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dalla capacità dell’individuo di non trasgredire ma di rispettare e attenersi ai modelli di
moralità, socialità, e stile di comportamento che la società dispone. La famiglia in questa
cornice agisce come mediazione fra la società e l’individuo. La famiglia ha subito nel tempo
alcuni cambiamenti nella sua struttura: si è progressivamente dissolta la famiglia
“patriarcale”, basata sul concetto e sul mito dell’autorità paterna, laddove i vincoli di
parentela si sono allentati. Così si è passati da una centralità nell’educazione dei figli delle
funzioni strumentali della famiglia tradizionale, legate alla trasmissione dell’eredità culturale,
sociale ed economica, a un’importanza sempre maggiore delle funzioni espressive, imperniate
sul ruolo delle componenti squisitamente affettive e relazionali. Su questi assunti si tornerà
più volte lungo l’arco del lavoro. Vi è stato un passaggio epocale dalla famiglia tradizionale
“allargata” (costituita da un aggregato parentale esteso) alla moderna famiglia “coniugale” o
“nucleare”. Questa seconda tipologia familiare, ridotta nel numero dei suoi membri, sembra
più concentrata e immersa nello svolgimento dei compiti legati alla sfera affettiva e
relazionale.
Con l’avvento della società industriale anche per la famiglia si verifica una progressiva
“soggettivizzazione”, che si rende tangibile in una trasformazione dei rapporti interpersonali
tra moglie e marito e tra genitori e figli. All’interno della famiglia emerge ciò che possiamo
definire relazionalità espressiva, come forma di amore che presuppone il coinvolgimento di
entrambi i coniugi in una posizione paritaria. Possiamo riferirci al modello simmetrico della
famiglia, caratterizzato dall’intercambiabilità dei ruoli, che si è andato affiancando a quello
nucleare, di pari passo alla progressiva evoluzione del ruolo femminile.
Infatti i cambiamenti nella famiglia sono legati all’acquisizione dei diritti nella società e nel
lavoro da parte delle donne. L’autorità all’interno del contesto familiare, intesa come
subordinazione consensuale, dal lato del subordinato, la moglie, o come facoltà riconosciuta
di dare comandi, dal lato del sovraordinato, il marito, viene meno a causa del progressivo
imporsi dell’affettività come principale collante della relazione sia fra uomo e donna sia tra
genitori e figli. Oltre alle funzioni biologiche riproduttive, e quelle psicologiche-affettive in
seno alla maturazione della personalità individuale, la famiglia di oggi incorpora e si assume
la responsabilità anche di una funzione sociale (assunzione dei ruoli sociali), economica
(gestione del budget familiare in termini di consumo, risparmio, investimento), e culturale
(funzione di integrazione culturale e simbolica svolta).
Si può affermare che la struttura relazionale tipica della famiglia contemporanea,
caratterizzata da una forte dipendenza dei nuovi nati dai genitori, è un elemento che fa dei
genitori un nucleo fondamentale e insostituibile ai fini dell’assolvimento della funzione di
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cura dei nuovi nati. L’identità familiare si fonda sulla centralità dell’atto educativo come
disposizione all’interno della quale si concretizza lo scambio relazionale e comunicativo fra le
generazioni. Di tale identità è parte sia la reciprocità, come incontro con l’altro, sia
l’asimmetria, riconducibile alla diversità di età, esperienze e patrimoni culturali posseduti.
La concezione moderna dell’infanzia è basata sulla considerazione del bambino come “bene
in sé”, investimento affettivo che coinvolge entrambi i genitori. La centralità del bambino
nella famiglia è determinata d’altronde dalla pianificazione delle nascite e dalla
considerazione della filiazione come scelta consapevole. Inoltre c’è stato un forte
ridimensionamento dell’estensione numerica dei componenti della famiglia: questo, se da un
lato comporta un maggior investimento affettivo nei figli, dall’altro implica la sottrazione per
questi ultimi di quei meccanismi di imitazione e competizione innescati dai rapporti
intergenerazionali, a causa della riduzione dei possibili modelli di adulto e del numero di
fratelli e sorelle presenti in famiglia. Adesso, concentrata nelle figure del genitore e del figlio,
la relazionalità all’interno della famiglia si realizza attraverso dinamiche che tendono ad
introdurre elementi di reciprocità, sottraendo spazio al tradizionale concetto di autorità. Può
capitare che nel rapporto tra genitori e figli vengano introdotti elementi di parità: infatti
l’asimmetria relazionale arriva al rovesciamento del rapporto quando il figlio educa i genitori
spingendoli a riflettere sull’esperienza stessa della genitorialità. Possiamo quindi ritenere la
relazione genitori-figli come bilaterale: entrambi si controllano e socializzano a vicenda ed
entrambi sono fonti di informazione. Si riscontra un crescente processo di complessificazione
della società, che spinge contemporaneamente alla individualizzazione e al pluralismo: in
questo contesto la socializzazione familiare è centrale in quanto elemento di sicurezza e
ancoraggio per l’identità individuale. Si può dire anche che il compito più importante di un
genitore è imparare a intuire con partecipazione empatica il senso che possono avere le cose
per suo figlio, e adeguando poi la propria condotta di conseguenza; in questo modo farà ciò
che va nella direzione del bene di entrambi, rendendo più profondo e positivo il loro rapporto.
Il modo idoneo per riuscirci, per acquisire questa disposizione relazionale, fa leva sulla
possibilità di richiamare alla memoria che cosa avesse significato, per lui genitore, quando era
a sua volta bambino o adolescente, una situazione analoga, e sulla capacità di pensare nel
giusto modo a come avrebbe desiderato che i propri genitori si ponessero in quella data
situazione di rapporto affettivo conformemente ai propri limiti. In tal modo è possibile
utilizzare creativamente le proprie esperienze di vita, che acquisteranno un nuovo e più
profondo significato a mano a mano che vengono richiamate alla mente alla luce del proprio
essere genitori. Si sa che educare i figli è un’impresa creativa, un’arte più che una scienza.
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Come tiene a dire Daniel Stern “ Così non c’è una storia uguale ad un’altra, perché non c’è
un bambino uguale ad un altro, e ognuno fa i suoi speciali cambiamenti all’interno del nido
di amore che è la famiglia”( Stern 1987, pp. 84-88 ).
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INTRODUZIONE
Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di cercare di mettere a fuoco da un punto di vista
psicodinamico le molte implicazioni per la funzione genitoriale e per lo sviluppo affettivo del
bambino dei notevoli cambiamenti a cui è stata sottoposta la famiglia negli ultimi decenni, alla luce
delle sue importanti trasformazioni socioculturali.
Il punto di vista psicodinamico concorre con altri punti di vista nell’ambito della psicologia e delle
scienze umane nel tentativo di definire le componenti della personalità e la complessità dell’uomo
nelle sue molte dimensioni dentro la sfera della socialità, ma si segnala in modo particolare per
un’attenzione precipua per la natura delle relazioni affettive intime, a partire da quelle che vedono
coinvolto il neonato e il bambino piccolo nell’interazione quotidiana con i genitori e gli agenti di
cure, nel processo di strutturazione del Sé e del carattere.
Affrontare il tema di questa tesi da un punto di vista psicodinamico ha voluto significare dunque
vederlo alla luce dei risvolti diretti e indiretti che i mutamenti socioculturali della famiglia hanno
sul costituirsi di quei climi e di quelle atmosfere familiari che influenzano alla radice l’emergere del
Sé del bambino.
In quest’ottica, dopo una nutrita e sufficientemente ampia panoramica sui cambiamenti strutturali
del nucleo familiare nell’ottica dei principali modelli sociologici e pedagogici, il lavoro ha attinto a
piene mani nella parte centrale e conclusiva del lavoro dai modelli psicodinamici della teoria delle
relazioni oggettuali e della teoria dell’attaccamento, che con il loro accento sulla precoce socialità
del bambino e sulla centralità delle relazioni interpersonali interiorizzate rappresentano uno
strumento fondamentale di comprensione del tramite tra struttura della famiglia e sviluppo
dell’affettività nel bambino. Un concetto fondamentale su cui si insiste per larga parte del lavoro è
che l’abbandono di un modello autoritario di ruolo genitoriale per via della crisi dei valori
tradizionali nella nostra società del dopoguerra ha aperto la strada a nuove importanti declinazioni
della funzione genitoriale, in senso più empatico, più contenitivo, meno vincolato da restrizioni e
più vicino alla sensibilità dei bambini e delle giovani generazioni.
Tuttavia in conformità di altri mutamenti tale cambiamento è stato altresì portatore di altre
implicazioni non esenti da componenti psicopatologiche. Il passaggio che si è riscontrato in
particolare da una società di tipo nevrotico a una società di tipo narcisistico in cui sono centrali i
valori di conformismo, edonismo e narcisismo, incoraggia fenomeni di individualismo e di
negazione della dipendenza affettiva nelle relazioni affettive intime che non possono non avere una
ricaduta patologica sulle relazioni dentro la famiglia e sullo sviluppo affettivo del bambino fin dalla
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precoce età. Ciò che si sostiene in pratica è che un certo modello di interazione genitoriale
all’interno della famiglia incoraggia una trasmissione della patologia narcisistica tra genitori e figli,
di cui il figlio tende a mascherare gli effetti almeno fino all’adolescenza o alla prima età adulta,
momenti nei quali il più duro impatto della realtà sociale pone inevitabilmente a contatto
l’individuo con le difficoltà della vita, e anche mette alla prova dunque la solidità della sua struttura
caratteriale.
Fenomeni come la crescente genitorializzazione dei figli, il permissivismo esasperato,
l’allentamento del confine tra le generazioni, hanno una spiegazione in quest’ottica come parte di
una più profonda, pervasiva e significativa diffusione di tratti della patologia narcisistica, volti a
promuovere processi di evacuazione anziché di elaborazione della sofferenza psichica attraverso le
relazioni familiari. Ciò sembra porsi sia come una delle cause fondamentali del cosiddetto disagio
giovanile, sia come base di quelli che sembrano nuovi processi se non di vera e propria
deresponsabilizzazione, di maggiore difficoltà nella presa in carico dei figli e nell’assunzione da
parte dei giovani adulti del ruolo genitoriale. Su questo punto si tornerà più volte nel lavoro, in
modo particolare nell’ultima parte.
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CAPITOLO PRIMO
Cambiamenti strutturali della famiglia alla luce delle trasformazioni socioculturali degli
ultimi decenni
1. Definizione e inquadramento del concetto di famiglia nelle scienze umane:
uno sguardo sull’identità familiare
Per avere un’idea dell’entità dei cambiamenti che si sono verificati nella famiglia italiana nel
corso degli ultimi decenni basterebbe confrontare le definizioni di “famiglia” contenute in due
documenti ufficiali, che in un certo modo segnano le tappe di un percorso tuttora aperto. Da
un lato, la riforma del diritto di famiglia (1975) si rifà ancora al principio contenuto nella
Costituzione che definisce la famiglia nei termini di una “società naturale fondata sul
matrimonio”; dall’altro, un recente decreto presidenziale (1994) vede in essa “un insieme di
persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli
affettivi” ( vedi ad es. Donati 1998, pp. 120-130 ), la cui unica condizione imprescindibile è la
coabitazione delle persone e la residenza nello stesso Comune.
A parte la valutazione che ognuno di noi può dare circa la validità e i limiti di ciascuna delle
due definizioni (la prima è impegnata nella difesa di valori tradizionali, la seconda nello
sforzo di comprendere tutto l’esistente), colpisce comunque il fatto che una registrazione di
cambiamento così notevole sussista anche in Italia, malgrado quanto risulta dalle ricerche
sociologiche e demografiche più accreditate, secondo cui i processi di cambiamento e di
trasformazione della famiglia sono molto meno evidenti e meno rapidi in Italia che nella
maggior parte degli altri Paesi occidentali.
L’Italia cioè resterebbe, per ora, come sostiene Barbagli ( 1984, pp. 41-45 ) una nazione
caratterizzata da una cultura familistica più tenace e più legata alle tradizioni di quanto non sia
avvenuto e non avvenga altrove, soprattutto nel Nord-Europa e negli Stati Uniti. Il
matrimonio è diventato un rapporto sempre più fragile e instabile, e la famiglia coniugale, che
su di esso si basa, ha perso a poco a poco di importanza, lasciando spazio ad altri tipi di
famiglia.
La “norma” dunque non è più rappresentata, neppure in Italia, da un nucleo familiare stabile,
nel quale la coppia genitoriale sviluppa una sorta di divisione di compiti nel processo di
socializzazione primaria dei figli; ma è rappresentata piuttosto da un contesto relazionale
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fragile in cui la normalità è diventata “improbabile”, e che richiede perciò di essere
considerata e gestita con modalità nuove, in un’ottica che tenga conto della complessità nella
quale viviamo. Diminuiscono sempre più (in termini statistici) le probabilità che un bambino
nasca e si sviluppi rimanendo stabilmente con i propri genitori naturali, mentre aumentano le
probabilità che egli debba affrontare eventi quali la separazione o il divorzio tra i genitori,
l’affidamento a uno di essi con possibili cambiamenti successivi, la sostituzione di uno dei
genitori con un’altra figura, l’inserimento in un nucleo ricostituito e allargato, e così via.
Diventa possibile o normale per un adulto avere più di una famiglia, per un giovane rimanere
o tornare nella famiglia di origine, per un bambino relazionarsi con due madri o due padri e
con fratelli nati da genitori diversi.
Per rendersi conto delle incredibili remore che agiscono sulla cultura e sulle politiche dei
servizi persino quando è in gioco l’integrità (fisica e psichica) del bambino, basta pensare ai
pesantissimi intralci che finora hanno incontrato gli interventi attuabili nei casi di violenza
esercitata nell’ambito familiare sui figli: perché l’idea della violenza intra-familiare,
dell’esistenza di cattivi genitori costituisce per la nostra cultura un contrasto insopportabile
con l’immagine di famiglia ideale che ci viene continuamente riproposta.
Varie sono le forme familiari che si sono sviluppate nel tempo. In realtà la famiglia è un
oggetto in perenne trasformazione: si allarga e si restringe, perde alcune funzioni e ne acquista
altre a seconda della situazione socioculturale. La struttura della famiglia viene definita, ( vedi
ad es. Arduini 1987, pp. 120-124 ) dal modo in cui le persone che la compongono si collocano
lungo i due assi, rispettivamente orizzontale e verticale, dei rapporti di sesso e dei rapporti di
generazione. La parola “famiglia” fu introdotta, negli ultimi secoli, anche nelle lingue non
neolatine, accanto a una sostituzione dell’antico termine di “casa”, “focolare”, usato prima.
“La famiglia è quella specifica e unica organizzazione che lega e tiene insieme le differenze
originarie e fondamentali dell’umano, quella tra i generi, tra le generazioni, tra le stirpi e che
ha come obiettivo e progetto intrinseco la generatività”. ( Scabini 2003, pp. 38-42 ).
Analizzando la definizione…. “La famiglia è una organizzazione”…… ha infatti una struttura
gerarchica e una chiara connotazione socioistituzionale“.….che lega e tiene insieme le
differenze originarie dell’umano”……poiché organizza relazioni tra generi e tra generazioni e
stirpi ed esprime e produce legami sociali (tra le differenze notiamo anche quelle di genere) “e
ha come obiettivo la generatività”, l’obiettivo ed il progetto intrinseco della famiglia è
racchiuso nella parola “generare”, intendendo per generatività una concezione più ampia
rispetto alla procreazione, poiché la famiglia non si limita a procreare e certamente non
riproduce, ma genera, dà forma umana a ciò che da lei nasce e che a lei si lega.