Il presente lavoro si propone di analizzare, naturalmente senza
la pretesa di essere esaustivo, il ruolo che la ricerca ha avuto
nella politica industriale giapponese a partire dal secondo
dopoguerra e di illustrare brevemente le finalità, la struttura e
le modalità di realizzazione del Progetto Tecnopoli.
L'ultima parte di questo studio descrive, inoltre, nel dettaglio,
la distribuzione territoriale dei singoli siti, mettendo in
evidenza le rispettive aree di specializzazione.
CAPITOLO
PRIMO
La Ricerca nella politica industriale
giapponese
1.1 La politica industriale che ha guidato la crescita
economica nipponica dal 1955 al 1980.
Il Giappone uscì sconfitto e distrutto dalla Seconda guerra
mondiale.
Il decennio compreso tra il 1945 e il 1955 fu dedicato alla
ricostruzione e alla preparazione della rapida crescita
economica degli anni seguenti in quanto era opinione generale
che essa dovesse avere la precedenza su tutto il resto.
Alla metà degli anni'50 il Giappone era fragile
economicamente, tuttavia si stava consolidando un sistema
politico democratico efficiente; la società si stava organizzando
secondo nuovi modelli e il Paese stava cominciando di fatto a
mostrare segni di benessere (Reischauer,1998, p. 208).
Una volta che il cambiamento della politica economica
dell'occupazione e lo scoppio della guerra in Corea rimisero in
moto l'economia, questa cominciò a procedere a ritmi sempre
più rapidi . Nel 1948 la produzione era solo del 55% delle cifre
date per il 1934-36 ma nel 1950 l'indice della produzione
industriale era 84 e nel 1955 era salito a 181 (Beasley,1975,
p. 372).
Numerosi fattori contribuirono alla veloce ripresa. In primo
luogo la relazione particolare con gli Stati Uniti, che si
assunsero gran parte delle spese militari dei giapponesi, inoltre
aprirono al Giappone i loro vasti mercati e consentirono a
questo Paese di venire a contatto con le più progredite forme
di tecnologia.
Di fronte alle condizioni economiche disagiate dei primi anni
del dopoguerra l'occupazione incoraggiò una pianificazione
centralizzata dell'economia, per cui il governo giapponese si
assunse la direzione dell'industria guidandola nei campi più
promettenti per lo sviluppo e la allontanò dai campi
improduttivi. Il governo si impegnò nella creazione delle
infrastrutture distrutte e nel potenziamento di quelle che
ancora esistevano, adottando misure di incoraggiamento
finanziario, di controllo dei cambi e di investimenti pubblici.
Negli anni '50 vennero promosse particolarmente le acciaierie,
la produzione dell'energia elettrica, la costruzione di navi e le
industrie chimiche (Reischauer,1998, p. 210).
L'ufficio chiave che manovrava l'economia era il Ministero
dell'Industria e del Commercio Internazionale (MITI) che
faceva in modo che la tecnologia più avanzata fosse acquistata
dall'estero nei termini più favorevoli da quelle ditte giapponesi
più capaci di sfruttarla, e, nello stesso tempo, cercava di
assicurare che ci fossero sempre due o più ditte rivali nello
stesso campo in modo da creare quella competizione tanto
utile all'efficienza. In questo modo il Giappone si trovò ad
avere il vantaggio di una pianificazione attenta da parte del
governo per quel che riguardava l'economia generale, mentre
in materia di microeconomia si manteneva efficiente attraverso
la competizione delle varie aziende .Il sistema fu necessario,
nel periodo in cui le industrie giapponesi erano state rovinate
dalla guerra, ad assicurare loro la protezione sufficiente per
rimettersi in piedi.
La struttura dell'industria costituì un altro elemento di crescita
per il Paese. Con la dissoluzione degli Zaibatsu e di gran parte
della ricchezza privata, le vecchie conglomerate caddero nelle
mani dei loro dirigenti che le fecero andare avanti con capitale
bancario, che rappresentava il credito finanziario della nazione
e i risparmi della gente. In altre parole i dirigenti non
dovevano preoccuparsi degli azionisti e dei loro profitti
trimestrali e potevano elaborare strategie a lungo termine. In
un certo senso il Giappone entrò in una fase postcapitalistica
di sviluppo industrializzato (Reischauer,1998, pp. 211-212).
Anche questa fase dello sviluppo industriale si articolò
secondo quella che viene definita la "struttura dualistica
dell’economia" giapponese, in cui convivono un numero
elevato di piccole e medie imprese e un ristretto gruppo di
giganti economici. Nonostante i tentativi compiuti dagli
americani per disgregare i grandi gruppi industriali, le piccole e
medie imprese grazie al subappalto continuarono a dipendere
e contemporaneamente a sostenere le grandi compagnie.
Questa struttura ha esercitato un effetto non irrilevante sulla
creazione degli squilibri regionali dal punto di vista della
distribuzione dell'industria, concentrata in una fascia
relativamente esigua del territorio nazionale.
Man mano che l'industria del Giappone si riprendeva,
cominciò a riconquistarsi i vecchi mercati e a trovarne di
nuovi. I primi successi industriali e commerciali i giapponesi li
conseguirono nel settore tessile e in altre industrie leggere, ma
ora essi si cimentavano anche in campi nuovi e avanzati quali
la fabbricazione di macchine fotografiche, di motocicli, le
costruzioni navali e l'elettronica (Beasley,1975, p. 374).
Alla fine del decennio il Paese si era già ripreso completamente
e l'economia andava a gonfie vele. Infatti il prodotto nazionale
lordo cresceva vertiginosamente e la bilancia commerciale era
in prodigioso attivo.
Ma il crescente sviluppo economico non aveva solo vantaggi.
All'inizio ci fu una sconcertante tendenza dell'economia a
correre troppo in fretta, con il pericolo di un ritorno
all'inflazione e a grandi deficit nella bilancia dei pagamenti.
Questo si verificò nel 1953, nel 1957 e di nuovo nel 1961, per
cui il governo dovette ogni volta ricorrere a delle misure
equilibratrici.
La ripresa portò a nuovi e più ampi problemi: il ritmo
vertiginoso assunto dall'urbanesimo; decentramenti produttivi
dovuti alla crescente automazione; declino delle zone
minerarie in seguito all'importazione di petrolio che venne a
sostituire il carbone nazionale.
Ogni prefettura con struttura prevalentemente rurale cominciò
a spopolarsi mentre tutte le grandi città videro aumentare
rapidamente la loro popolazione. Negli anni '60 Tokyo
raggiunse gli 8 milioni di abitanti e tutte le principali città
conobbero un boom edilizio (Reischauer,1998, pp.214-218).
Parte del problema era naturalmente la mancanza di spazio
sufficiente in un paese sovraffollato come il Giappone. Più
l'industria avanzava, peggiori diventavano le condizioni di vita;
lo spazio vitale era inverosimilmente ristretto, l'inquinamento
dell'aria e dell'acqua si fece sempre più grave, la rete ferroviaria
e stradale insieme alle comunicazioni urbane si rivelarono
molto al di sotto delle esigenze del traffico.
Persino la scarsità di materie prime costituì uno svantaggio,
non solo perché creava una forte dipendenza dai mercati
stranieri, ma anche dal punto di vista della localizzazione degli
impianti.
Dato che il Giappone è piuttosto povero di minerali ferrosi e
di carbone, gli stabilimenti siderurgici, le raffinerie e i grandi
impianti di trasformazione poterono essere costruiti a livello
del mare eliminando, o riducendo, in tal modo, tutti i costi di
trasporto. Il risultato fu il sovraffollamento della cosiddetta
"Fascia del Pacifico", che si estende da Tokyo al Kyushu
settentrionale, e lo spopolamento e la conseguente arretratezza
delle zone interne e periferiche.
La zona di Tokyo conobbe una particolare espansione. La
prossimità ai centri governativi ed economici garantiva, infatti,
la possibilità di reperire più facilmente capitali e informazioni;
la concentrazione di funzioni culturali e scientifiche determinò
la localizzazione in tale area di centri di sperimentazione e di
ricerca (Kawashima,1980,pp.390-391).
All'inizio degli anni '60 le aree urbane ed i loro dintorni erano
talmente congestionati che il governo si propose una
ridistribuzione delle industrie sul territorio, elaborando il "I
Primo Piano Globale per lo Sviluppo Nazionale" del 1962,
seguito dalla "Legge delle Nuove Città Industriali" e dalla legge
relativa alle "Zone Speciali per il Consolidamento Industriale"
del 1964.
Il principio ispiratore di questi provvedimenti fu quello di
arrestare il sovraffollamento nelle maggiori zone urbane e di
allargare la base territoriale dello sviluppo industriale.
Misure di sviluppo regionale miranti a promuovere il
progresso delle zone periferiche furono ulteriormente messe a
punto con il II , III, IV Piano Globale di Sviluppo Nazionale
rispettivamente del 1969, 1977, 1987.
Il primo ed il secondo Piano cercarono di correggere ed
equilibrare le disparità regionali tra le grandi e sovraffollate
città del centro e lo spopolamento dei distretti periferici,
attraverso una politica regionale aggressiva; il terzo
programma, che fu adottato in un periodo di transizione verso
la bassa crescita economica seguita alla crisi energetica dei
primi anni '70, mirava, invece, a correggere i problemi dello
spopolamento e del sovraffollamento incentrando l'attenzione
sulla stabilità più che sullo sviluppo e sulla stabilità della
popolazione più che sull'industria.
Il quarto Piano Globale per lo Sviluppo Nazionale, infine,
attribuiva grande importanza all'informazione e alle industrie a
tecnologia avanzata più che alle industrie pesanti e tentava di
correggere gli squilibri regionali favorendo scambi tra le
regioni più sviluppate e quelle periferiche più arretrate.
Sebbene vi siano delle differenze tra i quattro progetti, ciò che
hanno in comune è l'intento di porre rimedio e di limitare le
disparità regionali (Tanosaki,1990,pp.23-26).
Per tutti gli anni '60 e l’inizio degli anni '70 la crescita
economica del Giappone si mantenne su livelli molto alti,
tuttavia questo successo era minato da alcuni fattori di
fragilità. Il Paese dipendeva per più di quattro quinti da risorse
energetiche provenienti dall'estero, fondamentalmente dal
petrolio del Golfo Persico, ma anche dal carbone degli Stati
Uniti e dell'Australia, e dal gas naturale. Doveva inoltre
importare tutto il ferro di cui aveva bisogno e la maggior parte
dei metalli, il cotone , la lana e perfino generi alimentari.
Per questi motivi la crisi del petrolio del 1973, provocata dalla
guerra tra arabi e israeliani e seguita dal vertiginoso aumento
del prezzo del greggio, mise in serie difficoltà l'intero apparato
industriale giapponese, in particolare i grandi impianti
siderurgici e petrolchimici.