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Allo stesso tempo le marche del mercato orologiero, come del resto tutta
l’industria mondiale, sono costrette ad adeguarsi alle regole di un mercato
mondiale molto diverso dal passato, regole non più stabilite unilateralmente dal
mondo della produzione ma risultanti dall’incontro e dall’iterazione con i valori, i
desideri e le esigenze di “persone”, non più semplici consumatori, sempre più
autonome nei comportamenti di consumo, informate e competenti.
I primi fautori di una risposta alla sfida proveniente dall’Oriente sono
l’imprenditore emergente dell’orologeria svizzera, Nicholas Hayek, e uno degli
uomini di marketing più competitivi al mondo, Franco Bosisio, che interpretando
al meglio l’evoluzione del mercato e capendo l’entità e le motivazioni dal gap che
li divide dai produttori del Sollevante creano Swatch il segnatempo che sancirà il
rilancio dello Swiss Made e il fenomeno che porterà all’evoluzione in senso
moderno del mercato dell’orologeria mondiale.
La riconoscibilità e l’importanza data allo stato sociale che deriva dall’indossare
una particolare marca infatti svuota l’oggetto orologio delle sue valenze specifiche
e della sua tecnicità facendo traslare il punto focale del successo sul mercato
dall’affermazione di valori intrinsechi quali la funzione, i materiali e la manualità
all’affermazione del brand nella coscienza dell’acquirente.
Swatch e una serie di altri avvenimenti e cambiamenti intervenuti portano così alla
scoperta di un mondo ancora vivo, diverso da quello spesso immaginato e ricco di
spunti interessanti che invogliano al tentativo di capire come funziona realmente
oggi questo settore, come sono divisi e come operano i grandi gruppi, quanto
contano e cosa potrebbe accadere in futuro.
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CAPITOLO PRIMO
L’EVOLUZIONE DELL’OROLOGERIA: STORIA
DELL’ULTIMO TRENTENNIO
1.1 – LA FINE DELL’OROLOGERIA TRADIZIONALE
Le forti innovazioni di prodotto, la ricerca di elevati livelli di tecnicità, lo
sviluppo della tecnologia al quarzo, l’avvento sul mercato mondiale dei
competitors giapponesi, il crollo dell’industria svizzera e la rinascita grazie al
fenomeno Swatch sono solo alcuni degli innumerevoli cambiamenti attorno ai
quali nasce e si sviluppa l’evoluzione in senso moderno di un settore secolare e
ricco di fascino qual è l’orologeria.
La data alla quale possiamo allacciare l’inizio di questo fondamentale e repentino
cambiamento è senz’altro il 1969.
È in quell’anno che lo Swiss Made raggiunge il culmine sia in termini di risultati
economici (quota di mercato, fatturato, esportazioni, ecc…) che in termini di
prestigio nell’immaginario collettivo.
Nel mese di giugno l’astronauta americano Neil Armstrong diventa il primo uomo
a scendere sulla luna e l’allunaggio viene compiuto da lui e dagli altri membri
dell’equipaggio indossando l’ormai leggendario cronografo Speedmaster
Professional della Omega. La portata mediatica dell’evento è enorme, milioni e
milioni di persone seguono ogni istante dalla televisione stupefatte e affascinate.
Lo Speedmaster diventa quindi immediatamente “l’orologio della Luna” ed il
prestigio dell’azienda e del resto dell’orologeria svizzera ne risente positivamente
ottenendo un’ennesima consacrazione nell’immaginario dei consumatori da
aggiungere ai 300 anni di storia e tradizione.
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In quell’anno è da posizionare anche l’emergere di una minaccia probabilmente
sottostimata dai produttori svizzeri che stravolgerà l’andamento del mercato
orologiero mondiale dando inizio ad una strutturale fase di cambiamenti.
Nel Natale del 1969 infatti la pionieristica industria giapponese, fedele alla sua
fama di innovatrice, diventa la prima a lanciare sui mercati mondiali un orologio
al quarzo (al prezzo di 1250 dollari, l’equivalente di una Toyota Corolla), stiamo
parlando del 35SQ Astron.
È la Seiko, commercializzando l’Astron, a fare il grande passo e ad anticipare
l’industria svizzera la quale aveva fatalmente esitato nel produrre e
commercializzare il primo orologio al quarzo da lei sviluppato attraverso gli studi
e le ricerche del Centre Electronique Horloger, il Beta 21 probabilmente
sottovalutando non solo le minacce provenienti da Oriente ma anche le
opportunità offerte da questa nuova tecnologia.
TAB.1 – Le tappe principali del processo di sviluppo dell’orologio al quarzo (Fonte:
Swatch e integrazione dal sito www.si.edu/lemelson/quartz)
1880 Scoperta della piezoelettricità (Pierre Curie)
1888 Scoperta dei cristalli liquidi
1927 Primo orologio al quarzo
1954 Prime batterie per orologio (Hamilton e National Carbon Company
1959 Invenzione circuiti integrati per orologi (C.E.H.)
1961 Sviluppo dei LED (Light-emitting Diodes)
1967 Primo prototipo di orologio al quarzo Beta 21 (C.E.H.)
1968 Sviluppo dei display a cristalli liquidi LCD (Optel Corporation)
1969 Introduzione dell’Astron in Giappone (Seiko)
1970 Primo orologio digitale Pulsar con LED (Hamilton Watch Company)
1976 Primo orologio con prezzo inferiore ai 20 dollari (Texas Instruments)
1983 Lancio dello Swatch (SMH)
1993 Orologio al quarzo senza batteria Kinetic (Seiko)
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Quello che succederà il decennio successivo sconvolgerà totalmente il sistema
produttivo e distributivo dell’orologeria svizzera e non solo.
L’impatto sugli scenari competitivi del settore dell’immissione sul mercato di un
innovativo prodotto come l’Astron e di alcune sue azzeccate derivazioni è
sconvolgente. La Svizzera, superpotenza mondiale dell’orologeria e regina
incontrastata dell’alta gamma, è attaccata e messa in ginocchio da un concorrente
sicuramente meno blasonato e che implementa la sua strategia posizionando
prodotti nella fascia medio-bassa di prezzo.
Gli anni ’70 decretano così definitivamente la fine dell’orologeria tradizionale e
dei vecchi sistemi di fabbricazione. Erano gli anni dello sviluppo di un processo
inarrestabile quale la globalizzazione, anni in cui cominciava a delinearsi una
nuova figura di consumatore, più attento, più informato, più esigente e con
comportamenti di acquisto in continua evoluzione; una figura che avrebbe
strutturalmente cambiato l’approccio dell’industria ai mercati e che avrebbe
generato una lunga serie di nuovi ed ancora inattaccati segmenti.
Raggiungendo proprio questi nuovi segmenti gli orologi al quarzo prodotti ad
Oriente (arricchiti nel 1972 dall’introduzione del primo movimento LCD con
display a cristalli liquidi) azzerano praticamente l’industria svizzera la quale
chiude fabbriche, licenzia personale, svende ad Est o peggio ancora distrugge i
suoi macchinari.
Le più importanti case tentano comunque di convertirsi al fenomeno del momento
e così negli anni successivi nomi di rilievo come Omega, Patek Philippe e Rolex
adottano movimenti al quarzo.
Questo però non basta, gli orologi svizzeri subiscono una brusca inversione di
tendenza perdendo in termini di qualità e importanza e le vendite diminuiscono
drasticamente impoverite soprattutto da una rete distributiva in evidente difficoltà
che sfrutta senza tentennamenti anche canali non tradizionali quali i negozi di
elettronica e i supermercati.
Nonostante la tendenza al rialzo del mercato internazionale negli anni ‘70 le
esportazioni svizzere caddero drammaticamente riducendosi della metà in meno
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di dieci anni (dal 1977 al 1983) e il numero di unità prodotte, in proporzione al
mercato globale, calò dal 43% al 16%.
Anche i dipendenti dell’industria svizzera avvertono che la fine di un sogno si
avvicina inesorabilmente e scendono in piazza per manifestare contro l’inerzia di
un management che resta a guardare.
Trecento anni di storia e la fama mondiale di una nazione fondata sul tempo, la
precisione e l’efficienza però non possono scomparire tutt’un tratto; le
fondamenta per una rinascita ci sono ed infatti quest’ultima si materializza
all’inizio degli anni ’80 grazie naturalmente ad uno svizzero, Nicholas Hayek, ad
una lunga serie di menti brillanti e ad una felice strategia di marketing dai quali
sorge il segnatempo che rilancerà la Svizzera a livelli impensabili fino a qualche
anno prima e che sancirà l’inizio di una nuova orologeria: Swatch, il primo
orologio che all’alta qualità dello Swiss Made e al design innovativo affiancava
un basso prezzo di vendita (al lancio in Italia solo 50.000£).
Alle innovazioni di prodotto e di processo introdotte per riequilibrare i conti e
ridurre i costi di vendita il progetto Swatch affianca una nuova strategia di
marketing e una nuova idea di design ed in meno di venti anni diventa uno dei
marchi più conosciuti a livello mondiale. La business idea di Swatch è infatti
quella di dare una diversa interpretazione dell’orologio cercando di aggiungere
all’alta tecnologia, necessaria in un prodotto come questo, un messaggio che dia
la possibilità al prodotto di emozionare il consumatore e quindi attirarlo
ulteriormente.
Dietro il successo di Swatch si cela comunque anche la forza di un gruppo e gran
parte del merito va attribuito alle persone che con il loro lavoro sono riuscite a
riunire le potenzialità dell’ETA SA (filiale dell’ASUAG il più grande gruppo
orologiero della Svizzera) e di tutte le piccole e grandi fabbriche di movimenti e
parti meccaniche riunite sotto la sua supervisione con quelle di Omega, Tissot,
Longines e della neonata Swatch (l’allora SMH divenuta poi giustamente Swatch
Group e fautrice delle prime audaci e riuscite fusioni) per la realizzazione di un
prodotto composto solamente da 51 pezzi.
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Dal suo ingresso sul mercato (1983) Swatch ottiene immediatamente un ottimo
successo e posizionandosi nella fascia medio-bassa di prezzo (precedentemente
bistrattata dagli svizzeri) riesce a risollevare le sorti di un settore caduto in una
crisi che gli stessi uomini del management svizzero stavano delineando come
cronica. Chiarificatrici in questo senso sono senza dubbio le testimonianze
dell’epoca del fondatore di Swatch, Nicolas Hayek, il quale riportando ricordi e
aneddoti di diversi suoi incontri con alcuni tra i maggiori produttori svizzeri di
orologi evidenzia come si trattasse ormai di una categoria allo sbando, pervasa dal
pessimismo e convinta dell’incolmabilità del gap che divideva la Svizzera dai
produttori giapponesi.
“Mi chiesero di evidenziare come i nostri salari fossero cinque volte quelli dei
giapponesi e come diventasse necessario vendere a loro alcuni di nostri “gioielli”
uscendo di fatto dal business degli orologi…la Svizzera…300 anni di storia…Ho
rilanciato: “Diventeremo ancora il numero uno”…si misero a ridere…”
(N. Hayek, comunicazione dell’autore contenuta nel libro “Imprenditori e imprese” a
cura di Andrea Liparini e Gianni Lorenzoni, Il Mulino)
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1.2 – DALLA MARCA AL BRAND
Con l’avvento dello Swatch e la ripresa dell’espansione generale dell’orologeria
avvenuta alla fine degli anni ’80 l’industria svizzera ha visto sostanzialmente
nascere parallelamente sia un nuovo tipo di offerta che un nuovo mercato
rappresentato da numerosi potenziali acquirenti ancora insoddisfatti che ricercano
nel bene orologio qualcosa di “diverso”.
Quello che è strutturalmente cambiato è proprio lo spirito stesso di come viene
visto e concepito l’orologio il quale, liberandosi dall’interpretazione di “bene
rifugio” eterno e di valore in cui la storia lo aveva posizionato, punta
sull’affermazione di un livello di godibilità del bene diverso e sempre più elevato.
Si materializza quindi un cambiamento quasi fisiologico in un settore, quello
dell’orologeria, statico ormai da troppo tempo e bisognoso di nuove idee che lo
rivitalizzino, un cambiamento frutto sostanzialmente dell’evoluzione delle
abitudini di acquisto dei consumatori i quali, dal periodo post-bellico in avanti,
grazie ad un maggiore potere di acquisto hanno saturato i nuclei di base dei
mercati dando vita ad una domanda potenziale di prodotti sempre più evoluti e
capaci di trasmettere valori ed emozioni in grado di soddisfare i bisogni materiali
e psicologici di gruppi distinti di acquirenti.
Fino ad allora l’orologio era un oggetto che si acquistava il più delle volte per
tutta la vita.
I nostri nonni ci hanno abituato a vedere i classici Zenith e Longines in oro a tre
sfere indossati per decenni senza mai cambiare nulla se non il cinturino una volta
ogni tanto.
L’orologio era comunque qualcosa che rimaneva, un prodotto personale e
duraturo che una volta rotto andava riparato e che spesso e volentieri veniva
conservato in un cassetto perché dotato di un elevato valore economico ed
affettivo, trasmessogli magari dall’averlo ereditato da generazioni familiari
precedenti.