INTRODUZIONE
“In questa nostra epoca non vi è altro
di necessario che il superfluo”
Oscar Wilde
Il mercato dei beni di lusso ha registrato nell’ultimo ventennio una serie di
cambiamenti radicali. In primo luogo è mutato il paradigma sociale ed economico
all’interno del quale si inseriscono i comportamenti d’acquisto e d’uso dei beni di lusso.
A partire dalla fine degli anni Settanta, infatti, la componente ostentativa ed emulativa
che guidava la domanda di questa tipologia di prodotti ha ceduto il passo ad un nuovo
significato di lusso, che da specialistico si è trasformato in generalistico (“tutto per
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tutti”), da locale in globale (“tutto dappertutto”) e da elitario è divenuto democratico,
grazie alla convinzione diffusasi tra gli operatori del settore che non solo i più facoltosi
possono apprezzare un prodotto di qualità superiore.
Il lusso odierno è dunque sempre più “finalizzato ad accrescere il proprio piacere
e benessere personale e non, come voleva una consolidata prassi, a comunicare agli altri
la ricchezza o lo status sociale” (Fabris, 1998).
Il mercato dei luxury goods è denominato da alcuni grandi global players come
Cartier, Gucci, Prada e Ferragamo e da numerose imprese che appartengono al più
specialistico “sistema moda”, ma la leadership indiscussa è detenuta dal gruppo LVMH
che con marchi eccellenti come Louis Vitton, Kenzo, Christian Dior e Möet&Chandon,
presenta un fatturato che supera la metà del valore complessivo del mercato.
I luxury brands più prestigiosi ricercano nelle innovazioni strategiche vantaggi
competitivi difficilmente inimitabili adottando soprattutto strategie di diversificazione,
attraverso le quali il lusso è diventato un ambito competitivo che attraversa
trasversalmente molti settori merceologici, dalla gioielleria all’abbigliamento e
dall’orologeria ai cosmetici.
I grandi colossi del lusso sfruttano dunque da una parte una risorsa chiave quale la
brand equity al fine di crescere e sviluppare il loro patrimonio d’immagine e tentano
l’entrata in nuovi segmenti di mercato attraverso l’acquisizione di griffe di prestigio.
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Dichiarazione di Silvio Ursini, direttore marketing di Bulgari (2000)
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Accanto ad attività legate alla brand extension e all’acquisto di imprese che
possono vantare una notorietà di marchio riconosciuta al livello mondiale, i gruppi
multibusiness e multibrand hanno percorso la via del controllo più serrato della filiera
produttiva impegnandosi nell’acquisizione di aziende e laboratori artigianali capaci di
offrire produzioni di elevato livello qualitativo.
Proprio in questo ambito strategico si inserisce l’evoluzione dell’impresa oggetto
dell’indagine, Rossi Moda S.p.A., azienda che ha operato per quasi mezzo secolo nel
settore calzaturiero passando da terzista a licenziataria delle grandi griffe del lusso, e
che nel 2006, una volta che l’attuale Amministratore Delegato Luigino Rossi avrà
ceduto l’ultima frazione di capitale sociale ancora in possesso della famiglia, verrà
completamente assorbita dal gruppo LVMH.
Il colosso del lusso francese attraverso questa operazione si pone l’obiettivo di poter
sfruttare tutti i vantaggi legati alla concentrazione della produzione di calzature dei vari
brands che fanno parte della galassia LVMH presso l’azienda veneta, che al momento
produce sei collezioni per marchi di proprietà del gruppo: Christian Lacroix, Givenchy,
Loewe, Emilio Pucci, Calvin Klein e Marc by Marc Jacobs. A questo proposito, il
direttore della sezione Accessori della griffe Givenchy conferma l’importanza di poter
condividere con Rossi Moda esperienze e fornitori, affermando che: “far parte dello
stesso gruppo ci permette di razionalizzare i processi di acquisto e di gestione”.
Questo lavoro si pone come obiettivo quello di analizzare il caso Rossi Moda alla luce
due diverse prospettive, nel tentativo di dare una risposta ai seguenti interrogativi:
1. come cresce un’azienda operante nel settore del lusso?
2. come si articola e come viene gestita la Supply Chain che ha come impresa
focale un’azienda che produce luxury goods?
Riuscire a rispondere in maniera adeguata a queste domande sulla base dell’analisi di un
solo caso aziendale porterebbe sicuramente a risultati imprecisi e forvianti, ma da
questo studio si possono trarre alcune evidenze rilevanti sulle possibilità di crescita
aziendale e di sviluppo della catena di fornitura che un’impresa italiana che si trova ad
operare all’interno dl settore del lusso, e in particolare nel segmento della calzatura di
fascia più elevata, può sfruttare.
La Prima Parte descrive il Mondo del lusso ed ha lo scopo di distinguerne i
confini, gli oggetti, i soggetti e le strategie tutti meno scontati di quanto potrebbero
sembrare, perché non basta essere inutili o cari per proporre lusso con successo, e
perché non basta essere belli per essere per essere desiderati.
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Le mappe del superfluo e del lusso, e l’analisi degli oggetti e dei soggetti del
lusso, costituiscono un sopralluogo sulle segmentazioni concettuali del settore. In parte
arbitrarie, perché non verificate inadeguate ricerche sul campo, risultano tuttavia
particolarmente utili per la realizzazione delle strategie di segmentazione oggi in atto e
indispensabili per quelle che esploderanno con veemenza proprio nei prossimi anni.
Il rallentamento della crescita del mercato del lusso, dovuto in parte all’11
Settembre, impone, come al solito, lo sviluppo di nuove segmentazioni per favorire
l’accorciamento del ciclo di vita dei prodotti e la creazione di nuove piccole onde di
crescita che compensino il calo della marea.
Lo vediamo nella moltiplicazione dell’offerta delle barche da diporto come delle
automobili di lusso o dei guinzagli tempestati di diamanti. Ma l’esplosione delle
segmentazioni, e la conseguente creazione del segmento di lusso in mercati che finora
non lo avevano, è particolarmente evidente in molti ambiti del vastissimo mondo del
superfluo: dai dolciumi ai cosmetici, dall’arredamento agli alimentari, dove si stanno
creando creste elevate di prezzo/qualità/immagine mai viste finora.
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E’ il fenomeno del “neo-lusso”, come lo chiamavano Silverstein e Fiske, della
“coccola di lusso”, della “lussazione” della vita di tutti i giorni, secondo la definizione
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di Patrizia Calefato: una linea di tendenza evidente da alcuni anni nei comportamenti
del consumatore,che delinea un nuovo concetto di lusso, non legato al “prezzo assoluto”
del prodotto bensì a quello “relativo”, rispetto cioè al prezzo medio del mercato di
riferimento.Sono coccole di lusso tanto la candela profumata da 50 euro quanto le
pantofole di cachemire da 500 o il telefonino da 1.000. Operazioni di questo tipo si
basano spesso sull’utilizzo del linguaggio e della comunicazione del lusso, la “lussità”,
cosa tutt’altro che difficile da imitare, e danno talvolta risultati straordinari in termini di
vendite e di profitti per i produttori. Oggi il settore del lusso è sano, in sviluppo, molto
redditizio per i marchi meglio gestiti. L’appeal del lusso, diffuso e radicato in gran parte
del mondo, è una garanzia per un futuro favorevole.
Le forme diverse delle forme del ciclo di vita dei diversi mercati richiedono però
sempre più attente strategie di portafoglio marchi e prodotti. Le strategie di un
marketing “paradossale” dovranno forse attenuare qualche incongruenza, non più così
necessaria e vantaggiosa, e riscoprire un po’ di consistenza competitiva. Le strategie di
base adottate dal settore, finora costituite dalla “differenziazione” e dalla
“focalizzazione”, saranno superate, in alcuni segmenti, da strategie nelle quali si
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Silverstein M.J., Fiske N., 2004
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Calefato P., 2003
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integrano anche i vantaggi derivanti dalla “leadership” dei costi. Cambieranno quindi, e
di molto, i fattori critici di successo e questo significa che si aprirà una fase rapida di
obsolescenza di prodotti, di gestione e…manager.
La Seconda Parte analizza cosa comunica il lusso, cioè come desiderano essere
percepiti i prodotti e le marche del lusso dai loro consumatori, o meglio, come si ama
dire nel settore, dai loro clienti. Illustra quindi le tecniche di marketing che si utilizzano
per occupare una posizione precisa, vantaggiosa e vincente nella mente del cliente. Si
chiama “posizionamento”, si gioca in pochi, perché pochi lo sanno fare bene, vince
uno solo.
Oggi le tecniche di posizionamento dei beni di lusso, sono ridicolmente
primordiali rispetto a quelle di altri settori. Deboli di posizionamento, i prodotti di lusso
hanno però una grande ricchezza: la qualità, spesso accompagnata ad un’altra
eccellenza: il servizio. Inoltre, seppur debole nel posizionamento dei prodotti, il mondo
del lusso è stato finora molto efficace nel posizionamento delle marche. Molte marche
del lusso sono rinate dai cadaveri già citati di aziende decotte, ma su queste marche è
stato fatto talvolta un eccezionale lavoro di restyling che, ha saputo arricchirli
dell’unicità e dell’esclusività su cui si fonda il successo in questo settore.
La Terza Parte si occupa della comunicazione dei beni di lusso e quindi
analizza il communication mix, che è l’insieme dei mezzi che le imprese utilizzano per
comunicare il loro posizionamento, cioè per dirci chi sono e da chi vogliono essere
comprati. Il prodotto innanzi tutto, ma anche la sua distribuzione, la pubblicità, le
relazioni pubbliche, le politiche di prezzo ecc..
Quello del lusso elevato è un marketing affascinante, che alcuni padroneggiano
in maniera straordinariamente efficace, basato su grandi visioni sui contenuti del brand
e sull’infinita pazienza nella gestione maniacale di ogni dettaglio del marketing mix.
Ma, più specificamente, è specialmente il regno degli stilisti e dei manager che sanno
finalizzare la creatività agli obiettivi di posizionamento del brand.
Il marketing mix, oltre che il reale “posizionatore” di marche e prodotti, è anche
lo strumento concreto della strategia di marketing.
Il lusso sta percorrendo solo da pochi anni, e con grande successo, tre percorsi
strategici: l’internazionalizzazione, l’allargamento della gamma e, sempre più spesso la
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diversificazione. Beh, se le strategie di sviluppo, come ci racconta Ansoff, sono
quattro, ne manca ancora una: la penetrazione del mercato. Questo è il punto debole
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Ansoff I., 1957.
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delle aziende del lusso, che traspare dalla fragilità del marketing delle aziende del
settore proprio nell’applicazione della strategia di sviluppo più difficile: crescere di più
nello stesso mercato con lo stesso prodotto.
Adesso ci vuole il marketing duro per crescere nei mercati già saturi, ma ciò
significa che serve una nuova cultura di marketing. Senza inventarne uno nuovo, ma
imparando ad usare quello che finora il lusso ha preteso che non gli fosse necessario.
La Quarta Parte allaccia i fili delle previsioni, provocazioni e suggestioni, e si
occupa del nuovo lusso.
Siamo solo all’inizio ma già adesso i profitti del settore nascono in gran parte
dall’escursionismo e dalla vendita di accessori di “basso” prezzo, e vediamo bene che
parte del lusso accessibile sarà il superfluo di domani così come il vertice del superfluo
potrebbe diventare il lusso emergente. Possiamo quindi immaginare quale guerra si
scatenerà tra non molto nel nuovo mercato del lusso tra chi vorrà scendervi ancora più
decisamente provenendo dall’alto del lusso intermedio e chi vorrà salire sollevandosi
ancora più in alto del premium price che già oggi pratica con successo. Con una
circostanza determinante: mentre chi scende, conosce bene il rudimentale per quanto
colto e garbato marketing del lusso, chi sale conosce bene quello sofisticato seppur
brutale del largo consumo.
Quale sarà il marketing del nuovo lusso? Erediterà l’alta e sincera qualità di
prodotto del vecchio lusso o si baserà sempre più spesso sulle quai-menzogne ben
pubblicizzate del mass market?
Il lusso emergente potrebbe essere una via d’uscita di massa dalla
massificazione; è un’opportunità che le aziende del largo consumo faranno bene a
cogliere, per liberarsi almeno in parte dalla pressione asfissiante dei retailer che ormai
gestiscono marche più importanti delle loro e per ricrearsi un nuovo spazio di crescita.
C’è almeno mezzo pianeta pronto per i nuovi modelli di consumo, per nuovi sogni, e
che non tollera più la pubblicità da terzo mondo dei detersivi e delle lamette da barba
che propongono ancora identificazione con persone e stili di vita ai quali si sente ormai
superiore.
Ma in mezzo, tra il lusso e il largo consumo c’è un gap di offerta e un enorme
mercato potenziale, una grande area dove cercare identificazioni possibili ed allettanti
per milioni di persone: è la più grande opportunità degli ultimi vent’anni, che aspetta chi
saprà approfittarne.
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Su alcuni di questi temi, in Francia è in atto da un paio di anni un acceso
dibattito che coinvolge, più gli studiosi accademici ed i consulenti che non i vertici delle
aziende del lusso.
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Marie-Claude Sicard accusa il mondo del lusso francese di vivere in una sorta
di perdurante esaltazione autoelogiativa, peraltro giustificata dall’andamento positivo
del settore, che esclude la considerazione di qualunque voce meno trionfalistica e quindi
almeno in parte critica dell’attuale cultura del settore.
La Sicard descrive un paese che continua a fregiarsi del titolo di maggiore
produttore di articoli di lusso, mentre produce sempre meno in Francia, il suo peso sul
fatturato mondiale è in costante calo ed i prodotti più venduti sono poco più che dei
premium price. Un paese che continua a dare poca considerazione ai marchi stranieri,
compresi quelli italiani, perché il vero lusso è, solo francese.
Su queste premesse è chiaro che le conclusioni alle quali giunge la Sicard
disegnano a fosche tinte il futuro possibile del lusso francese.
Se le aziende italiane, al contrario di quelle francesi, accettassero l’idea di
rimettere in discussione, almeno in parte, alcuni dei dogmi e dei miti che fino ad oggi
hanno guidato le loro scelte, specialmente di marketing, potrebbe nascere un’area di
vantaggio competitivo ulteriore per il lusso italiano.
Potrebbe essere una svolta, certamente positiva, rispetto ad un futuro che, non
appare più roseo come appariva fino a qualche anno fa.
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Sicard M. C., 2003.
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