i
Introduzione
Questo lavoro si propone di analizzare l’evoluzione dei concetti
strategici di sicurezza energetica elaborati dagli Stati Uniti, a partire dalla
presidenza Carter per arrivare fino all’Amministrazione Obama (con degli
imprescindibili riferimenti ad alcuni episodi storici che si sono verificati
precedentemente all’Amministrazione Carter e che sono fondamentali per
comprendere a pieno le evoluzioni successive), e delle politiche che su tali
concetti si sono basate. L’elaborato intende fare luce sulle conseguenze
concrete che le esigenze statunitensi in materia di energia hanno prodotto in
questo periodo storico, che coincide con l’emergere dell’utilizzo del petrolio
come arma politica da parte dei paesi produttori e, di conseguenza, con lo
studio – da parte delle nazioni consumatrici e importatrici – di tutta una
serie di strumenti internazionali e di istituzioni create allo scopo di
contrastare il potere di mercato dei paesi esportatori, riuniti dal 1960
nell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries).
L’International Energy Agency (IEA) – un meccanismo multilaterale in
ambito OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico) nato all’indomani dello shock petrolifero del 1973-’74 – ha,
come compito principale, quello di coordinare le politiche dei vari paesi
membri al fine di migliorare le capacità di risposta di questi ultimi ad
un’eventuale interruzione delle forniture energetiche, oltre a una serie di
altri compiti come quello della promozione delle fonti rinnovabili o quello
dell’integrazione dei mercati tra paesi produttori e paesi non produttori.
Accanto alla promozione di queste soluzioni multilaterali e l’attiva
partecipazione nel loro ambito, Washington, di frequente, ha adottato un
approccio unilaterale di fronte ai problemi del mercato internazionale
dell’energia. Obiettivo principale della tesi è, allora, l’analisi delle decisioni
americane in tre ambiti: innanzitutto quello prettamente politico (attraverso
lo studio delle principali previsioni contenute nei testi legislativi in materia
energetica); in secondo luogo verranno prese in considerazione le manovre
diplomatiche più importanti realizzate dalle varie amministrazioni
americane allo scopo di migliorare la sicurezza energetica degli Stati Uniti;
il terzo campo di analisi, invece, sarà quello delle strategie militari messe a
punto dal Dipartimento della Difesa, dal Dipartimento di Stato e dalla Casa
Bianca allo scopo di proteggere le forniture energetiche destinate ai mercati
occidentali, difendendole dagli attacchi di paesi (o attori non governativi)
ostili.
I temi trattati affondano le proprie radici nel passato ma, allo stesso
tempo, rappresentano alcuni dei problemi che, come sostenuto da importanti
osservatori, sono destinati a caratterizzare l’assetto politico internazionale
nei decenni a venire. Se, infatti, la prima parte del XX secolo ha visto
l’emergere del petrolio come inestimabile fonte di propulsione per
l’economia mondiale e come base dello sviluppo industriale, durante il ‘900
il progresso tecnologico e scientifico ha reso possibile lo sfruttamento di
un’ampia gamma di fonti energetiche alternative, dal gas naturale al
nucleare passando per il vento e altre fonti rinnovabili come le biomasse o
l’energia solare. L’insieme delle scelte di sicurezza energetica compiute dai
paesi industrializzati è finalizzato ad assicurarsi la garanzia dell’affidabilità
ii
degli approvvigionamenti di quelle risorse che – non a caso – sono definite
strategiche proprio in quanto basilari per il mantenimento di un certo status
economico e politico per i paesi che dipendono da esse. Tra questi gli Stati
Uniti spiccano per il loro ruolo di superpotenza mondiale: nonostante gli
USA siano il terzo produttore di petrolio al mondo, infatti, la bilancia
commerciale dei prodotti petroliferi è stata a sfavore di Washington dal
1949 al 2011, anno in cui, per la prima volta dopo la seconda guerra
mondiale, gli Stati Uniti hanno esportato più prodotti petroliferi di quanti
non ne abbiano importato.
1
Se poi si guardano le statistiche relative al solo
petrolio greggio, l’equilibrio è ancor di più a sfavore degli americani: nel
2011 il saldo negativo è stato di circa 8,7 milioni di barili al giorno in
media, dopo aver raggiunto il suo picco nel 2004, con circa 12,5 milioni di
barili al giorno in media come scarto tra le importazioni e le esportazioni.
2
Gli USA esportano solo lo 0,3% del greggio prodotto all’interno del proprio
territorio o acquistato all’estero. Sebbene la produzione interna di petrolio e
gas naturale stia aumentando, c’è bisogno di un’ulteriore accelerazione di
queste produzioni, se è vero – come indicano le stime più recenti – che nel
2035 il mondo necessiterà del 53% di energia in più rispetto al 2008
affinché una crescita economica anche solo modesta possa essere sostenuta.
3
Si prevede, inoltre, che nel 2040 gli Stati Uniti dipenderanno ancora
dal petrolio per il soddisfacimento del proprio fabbisogno energetico per il
32% (una riduzione di quattro punti percentuali rispetto ai livelli attuali) e
dal gas naturale per il 28% (con un incremento rispetto al dato odierno di
due punti percentuali).
4
Come verrà approfondito più avanti, questi pochi dati descrivono
una situazione di dipendenza dal petrolio importato che rappresenta un
problema per il colosso economico americano, che lavora alla risoluzione
dell’enigma energetico, seguendo principalmente tre vie:
1) attraverso l’investimento nello sviluppo delle energie rinnovabili,
finalizzato alla riduzione della quota del fabbisogno energetico
soddisfatta mediante l’uso delle fonti fossili;
2) mediante il parallelo incremento degli sforzi volti a favorire
l’ingresso delle multinazionali statunitensi nei mercati petroliferi (e,
in generale, energetici) di recente sviluppo;
3) mediante la riduzione delle importazioni dalle zone più instabili a
livello politico, nelle quali è più probabile che si verifichino
interruzioni del flusso del petrolio verso i mercati globali, e
l’impegno complementare a un maggiore sviluppo delle fonti
domestiche di petrolio.
1
American Petroleum Institute. Energy in Charts, Energy Industry Statistics 2012, p. 15.
Disponibile al seguente indirizzo web:
http://www.api.org/policy-and-issues/policy-items/american-
energy/~/media/Files/Policy/American-Energy/Energy-In-Charts-
2012_HiRes_FINAL.ashx
2
http://www.eia.gov/countries/country-data.cfm?fips=US&trk=m#pet
3
American Petroleum Institute. Energy in Charts, Energy Industry Statistics 2012, pp. 24-
26.
4
Energy Information Administration, Annual Energy Outlook, Early Release 2013, p. 8.
Disponibile all’indirizzo web:
http://www.eia.gov/forecasts/aeo/er/pdf/0383er(2013).pdf
iii
L’instabilità politica e sociale di alcuni paesi è un elemento cruciale
nelle strategie di sicurezza energetica. Disordini simili nell’area
mediorientale costituiscono una base d’esperienza sulla quale Washington
cerca di dare forma al proprio approccio nei confronti di altre aree del globo.
L’elaborato è articolato in quattro capitoli divisi per aree
geografiche: il primo capitolo, dopo aver offerto una panoramica generale
sulle fondamentali dottrine e sui documenti normativi statunitensi in ambito
energetico, si occuperà dei recenti sviluppi che caratterizzano la diplomazia
energetica del continente americano nel suo complesso. Nello stesso
capitolo, inoltre, verranno approfonditi alcuni aspetti relativi alle fonti
rinnovabili, in relazione alle quali sono in atto importanti evoluzioni nei
rapporti tra i vari paesi del continente.
Il secondo capitolo si occuperà della zona del Mar Caspio, del
Caucaso e dell’Asia centrale. La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha
creato un potenziale mercato di amplissime dimensioni che, unito alla
volontà di emancipazione da Mosca di quei paesi che fino al 1991
rientravano nell’orbita del Cremlino, ha dato modo ai paesi occidentali di
inserirsi in questo mercato e alle nazioni di nuova indipendenza di fondare
la propria sovranità sulla ricchezza derivante dall’esportazione delle risorse
locali. La regione del Mar Caspio (se si considerano i cinque paesi che
hanno uno sbocco su di esso, vale a dire Russia, Iran, Azerbaigian,
Kazakistan e Turkmenistan) ospita circa 277 miliardi di barili di petrolio
come riserve comprovate (corrispondenti approssimativamente al 16,6% sul
totale delle riserve mondiali) e circa 105,2 mila miliardi di m
3
di gas
naturale (ossia poco più del 50% delle riserve mondiali).
5
Il capitolo, dopo una descrizione il più possibile dettagliata del nodo
regionale rappresentato dal trasporto delle risorse energetiche dai punti di
estrazione ai mercati internazionali (un vero e proprio intreccio di oleodotti
e gasdotti che sfocia in una partita diplomatica altrettanto intricata tra gli
attori locali e le potenze esterne), si propone di studiare in che modo tutto
ciò influisca sulla stabilità politica e militare della regione e viceversa,
analizzando anche le ricadute provocate dallo sfruttamento degli idrocarburi
centroasiatici e caspici ai danni delle popolazioni locali e dei loro diritti, con
particolare riguardo al caso uzbeko e soprattutto a quello abkhazo-
georgiano.
A seguire, il terzo capitolo prenderà in considerazione gli sviluppi
energetici relativi al continente africano: verranno analizzati, in particolare,
il caso nigeriano e quello del progetto di oleodotto Ciad-Camerun, come
emblematici dell’approccio assunto dai paesi consumatori di petrolio nei
confronti delle risorse africane.
Il capitolo conclusivo tratta della regione mondiale che più di ogni
altra ha influito sull’evoluzione delle strategie energetiche americane nel
corso del XX secolo: il Medio Oriente. Il quadro offerto è incentrato sugli
aspetti più attuali che interessano l’area: da una parte le tensioni tra le varie
fazioni politiche e le diverse componenti della società irachena dopo il ritiro
delle truppe americane in rapporto alla ricchezza petrolifera del paese –
5
BP, Statistical Review of World Energy, Giugno 2012, pp. 6 e 20.
iv
tensioni che vanno a inserirsi in un quadro più ampio contraddistinto dalla
ricerca, da parte di Baghdad, di un nuovo ruolo regionale contro le difficoltà
poste dal vicino iraniano; dall’altra i rapporti tra Washington e Teheran sulla
questione del nucleare e in merito alla possibilità del blocco del traffico
petrolifero nello Stretto di Hormuz, paventata dall’Iran.
L’elemento comune a tutto l’articolarsi della tesi è costituito dalla
particolare attenzione dedicata in ogni capitolo all’approccio strategico
statunitense nei confronti delle diverse aree globali ai fini della garanzia
della sicurezza energetica.
La struttura portante dell’elaborato è costituita, innanzitutto, dai
rapporti dell’Energy Information Administration (EIA), l’agenzia del
Dipartimento dell’Energia statunitense che si occupa di analizzare i dati
relativi al mercato energetico e alla dotazione di risorse di ciascun paese. Il
rapporto del mese di giugno 2012 intitolato Statistical Review of World
Energy, stilato dalla multinazionale inglese British Petroleum (BP), ha
svolto un’essenziale funzione complementare ai Country Analysis Briefs e
all’Annual Energy Review 2011 (anche quest’ultimo a cura dell’EIA e
pubblicato nel settembre 2012). Lo stesso genere di pubblicazioni –
maggiormente incentrate, però, sulla situazione energetica americana –
viene fatto anche dall’American Petroleum Institute, l’associazione per
l’analisi del commercio energetico statunitense nata all’indomani della
prima guerra mondiale, con sede a Washington.
6
Il World Oil Outlook del
2012 (pubblicato dall’OPEC) ha rappresentato uno strumento altrettanto
valido per il reperimento di informazioni sull’andamento della situazione
energetica internazionale.
Accanto alla National Energy Policy del 2001 (un programma
redatto dal National Energy Policy Development Group), gli altri documenti
legislativi presi in considerazione sono: l’Energy Policy and Conservation
Act del 1975; gli Energy Policy Act del 1992 e del 2005; l’Energy Security
and Independence Act del 2007.
Le parti riguardanti le relazioni tra gli Stati Uniti e i vari paesi
analizzati ai fini della realizzazione dell’elaborato trovano una solida base
nelle pubblicazioni ufficiali del Congressional Research Service – il ramo
del Congresso americano che, inserito nell’ambito della Library of
Congress, pubblica dei rapporti su svariati temi destinati all’attenzione del
Congresso stesso,
7
nonché nei siti web ufficiali della Casa Bianca e del
Dipartimento di Stato.
Le fonti online vanno dai più importanti quotidiani statunitensi e
dalla stampa specializzata su questioni relative all’energia
8
ai siti che si
occupano di fornire analisi degli sviluppi dell’attualità internazionale dal
6
Di particolare utilità è stato il già citato «Energy in Charts, Energy Industry Statistics
2012».
7
Seguono i titoli dei rapporti cui si è fatto maggiormente riferimento:
Lauren PLOCH, Nigeria: Current Issues and U.S. Policy, 18 luglio 2012; Africa
Command: U.S. Strategic Interests and the Role of the U.S. Military in Africa, 22 luglio
2011; Paul W. PARFOMAK e Michael RATNER, The U.S.-Canada Energy Relationship:
Joined at the Well, 17 giugno 2011.
8
Fra tutti Ogj.com, il sito online di Oil and gas journal.
v
punto di vista della geopolitica (tra questi, hanno assunto un rilievo
particolare il sito di «Limes – Rivista Italiana di Geopolitica» e
«stratfor.com»), passando dai siti di varie compagnie petrolifere e da quelli
dedicati alla raccolta dei discorsi dei presidenti e degli altri funzionari più
importanti delle amministrazioni americane.
9
Lo strumento del web, inoltre, è stato prezioso per il reperimento di
diverse pubblicazioni messe a disposizione da alcune università statunitensi,
tra le quali, per esempio, la National Defense University e la Georgetown
University.
Per uno sguardo d’insieme sui temi della sicurezza energetica e delle
ripercussioni dell’industria petrolifera sulla stabilità di alcuni paesi, sono
stati di notevole utilità i testi di Michael T. Klare, Daniel Yergin e Peter
Maass; altri testi hanno rivestito un’importanza minore.
10
9
In particolare millercenter.org.
10
Di KLARE sono stati presi in considerazione Resource Wars, The New Landscape of
Global Conflict e Potenze Emergenti, Come l’Energia Ridisegna gli Equilibri Energetici
Mondiali.
Di YERGIN: The Quest, Energy, Security and the Remaking of the Modern World.
Di MAASS: Crude World, The Violent Twilght of Oil.
1
CAPITOLO 1. Gli Stati Uniti e il continente
americano
1.1. Dalla «Dottrina Carter» all’Amministrazione Clinton
Gli Stati Uniti hanno fatto della sicurezza energetica una
fondamentale questione nazionale fin dal momento in cui, con il suo
discorso sullo stato dell’Unione del 23 gennaio 1980, Jimmy Carter – che si
apprestava a vivere il suo ultimo anno alla Casa Bianca – enunciò quella che
sarebbe poi divenuta nota come «Dottrina Carter»: qualunque tentativo da
parte di una potenza ostile di ottenere il controllo della regione del Golfo
Persico sarebbe stato considerato una violazione degli interessi nazionali
statunitensi, e Washington avrebbe utilizzato qualunque mezzo per porvi
rimedio, incluso quello militare.
In questo discorso sullo stato dell’Unione, Carter ribadisce più volte
l’importanza della questione energetica agli occhi della potenza americana.
Siamo nel pieno della Guerra Fredda e solo un mese prima del discorso di
Carter si è verificata l’invasione sovietica in Afghanistan:
«La regione [si riferisce all’Afghanistan ma in generale al Medio Oriente],
in questo momento minacciata dall’influenza sovietica, è di grande importanza
strategica. Essa ospita più dei due terzi del petrolio esportabile a livello mondiale.
Lo sforzo sovietico di dominare l’Afghanistan ha portato le truppe di Mosca a
meno di 300 miglia dall’Oceano Indiano e dallo Stretto di Hormuz, un braccio di
mare attraverso cui passa la maggior parte del petrolio mondiale. L’Unione
Sovietica sta cercando di consolidare la propria posizione strategica, ponendo in
tal modo una grave minaccia al libero flusso del petrolio mediorientale.»
L’Afghanistan è solo l’ultimo di una serie di fattori che incidono
negativamente sulla sicurezza energetica statunitense. Carter afferma, più in
generale, che:
«la nostra eccessiva dipendenza dal petrolio straniero è un pericolo chiaro
e attuale per la sicurezza della nazione.»
Carter era impegnato a contrastare gli sforzi dell’OPEC volti a
mantenere elevati i prezzi del petrolio attraverso il taglio della produzione,
ritenuto dall’Amministrazione americana il principale fattore dell’inflazione
che aveva colpito l’economia statunitense e quella di altre nazioni
occidentali.
Egli aveva fatto della politica energetica uno dei punti del suo
programma elettorale, ponendo l’enfasi sul risparmio e sulla maggiore
efficienza energetica come rimedi all’eccessiva dipendenza energetica degli
USA:
2
«Ho stabilito, per il 1980, un tetto massimo agli acquisti di petrolio estero
da parte degli Stati Uniti pari a 8,2 milioni di barili al giorno, ben al di sotto dei
livelli del 1977.»
1
Il crollo dei consensi per Carter, invece, era stato causato – tra le
altre cose – dal fatto che fosse opinione diffusa tra i cittadini americani che
il governo non stesse facendo abbastanza per combattere lo strapotere delle
multinazionali americane, lasciate libere – si obiettava – di stabilire il
prezzo a loro più congeniale, andando a incidere oltremodo sulle finanze dei
consumatori finali.
2
A prescindere dai dati numerici, è evidente il tipo di dinamica
seguito dagli eventi, soprattutto se si considera che siamo in un periodo di
grandi tumulti nella regione che era stata fino a quel momento la fonte
principale di risorse strategiche per Washington. Arabia Saudita e Iran erano
i due pilastri dell’influenza americana in Medio Oriente: questo fino al
febbraio del 1979, quando il regime dello shah in Iran venne rovesciato
dalla rivoluzione Khomeinista. Una simile svolta, unita al conflitto arabo-
israeliano e all’invasione sovietica dell’Afghanistan, metteva Carter in una
situazione alquanto critica.
Da allora, tutti i presidenti statunitensi hanno agito in base alla
«Dottrina Carter» in occasione di crisi e conflitti nella regione del Golfo
Persico: durante la guerra che dal 1980 al 1988 ha impegnato Iran e Iraq,
l’Amministrazione Reagan, preoccupata da possibili interventi sovietici
nell’area che avrebbero potuto significare una perdita d’influenza troppo
grave per gli Stati Uniti, intervenne con l’operazione «Earnest Will», che
consistette nell’apposizione della bandiera americana sulle petroliere
Kuwaitiane sottoposte altrimenti all’attacco da parte dell’Iran (dopo che,
nelle fasi iniziali della guerra, la stessa strategia di disturbo era stata adottata
anche da Baghdad).
Prima ancora della cosiddetta «Dottrina Carter», i policymakers
americani avevano espresso per la prima volta il principio della sicurezza
delle forniture petrolifere del Golfo Persico nel 1943, quando il presidente
Franklin D. Roosevelt autorizzò l’invio di assistenza militare americana
all’Arabia Saudita.
Consapevoli che le potenze occidentali sarebbero diventate, in
futuro, sempre più dipendenti dal petrolio del Golfo una volta conclusa la
guerra, i funzionari dell’Amministrazione Roosevelt conclusero che gli
USA – che fino ad allora avevano prestato un’attenzione relativamente
scarsa alla regione – avrebbero dovuto giocare un ruolo più attivo. Tutto ciò
portò, fra l’altro, all’allacciamento delle relazioni diplomatiche con Riyad e,
1
Tutti i frammenti sono stati estratti dal discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato da
Carter il 23 gennaio 1980.
(http://millercenter.org/president/speeches/detail/3404)
2
Recentemente, il presidente Obama si è impegnato in una campagna di riduzione dei
privilegi concessi alle majors petrolifere statunitensi: l’obiettivo è quello di fare in modo
che le multinazionali dell’energia contribuiscano equamente alla ripresa economica. La
diminuzione degli sgravi fiscali alle compagnie potrebbe produrre un gettito aggiuntivo tra i
20 e i 45 miliardi di dollari in dieci anni: alle condizioni attuali, infatti, le compagnie
ricevono agevolazioni per un totale di 4 miliardi di dollari all’anno.
(http://america24.com/news/obama-contro-le-aziende-petrolifere-basta-sgravi-fiscali).