2
Fu, infatti, l’editto del cardinale Pacca
2
, emanato il 7 aprile 1820 sotto il
pontificato di Pio VII, ad essere considerato il primo ed organico
provvedimento legislativo di protezione artistica e storica che divenne
fondamentale anche fuori dei confini dello Stato pontificio, dal momento
che da esso trassero ispirazione gli altri Stati italiani.
Nella penisola, sull’esempio del provvedimento già citato, numerosi sono i
casi di normative inerenti alla tutela dei beni:
• il decreto 13 maggio 1822 emanato da Ferdinando I di Borbone nel
Regno di Napoli;
• le disposizioni imperiali del 1827 nel Lombardo Veneto;
• la legge 18 aprile 1854 promulgata dal Granduca Leopoldo in
Toscana;
• la tariffa daziaria del 1857 a Modena.
• Ne esistono anche di antecedenti, quali:
• il decreto 13 aprile 1745 emanato da Maria Teresa nel Lombardo
Veneto;
• il decreto 8 giugno 1760 nel ducato di Parma.
Precedenti legislativi, invece, mancano nel Piemonte sabaudo nel quale è
documentata solamente un’iniziativa del 1832 del Re Carlo Alberto
3
.
Questi modelli, dunque, rappresentano il primo segno della consapevolezza
della necessità di salvaguardia dalla dispersione di un ingente patrimonio.
2
Fu questo provvedimento, volto a tutelare le opere d’arte dopo le razzie napoleoniche, a disciplinare
l’organizzazione amministrativa dei servizi necessari all’individuazione, controllo degli oggetti di
antichità e di arte ed all’esecuzione delle disposizioni che esso contiene.
Esso conteneva, inoltre, disposizioni per le commissioni ausiliarie di belle arti, istituite nelle legazioni e
delegazioni dello Stato pontificio per l’attuazione delle norme contenute nell’editto. Sono direttive
impartite alle commissioni cui era affidata la conservazione del patrimonio, da seguire nella valutazione
degli oggetti che dovevano ritenersi sottoposti a quella disciplina. Tale regolamento rimase in vigore
nello Stato pontificio fino all’annessione del territorio al regno d’Italia.
3
Essa riguarda la costituzione di una giunta di antichità e belle arti, incaricata di proporre provvedimenti
per la conservazione e la ricerca di oggetti antichi e d’arte. Vedi T.ALIBRANDI – P.FERRI, I beni
culturali e ambientali, Milano, 1995, pag 3.
3
Tuttavia, è da rilevare il fatto che manca ancora una motivazione che si
riconducesse all’idea di una ricchezza nazionale, entità culturale della
collettività.
A questo ovviò il già menzionato editto del Cardinale Pacca
4
.
Dopo l’unificazione d’Italia modeste furono le iniziative legislative e
“finirono col restare in piedi le norme che erano in vigore nei preesistenti
ordinamenti dei singoli stati preunitari”
5
.
Fino al 1909.
Il 20 giugno di quell’anno venne promulgata la legge n. 364
6
che,
rappresentando un grande progresso rispetto a quelle precedenti,
contemplava cose mobili ed immobili che avessero interesse storico -
artistico - archeologico, escludendo gli oggetti di autori viventi o risalenti a
meno di cinquanta anni.
A questa seguitò il regio decreto 30 gennaio 1913
7
, n. 363 che approvava
l’esecuzione delle leggi 364/1909 e 688/1912 per le antichità e le belle arti.
In esso si stabiliva la vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione sulle
cose mobili ed immobili di proprietà statale, per quanto riguardava la loro
conservazione; la denuncia alla Soprintendenza competente nel caso in cui
il deterioramento potesse compromettere l’integrità del bene; la
comunicazione al Ministero dell’Istruzione di tempestivi lavori, in casi di
4
Esso, infatti, merita ancora una volta di essere ricordato per aver avvertito l’importanza di strumenti
conoscitivi atti ad accertare la consistenza del patrimonio oggetto di tutela, prevedendo la necessità della
catalogazione che doveva operare con una denuncia descrittiva dei singoli oggetti da effettuarsi alla
Commissione di belle arti. Ibidem, pag. 5.
5
Ibidem
6
Essa venne corredata da un regolamento costituito da 188 articoli ed approvato con R. D. 30 gennaio
1913, n. 363. Nei successivi decenni, questa normativa generale è stata integrata da alcune leggi speciali:
il R. D. 31 dicembre 1923, n. 1889 per la compilazione del catalogo dei monumenti e delle opere di
interesse storico - archeologico - archivistico; il regolamento 26 agosto 1927, n. 1917 per la custodia,
conservazione e contabilità del materiale artistico, archeologico, bibliografico e scientifico; il R. D. L. 15
aprile 1937, n. 623, convertito nella legge 7 giugno 1937, n. 1015, sulla tassa di esportazione di cose di
interesse archeologico ed artistico.
7
Il regio - decreto 363/1913, intitolato “Regolamento in esecuzione alle leggi 20 giugno 190, n. 364 e 23
giugno 1912, n. 688, per le antichità e belle arti”, venne pubblicato sulla G.U. n. 130 del 5 giugno 1913.
4
grande urgenza; il divieto di effettuare calchi dagli originali di opere di
rilievo in genere.
Si giunse, poi, alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, la prima legge oggetto di
paragone che verrà esaminata in relazione alla legge 7 marzo 2001, n. 78 ed
alla stesura, nella Costituzione italiana
8
, dell’articolo 9 dedicato alla dignità
legislativa del patrimonio culturale ed ambientale: “La repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela
il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”.
Ne seguirono molte altre che non verranno, qui, menzionate poiché prive di
interesse per il tema di studio della tesi
9
.
Nel 1964 (legge 26 aprile, n. 310), con l’istituzione di una “Commissione
di indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose di interesse storico,
archeologico, artistico e del paesaggio” (denominata “Commissione
Franceschini”
10
, dal nome del suo presidente), la protezione del patrimonio
culturale ed ambientale divenne obbiettivo di un’azione pubblica più
consapevole ed efficace.
Tale Commissione fu la prima ad adottare la locuzione di bene culturale
11
,
definendolo come quello che “costituisca testimonianza materiale avente
8
La Costituzione della Repubblica Italiana, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947,
promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947, è entrata in vigore il 1° gennaio 1948
(G.U. 27 dicembre 1947, n. 298, ed. straordinaria).
9
Le normative in questione sono: il regio - decreto 7 novembre 1942, n. 1564, intitolato “Approvazione
delle norme per l’esecuzione, il collaudo e l’esercizio degli impianti tecnici che interessano gli edifici
pregevoli per arte e storia e quelli destinati a contenere biblioteche, archivi, musei, gallerie, collezioni e
oggetti di interesse culturale”; la legge 21 dicembre 1961, n. 1552, dal titolo “Disposizioni in materia di
tutela di cose di interesse artistico e storico.
10
La Commissione fu costituita da ventisette membri (il Presidente Franceschini, i vice - presidenti
Romagnoli, Carrettoni e Marangone) nominati dal Consiglio dei Ministri con decreto presidenziale.
Il lavoro consistette nel tracciare una mappa di varie problematiche, quali gli oggetti della tutela (beni
culturali), le procedure (modi di salvaguardia e valorizzazione), l’organizzazione amministrativa
(strutture e personale).
11
In una sentenza della Corte costituzionale del 1997 i valori culturali sono stati ritenuti addirittura
superiori a quelli concernenti la salute del cittadino.
5
valore di civiltà”
12
, enucleando due aspetti importanti: la materialità delle
cose e la loro attitudine ad esprimere un valore.
Tuttavia tale espressione non trovò immediatamente posto nella
legislazione nazionale ed è significativo che la legge 310/1964, istitutiva
della Commissione, parlasse ancora di “indagine per la tutela e la
valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del
paesaggio”.
La nuova terminologia per la prima volta, probabilmente, venne utilizzata
nella Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto
armato, svoltasi all’Aja nel maggio 1954.
“Di patrimonio culturale e di attività culturali si parla anche nella
Convenzione culturale europea (Parigi, 19 dicembre 1954) per favorire lo
studio della lingua, della storia e della civiltà dei paesi firmatari della
Convenzione; una lunga ed articolata elencazione di beni culturali torna
nella Convenzione concernente le misure da prendere per vietare e
impedire ogni illecita importazione, esportazione e trasferimento di
proprietà riguardanti beni culturali (Parigi, 14 novembre 1970), ratificata in
Italia con l. 30 ottobre 1975, n. 873; mentre la nozione di patrimonio
culturale si affina e precisa ulteriormente sia nell’art. 4 della Convenzione
12
La suddetta espressione venne adottata, per la prima volta, in un documento ufficiale: la Dichiarazione
I compresa nei tre volumi conclusivi del lavoro della Commissione, dal significativo titolo Per la salvezza
dei beni culturali in Italia, Roma, 1967. Venne ripresa, poi, dalle due Commissioni Papaldo (istituite dal
Governo il 9 aprile 1968 ed il 31 marzo 1971), per molti aspetti convergenti con le indicazioni della
Commissione Franceschini. Fu ufficializzata con il decreto legislativo 14 dicembre 1974, n. 657,
convertito nella legge 5/11975, che istituisce il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali; è stata, infine,
utilizzata nella successiva legislazione (D. P. R. 805/1975, D. P. R. 616/1977).
Secondo la Commissione, inoltre, i limiti della legislazione del 1939 consistevano nell’insufficiente
nozione di “bene culturale”, nell’assenza di adeguati sistemi di catalogazione, nella prevalenza del valore
economico-amministrativo del bene rispetto a quello culturale. Tra le novità proposte risultano: la
classificazione dei beni culturali statali come demaniali (ad eccezione di quelli ambientali), sottoponendo
altresì al regime legale i beni di soggetti pubblici o privati; il decentramento dei provvedimenti tutelari ai
vari Sovrintendenti; l’obbligo di custodia - manutenzione - restauro dei beni.
6
del 1970 che nell’art. 1 della successiva Convenzione per la protezione del
patrimonio mondiale culturale e naturale (Parigi, 16 novembre 1972).”
13
.
Ulteriori leggi promulgate in seguito furono:
• la “legge - ponte” n. 765 del 1967 per la pianificazione urbanistica in
ambito storico - artistico - paesaggistico;
• la legge 1 marzo 1975, n. 44 intitolata “Misure intese alla protezione
del patrimonio archeologico, artistico e storico nazionale”;
• il D. P. R. 24 luglio 1977, n. 616 per l’attuazione della delega
dell’articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382;
• la legge 2 agosto 1982, n. 512 sul regime fiscale dei beni di rilevante
interesse culturale.
Fanno seguito il Regolamento CEE 9 dicembre 1992, n. 3911 (il nuovo
ordinamento degli archivi di Stato), la legge 30 marzo 1998, n. 88 (riguardo
alla circolazione dei beni culturali, conseguente la direttiva CEE 15 marzo
1993, n. 93/7, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illegalmente
dal territorio di uno Stato membro).
13
Vedi ALIBRANDI – FERRI, Ibidem, pag 16.
7
LA LEGGE 7 MARZO 2001, N. 78: PRODROMI.
Accanto agli strumenti legislativi di cui si è fatto accenno pocanzi, oltre
alla già citata legge 1089/1939, vanno menzionati quelli che rappresentano
la reale materia di indagine di questa tesi: il D. Lgs. 29 ottobre 1999, la
legge 7 marzo 2001, n. 78
14
ed il D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
La legge 78/2001 “colma una lacuna da tempo avvertita non solo dagli
storici e da numerose associazioni, ma anche da quanti abitualmente od
occasionalmente hanno modo di frequentare il vastissimo territorio a suo
tempo interessato dalle operazioni militari nel periodo 1915-1918. Quanto
rimane ormai sulle varie linee dell’antico fronte (dopo la prolungata
esposizione agli agenti atmosferici quasi sempre in assenza di adeguata
manutenzione e gli interventi, talvolta distruttivi, degli appassionati
ricercatori di reperti) meritava senz’altro l’interessamento, anche se
colpevolmente tardivo, del legislatore.”… “le aree ove insistono le opere
militari e gli altri manufatti non sono rimaste, almeno in teoria, esenti da
tutela grazie a disposizioni di legge…contenute nel Testo Unico sui Beni
Culturali ed ambientali. La legge n. 78, tuttavia, ha inteso non solo
riconsiderare alcuni aspetti di tale tutela ma ha anche introdotto norme
finalizzate in modo specifico alla conservazione e manutenzione del
patrimonio storico della guerra mondiale del 15-18.”
15
Lo scopo di questa tesi è quello di relazionare, per la prima volta,
normative che abbiano ad oggetto beni culturali vari (e generici) con una
14
La legge è stata pubblicata sulla G.U. n. 75 del 30 marzo 2001 ed è entrata in vigore il 31 marzo 2001,
in base alla disposizione prescritta all’articolo 13.
15
L.RAMACCI, Brevi note sulla legge 7 marzo 2001 N. 78 in tema di tutela del patrimonio storico della
prima Guerra Mondiale, consultabile sul sito www.lexambiente.com
8
legge che contempla esclusivamente un patrimonio molto particolare e
circoscritto: le vestigia della Prima guerra mondiale.
Combattuta fra la più semplice e primitiva fortificazione difensiva
costituita da un fossato scavato nel terreno per mettere i soldati al riparo dal
fuoco, la trincea, il primo grande conflitto “si caratterizzò per
l’applicazione intensiva e sistematica dei nuovi ritrovati della tecnologia
alle esigenze della guerra. Artiglierie pesanti, fucili a ripetizione e
mitragliatrici giocarono un ruolo decisivo nei combattimenti, ma non
costituirono delle novità assolute. Del tutto nuova e sconvolgente fu invece
l’introduzione di nuovi mezzi d’offesa subdoli e micidiali come le armi
chimiche, gas che venivano indirizzati verso le trincee nemiche provocando
la morte per soffocamento di chi li respirava. Oltre a stimolare la
produzione in grande serie di armi vecchie e nuove, la guerra sollecitò
notevolmente lo sviluppo di settori relativamente giovani, come quello
automobilistico, o che stavano movendo i primi passi, come l’aeronautica
e la radiofonia….L’impiego sempre più massiccio dei mezzi motorizzati
consentì di far affluire rapidamente enormi masse di soldati dalle retrovie al
fronte…Nel corso della guerra la produzione di aerei conobbe un enorme
incremento (ne furono costruiti circa 200.000)…Nei primi anni del
conflitto gli aerei furono usati soprattutto per la ricognizione, oltre che per
la “caccia” (cioè l’azione contro altri aerei e, in genere, contro obbiettivi
mobili nemici). Altrettanto stentati furono gli esordi di un altro futuro
protagonista delle guerre del ‘900: il carro armato. I primi mezzi corazzati,
le autoblindo (ossia autocarri ricoperti da piastre d’acciaio e muniti di
mitragliatrici), erano limitati nel loro impiego dal fatto di potersi muovere
solo su strada. Il passo successivo consistette nel sostituire le ruote con i
cingoli…Sperimentati per la prima volta nel 1916 dagli Inglesi, i carri
armati furono impiegati in modo massiccio e con discreto successo, sempre
9
dagli Inglesi, solo nel novembre del ’17… Fra le nuove macchine belliche
sperimentate in questi anni, una sola influì in modo significativo sul corso
della guerra: il sottomarino. Furono soprattutto i tedeschi a intuire la
possibilità del nuovo mezzo e a servirsene sia per attaccare le navi da
guerra nemiche, sia per affondare senza preavviso le navi mercantili, anche
di paesi neutrali, che portavano rifornimenti verso i porti dell’Intesa.
Nonostante il numero limitato dei mezzi disponibili, la guerra sottomarina
si rivelò subito un’arma molto efficace.”
16
.
Quanto sopraccitato rientra nell’ambito di riferimento delle vestigia della
Grande guerra.
Queste orme, segni della memoria (dal latino vestigium, traccia),
rappresentano cose mobili ed immobili aventi diretto od indiretto rapporto
con l’evento storico che sconvolse il mondo all’inizio del ventesimo
secolo; rappresentano o simboleggiano quanto accadde sia sui fronti di
combattimento che in zone “civili”.
Sono portatrici di valore storico e culturale perché testimoniano
materialmente eventi storici (militari e politici) e tutte quelle scienze,
tecniche e discipline che furono strettamente relazionabili alla prima
guerra mondiale.
In quanto tali, esse sono rientrate a pieno titolo in un contesto di tutela vera
e propria, poiché meritevoli di protezione dall’ “usura del tempo e degli
agenti atmosferici da un lato, la curiosità e l’interesse non sempre
correttamente orientato degli uomini dall’altro,…”
17
.
Eppure fanno parte di una categoria che, apparentemente, viene relegata in
secondo piano: i beni culturali minori.
16
Vedi A.GIARDINA – G.SABBATUCCI – V.VIDOTTO, Manuale di storia, L’età contemporanea,
vol. 3, Bari, 1997, pp. 460-461.
17
Vedi D.RAVENNA – G.SEVERINI, Il patrimonio storico della grande guerra, commento alla legge 7
marzo 2001, n. 78, Udine, 2001, pag. 64.
10
Nulla di più sbagliato.
“Minore” non significa “di minor importanza”.
E’ un appellativo avente il mero scopo di distinguere tale genere da quello
più generico a cui siamo abituati.
Sono beni per i quali non sussiste il problema della irripetibilità: il bene
minore non è quello per cui sia necessario riconoscerne la rarità di forme,
materiali, tecniche.
Essi, inoltre, sono soggetti ad una tutela a basso regime perché la legge in
questione è volta ad incentivare ed a sostenere piuttosto che a vietare.
La legge n. 78 del 2001 non è la sola a concernere la tutela delle vestigia
legate alla Grande guerra, ma venne promulgata successivamente ad altri
provvedimenti analoghi.
Pochi anni dopo il termine del conflitto, nel 1922, venne emanato il regio
decreto-legge n. 1386 dichiarante “monumenti alcune fra le (zone) più
cospicue per fasti di gloria del teatro di guerra 1915-1918”
18
; esso faceva
riferimento a quattro massicci montuosi del Trentino, Veneto, Friuli-
Venezia Giulia e Toscana (rispettivamente i monti Pasubio, Grappa,
Sabotino, S. Michele), indicandone anche la limitazione territoriale, con
l’intento di celebrare e rafforzare il loro carattere simbolico.
Ben quarantacinque anni dopo viene presentato un “aggiornamento” con la
legge 27 giugno 1967, n. 534 per il “Riconoscimento alla zona di Castel
Dante in Rovereto e alle zone di Monte Ortigara del carattere di
monumentalità ai sensi del regio - decreto 29 ottobre 1922, n. 1386,
convertito nella legge 16 giugno 1927, n. 985”.
Composta da un unico articolo, questa legge introdusse, però, un elemento
nuovo: oltre all’amministrazione militare entra in scena anche il Ministero
18
Convertito dalla legge 16 giugno 1927, n. 985.
11
della Guerra per la vigilanza sugli ex campi di battaglia, contemplati, ora,
quali luoghi monumentali.
Trascorrono ancora otto anni perché venga emanata una seconda legge: la
n. 719 del 5 dicembre 1975, dal titolo “Dichiarazione del carattere di
monumentalità per la zona Punta Serata della Marmolada nel comune di
Rocca Pietre (Belluno)”, della quale appare chiaro il contenuto.
Accanto a questi strumenti legislativi statali vanno considerati anche quelli
regionali e provinciali che, dal 1980 al 2000, hanno disposto regole a tutela
del patrimonio del Primo grande evento bellico
19
: le leggi provinciali di
Trento del 14 febbraio 1980, n. 2 e del 27 agosto 1987, n. 16; la legge
regionale del Veneto del 16 dicembre 1997, n. 43; le leggi regionali del
Friuli - Venezia Giulia dell’ 8 maggio 2000, n. 10 e del 21 luglio 2000, n.
14.
Tutte queste normative sopramenzionate possono essere considerate il
punto di partenza della legge 78/2001 dal momento che quest’ultima non le
ha abrogate.
Anche i codici civile e penale, nonché quelli procedurali, citano i beni
oggetto delle normative passate in rassegna.
Il c. p. p spiega che sono beni immobili quelli che non possono essere
spostati normalmente da un luogo all’altro senza che ne resti alterata la loro
struttura o destinazione (case, terreni); la nozione di beni mobili si ricava
per esclusione.
19
Sono state proprio le regioni e le province autonome ad affrontare il tema dei beni culturali in termini
nuovi, a partire dalla metà degli anni ’90. Al riguardo si ritiene opportuno sottolineare una problematica
emersa in seno all’approvazione della legge regionale del Veneto recante “Interventi per il censimento, il
recupero, la valorizzazione di particolari beni storici, architettonici e culturali della grande guerra”: il
Governo bloccò la sua promulgazione poiché sovrappose i beni in questione con i “beni culturali”
propriamente detti e rivendicò, in tal modo, l’esclusiva statale degli interventi sui beni di propria
appartenenza.
12
Il c. p., all’articolo 733, menziona il danneggiamento al patrimonio
archeologico, storico o artistico nazionale.
Il c. p. c. indica che cosa si intenda per beni mobili (i beni che, pur non
insistendo sul suolo, non formano con questo un corpo unico) ed immobili
(i beni che formano, naturalmente od artificialmente, un corpo unico con il
suolo e non possono essere asportati da questo senza che ne sia alterata la
destinazione).
Il c. c., all’articolo 822, fa riferimento sia agli “immobili riconosciuti di
interesse storico, archeologico e artistico…; le raccolte dei musei, delle
pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche…” quali beni appartenenti al
demanio pubblico, sia al patrimonio statale, provinciale e comunale.
Giunti, così, all’inizio del ventunesimo secolo sembrerebbero trascorsi anni
luce da quel lontano 11 novembre 1918 (anno della fine della guerra);
eppure, proprio dopo ottantatre anni la Commissione istruzione del Senato
approvò la legge tutelante il patrimonio storico di quella guerra che si
combatté decenni prima.
Il provvedimento in questione intende regolare e sostenere quelle iniziative
moltiplicatesi negli ultimi anni, volte a difendere, conservare, restaurare,
valorizzare il patrimonio storico della Grande guerra: beni oggetto di una
salvaguardia non tanto ablativa, quanto a vigilanza “leggera”, fatta più di
servizi e di sostegno che di direzioni autoritarie.
Potrebbe non aver alcun senso logico, a prima vista; ma la memoria, il
ricordo, non hanno tempo e lo testimoniano anche alcune vestigia realizzate
successivamente, poiché i vari beni oggetto della tutela non si limitano a
quelli esistenti durante le ostilità, ma ne rientrano anche gli altri manufatti
dal momento che essi risultano comunque collegati a tali eventi e costruiti
nei luoghi ove gli stessi avvennero, costituendone parte integrante, come
nel caso del Monumento al Marinaio d’Italia (realizzato nel 1933, su
13
progetto dell’architetto Luigi Brunati e dello scultore Amerigo Bartoli, esso
commemora i caduti dei due conflitti mondiali. Realizzato in pietra di
carparo e di Trani, a forma di un gigantesco timone di nave alto 54 metri
dal piazzale superiore e 68 da quello sottostante, all’interno “ospita” ben
5.922 nomi scolpiti di marinai caduti durante il Primo conflitto. Venne
inaugurato il 4 novembre 1933 alla presenza del re Vittorio Emanuele III e
di moltissime altre importanti personalità).
Ciò testimonia una coscienza improntata a voler e dover difendere quanto
si trova di fronte ai nostri occhi e che rimarrà (si spera) indelebile nelle
menti.
Perché il passato, glorioso o non che sia, non va dimenticato.
14
CAPITOLO I
LA LEGGE 78/2001 E LE LEGGI REGIONALI A
CONFRONTO
Un discorso a parte
20
merita il confronto fra la legge di tutela del
patrimonio storico della Prima guerra mondiale e la serie di normative
regionali e provinciali che coinvolgono la regione autonoma Friuli -
Venezia Giulia, la regione Veneto e la provincia autonoma di Trento.
Le leggi in questione sono:
• la legge 8 maggio 2000, n. 10 – “Interventi per la tutela,
conservazione e valorizzazione dell’architettura fortificata del Friuli –
Venezia Giulia” (regione autonoma Friuli-Venezia Giulia);
• la legge 21 luglio 2000, n. 14 – “Norme per il recupero e la
valorizzazione del patrimonio storico-culturale e dei siti legati alla prima
guerra mondiale” (regione autonoma Friuli-Venezia Giulia);
• la legge 16 dicembre 1997, n. 43 – “Interventi per il censimento, il
recupero e la valorizzazione di particolari beni storici, architettonici e
culturali della Grande Guerra” (regione autonoma Veneto);
20
Tale frase introduttiva è motivata dal fatto che si tratta, ora, di effettuare confronti tra la legge statale
78/2001 e leggi regionali o provinciali; un paragone, quindi, di volta in volta specifico per singole
normative di regioni differenti.
15
• la legge 14 febbraio 1980, n. 2 – “Nuove disposizioni in materia di
catalogazione del patrimonio storico, artistico e popolare del Trentino e del
relativo inventario” (provincia autonoma di Trento);
• la legge 27 agosto 1987, n. 16 – “Disciplina della toponomastica”
(provincia autonoma di Trento).
Regione autonoma Friuli - Venezia Giulia.
Nel primo raffronto il termine di paragone esaminato è la regione autonoma
Friuli - Venezia Giulia.
Pertanto le leggi qui di seguito considerate saranno le prime due elencate
nelle righe soprastanti, corrispondenti alle date 8 maggio 2000, n. 10 e 21
luglio 2000, n. 14
21
.
Tenendo conto dell’ambito di riferimento delle suddette normative, cioè
tutela, conservazione, valorizzazione del patrimonio storico - culturale e dei
siti legati alla Prima guerra mondiale e, più in particolare ancora,
dell’architettura fortificata relativa all’evento bellico, la comparazione
risulta essere serrata dal momento che tali leggi riguardano proprio ed
esclusivamente le vestigia del primo Conflitto mondiale.
Non più, dunque, l’inglobamento o meno della legge 7 marzo 2001, n. 78
in altri provvedimenti, ma un parallelismo tra leggi concernenti il
medesimo oggetto di indagine e tutela.
21
La prima legge regionale riguardante le attività culturali risale al 30 marzo 1973, la n. 23, concernente
la disciplina degli interventi per lo sviluppo delle suddette attività nella regione. Altra importante
normativa è quella fissata dalla legge 21 luglio 1971, n. 27 che istituì un sistema di inventario e di
catalogazione del patrimonio regionale culturale ed ambientale: tale legge comprendeva beni
archeologici, storici, artistici, ambientali, urbanistici, archivistici, bibliografici, documentari.
Per quanto riguarda i beni ambientali, invece, le normative di riferimento sono: le leggi 13 marzo 1972, n.
6 (concernente le provvidenze regionali per la salvaguardia dei valori ambientali, storici ed artistici della
città di Grado e per promuovere sistemazioni urbanistiche dei centri archeologici, delle fortezze, dei
borghi medioevali e di altre zone di notevole valore ambientale della Regione) e 9 aprile 1968, n. 23
(concernente norme in materia urbanistica).