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Trade Organization. Tale entità economica mondiale annovera oggi oltre 150 paesi membri ed è
dotata di un forte potere di moral suasion nei confronti degli stati membri, superiore persino a
quello dell’ONU. Persino la superpotenza USA si è trovata a dover fare i conti con la WTO senza
poter essersi mai sottratta ai provvedimenti sanzionatori ad essa comminati. Appare ovvio che in
tale contesto il sostegno di singole politiche nazionali risulti faticoso quanto inutile.
Se a ciò aggiungiamo lo sviluppo a vertiginose velocità di nuove economie, come quella cinese,
che sta erodendo in maniera esponenziale quote di mercato in tutto il pianeta, riusciamo a
riscontrare una variazione dell’ambiente di riferimento globale non indifferente che ha fatto
insorgere l’urgente necessità di una nuova analisi su come il prodotto “Made in Italy” debba
affrontare le nuove sfide che gli si pongono davanti. A tale fine viene promossa la Seconda
Conferenza Nazionale sul Commercio con l’Estero, dedicata appunto al tema “Il made in Italy e la
sfida globale” (Roma, 26 febbraio 2005); le basi per il dibattito sono state poste da un documento
di sintesi che raccoglieva le conclusioni di tre panel di imprenditori riunitosi il giorno precedente la
conferenza sotto la direzione dell’allora viceministro delle Attività Produttive Adolfo Urso.
Di seguito riportiamo le principali conclusioni raggiunte dai gruppi di studio, che riteniamo
necessarie analizzare prima di procedere oltre con questa trattazione.
Il primo gruppo di lavoro si è trovato a dover dibattere sul complicato tema de “Il nodo della
competitività e le conseguenze della globalizzazione”, ed ha portato all’individuazione di 5
elementi principali che permettono di analizzare con maggiore precisione il problema della
competitività in Italia.
Il primo tra questi è rappresentato dalle conseguenze dell’orientamento geografico delle nostre
esportazioni (che si dirigono per il 53% verso paesi UE) e della particolare specializzazione
manifatturiera italiana, la cui industria è forte nei beni tradizionali e quelli della meccanica ma
scarsamente attiva nei settori a più alta tecnologia. Infatti dal 2001 l’Europa sta vivendo un
momento di grave crisi economica a causa della quale le nostre esportazioni verso la UE sono
fortemente diminuite; inoltre, risulta quasi inutile aggiungere che i prodotti in cui il nostro Paese è
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maggiormente specializzato hanno conosciuto tassi di crescita dell’export molto inferiori rispetto
ad altre tipologie di prodotto.
In secondo luogo, a fianco della debolezza dei mercati di sbocco del prodotto italiano si è aggiunta
la crescente concorrenza dei Paesi emergenti dell’Asia, soprattutto della Cina, che è stata
particolarmente sensibile nei riguardi dei prodotti italiani; è sufficiente pensare che oltre 1/3
dell’attuale passivo bilaterale della UE verso la Cina è generato da prodotti che fino a poco tempo
fa l’Europa importava prevalentemente dall’Italia.
Altro effetto estremamente negativo per le nostre esportazioni è stato determinato dalla
svalutazione del dollaro e della valuta cinese, che ha determinato una caduta della competitività
delle imprese italiane nelle aree a più forte crescita (USA,Cina), con contestuale aumento del livello
di competitività delle merci provenienti dal colosso asiatico.
Un quarto elemento negativo per le nostre imprese è sicuramente riferibile alla loro dimensione; la
maggior parte di esse infatti è classificabile tra le cosiddette PMI, con conseguenze fortemente
negative riscontrate nella sfida globale. Prima fra tutte è lo scarso potere contrattuale di cui si
trovano a disporre le nostre PMI nei confronti della grande distribuzione internazionale, sempre
orientata alla diminuzione dei costi (a scapito della qualità) e quindi verso l’approvvigionamento
cinese. Inoltre la loro ridotta dimensione implica frequentemente scarse disponibilità di risorse,
fondamentali soprattutto per quanto riguarda l’ambito della Ricerca & Sviluppo, e che impedisce
lo sviluppo di prodotti fortemente innovativi, capaci di crearsi varchi in nuovi mercati.
Infine è doveroso elencare quelle insufficienze che non sono specificatamente riferibili al “sistema
delle Imprese” quanto piuttosto al “sistema-Italia”, che hanno radici storiche e carattere ormai
strutturale. In particolare possiamo ricordare solo alcuni ambiti in cui l’Italia si può dire che
sicuramente non predomini, come il peso della burocrazia, dell’imposizione fiscale sulle aziende,
per manutenzione e sviluppo delle infrastrutture, la famosa “fuga di cervelli”, etc.
Il secondo panel di imprenditori aveva basato la propria indagine su “I protagonisti
dell’internazionalizzazione: settori, imprese, distretti, regioni, enti, amministrazioni”.
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In particolare è stata nuovamente sottolineata l’importanza delle risorse imprenditoriali italiane,
con particolare riferimento al sistema manifatturiero, colonna portante del Vecchio Continente
per numero di addetti.
Nello specifico bisogna quindi ricordare che il nostro paese ricopre posizioni di primario valore in
4 macrosettori di eccellenza manifatturiera, le cosiddette “4 A”:
¾ Agro-alimentare;
¾ Abbigliamento-moda;
¾ Arredo-casa;
¾ Automazione-meccanica.
In tale ambito si riscontra una forte competitività del nostro paese con un saldo attivo di miliardi
di euro che sovente tendono a pareggiare i costi energetici e le passività derivanti da altri settori.
Dopo aver analizzato quindi i punti di forza e di debolezza della nostra economia in relazione alla
sfida globale è doveroso procedere a porre le basi, teoriche quanto pratiche, per un rilancio
dell’Italia. Di tale operazione si è fatto carico il terzo panel di studio che è giunto alla
determinazione di alcuni principi-guida fondamentali per risollevare la nostra economia.
Innanzitutto deve essere perseguita una strada politico-diplomatica nei confronti della UE che
permetta un’adeguata protezione della qualità del marchio “Made in Italy”, soprattutto per quanto
riguarda le insidie provocate dalla concorrenza poco leale cinese e dalla contraffazione.
Altro obiettivo fondamentale da raggiungere è la crescita dimensionale delle imprese del nostro
paese, attuabile, per esempio, con una forte incentivazione fiscale e che conseguentemente
determini una maggiore propensione a delocalizzazioni produttive e commerciali, alla ricerca di
nuovi mercati, maggiori disponibilità di risorse da allocare presso la R&S, o al marketing per
contribuire alla creazione di brand forti e globalmente affermati.
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Oltre alla mera crescita dimensionale deve essere perseguita la sfida dell’internazionalizzazione,
con cui si intende non tanto la capacità delle nostre imprese manifatturiere di accrescere le
esportazioni verso il mercato globale quanto la necessità di una più diffusa localizzazione all’estero
delle aziende italiane, attraverso nuovi impianti produttivi e sedi commerciali; ciò al fine di poter
sfruttare vantaggi specifici di altri paesi, come il basso costo del lavoro verificabile in alcune aree
del pianete, senza dover far a meno del controllo italiano.
Altri interventi a sostegno della nostra economia possono e devono essere diretti ad azioni di
promozione del made in Italy sui mercati mondiali, sia nei confronti delle grandi ed affermate
economie che in quelle considerate ancora emergenti.
In conclusione, le azioni a sostegno dell’Italia nella nuova sfida globale possono essere riassunte in
10 punti principali:
1) Azione di pressing sulla Commissione Europea per ottenere la rapida adozione del marchio
d’origine su prodotti importati nella UE;
2) Azione di pressing sulla Commissione Europea per ottenere l’immediata adozione di quote e
dazi antidumping sull’import europeo di calzature e prodotti dei settori del tessile e
dell’abbigliamento provenienti dalla Cina e da altri Paesi, qualora siano riscontrati gravi pregiudizi
nei confronti delle imprese italiane ed europee;
3) Intensificazione delle azioni di lotta nei confronti della contraffazione, con contestuali misure
di rafforzamento della tutela giudiziaria di marchi e brevetti;
4) Supporto allo sviluppo tecnologico di distretti e consorzi per l’export, mediante accordi con
università e centri di ricerca, anche col fine di consentire la formazione di nuovi manager esperti
nell’ambito delle l’internazionalizzazioni;
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5) Eliminazione dell’IRAP, non solo a carico dei ricercatori ma anche di coloro che si occupano
delle fasi di sviluppo precompetitivo dei vari settori del Made in Italy;
6) Riduzione delle tasse sulle pratiche di registrazione e rinnovo dei brevetti;
7) Creazione di condizioni che permettano un maggiore sviluppo delle innovazioni nei settori a
più alto contenuto tecnologico;
8) Pressione nei confronti dei Paesi emergenti affinché adottino più elevati standard sociali ed
ambientali dei loro prodotti;
9) Sviluppo di una politica fiscale che favorisca l’aggregazione di imprese e la crescita delle
dimensioni aziendali, anche attraverso quella sussidiarietà di tipo orizzontale che permetta la
nascita di nuclei azionari stabili a sostegno delle realtà produttive più importanti;
10) Rilancio della spesa pubblica in R&S, dando priorità tanto agli ambiti in cui il nostro paese
eccelle quanto a quelli in cui dimostriamo una maggiore arretratezza.