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CAPITOLO PRIMO
IL SISTEMA DELLA DISTRIBUZIONE MODERNA
1.1 Le origini della distribuzione moderna
Il servizio commerciale prodotto dalla distribuzione è definito come l’insieme delle
attività necessarie a mettere a disposizione dei consumatori i beni che questi desiderano
nei tempi, nei luoghi e con le modalità desiderate. Il settore distributivo si colloca,
infatti, in una posizione d’interfaccia tra produzione e consumo; è un punto d’incontro
tra domanda e offerta, in cui il distributore costituisce un assortimento, selezionando i
prodotti dell’industria per proporli al consumatore. Per distribuzione commerciale
s’intende, nell’accezione più ampia, l’insieme delle attività poste in essere per realizzare
il trasferimento di beni e servizi dal produttore all’utilizzatore. Da tale definizione ci si
rende conto di come la funzione distributiva sia chiamata in causa ogni qual volta il
soggetto che utilizza un prodotto è diverso dal soggetto che lo produce. Tale attività di
distribuzione ha quindi origini antichissime, essendo strettamente correlata all’attività di
scambio. Nel periodo che precede la rivoluzione industriale questa funzione viene svolta
tipicamente dai mercanti o dagli stessi produttori. Con il trascorrere del tempo, tuttavia
lo scenario muta radicalmente e con esso anche il ruolo della distribuzione. Volendo
tratteggiare a grandi linee il percorso che conduce alle trasformazioni delle modalità di
svolgimento della funzione distributiva, è dunque necessario riflettere proprio sul ruolo
da attribuire alla rivoluzione industriale ed ai cambiamenti nella struttura sociale ed
economica innescati dalla stessa.
Tale fenomeno, che ha inizio nella seconda metà del’700, sperimenta un allargamento
dei mercati di consumo superiore all’aumento della produzione. La conseguenza è che
durante il secolo successivo, la quantità di prodotti offerta rimane sensibilmente
inferiore rispetto alla domanda. In questo contesto l’esigenza primaria del sistema
economico è quella di colmare il divario tra le due forze; tale necessità stimola il
comparto manufatturiero a migliorare l’efficienza e spinge il progresso tecnologico
verso la ricerca di soluzioni che consentano di aumentare la produttività d’impresa. In
questo periodo storico il ruolo della funzione distributiva è pertanto di secondaria
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importanza; sono, infatti, i consumatori ad andare alla ricerca dei beni e di coloro che li
producono e li distribuiscono, per cui l’industria non avverte nessuna esigenza di
promozione dei propri prodotti. Con il trascorrere del tempo però, grazie agli sforzi
profusi dagli operatori industriali, la differenza tra quantità prodotte e richieste
diminuisce, fino ad arrivare ad un completo capovolgimento della situazione alla fine
dell’800, quando, a seguito di un eccesso di offerta, lo scenario competitivo muta
radicalmente: ora è il produttore che ricerca gli acquirenti. Un altro elemento da
evidenziare è che l’incremento consistente della produzione spinge verso una crescente
specializzazione, con la separazione completa tra funzione produttiva e funzione
distributiva. La distribuzione acquista allora il ruolo fondamentale di collegamento tra
industria e consumo. Lo sviluppo qualitativo e quantitativo della produzione e la
specializzazione che la stessa implica, modificano il peso degli operatori distributivi e
del dettaglio, in quanto il collocamento dei beni rappresenta ora una situazione
problematica, anche per la criticità delle relazioni tra i diversi operatori del canale. Nel
periodo successivo alla rivoluzione industriale si assiste ad una progressiva perdita della
leadership del canale distributivo da parte dell’industria, dovuta all’aumento di potere
dei distributori a seguito dello sviluppo di grandi imprese di distribuzione al dettaglio.
Nella fase precedente si era in presenza di un sistema distributivo estremamente
parcellizzato, formato da imprese indipendenti di piccola dimensione, in cui l’industria
godeva di forte autonomia, riuscendo ad imporre le proprie strategie ed in alcuni casi a
condizionare la condotta operativa dei distributori, fissando ad esempio i prezzi di
rivendita. Ora, in presenza di grandi aggregazioni capitalistiche e cooperative, le
imprese industriali si trovano in una situazione differente in cui devono trattare con
organizzazioni distributive di notevole dimensione, capaci di esprimere un forte potere
negoziale e di imporre condizioni e prezzi di acquisto. Il rischio di dipendenza
economica di un’impresa industriale nei confronti di quelle distributrici di maggiori
dimensioni diventa un problema reale che le industrie devono affrontare. La
distribuzione ha ora i mezzi sufficienti per influenzare direttamente gli acquirenti finali,
potendo utilizzare la comunicazione di massa per incidere sul processo di formazione
delle preferenze, ed in grado di adottare politiche tendenti a creare fedeltà verso il punto
vendita piuttosto che nei confronti dei prodotti; infine la marca diventa anche per i
distributori un’arma strategica. Il risultato di quella che è stata definita da molti come
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una vera e propria battaglia per il controllo del canale è la riduzione dei margini di
guadagno per entrambi gli attori, evento questo che creerà le premesse per nuove
modalità di gestione dei rapporti, orientate più alla collaborazione che alla conflittualità.
Un rapporto di questo tipo può essere migliore in presenza di economie di scopo, ossia
quando la distribuzione congiunta di prodotti diversi risulta più efficiente rispetto a
quella separata. Le caratteristiche delle strutture distributive, dei prodotti distribuiti, dei
servizi accessori associati, influenzano dunque lo sviluppo verso intermediari
monoprodotto e multiprodotto. In particolare si nota che al crescere del valore aggiunto
della funzione distributiva, aumenta la manifestazione di relazioni a contenuto
strategico. Lo sviluppo di formule distributive moderne, che offrono servizi complessi e
differenziati favorisce, quindi la maturazione di relazioni interattive e strategiche tra
fornitori e clienti. Nel comparto grocery la rivalità tra industria e distribuzione è
accentuata dall’interesse, che entrambi nutrono, nello stabilire una relazione stabile e
privilegiata con i consumatori finali, cosa che poi si traduce in maggiore potere
nell’imporre le proprie condizioni alla controparte. Un’eccessiva conflittualità potrebbe
però comportare rischi e costi che a lungo andare potrebbero danneggiare gli interessi
delle due parti; per evitare tutto ciò fornitore e distributore convengono sull’opportunità
di sfruttare il potenziale delle relazioni con i consumatori finali per realizzare obiettivi
comuni, invece di puntare al dominio del mercato. In questo quadro si prospetta per il
futuro, in presenza di produttori e distributori “forti”, una ricerca di diversificazione dei
servizi commerciali offerti, con la finalità di conseguire migliori performance integrate
tra industria e distribuzione. Ovviamente la transizione da un’economia basata sulla
produzione ad una basata sulla distribuzione, non avviene in maniera brusca, ma come
accade per tutti i fenomeni di questa portata, è frutto di un processo di graduale e lenta
trasformazione. Il cambiamento in atto trova espressione in ambito retail con la nascita
di nuove formule distributive che rappresentano in qualche modo il risultato, visibile per
i consumatori finali dei cambiamenti in atto. Tali manifestazioni possono tuttavia essere
considerate allo stesso tempo anche agenti di cambiamento, vigendo sempre una
corrispondenza biunivoca tra gli elementi ambientali. Il tratto unificante di queste
trasformazioni è rappresentato dalla ricerca di maggiore efficienza, coniugata ad un
miglioramento dell’offerta, modellata sulle esigenze del consumatore finale. Le
modificazioni introdotte possono essere ricondotte a tre macro-aree: l’area strutturale,
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l’area operativa e l’area decisionale (Barile, 1996). L’area operativa è sicuramente
quella in cui le modifiche, che riguardano una migliore utilizzazione delle risorse e una
migliore soddisfazione dei bisogni dei clienti, sono più evidenti agli occhi dei
consumatori. Tra le innovazioni emergono per importanza il graduale ampliamento
delle superfici di vendita, degli assortimenti, il prezzo fisso, l’adozione, in alcuni
reparti, di vendita a libero servizio, l’impiego di nuove tecnologie. Meno evidenti, ma
altrettanto importanti sono i cambiamenti che interessano l’ambito strutturale; infatti, le
imprese familiari sono sostituite sempre più da aziende con una struttura societaria
complessa. Per quanto riguarda l’area decisionale aumentano i punti vendita sottoposti
ad una direzione unitaria, e di conseguenza si modificano gli obiettivi perseguiti che non
riguardano più alla prosperità della singola unità di vendita, ma sono orientate al
miglioramento delle condizioni dell’intero gruppo di imprese. La maggiore
concentrazione permette strategie centralizzate, in grado di esercitare una maggiore
influenza nei confronti degli altri operatori del canale, tant’è che i produttori di minori
dimensioni si trovano a volte ad essere esclusi nelle scelte di assortimento di un grande
distributore. Tale evenienza può addirittura significare per taluni imprenditori la
cessazione dell’attività.
1.2 Le tappe evolutive del retail
I nuovi format che si sviluppano ad inizio ottocento rappresentano una risposta alle
rinnovate esigenze della domanda. Questo è ciò che accade in Francia dal 1830 con i
Magasins de Nouvautès, che possono essere considerati l’anello di congiunzione tra
dettaglio tradizionale e la formula del grande magazzino; questo nuovo formato
consente ai clienti di visionare i prodotti senza impegno d’acquisto, pratica il prezzo
fisso in un contesto in cui la contrattazione individuale è la norma, offre servizi come la
consegna a casa delle merci e la restituzione di articoli difettosi. A questo poi il grande
magazzino aggiungerà una maggiore ampiezza degli assortimenti e l’imposizione del
pagamento in contanti, dando luogo ad una formula che in quel periodo si configura ad
alto coefficiente di servizio. Tutto ciò corrisponde ai nuovi bisogni dei consumatori.
In Francia e negli Stati Uniti, cominciano a manifestarsi i primi cambiamenti negli
esercizi tradizionali, adeguamenti e trasformazioni che aumenteranno progressivamente
di intensità fino a trovare espressione nella individuazione delle nuove formule
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distributive. La prima di queste avviene in Francia nel 1848 con l’apertura dei grandi
magazzini Le Bon Marchè, considerati il primo grande magazzino della storia, al quale
farà seguito nel decennio successivo la nascita di Macy’s a New York. Il rinnovamento
del dettaglio continua nei decenni successivi acquistando sempre maggiore forza e
assumendo sempre diverse forme; nel 1879 apre negli Stati Uniti Woolworth, il primo
magazzino a prezzo unico e a Menphis nel 1916, data storica per il self service, nasce il
primo Piggly Wiggly Store, al cui interno c’è un itinerario predeterminato al termine del
quale si trovano le casse e poi l’uscita. Nel 1923, a Kansas City nasce il Country Club
Plaza, il primo centro commerciale. Risale al 1930 a New York la nascita del primo
supermercato della catena King Kullen, seguito a distanza di tre anni dall’insegna Big
Bears; sempre negli stessi anni si sviluppa anche il magazzino popolare, a causa della
particolare situazione economica conseguente alla crisi del ’29 che ha causato la
diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Il supermercato provocherà un vero e
proprio terremoto nel panorama distributivo, che costringerà il dettaglio tradizionale a
procedere ad una riorganizzazione, attuata sia mediante conversione dei vecchi esercizi
nella nuova formula sia facendo ricorso in misura crescente a forme associative tra
dettaglianti. Negli USA i punti vendita del dettaglio alimentare, che nel 1920 erano
circa 2.000.000, raggiungeranno il numero di 560.000 nel 1940, (Patrucco, 1970), cifre
queste che possono dare un’idea della portata dei cambiamenti in atto. Gli anni ’50
rappresentano un periodo di straordinaria crescita nel dettaglio moderno, basti pensare
che negli Stati Uniti nel decennio che va dagli anni cinquanta ai sessanta, le superfici
moderne raddoppiano la quota di prodotti commercializzati, passando dal 35% al 70%
del totale del commercio alimentare, mentre il numero delle unità di vendita passa da
381.000 del 1948 alle 260.050 del 1960. Alla fine degli anni sessanta assistiamo alla
cosiddetta “Rivoluzione Commerciale”, ossia ad un ammodernamento del sistema
distributivo, che si manifesta attraverso una progressiva sostituzione del dettaglio
tradizionale con nuove formule distributive che danno vita ad una struttura
maggiormente integrata, capace di rispondere meglio alle nuove richieste che si
manifestano nel sistema economico, operando con criteri capitalistici e manageriali ed
offrendo servizi commerciali complessi e differenziati. Il dettaglio tradizionale con i
suoi tratti caratterizzanti può essere individuato, quindi come il punto di riferimento per
valutare i cambiamenti della distribuzione e le innovazioni introdotte dalle diverse
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formule, punto di riferimento che segna il confine tra distribuzione tradizionale e
distribuzione moderna.
1.3 Il concetto di distribuzione moderna
Con il termine distribuzione moderna, identifichiamo il risultato del processo di
modificazione del comparto, attuato con un cambiamento strategico nella gestione dei
rapporti con il canale ed in particolare con il mercato, che conduce a ricalibrare l’offerta
sulle nuove esigenze dei clienti. Il sistema acquista consapevolezza delle potenzialità
insite nel contatto diretto con i clienti e delle possibilità che le nuove tecnologie offrono
in termini di conoscenza del singolo acquirente, in modo da adattare e personalizzare al
meglio l’offerta aziendale. Inoltre, prende coscienza della forza derivante dalla grande
dimensione nei confronti dei produttori, ma allo stesso tempo pone attenzione ai
benefici che possono scaturire da relazioni di tipo collaborativo. Molta importanza viene
data sia allo strumento “comunicazione” per rafforzare la propria immagine, orientare le
preferenze e fidelizzare i clienti sia all’innovazione, tesa ad una continua ricerca di
adattamento proattivo all’ambiente, ed in particolare alla domanda, come risorsa chiave
per garantire la sopravvivenza dell’impresa. Appartengono alla distribuzione moderna
imprese che, indipendentemente dal tipo di formato attraverso cui operano, fanno parte
di una grossa catena di distribuzioni al dettaglio (Grande Distribuzione) o partecipano
ad una qualsiasi forma di commercio associato, sia esso volontario, cooperativo o
contrattuale (Distribuzione Organizzata). Nel caso della Grande Distribuzione, il
modello organizzativo è integrato in capo ad una singola azienda mentre nel caso della
Distribuzione Organizzata, un’associazione di più aziende indipendenti delega a
strutture comuni una serie di funzioni che è più conveniente svolgere centralmente, in
quanto la distribuzione è caratterizzata da elevate economie di scala in tutte le funzioni
centrali che possono essere messe al servizio dei punti vendita. Se si escludono rare
eccezioni, la struttura di un’impresa di distribuzione è riconducibile a tre componenti :
la rete di vendita (i negozi), uno o più magazzini destinati al rifornimento della rete
(nella terminologia in uso nel settore vengono chiamati Centri di distribuzione o Cedi )
e una strutture centrale dove sono svolte tutte le funzioni di servizio (acquisti, vendite,
marketing, finanza, gestione del personale, amministrazione).
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1.4 Innovazione in ambito distributivo
L’innovazione si manifesta nel settore commerciale in diverse forme: ad esempio essa
può realizzarsi attraverso la commercializzazione di prodotti che rappresentano una
novità per il mercato di riferimento, oppure può riguardare i processi organizzativi o
logistici, portando ad un miglior appagamento della domanda o al conseguimento di
maggior efficienza. Le tecnologie informatiche permettono l’automazione della
logistica, ed offrono numerose applicazioni anche nei confronti dei clienti: è il caso dei
pagamenti con carte magnetiche o del self scanning. Le innovazioni possono avvenire
anche nell’ambito delle relazioni con i clienti e a livello di processi interorganizzativi
con i fornitori industriali.
Figura 1- Le diverse formule distributive
INNOVAZIONE
DELLA
DISTRIBUZIONE
Innovazione di Format
Innovazione di
Filiera
Innovazione Organizzativa Innovazione tecnologica
Innovazione di
Servizio
Innovazione di Prodotto
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1.4.1.Analisi teorica dei fattori che stimolano il cambiamento
Sul processo che genera l’innovazione in ambito retail sono state avanzate diverse teorie
(Lugli e altri, 1987) che vanno a ricercare relazioni di causa ed effetto in grado di
spiegare i cambiamenti che si verificano nel dettaglio e cercano di prefigurare scenari
futuri.
Secondo la teoria della big disturbance (Bliss, 1960)sarebbe la concorrenza tra imprese
a generare i cambiamenti nella distribuzione; in particolare l’entrata di competitors
dotati di caratteristiche organizzative o tecnologiche tali da generare un grande disturbo,
costringerebbe le altre imprese a rapidi adeguamenti. Il limite più evidente di questa
teoria è di guardare all’innovazione da una prospettiva macro-economica, senza chiarire
effettivamente le cause che spingono la singola impresa all’innovazione.
Per la teoria della wheel of retailing (Lugli, 2002) invece, l’innovazione nel dettaglio
nasce dalla possibilità di offrire a prezzi inferiori gli stessi beni già proposti da altre
formule, ad esempio riducendo l’incidenza dei costi per il servizio, migliorando le
condizioni di acquisto o raggiungendo economie di scala o di scopo. Punti deboli della
teoria sono la mancata considerazione delle reazioni delle altre soluzioni distributive e
soprattutto il fatto di osservare l’innovazione dal lato dell’offerta, senza stimare l’offerta
di variabili ambientali.
La teoria del trading up (Goldman, 1975) analizza il progressivo incremento del livello
di servizio e della qualità dei prodotti proposti al mercato. Il trading up si concretizza in
una maggiore specializzazione degli assortimenti, in un ampliamento delle merceologie,
nell’introduzione di nuovi e più articolati servizi al consumatore. La finalità è spostare
la competizione dai prezzi ai servizi, diversificando la propria offerta.
Un’altra teoria significativa è quella detta della fisarmonica (Hollander,1966) nella
quale si osserva l’innovazione distributiva dal lato degli assortimenti, rilevando un
alternarsi di assortimenti ampi e despecializzati con assortimenti stretti e specializzati.
E’ quanto si è verificato negli Stati Uniti col passaggio dal general store al grande
magazzino, provvisto di un assortimento più stretto e specializzato, per poi tornare con
l’esplosione dei centri commerciali ad un assortimento ampio.
Il modello del ciclo vitale associa il ciclo di vita dei prodotti commerciali composto da
quattro fasi, a quello dei prodotti industriali. La prima è l’innovazione, nella quale nasce
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una formula nuova che copre un vuoto d’offerta, fondando solitamente il suo vantaggio
su una leadership di costo; si sviluppano le vendite, ma i profitti sono bassi in quanto
c’è necessità di coprire i costi d’impianto sostenuti e gli effetti sul sistema economico
sono deboli. La seconda fase è quella dello sviluppo in cui la formula ha successo e si
diffonde sul territorio, incrementando la propria quota di mercato e i profitti e i
concorrenti iniziano a reagire. La terza è quella della maturità e saturazione, quando la
quota di mercato si stabilizza e a causa della concorrenza la redditività diminuisce. La
quarta e ultima fase è il declino, in cui la formula esaurisce la sua funzione ed è
destinata o alla riconversione o all’estinzione. Solo in casi eccezionali si assiste ad una
scomparsa totale della modalità, che solitamente si assesta a quote di mercato molto
modeste. I maggiori limiti del modello sono la difficile prevedibilità di durata d’ogni
fase e la poca attenzione alle cause che portano alla nascita di una formula. Le teorie
appena esposte appartengono all’approccio evolutivo meccanicistico e si
contrappongono a quelli seguenti, detti modelli multi-criterio che danno maggior peso
ad elementi esterni. La teoria degli spazi limitati (Hirshmann, 1978) collega
l’evoluzione del commercio alla crescente turbolenza del mercato e alle conseguenti
variazioni nelle preferenze dei consumatori che generano continuamente nuove
opportunità di business, da cogliere con soluzioni commerciali nuove. Attraverso uno
studio delle differenti forme di grande magazzino fiorite negli USA si mostra come
fattori socio-economici e inter-personali dirigano la scelta verso una formula piuttosto
che un’altra. Nel suo modello invece Filser propone un’analisi centrata sul consumatore
(Filser, 1992), nel quale sostiene che le caratteristiche economiche, psicologiche,
demografiche e socio-culturali del consumatore creano un definito sistema di attese, che
si traduce in specifici vantaggi ricercati; quando non c’è coincidenza tra i benefici attesi
e le caratteristiche percepite dalla formula di vendita in termini di assortimento, prezzi,
localizzazioni, servizi offerti, si crea una situazione di insoddisfazione da parte del
cliente che si manifesta nei confronti del distributore nella forma di un peggioramento
dei risultati. Diventa allora necessaria una modificazione delle caratteristiche del
prodotto distributivo che porta all’innovazione.
Il fenomeno distributivo di cui si cercano di capire cause ed innovazioni è il risultato di
un complesso di forze che agiscono simultaneamente e che si influenzano
reciprocamente. E’ fuori dubbio che le attese dei consumatori svolgano un ruolo di