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I
LA VETRATA E LA SUA STORIA
I.1: Il vetro
Il vetro è una sostanza naturale, un liquido siliceo surraffreddato,
cioè un liquido che diventa solido senza possedere il normale punto
di congelamento. Il vetro naturale si può trovare ovunque
nell’universo; sulla terra si forma a volte per il rapido raffreddamento
della lava vulcanica ad alto contenuto di silice, altre volte è presente
sotto forma di fulgorite, che si genera se un fulmine colpisce del
minerale metallico nella sabbia e durante il procedimento fonde la
sabbia. Componente fondamentale di quasi tutto il vetro è la silice, a
cui si aggiunge un fondente, generalmente carbonato di sodio, e uno
stabilizzante, come il calcare. A volte si aggiunge anche il vetro di
scarto, per facilitare la fusione. Riscaldandosi tutti questi elementi si
decompongono fino a formare un liquido ribollente che viene poi
variamente lavorato: per le vetrate viene soffiato, procedimento che
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consiste nel raccogliere con la canna un globo di vetro fuso, e
soffiarlo fino a ottenere una fiasca allungata. Questa fiasca viene poi
tagliata alle estremità, ne risulta un cilindro, che a sua volta tagliato
per il lungo e mantenuto caldo si apre dando origine ad una lastra
piatta. Queste lastre presentano le rigature, le bollicine e le
variazioni di spessore tipiche del vetro da vetrate.
Il vetro ottenuto soltanto con una mistura di silice, calcare e soda è
trasparente e incolore, la luce lo attraversa liberamente, così che i
suoi raggi entrano ed escono con la stessa angolazione mantenendo
invariato il fulgore originario. Basta però una piccola variazione di
spessore o delle macchioline perché i raggi luminosi vengano
deviati, creando scintillii e iridescenze varie ed affascinanti. E’ per
questo motivo che il vetro da vetrate si lavora con procedimenti che
favoriscano le imperfezioni.
Per ottenere il vetro colorato bisogna aggiungere sostanze che
impediscano ad alcune lunghezze d’onda della luce di attraversarlo:
sono infatti le lunghezze d’onda respinte a dare al vetro il suo colore.
I metodi principali per ottenere vetro colorato sono due: si possono
sciogliere nel vetro alcuni ossidi metallici, ottenendo una struttura
molecolare della soluzione tale da assorbire le lunghezze d’onda di
determinati colori, oppure si può far in modo che nel vetro liquido si
disperdano o restino sospese alcune particelle chimiche. Se hanno
più o meno le stesse dimensioni delle lunghezze d’onda luminose
alcuni colori attraversano il vetro, mentre altri vengono fermati. La
chimica della colorazione del vetro resta comunque ancora oggi
abbastanza complessa.
Si ritiene che il vetro sia stato inventato all’incirca attorno al 3000
a.C., probabilmente con una scoperta del tutto casuale. Secondo
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quanto racconta Plinio nella Naturalis Historia furono alcuni marinai
fenici a scoprire il materiale vetroso fra le ceneri di un fuoco acceso
sulla spiaggia. E’ accertato che fra il 1554 e il 1075 gli artigiani
egiziani scoprirono un processo per la fabbricazione del vetro
trasparente che fondevano e producevano in verghe come avveniva
per il metallo. Queste verghe venivano modellate su di un’anima di
sabbia per ottenerne vasellame, considerato superiore a quello
comune.
Su alcune tavolette cuneiformi del VII sec. a.C. ritrovate a Ninive è
riportata una formula per la fabbricazione del vetro, oltre alla
citazione di tre tipi di fornace per la sua lavorazione.
I vetrai estesero gradatamente la loro attività dal vicino oriente a
tutto il Mediterraneo, diffondendola fino a Cipro, in Grecia e in Italia.
L’invenzione del tubo di ferro per soffiare il vetro, avvenuta in Siria
nel II sec. a.C. portò una nuova, vasta gamma di prodotti: la
possibilità di soffiare il vetro fuso fino a ottenere una palla vuota e di
riscaldarlo nella fornace per poi lavorarlo permise di ottenere perfino
piatti e bottiglie, oltre a un’inedita serie di decorazioni.
Nel I sec. d.C. si riuscivano ormai ad ottenere vetri perfettamente
trasparenti e incolori, che poi venivano colorati coscientemente, non
più accidentalmente come avveniva in precedenza. E’ in
quest’epoca che compaiono nelle case dei ricchi, soprattutto in
Europa settentrionale, le finestre di vetro. Plinio vi accenna nelle sue
lettere, quando descrive la sua casa di Laurentum. Si può dedurre
che le finestre fossero chiuse da vetri, forse piombati, montati in
cornici di legno o bronzo.
Durante il IV e V sec. d.C., lungo periodo di decadenza dell’Impero
Romano, i vetrai delle singole regioni continuarono a esercitare e
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sviluppare la loro arte, di modo che quando la Chiesa cristiana
stabilizzò il suo potere, nel VII sec., in Europa meridionale si era già
realizzato un notevole intreccio di tradizioni: i reperti archeologici
testimoniano infatti la diffusione della lavorazione del vetro dal vicino
Oriente alla Francia settentrionale attraverso le valli del Reno e del
Rodano, e perfino in Inghilterra.
I.2: La nascita della vetrata
La vetrata è un’arte essenzialmente cristiana, perché nacque in
epoca cristiana, rendendo le finestre delle chiese luoghi di
espressione spirituale anziché semplici aperture nei muri. Ai nostri
giorni è impossibile stabilire una data e un luogo di nascita per le
vetrate, possiamo solo dire che non scaturirono da un nulla artistico
poiché mostrano somiglianze di materiali e di tecniche con altre arti
medioevali, tra cui i mosaici e gli smalti. I mosaici, che nell’antichità
classica erano un modo di abbellire i pavimenti, furono impiegati
dalla chiesa cristiana per decorare pareti e cupole. I mosaici delle
pareti furono realizzati con pezzettini di vetro colorato riuniti in modo
da comporre immagini, con una tecnica simile a quella del creatore
di vetrate medioevale, anziché con pietre o ceramica come in epoca
classica. Dall’oreficeria e dagli smalti cloisonné, in cui sottili lamine di
metallo dividono i colori, può essere stata tratta l’idea di usare
un’armatura di piombo per tenere uniti i pezzi di vetro colorato. Sul
piano artistico non c’era che un passo fra il reliquiario a smalto, dai
santi affacciati allo scrigno, e i santi rivolti verso l’interno degli spazi
architettonici.
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Una scoperta importante fu il modo di ottenere, per fusione o con la
trafila, una striscia di piombo di sezione tale da poterla modellare e
poterne giuntare i vari pezzi necessari a tenere legato il vetro in
pannelli trasportabili. Gli artisti scoprirono poi che la limatura di ferro
mescolata a polvere di vetro poteva essere usata per dipingere i
particolari - volti, mani, panneggi - sul vetro, cuocendola poi ad una
temperatura di poco inferiore a quella di fusione della lastra di
supporto.
La vetrata entra nella storia come forma d’arte già fiorente, di cui
abbiamo perso i precedenti: disponiamo di fonti scritte, e di qualche
rarissima testimonianza materiale - come le famose cinque vetrate
dei profeti nella Cattedrale di Augusta -, che attestano la presenza di
vetrate nel sec. XI, periodo che resta comunque poco noto.
Dell’epoca precedente si conoscono solo i frammenti di Lorsch, in
Germania, veri prototipi di vetro figurato, ricostruiti a suggerire un
volto di Cristo e ritenuti il più antico esemplare esistente di vetrata
figurata.
E’ solo col sec. XII che si incontrano, sia in Germania sia in Francia,
i primi grandi insiemi vitrei e a quest’epoca risale anche il primo testo
sulla tecnica della vetrata, e cioè il secondo libro della Schedula
diversarum artium del monaco Teofilo, dove sono accuratamente
descritte la fabbricazione del vetro e la preparazione delle vetrate. I
centri principali di produzione di vetrate nel sec. XII furono infatti la
Francia e la Germania.
Tra gli insiemi più significativi, sia per l’iconografia sia per lo stile,
spiccano le vetrate della chiesa abbaziale di S. Denis presso Parigi,
che costituiscono un importante punto di riferimento cronologico per
il sec. XII, anche se non sono le più antiche risalenti a quel periodo.
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Eseguite da maestranze di varia provenienza, furono commissionate
dall’abate Suger, che in occasione del restauro decorò coro,
deambulatorio e cappelle con vetrate. Sono molto complesse, con
rimandi al Vecchio e Nuovo Testamento: dalle cose materiali Suger
voleva arrivare alle cose celesti, rivolgendosi principalmente al
pubblico dotto degli ecclesiastici del tempo. In esse prevalgono le
tonalità dei blu e dei rossi - come si nota, per es., nella “fuga in
Egitto” - prediletti da Suger su ispirazione di Pseudo Dionigi
l’Aeropagita. Il principale atelier attivo nel cantiere sembra essere
originario dell’Ile de France e si caratterizza per una forte attenzione
ai valori decorativi più che ai risultati monumentali; eseguite con
estrema raffinatezza hanno un aspetto colto e prezioso che le
avvicina ad opere di oreficeria e ad alcune miniature della Francia
settentrionale. Si occupa delle storie di Gesù e della vita di S.
Vincenzo. Fortemente influenzate da S. Denis sono le tre vetrate
della facciata occidentale della cattedrale di Chartres; insieme ad
esse, la più antica di Chartres è quella di Notre - Dame de la Belle
Verriere caratterizzata da una splendida gamma cromatica sulle
tonalità del rosso e del blu, e una presentazione bizantina. Un’altra
tendenza stilistica molto importante in Francia è rappresentata da un
gruppo di vetrate dell’ovest che esprimono un’esasperata
espressività, come la vetrata dell’Ascensione della cattedrale di Le
Mans, anteriore al 1134, che presenta figure allungate, tese verso il
cielo, e annovera fra i suoi colori anche i verdi e i gialli, oltre alla
tradizionale gamma cromatica di rossi e blu. A Le Mans si ha anche
un altro atelier, che opera fra il 1135 e il 1165, proveniente forse da
Chartres, dai modi un po’ più pacati e naturalistici, come si può
notare nella vetrata con le “Storie di S. Stefano”. Nella zona centrale
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e sud - orientale della Francia prevalgono, invece, elementi
bizantineggianti, mentre un tono di pacata armonia caratterizza le
vetrate delle regioni orientali.
Le vetrate tedesche del XII secolo imitano il carattere di microtecnica
preziosa dello smalto, riprendendone le piccole dimensioni e
l’esuberanza decorativa, anche perché sono concepite per edifici
ancora romanici. Il ciclo più antico di vetrate tedesche è il ciclo della
Cattedrale di Augusta, per il quale la critica è concorde su una
datazione di fine XI / inizi XII secolo. Si tratta di cinque monumentali
figure di profeti, uniche superstiti di una serie più numerosa, dalla
rigidità ancora romanica, poste nella parte superiore della navata. I
colori di queste vetrate, a differenza di quelli delle vetrate francesi e
inglesi, sono gialli, verdi, dorati. Al fare monumentale e sommario dei
profeti risponde la preziosità e la minuzia decorativa di Gerlacus,
attivo nell’Abbazia di Arnstein, a cui si deve il primo autoritratto
presente in una vetrata. Gerlacus si occupa delle quindici vetrate
destinate a decorare il coro della basilica, di cui a noi resta molto
poco. Sono caratterizzate da fondi con racemi, foglie
naturalisticamente turgide e presentano raschiamento della grisaglia.
Le vetrate inglesi del 1100 ancora conservate risalgono agli ultimi
decenni del secolo. Forse il gruppo più consistente di vetrate
superstiti di questo periodo è nella cattedrale di Canterbury. Si tratta
di una serie di grandi figure di antenati di Cristo, più di ottanta, di cui
ne restano solo trentacinque. Sono splendide figure monumentali,
dalle tessere vitree piuttosto ampie, in cui prevalgono i toni
dell’azzurro.
Nella prima metà del ‘200 la vetrata conosce un grandissimo
sviluppo, soprattutto in Francia. Gli schemi compositivi si complicano
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e si affermano le vetrate leggendarie, caratterizzate da schemi
compositivi assai complessi di medaglioni mistilinei, contro un fondo
variegato e riccamente decorato, come immagini su un tappeto. Da
questo momento in poi le vetrate diventano monumentali e quasi
seriali, ma senza far perdere nulla in bellezza. Le figure divengono
più morbide, più sciolte, non sono più frontali. E’ questo il carattere
delle grandi vetrate della Cattedrale di Chartres, completate entro il
1230 da maestri itineranti, come si può notare nel ciclo di S. Ruben,
che si caratterizza per una forte vicinanza agli stilemi occidentali, ma
dove continuano a prevalere i rossi e gli azzurri e un fare piuttosto
arcaico. Più innovativi sono il maestro delle Storie della Vergine e
quello di S. Eustachio, di grande naturalezza espressiva e più attenti
ai particolari. Della stessa epoca sono altri importanti insiemi di
vetrate francesi, presso le Cattedrali di Bourges, Le Mans, Rouen.
Verso la metà del secolo le ampie vetrate della S. Chapelle di Parigi
segnano un mutamento della decorazione vitrea: viene rivoluzionato
il rapporto tra finestre alte e basse, poiché la vetrata diventa una
sola in tutta la sua altezza. Le quindici grandi finestre mostrano una
fattura più sbrigativa e una più cupa gamma cromatica, in cui ai blu e
ai rossi si accompagnano i verdi e i turchesi, mentre le figure si
assottigliano e si allungano. In questi anni lo stile gotico delle vetrate
francesi si diffuse in tutta Europa. Nel secolo XIV si assiste
all’abbandono delle forme più peculiari della vetrata, sperimentate
nel ‘200: viene definitivamente superata la formula della “vetrata-
tappeto” e si instaura un rapporto privilegiato con la pittura e la
miniatura. Contrariamente alla tradizione duecentesca si diffonde il
fondo chiaro, si fa largo uso del giallo d’argento e si afferma una
sorta di espressionismo gotico. Nel corso del ‘300 l’Inghilterra svolge
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un ruolo fondamentale nello sviluppo del linguaggio gotico e lo
confermano le sue vetrate caratterizzate da abbreviazioni formali in
chiave espressiva. Ma, accanto alle aree in cui l’arte della vetrata
era tradizionale, emergono ora altri centri, in particolare l’Italia
centrale, e si assiste ad un progressivo declino della preminenza
della Francia.
Tra il XIII e il XIV secolo anche in Italia si trovano splendidi
complessi di vetrate. In particolare emergono i centri di Assisi, Siena,
Orvieto, Perugia e Firenze. Inizialmente debitrice rispetto alle
esperienze europee, l’Italia divenne ben presto il luogo di
elaborazione di nuovi motivi stilistici che dalla pittura si trasmisero
anche alle sue vetrate e proprio dal nostro paese si diffuse nelle
vetrate europee, sulla scia della lezione giottesca, una nuova ricerca
di rappresentazione tridimensionale. Il ritardo italiano va senza
dubbio attribuito alla radicata tradizione romanica che insieme a
quella classica, paleocristiana e bizantina si oppose fortemente alla
penetrazione e all’affermazione del gotico europeo.
In Italia, fin dagli inizi, le vetrate furono affidate ai pittori e non ai
maestri vetrai, come invece accadeva nell’Europa settentrionale.
Furono infatti i maggiori pittori del tempo a progettare le vetrate
italiane: da Duccio a Maso di Banco, al Maestro di Figline, a Taddeo
e Agnolo Gaddi, a Lorenzo Maitani e anche il Cennini, nel suo
capitolo Come si lavorano in vetro finestre, conferma il ruolo
preminente avuto dai pittori in Italia nel disegno delle vetrate. E’ la
basilica di S. Francesco ad Assisi il centro dal quale inizia la storia
delle vetrate in Italia. I responsabili del cantiere assisiate mostrarono
una grande modernità di vedute scegliendo di ornare con vetri
traslucidi le finestre della chiesa superiore, sul modello degli edifici
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d’oltralpe. Le vetrate più antiche sono le tre bifore dell’abside e la
critica è concorde nell’attribuirle a maestri tedeschi, sottolineandone
motivi prevalentemente arcaici e tardo - romanici. Circa la loro
datazione, non dovrebbe scostarsi di molto dalla metà del ‘200. Con
la quadrifora del transetto sinistro la scena cambia: subentra infatti
una nuova maestranza, questa volta proveniente dalla Francia, che
si fa mediatrice di una cultura più moderna, sostituendosi all’atelier
tedesco e alle sue influenze. La gamma cromatica profonda e scura,
assai diversa dai colori vivaci delle precedenti vetrate assisiati,
ricorda molto quella delle vetrate della S. Chapelle, che verrebbero
quindi a costituire un termine post quem per queste. Una persistente
influenza di motivi germanici si nota anche nelle vetrate della chiesa
inferiore, realizzate nella prima metà del secolo XIV.
Oltre ad Assisi, altro centro cruciale per la storia della vetrata in Italia
fu Siena, dove tra tutte spicca la grandiosa vetrata circolare del coro
del Duomo, attribuita a Duccio di Buoninsegna e datata agli inizi del
’300. A Firenze importanti vetrate del primo ‘300 si trovano, non a
caso, nella chiesa francescana di S. Croce, ma anche la chiesa
domenicana di S. Maria Novella è arricchita da splendide vetrate, in
particolare molto bella è quella dell’occhio della facciata, opera di
Andrea Bonaiuti, che segna davvero il punto di totale aderenza delle
vetrate al mondo della pittura. In Orsanmichele si trova poi uno dei
più bei cicli vitrei di Firenze. L’eccezionale livello delle più belle storie
di Orsanmichele si ritrova nelle storie di S. Giacomo, nella parte
bassa della grande vetrata absidale di S. Domenico a Perugia,
eseguita dal domenicano fra Bartolomeo di Pietro da Perugia.
Già l’introduzione della terza dimensione aveva rappresentato per le
vetrate un primo passo nell’instaurarsi di un rapporto privilegiato con
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la pittura che viene ad essere favorito anche dalle scelte
architettoniche italiane. Infatti se nel caso di un finestrone gotico la
funzione della vetrata rimane quella di sostituire la parete opaca con
un muro luminoso, così da partecipare direttamente all’architettura
dell’edificio, negli edifici italiani la funzione della vetrata è limitata:
non più quella di sostituire una parete, ma di chiudere un’apertura.
La vetrata perde quindi la sua funzione architettonica, conservando
solo quella decorativo - pittorica, il che sarà ancora più evidente
nelle costruzioni rinascimentali. Vetrate simili a pitture su tavola sono
ancora in S. Maria del Fiore. Anche Bologna e Milano conservano
interessanti insiemi vitrei. In Italia i modi della rappresentazione
spaziale furono impostati precocemente nelle vetrate, in tutta la loro
complessità; diverso, invece, il caso europeo. Come accadde per la
pittura, che progressivamente si aprì per accogliere le nuove
soluzioni spaziali di Giotto e successivamente i rivoluzionari apporti
della rivoluzione prospettica del nostro rinascimento, anche le
vetrate europee seguirono un simile percorso. Dunque, se nella
prima meta del ‘200 i centri principali nella vicenda delle vetrate
europee erano stati la Francia e la Germania, nel ‘300 è l’Italia a
farsi promotrice di una nuova svolta stilistica i cui influssi
cominciarono a farsi sentire fortemente nell’arte vetraria a partire da
circa metà del secolo XV.
Nei primi tre decenni del ‘400 le vetrate continuarono a seguire
l’elegante stile gotico di maniera che si era affermato alla fine del
XIV secolo, con cui andavano di pari passo anche la miniatura
dell’epoca e il lusso delle corti. Esempi di simili vetrate di maniera si
trovano un po’ in tutta Europa: in Francia nelle Cattedrali di Bourges,
Le Mans ed Evreux, in Germania nella cappella Besserer della
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Cattedrale di Ulma, in Inghilterra a Warwick, nella cappella
Beuchamp della chiesa di St. Mary.
A partire dal 1430, però, lo stile della pittura fiamminga, soprattutto di
Jan van Eyck, cambiò radicalmente anche l’atteggiamento dei
maestri vetrai. Van Eyck fu il maestro del particolare, ma per un
vetraio era impossibile, con le tecniche a sua disposizione, tradurre
nelle vetrate quel minuzioso particolarismo. Quindi, per ovviare al
problema, invece di continuare a fare dei quadri in vetro, in cui il
piombo era parte integrante della composizione, cominciò a
dipingere su vetro, ignorando il piombo anziché utilizzarlo. Ciò segnò
il declino della vetrata tradizionale, perché imitando l’affresco e la
pittura da cavalletto si distrusse la caratteristica principale del vetro
colorato: la sua trasparenza.
Altri elementi importanti del XV secolo furono la crescente
preferenza per soggetti profani nelle vetrate delle chiese e il
maggiore impiego di vetrate nelle abitazioni private. In realtà vetrate
in palazzi e zone residenziali delle abbazie si trovano già dal XIII
sec., ma solamente col XV si diffusero cospicuamente negli edifici
laici. Le vetrate delle case dovevano lasciar passare quanta più luce
possibile, perciò non avevano la ricchezza cromatica caratteristica di
quelle delle chiese, si preferiva una decorazione a losanghe,
arricchita da qualche inserto, solitamente di carattere araldico.
Ottenevano molto successo anche i tondelli di vetro, e fra i soggetti
preferiti, in Inghilterra come in Francia, si trovavano i lavori dei mesi;
mentre un altro tema popolare fu quello dei Nove Conquistatori: tre
personaggi biblici, tre dell’età classica e tre re cristiani. Purtroppo la
maggior parte delle vetrate domestiche è andata perduta, qualcuna
però si è curiosamente salvata in vetrate di chiese, come quella della
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Yarnton Church di Oxford, proveniente da una locanda, che
presenta un uccello con un boccale nella zampa e la dicitura “chi
biasima questa birra”.
L’arte medioevale delle vetrate era figlia della chiesa cattolica, per
questo si trovò in pericolo nel XVI sec., quando le rivolte religiose
divisero in due la cristianità. In Inghilterra furono emanate leggi che
ordinavano la distruzione di dipinti e vetrate raffiguranti “finti miracoli,
pellegrinaggi, idolatria e superstizione”, nei Paesi Bassi i Calvinisti,
nel 1556, assaltarono le chiese e distrussero tutte le opere d’arte
ritenute idolatre.
Ma la distruzione non fu la sola conseguenza della Riforma, per le
vetrate: dovunque attecchì il protestantesimo si impiegarono solo
temi storici o araldici.
Per Francia e Spagna il XVI sec. fu un periodo di ricca e felice
produzione, che però in Francia ebbe termine con la fine del secolo,
per un eccesso di stilizzazione senza ispirazione.
Lo stile italiano inizialmente diede nuova vita ad un’arte ormai
troppo statica introducendovi la prospettiva e l’uso di fisionomie più
marcatamente individualistiche per i personaggi, ma poi le leggi della
pittura soppiantarono quelle delle vetrate, facendo perdere l’essenza
di quest’arte: la composizione tramite pezzi separati di vetro
colorato.
A permettere almeno in parte questi cambiamenti fu l’introduzione di
nuove tecniche. L’utilizzo del giallo d’argento, a partire dal XIV sec.,
aveva costituito il primo passo verso la pittura su vetro, ma fu
l’impiego esteso della pittura a smalto, verificatosi a partire dalla
seconda metà del XVI sec., che rese inevitabile il cambiamento e il
declino della vetrata. Con gli smalti i vetrai furono in grado di
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dipingere con vari colori - marrone, rosso, blu, cobalto, verde,
porpora - su un solo pezzo di vetro, fissandoli poi a fuoco. Il vetro
dipinto perdeva gran parte della sua trasparenza luminosa, per di più
lo smalto, col tempo, cade a frammenti. Fu comunque una tecnica
che riscosse grande successo, soprattutto in Francia, Olanda e
Svizzera.
In Svizzera si diffuse l’abitudine, che furoreggiò fino alla fine del XVII
sec., di offrire in regalo piccoli pannelli dipinti a smalto per edifici
profani, raffiguranti, all’inizio, motivi araldici, che in seguito furono
affiancati e surclassati dall’immagine del donatore e della sua
famiglia o da episodi storici. I pannelli si diffusero dalla Svizzera alla
Germania, dove prevalsero soggetti religiosi anche per edifici
profani, i cui principali centri di produzione furono Augusta e
Norimberga. Fu questo settore della pittura su vetro a impedire che
l’arte delle vetrate venisse completamente abbandonata nel XVII e
XVIII sec.
Durante il XVII e il XVIII sec. l’arte delle vetrate arrivò quasi
all’estinzione sia perché coloro che la praticavano la lasciarono
decadere, sia perché gli antichi capolavori vennero distrutti dall’odio
puritano o per indifferenza e incuria.
In Inghilterra la distruzione si scatenò fra il 1642 e il 1653, durante la
guerra civile e il Commonwealth di Cromwell, quando si ordinò che
venissero rimosse tutte le immagini di Maria Vergine e della Trinità,
mentre in Germania e in Francia durante la guerra dei Trent’anni
andarono distrutti moltissimi laboratori di vetrate. La loro perdita si
ripercosse in tutta Europa, perché la Lorena era la principale
produttrice di vetri. Nel 1640 il vetro colorato era già scarso, in breve
tempo fu introvabile.