il secolare legame tra l’India e l’Italia meridionale,
basato, da un lato, sulla richiesta delle preziose merci orientali
(spezie, tessuti e gemme), elette nuove icone del potere patrizio,
dall’altro, sull’esportazione nei mercati asiatici del corallo, la
gemma purpurea del Mediterraneo, largamente utilizzata nella
gioielleria orientale per le sue doti apotropaiche.
Questo contatto costante sembrerebbe aver creato un forte
legame tra le due entità geografiche, palesato proprio nella
produzione orafa del Meridione italiano, in cui si ravvisano
delle evidenti analogie con l’artigianato indiano, determinate,
non solo, dal rapporto diretto tra le due aree eurasiatiche, ma
anche, dalla comune matrice greca.
1
Capitolo primo
MERCATI D’ORIENTE E D’OCCIDENTE
DALL’ANTICHITA’ AL MEDIOEVO
Lo studio delle antiche civiltà orientali si propone agli storici
moderni europei non solo come tema culturale autonomo ma
anche come elemento indispensabile per comprendere
l’antichità ed il Medioevo occidentali, in quanto intimamente
legati alla storia e alla cultura asiatica.
Come scrive uno dei massimi orientalisti italiani, G. Tucci,
“esiste un’indissolubilità ed una connessione strettissima tra le vicende
dei due continenti: nella continuità territoriale si inserisce una solidarietà
millenaria”.
1
L’Asia, quindi, non solo per comprendere l’Asia ma per
comprendere meglio l’Europa.
Un esempio tra i più suggestivi di questo nuovo modo di
rapportarsi all’Oriente è il testo “Il Medioevo fantastico” dello
storico lituano Jurgis Baltrušaitis, il quale si è soffermato su
quel particolare aspetto della cultura tardomedievale europea
1
Citato da A. Desideri, Storia e Storiografia. Dalla crisi dell’Impero Romano alla Rivoluzione Inglese, ed.
G. D’Anna, Messina-Firenze, 1988, p. 661.
2
che predilige il mostruoso ed il fantastico, accostandolo alla
stessa tendenza orientale. Baltrušaitis, con un’analisi minuziosa
di tutta l’iconografia asiatica, scopre che molti di questi temi
sono giunti in Europa attraverso i frequenti contatti con l’Asia:
“Il Medioevo cresce per effetto di questi contatti e in questi più estesi
confini”.
2
Non è, tuttavia, semplice delineare la natura dei rapporti
intercorrenti tra il mondo orientale e quello occidentale,
soprattutto se si fa riferimento all’apparente incompatibilità
culturale fra Est ed Ovest, frutto di una visione
fondamentalmente eurocentrica, che, talvolta, tende ad
analizzare le proprie manifestazioni come un unicum storico.
In realtà, tutti i fenomeni artistici e culturali di grande entità
del passato furono il risultato di una complessa rete di influenze
tra i popoli e, pertanto, non coinvolsero soltanto aree limitrofe
ma si diffusero a “macchia di leopardo” in tutta l’Eurasia.
2
Baltrušaitis, nel suo testo, si sofferma sull’analisi di alcuni temi iconografici medievali, come
quello delle “danze macabre”, dei colloqui tra i monaci ed un cadavere, delle mostruose figure
simboliche dell’immaginario occidentale, che si diffusero in Europa modo attraverso la cultura
francescana. Per lo storico il tema deriverebbe dall’Asia, poiché in Oriente esso compare con gli
stessi aspetti alcuni secoli prima e verso l’Oriente mossero numerosi non solo i mercanti ma
anche i monaci dell’Occidente. (J. Baltrušaitis, Le Moyen Âge fantastique. Antiquités et exotimes dans
l’art gothique, Paris, 1972, trad. it. di F. Zuliani e F. Bovoli, Il Medioevo Fantastico. Antichità ed
esoterismi nell’arte gotica, ed. Adelphi, Milano, IV edizione gennaio 2000, p 40).
3
E’ il caso, per esempio, dei motivi stilizzati introdotti dagli
artisti della Persia Sasanide; attraverso le vie commerciali,
infatti, questi furono diffusi nel mondo bizantino, nella
nascente arte islamica e, di conseguenza, li ritroviamo sul
soffitto della Cappella Palatina di Palermo, nelle stoffe ispano-
moresche dell’Andalusia, sulle formelle dell’antico duomo di
Sorrento, nella oreficeria scandinava ed, infine, nelle pitture
murali di alcune località d’Asia centrale.
Le “migrazioni culturali” tra Oriente ed Occidente sono,
quindi, in stretto rapporto con gli scambi commerciali, che, sin
dall’antichità, hanno delineato i rapporti tra i due continenti,
creando un forte legame non solo economico ma anche
culturale.
Come afferma il noto antropologo Schneider nel testo
“Economic Man. The Antropology of Economics”, l’economia diviene,
infatti, strumento essenziale per comprendere i comportamenti
socio-culturali dell’uomo, poiché ad ogni scambio commerciale
corrisponde uno scambio sociale.
3
3
Harold K. Schneider, Economic Man. The Antropology of Economics, New York, Free Press, 1974.
(trad. it. di C. Basso, Antropologia economica, ed. Universale Paperbacks il Mulino, Bologna, 1985,
p. 117).
4
Comprendere le reciproche influenze eurasiatiche significa,
pertanto, analizzare la realtà economica e commerciale delle due
aree, partendo dal più palese punto di contatto: l’Impero
Romano.
5
I.1. Merci orientali e mercati romani
Le influenze orientali in Europa furono una costante già in
epoca antica; attraverso le rotte commerciali, infatti, giunsero in
Occidente, oltre alle merci di scambio, alcuni caratteri propri
della cultura asiatica.
I rapporti tra Oriente ed Occidente furono addirittura tanto
intensi da determinare uno scompenso nella bilancia
commerciale dell’Impero Romano, mancando quasi totalmente
una contropartita alle merci che provenivano dall’Asia.
4
Tra i prodotti orientali maggiormente importati nella Roma
imperiale ritroviamo i tessuti indiani, particolarmente graditi
alle donne sia per la leggerezza del cotone che per le novità dei
disegni e dei colori, le spezie, come il pepe nero, che i Romani
diffusero presso tutte le popolazioni europee, diverse droghe,
oppio ed hashish in primis, le pregiate perle dell’Oceano
Indiano, l’avorio, le gemme, in particolare diamanti e zaffiri, le
sete cinesi e gli aromi da profumeria, articoli manufatti o
semimanufatti di lusso, accanto ai quali si ponevano una serie di
4
M. A. Levi, Roma Antica, UTET, Torino, 1963.
6
materie grezze, quali filo di seta e di cotone per tessere, lana,
pelli, materie coloranti ed acciaio indiano e cinese.
5
Tutte queste mercanzie, provenienti per lo più dall’India, il
principale emporio romano, contribuivano ad aumentare lo
sperpero e contemporaneamente ad impoverire il mercato
romano, considerando, tra l’altro, che solo poche merci
dell’area imperiale erano richieste in Oriente, tra cui il vino,
oggetti di vetro e di arredamento domestico, pietre preziose,
soprattutto il corallo rosso mediterraneo, ed alcune qualità di
tessuto, ma in genere ciò che era esportato dall’India verso
l’Impero era pagato in valuta romana d’oro e d’argento,
creando, pertanto, notevoli preoccupazioni all’amministrazione
romana, che temeva il grande deflusso di valuta verso l’Oriente
per l’acquisto di merci di puro lusso, come testimonia anche
Plinio Seniore nella Naturalis Historia. Per risanare il bilancio
dell’Impero, furono emanate delle leggi suntuarie
6
ma,
5
J. I. Miller, The Spice Trade of the Roman Empire. 29 B. C. To A. D. 641, Oxford, 1969. (trad. it. di
A. Rebecchi, Roma e la via delle spezie, Dal 29 a.C. al 641 d.C., ed. G. Einaudi, Torino, 1974,
p.192).
6
Le leggi suntuarie, in realtà, furono introdotte in un’epoca antecedente quella imperiale. La più
antica è quella riportata nelle XII Tavole, indicante la quantità d’oro che si poteva seppellire con il
defunto, seguita dalla cosiddetta Lex Oppia, emanata nel 215 a.C., che vietava alle matrone di
indossare più di mezza oncia di gioielli d’oro a testa. (A. M. Bisi, I gioielli nel Mondo Antico, in
“Archeo”, 61, marzo 1990, p. 98).
7
nonostante le restrizioni poste dalle autorità governative,
peraltro divenute assai minori dopo l’acquisita conoscenza dei
monsoni,
7
il traffico tra l’India meridionale, il Golfo del
Bengala e l’isola di Ceylon continuò a svolgere per lungo tempo
una funzione primaria nell’economia del Mediterraneo.
Nell’India meridionale, nel sito archeologico di Arikamadur,
sulla costa del Coromandel, furono scoperti residui di
ceramiche aretine e fu rilevata la presenza di magazzini romani,
contenenti svariate anfore, lampade, depositi di monete, pietre
preziose e molti altri oggetti di origine occidentale; questi
ritrovamenti testimoniano come i Romani avessero tentato, con
risultati discutibili, nel I secolo d. C. di compensare le
importazioni che effettuavano dall’India con lo smercio dei
prodotti della madrepatria.
Anche l’India settentrionale e la Cina costituivano oggetto di
preoccupazione da parte dell’amministrazione romana, giacché
si trattava di traffici commerciali verso l’Impero che avevano
scarse possibilità di essere contraccambiati.
7
In seguito alla scoperta dei monsoni da parte del navigatore greco Ippalo, probabilmente
intorno al 100 a. C., i traffici marittimi erano andati rapidamente intensificandosi, consentendo a
grandi navi con una stazza di oltre 500 tonnellate di navigare senza difficoltà col favore dei
monsoni. Le rotte commerciali marittime risultarono, inoltre, più sicure ed economiche rispetto
a quelle continentali, soprattutto nel trasporto di carichi ingombranti..
8
Le cronache cinesi riportano che i Romani cercavano sempre
di stabilire relazioni commerciali dirette con la Cina, ma che i
Parti
8
, desiderosi di ottenere il controllo della “Via della Seta”
9
e, quindi, dei rapporti tra Oriente ed Occidente, impedivano
con ogni mezzo i contatti tra i due popoli. Lungo questa ambita
rotta carovaniera non passava soltanto la seta, ma dall’India
settentrionale e dalla Cina giungevano nei paesi romani anche
gemme, quali corniole, turchesi e lapislazzuli, cotone e spezie.
Importanti rapporti commerciali furono intrapresi anche con
l’Arabia Felix, nel Sud-Est della penisola arabica (l’attuale
Yemen), così denominata per le condizioni climatiche
favorevoli, in contrapposizione con quelle delle limitrofe aree
8
I rapporti commerciali tra l’Oriente e l’Impero Romano erano intermediati dai popoli dei
Kushani e dei Parti, entrambi persiani, i quali favorivano gli scambi, provvedendo alla
manutenzione e al pattugliamento armato delle strade, garantendo sicurezza alle carovane e
traendo eccellenti profitti dai pedaggi.
9
“La Via della Seta fu la più importante strada commerciale conducente in Cina. In epoca greco-
romana le carovane dirette verso l’Oriente partivano da Tiro, attraversavano la Siria, passavano
per Palmira per poi oltrepassare il Tigri e l’Eufrate; quindi, si dirigevano ad Ecbatana (ora
Hamadan), passavano a meridione dell’Elbruz e, attraversato il Khorassàn, giungevano nel
deserto del Karakom. Dallo scalo di Antiochia Margiana (Persia) si diramavano due piste: la più
antica aggirava il Pamir a sud per Faizabad; l’altra, verso nord, in direzione di Bukhara,
Samarcanda e la vallata del Sir Daria per superare il passo di Turgat e scendere a Kashgar nel
Turkestan cinese, nuovo punto di convergenza delle due carovaniere inizialmente divaricatesi ad
Antiochia Margiana. Ai piedi del Pamir, quindi, si era a metà strada della Via della Seta, non
lontano dal grande mercato della preziosa fibra tessile, chiamato da Tolomeo Lithinos Pyrgos,
Torre di Pietra, luogo non ben precisato, forse a Daraut Khurgan, dove i mercanti si
incontravano per scambiare le loro merci.” ( F. Brunello, Marco Polo e le merci d’Oriente, ed.Neri
Pozza, Vicenza, 1986, p.11).
9
desertiche, ma, soprattutto, per sottolineare l’incredibile
ricchezza del paese.
Da questo prospero territorio venivano importate merci rare
dai prezzi esosi, quali spezie e piante aromatiche, citate nei testi
di numerosi autori classici; Teofrasto, Strabone, Dioscoride e
Plinio descrivono, infatti, i principali prodotti della penisola
arabica, come il balsamo, l’incenso e la mirra, molto ricercati in
Occidente.
I Romani indubbiamente conobbero tramite gli Alessandrini
le vie per il traffico commerciale con l’Asia centrale e con la
Cina, attraverso i valichi dell’Himalaya, facendo capo a Batta,
importante città dell’Afghanistan, a sud del fiume Oxus, nodo
stradale centrale di tutto il commercio asiatico. Inoltre, vi erano
strade che giungevano dall’Estremo Oriente cinese sino a Batta,
dove si collegavano con i percorsi provenienti dalla valle del
Gange, dalla costa occidentale dell’India, da Palmira
10
e da
Carace, sul Golfo Persico.
10
La città di Palmira, grazie alla sua funzione di centro commerciale nel deserto siriano,
accumulò ingenti ricchezze, che le permisero di edificare magnifici edifici pubblici, finché non fu
soggiogata nel 272 d. C. dall’imperatore Aureliano.
10
Lungo i percorsi carovanieri e marittimi eurasiatici vi erano
numerosi empori, dove le materie grezze venivano raccolte,
controllate, classificate e distribuite ai centri di manifattura.
L’emporio aveva diverse caratteristiche geografiche essenziali;
non bastava, infatti, una biforcazione o una congiunzione di
strade per far sorgere un mercato, ma poteva essere situato,
come a Tiro, su un’isola, a scopo di difesa, sull’estremità di una
penisola, come il Samara Emporium (l’odierna Singapore), luogo
di passaggio obbligato delle principali rotte marittime, o in
un’area circostante le foci di grandi fiumi, quali il Gange, il
Tanis (Don), il Tigri, l’Eufrate e il Nilo.
Importanti empori erano collocati in India, sulle foci del
Gange, nella regione attorno a Taxila e in Damirica, la regione
dei regni dei Tamil nel Sud, e nell’Arabia meridionale, dove una
serie di regni indipendenti controllavano la cosiddetta “Via
dell’Incenso”, monopolizzando i traffici dell’Oceano Indiano.