7
Si tratta di un’innovazione legislativa
particolarmente importante, che sancisce il
superamento del societas delinquerenon potest.
Nella difesa di tale dogma, un ruolo
fondamentale hanno avuto, nell’area dell’Unione
europea, il sistema italiano, tedesco, greco e
spagnolo, legati, per ragioni ideologiche e dogmatiche,
ad una concezione individualistica del diritto penale.
Con il d.lgs.n. 231/2001 si rende
omogeneo il sistema sanzionatorio nei diversi Stati
membri dell’Unione. In molti di questi, quali Francia,
Olanda, Regno Unito, Danimarca, Irlanda, Finlandia,
Portogallo, è già presente una responsabilità
amministrativa degli enti. Inoltre, consapevole chele
struttura collettive dotate ovvero no di personalità
giuridica, coincidono con un’area di interessi, cui deve
corrispondere uno specifico ambito di responsabilità,
la disciplina prevede che le conseguenze
sanzionatorie dell’agire illecito ricadano sull’ente. Ciò
qualora esso sia commesso nell’interesse dello
stesso.
Quanto esposto ha comportato il
passaggio da una responsabilità meramente
sussidiaria ad una diretta, autonoma e penalmente
rilevante, affiancando ad una obbligazione di garanzia
una serie di sanzioni di natura non solo pecuniaria ma
anche interdittiva della attività svolta, con evidente
finalità punitiva.
8
Affinché l’ente possa essere dichiarato
responsabile, occorre che il reato commesso sia d
esso ricollegabile sul piano oggettivo; e che costituisca
espressione della politica aziendale; ovvero, quanto
meno, derivi da una colpa di organizzazione, intesa
come mancata adozione di presidi necessari ad
evitare che il reato sia commesso.
Ratio fondamentale del decreto in
esame non è comunque approntare un efficace
apparato sanzionatorio, per punire la commissione del
reato, quanto prevenire l’eventuale commissione degli
stessi da parte degli enti, prevedendo all’uopo,
l’introduzione di sistemi di monitoraggio dell’agire
imprenditoriale.
9
CAPITOLO PRIMO:
ANALISI GIURIDICA
1.1 Le società come soggetto
attivo del reato.
Gli illeciti societari rientrano nella
categoria dei reati cosiddetti propri, in quanto possono
essere commessi esclusivamente da determinate
persone, in possesso di particolari qualifiche previste
dalle singole fattispecie incriminatrici.
Il problema, che si tenterà di affrontare in
questa sede, è quello relativo alla possibilità che tra gli
autori di tale tipologia di reati, risultino annoverabili
anche soggetti diversi dalle persone fisiche, rectius
enti e società, intesi come soggetto di diritto.
Si tratta di un interrogativo di assoluto
rilievo, strettamente connesso allo sviluppo della
criminalità de colletti bianchi, che ha condotto ad un
notevole incremento dell’illegalità dell’impresa.
La diffusione sempre crescente della
criminalità organizzata, caratterizzata da un saldo
intreccio criminoso, pactum sceleris, tra sistema
imprenditoriale, potere politico e pubblica
Amministrazione, ha inoltre confermato la centralità
del soggetto giuridico, in prevalenza società di capitali,
spesso interessate al compimento di attività illecite ed
allo sfruttamento dei conseguenti risultati.
10
A fronte del ruolo preminente dei gruppi
societari, l’incongruenza di una disciplina differenziata,
sotto il profilo della responsabilità penale, tra persone
fisiche e giuridiche è del tutto anacronistico.
L’attribuzione della responsabilità penale
esclusivamente alla persona fisica, che ha agito può
risultare spesso insufficiente, e non sempre adeguata
ala realtà, la quale dimostra di continuo che talune
forme di criminalità d’impresa rappresentano la
conseguenza giuridica di precise e mirate scelte di
politica gestionale delle società.
Sempre meno agevole può risultare,
quindi, cogliere i motivi, in base ai quali gli atti degli
amministratori vengono, per il rapporto organico che
lega questi ultima all’ente, imputati alla società solo
civilisticamente e non anche penalisticamente.
11
1.2 Il dibattito in Italia sul
principio Societas delinquere non potest.
Secondo una parte della dottrina
1
la
societas sarebbe incapace di azione. Diversamente
sarebbe violato l’art. 27, comma 1 Cost., atteso che il
riconoscimento di una capacità di azione all’ente si
risolverebbe nella violazione della necessaria
coincidenza tra l’autore dell’illecito e destinatario della
sanzione
2
.
Secondo un altro orientamento l’ente è
incapace di colpevolezza, non soltanto psicologica, ma
anche normativa
3
. Si ritiene infatti che possa agire
con dolo o con colpa solo l’individuo.
A quanto fin qui esposto, taluno
4
aggiunge che la società sia incapace di pena, per sua
natura. Inoltre, la mancanza di una personalità
strutturata, che consenta di operare valutazioni sul suo
passato e prognosi sul futuro, vanificherebbe ogni
1
De Simone, Societas delinquere et puniri potest. La questione della
responsabilità penale degli enti collettivi tra dogmatica e politica
criminale, Como, 2000, p. 195.
2
Pulitanò, La responsabilità da reato degli enti nell’ ordinamento
italiano, in AA.VV., Responsabilità degli enti per i reati commessi nel
loro interesse, in Cassazione penale, 2003, n. 6, pp. 28 ss.
3
Alessandri, Reati d’impresa e modelli sanzionatori, Giuffrè, Milano,
984, p. 58.
4
Manzione, La responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche: una soluzione opportuna o solo di comodo?, in AA.VV. (a
cura di G. De Francesco), La responsabilità degli enti: un nuovo
modello di giustizia punitiva, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 97 ss.
12
aspirazione rieducativi, in contrasto con l’art. 27,
comma 3 Cost.
Di conseguenza, tra la pena e l’ente
collettivo sussisterebbe un rapporto di incompatibilità,
visto che le finalità affittiva e rieducativa della pena
richiederebbero pur sempre «concettualmente e
praticamente una persona sulla quale incidere»
5
.
Infine vi è chi
6
sostiene la
Doppelbestrafung, strettamente legata alla teoria
finzionistica: in qualità di persona fisica, autore del
reato, e di componente dell’organo dell’ente, il
soggetto verrebbe punito due volte per lo stesso fatto,
in palese contrasto con il ne bis in idem.
5
Alessandri, Riflessioni penalistiche, p. 36.
6
De Simone, Societas delinquere et puniri potest. La questione della
resposabilità penale degli enti collettivi tra dogmatica e politica
criminale, p. 230.
13
1.3 La responsabilità penale della
società: gli orientamenti prevalenti e la loro
compatibilità con i principi i carattere
generale.
Altrettanto numerosi sono gli
orientamenti, che affermano le responsabilità penale
dell’ente giuridico: molti di essi si fondano sulla teoria
della realtà, definita organica, in quanto considera le
persone giuridiche come altrettanti organismi naturali.
La teoria organicistica risulterebbe
tuttavia riduttiva rispetto alla condotta della persona
fisica, la cui qualificazione come mero organo della
società potrebbe negare la configurazione di un
autonomo addebito di responsabilità nei confronti
dello stesso, riconoscendo nella societas l’unico
autore del reato.
Il che non è stato nelle intenzioni del
legislatore delegante né in quelle del delegato; e
sarebbe comunque in contrasto con le esigenze della
politica criminale
7
.
Alla teoria dell’immedesimazione
organica va riconosciuto un merito: essa ha consentito
di superare i dubbi di compatibilità costituzionale, ma
anche di fornire una copertura teorica alla soluzione
della responsabilità sanzionatoria degli enti.
7
Falzea, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in Autori
Vari, Studi per Lorenzo Campagna, Giuffrè, Milano, 1982, p. 308.
14
Uno degli argomenti più ricorrenti è
infatti il seguente: se gli effetti civili degli atti compiuti
dall’organo si imputano direttamente alla società,
altrettanto dovrebbe valere per le conseguenze del
reato. Sarebbero allora le soluzioni adottate dalla
dottrina e dalla giurisprudenza, le quali affermano la
responsabilità degli organi amministrativi e di direzione
della società, a necessitare non solo di una qualche
giustificazione dommatica ma anche di una seria
verifica di fondo
8
.
Sotto il profilo più squisitamente
costituzionale, ben più argomentate sono state le tesi
avanzate dai fautori del principio societas delinquere
potest.
Un primo sostegno al brocardo latino si è
basato su una lettura della norma costituzionale, ben
presto superato dalla stessa dottrina ed oggi dalla
sentenza costituzionale n. 364 del 1988, che ha
affermato il principio di colpevolezza.
Al fine di poter affermare la
responsabilità della persona giuridica e giustificare la
sua compatibilità con il dato costituzionale, la dottrina
più risalente si era ancorata ad una interpretazione
minimalistica dell’art. 27, primo comma, Cost., in base
alla quale al termine “responsabilità personale” fosse
da attribuire il significato di “responsabilità per fatto
proprio”.
8
Musco, Diritto penale societario, Giuffrè, Milano, 1999, p. 29.
15
Siffatta lettura ha condotto ad affermare,
superato l’ostacolo rappresentato dalla teoria della
finzione, la possibilità di ingresso nel diritto positivo di
un coinvolgimento penale dell’ente.
Parte della dottrina, soffermandosi sul
problema della individuazione di un coefficiente di
colpevolezza, non ha avuto dubbi nell’affermare che
esiste una vera e propria volontà sociale, del tutto
indipendente e distinti da quella dei singoli soci: essa
si concretizza di fatto nell’unità dei fini, nella
coordinazione dei mezzi, nella perseveranza di azioni
e nella adattabilità all’ambiente.
La stesa volontà sociale si manifesta
chiaramente in ogni tappa importante della esistenza
della società, dalle riunioni alle deliberazioni, dalla
gestione e dalla amministrazione alla direzione.
Essa, si afferma, è sicuramente in grado
di compiere reati alla stessa stregua della volontà
individuale; in altri termini, anche la persona giuridica è
nelle condizioni di agire con dolo o con colpa, ossia
con lo stesso atteggiamento psicologico che
connatura la persona fisica.
16
1.4 Tipologia delle misure
sanzionatorie elaborate dalla dottrina.
Anche coloro che sono favorevoli alla
responsabilità penale delle persone giuridiche
9
si sono
mostrati scettici sulla possibilità di individuare una
sanzione efficace per tali soggetti di diritto.
Si è ritenuto che la previsione di pene
accessorie non sia sufficiente a fronteggiare la
diffusione della criminalità di tipo economico. Alle
misure interdittive occorre peraltro rivolgersi con
prudenza, al fine di evitare che le sanzioni a carico
della persona giuridica possano ingiustamente
ripercuotersi anche sui soci incolpevoli.
Coloro i quali sostengono la
irresponsabilità penale del soggetto giuridico hanno
dovuto escludere dalle misure di controllo del
corporate behaviour ogni forma di sanzione criminale.
L’attenzione si è rivolta, quindi, verso l’accertamento
della applicabilità nei confronti delle società delle
misure di sicurezza, nel cui ambito il principio dell’art.
27, primo comma, Cost., viene in ogni caso assunto
nel suo contenuto minimo.
A tal riguardo, ci si è posti il problema se
le misure di sicurezza, individuate dall’art. 215 c.p.,
9
Bastia, L’autoregolamentazione delle aziende per il fronteggiamento
della corruzione tra privati, in AA.VV., La corruzione tra privati:
esperienze comparatistiche e prospettive di riforma, a cura di
Acquaroli-Foffani, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 215 ss.