II
dei mezzi tecnologici, editoriali e commerciali a disposizione di queste
aziende così particolari.
STRUTTURA DEL LAVORO
La prima parte del lavoro ospita i contributi teorici degli studiosi
volti ad individuare le motivazioni alla base delle strategie di
collaborazione, con riferimenti all'evoluzione del concetto di relazione
tra imprese, ai possibili modi per classificare gli accordi ed infine ai
problemi operativi che si incontrano nella gestione delle relazioni.
La seconda parte, invece, analizza gli accordi con particolare
riferimento a quelli intercorrenti tra i portali e le imprese, offrendo
una panoramica sulle principali caratteristiche di un portale, sulle
motivazioni che spingono questo tipo di impresa ad avere una
strategia collaborativa così estesa, e sulle caratteristiche comuni a
tutti gli accordi analizzati. Un capitolo di questa sezione è dedicato
anche ad una proposta di classificazione delle relazioni che fanno
parte della strategia di collaborazione di un portale.
La terza parte del lavoro, infine, è quella più operativa. In
questa sezione della tesi vengono analizzate le strategie di
collaborazione dei quindici portali italiani più importanti, individuati in
base al traffico registrato e ad altri parametri (v. Introduzione alla
terza parte). I portali presi in considerazione sono tutti introdotti da
una scheda, che contiene gli elementi più importanti per ciascun sito
(proprietà, dirigenza, servizi offerti, etc.); ogni portale è analizzato
relativamente alla propria strategia di collaborazione, con un
dettagliato elenco di tutti i partner, per ognuno dei quali si
sintetizzano caratteristiche generali e settore d’attività. Alla fine di
ciascun caso si esprime una valutazione sul portale oggetto d’analisi,
con previsioni ed ipotesi circa il suo futuro. I quindici casi sono seguiti
da una tabella comparativa conclusiva, che fornisce un quadro di
sintesi dell’ambiente competitivo in cui operano i portali.
FONTI
Se per la prima parte della tesi le fonti sono costituite da alcuni
testi relativi alle strategie di collaborazione in generale (v. Bibliografia
parte prima), per la seconda e terza parte l’attualità degli argomenti
trattati mi ha spinto ad effettuare ricerche su quotidiani e periodici
specializzati, alcuni dei quali editi soltanto sul web. A tal proposito è
necessaria una precisazione, nonostante il tentativo di chi scrive di
proporre un lavoro che contenesse tutti gli ultimi aggiornamenti sui
temi trattati, la dinamicità del contesto di riferimento causerà
inevitabilmente delle differenze tra ciò che è scritto nelle pagine
III
seguenti e ciò che potrebbe accadere nei tempi futuri. D’altra parte
questo è al tempo stesso il fascino e la difficoltà che si incontra
quando ci si occupa di temi così nuovi e dinamici.
RINGRAZIAMENTI
Prima di concludere questa introduzione voglio ringraziare
alcune persone che hanno reso possibile la realizzazione di questo
lavoro, che, spero, vi accingete a leggere. Il ringraziamento più
grande va al professore Marco Pellicano, che mi ha seguito nella
redazione della tesi lasciandomi ampia libertà circa gli argomenti da
trattare, e dandomi al tempo stesso importanti suggerimenti sulla
forma e sulla struttura del lavoro.
Desidero inoltre ringraziare la dottoressa Lara Pasinelli di Lycos
Italia, che mi ha concesso, grazie ad una visita tanto breve quanto
intensa, di verificare di persona il lavoro che svolge un portale,
consentendomi di conferire maggiore attendibilità alle ipotesi fatte nel
presente lavoro.
PARTE PRIMA
LE STRATEGIE DI COLLABORAZIONE
NELL’ATTUALE CONTESTO COMPETITIVO
2
Capitolo 1: Caratteri generali delle strategie di
collaborazione
1.1 Necessità della collaborazione tra imprese
Nell’attuale contesto ambientale si registrano sempre più
frequentemente dei comportamenti di natura collaborativa da parte
delle imprese. Queste ultime, infatti, tendono sempre più a
concludere accordi di natura strategica volti a raggiungere
determinati obiettivi.
Per quali ragioni si assiste ad uno sviluppo così serrato degli
accordi? Sicuramente la spiegazione non può essere ricondotta ad
un'unica motivazione. Tra i fattori che incentivano le collaborazioni
possiamo elencare
1
:
a) Cambiamento della domanda
b) Evoluzione della tecnologia
c) Maggiore intensità competitiva
d) Intervento degli stati
a) Cambiamento della domanda. Nell’attuale contesto
competitivo le imprese si trovano di fronte ad una domanda più
difficile da soddisfare per due principali motivi. In primo luogo la
domanda è instabile e tende ad oscillare con scarti anche molto
sensibili a seguito delle preferenze espresse da consumatori sempre
più esigenti, che sfruttano la presenza in molti settori di un eccesso di
offerta. In secondo luogo, la domanda non si esprime più in contesti
nazionali o locali, ma è inserita in un contesto globale, con modelli di
comportamento abbastanza omogenei, pur persistendo delle
differenze nei gusti e nelle preferenze in ogni singola area geografica.
b) Evoluzione della tecnologia. I ritmi con cui si susseguono
le innovazioni tecnologiche sia di prodotto che di processo, rischiano
di mettere in difficoltà una singola impresa. Inoltre, le nuove
tecnologie si affermano sempre più come trasversali, cioè hanno
bisogno, per la loro realizzazione, di apporti da parte di molteplici
settori del sapere scientifico.
c) Maggiore intensità competitiva. La progressiva
saturazione del mercato porta le imprese che insistono sullo stesso
settore ad operare con armi competitive sempre più sofisticate.
Questo tipo di strategie competitive comporta la disponibilità di
risorse specifiche che non sempre sono presenti nella dotazione di
una singola impresa.
d) Intervento degli stati. In alcuni casi, soprattutto per
quanto riguarda investimenti all’estero da parte delle grandi
1
R. Parente, La gestione strategica dei rapporti di collaborazione tra imprese,
CEDAM, 1992, Padova.
3
multinazionali occidentali, la collaborazione è “suggerita” da parte
delle autorità locali. Ma uno stimolo alla collaborazione tra imprese
può essere anche dovuto all’assunzione di un appalto statale da parte
di una cordata di imprese.
Tutti i fattori elencati portano nel loro insieme ad un’unica
conclusione: le imprese attuali si muovono in un contesto
competitivo ed ambientale molto più complesso rispetto al
passato, per affrontare il quale non possono più fare affidamento
solo sulla propria struttura interna
2
. Per fronteggiare la complessità
dell’ambiente attuale le imprese devono avere a disposizione
una molteplicità di risorse, alcune delle quali non fanno affatto
parte della propria eredità manageriale. Pertanto, non solo per avere
successo, ma talvolta per sopravvivere, le imprese sono quasi
obbligate a stringere delle partnership con altre imprese, al fine di
sfruttare, o nella migliore delle ipotesi, far proprie le risorse altrui.
1.2 La spiegazione tradizionale degli accordi:
Gerarchia e Mercato
Una spiegazione tradizionale degli accordi è quella fornita da
Williamson nella metà degli anni ‘70
3
. Per comprenderla a fondo è
necessario delineare il quadro in cui, a detta del Nostro, si realizzano
le relazioni industriali.
Il passo fondamentale per affrontare la trattazione
williamsoniana è passare da un’impresa vista come funzione di
produzione, orientata all’obiettivo del massimo profitto (tipicamente
neoclassico), ad un’impresa vista come organizzazione di governo
delle transazioni. In quest’ottica, l’obiettivo fondamentale delle
imprese è la massimizzazione dell’efficienza tramite la
minimizzazione dei costi di transazione.
In sostanza, ogni attività dell’impresa comporta il sostenimento
di due tipi di costo. Oltre al costo di produzione, l’impresa sostiene
dei costi di transazione
4
. Questi ultimi possono essere ricondotti ad
un insieme di fattori quali:
• Incertezza: molti valori subiscono delle fluttuazioni
tra il momento di conclusione del contratto ed il
momento di esecuzione dello stesso.
• Razionalità limitata: gli agenti non hanno la
possibilità di reperire tutte le informazioni relative alle
transazioni e così, anziché realizzare la soluzione
2
E. Rullani, presentazione al testo: Gli accordi strategici di S. Albertini, EGEA,
Milano.
3
O. Williamson, Markets and Hierchies, The Free Press, New York, 1975.
4
R. Parente, ibidem.
4
ottimale, realizzano la soluzione ritenuta soddisfacente
relativamente alle informazioni disponibili.
• Opportunismo: gli individui operano in vista del
proprio vantaggio, dunque nelle relazioni che si
instaurano molte risorse vanno investite in meccanismi
di controllo che scoraggino comportamenti
opportunistici.
• Specificità degli investimenti: il reperimento di
informazioni circa risorse specifiche e poco diffuse
comporta il sostenimento di costi più elevati rispetto
ad investimenti più generici.
Per raggiungere l’obiettivo di massimizzazione dell’efficienza, le
imprese possono far riferimento all’alternativa proposta da
Williamson. Esse, infatti, possono decidere di internalizzare le
transazioni, spingendosi sempre più verso un’integrazione delle
funzioni (Gerarchia), oppure possono orientarsi verso l’esterno,
acquisendo da altre imprese le risorse di cui hanno bisogno
(Mercato). Le due opportunità proposte si rivelano nella realtà come
situazioni ideal-tipiche, cioè delle strutture astratte, in quanto pure
costruzioni teoriche. Nell’economia d’impresa reale si realizzano delle
soluzioni intermedie, che cercano la posizione più favorevole tra le
due alternative, in relazione all’effettiva situazione che ci si trova a
fronteggiare.
In questa interpretazione, dunque, gli accordi vengono
considerati come una sorta di second best, cioè come delle forme
organizzative che tentano di realizzare non la soluzione ottimale
(che nell’interpretazione williamsoniana dovrebbe essere la completa
integrazione) ma quella più soddisfacente alla luce delle
conoscenze e delle opportunità dell’impresa.
Al di là degli sviluppi che hanno avuto gli studi sulle strategie di
collaborazione tra imprese, è possibile muovere una serie di critiche
5
all’impostazione di Williamson così come è stata illustrata.
In primo luogo, è rilevabile una difficile definizione delle
componenti che entrano a far parte dei costi di transazione.
Tale innegabile difficoltà non porta a disconoscere l’esistenza dei
suddetti costi, ma certamente pone dei dubbi sulla possibilità di
quantificare la misura in cui determinate organizzazioni aziendali
riescano a ridurli.
In secondo luogo, nell’ambito dell’alternativa Gerarchia-Mercato
un punto di partenza fondamentale è il presupposto secondo cui la
condotta umana sarebbe orientata all’opportunismo, mentre una
posizione più equa dovrebbe riconoscere lo stesso peso
dell’opportunismo a componenti quali: fiducia, motivazioni, cultura
di impresa, etc.
5
R. Parente, ibidem.
5
Ultimo rilievo da muovere è la considerazione secondo cui alla
base degli accordi tra imprese non c’è solo la minimizzazione dei costi
di transazione ma anche altre motivazioni, quali quelle analizzate nel
paragrafo precedente.
Nonostante le critiche che possono essere mosse alla
spiegazione degli accordi tra imprese data da parte di Williamson,
resta il profondo valore dell’interpretazione appena illustrata, che è
stata, è, e sarà il punto di partenza per tutti gli sviluppi delle teorie
circa la collaborazione tra imprese.
6
Capitolo 2: Evoluzione delle teorie sulle
strategie di collaborazione
2.1 La visione porteriana
Una teoria che pone l’accento su aspetti diversi rispetto alla
prospettiva williamsoniana è la cosiddetta prospettiva
competitiva
6
. Questo tentativo di spiegazione degli accordi tra
imprese si fonda sulle teorie porteriane relative al vantaggio
competitivo. Secondo Porter obiettivo primario dell’impresa è il
raggiungimento ed il mantenimento del vantaggio competitivo. Tale
vantaggio può essere definito come la creazione di una distanza in
termini competitivi tra l’impresa considerata ed i propri
concorrenti, questa distanza consente alle imprese in posizione di
vantaggio una maggiore redditività rispetto alla concorrenza.
Alla base del vantaggio competitivo c’è la particolare efficienza ed
efficacia con cui l’impresa di successo svolge una o più attività della
catena del valore.
In quest’ottica, le collaborazioni tra imprese nascono sempre
per favorire l’obiettivo primario dell’impresa, esse, infatti, sono degli
strumenti mediante i quali è possibile sfruttare alcune variabili
esterne all’impresa a favore di quest’ultima. Tutte le motivazioni
addotte per spiegare gli accordi, chiariscono ulteriormente l’obiettivo
di un rafforzamento della posizione competitiva dell’impresa. Le più
ricorrenti sono:
• Creazione di barriere all’entrata
• Maggiore potere contrattuale verso fornitori o clienti
• Realizzazione di economie di scala
• Condivisione di rischi e investimenti con il partner
• In caso di investimenti all’estero, miglioramento delle
relazioni con i governi locali se supportati da un
partner indigeno
Questa visione degli accordi tra imprese viene integrata dal
riferimento ai collegamenti verticali presenti in ciascun sistema
del valore (detto anche filiera). Tali collegamenti sono meccanismi
di raccordo tra le varie fasi della filiera, una visione collaborativa di
questi rapporti rende più fluide le transazioni e contribuisce alla
creazione di un vantaggio collaborativo, cioè un vantaggio
competitivo basato sulla collaborazione tra le diverse imprese
facenti parte della filiera.
6
L. Sicca, La gestione strategica dell’impresa, CEDAM, 1998
7
2.2 L’evoluzione cognitiva
Le due spiegazioni degli accordi illustrate, quella transazionale e
quella competitiva, appaiono come delle spiegazioni effettuate a
posteriori, cioè come dei modi per sintetizzare in un modello i
comportamenti delle imprese in determinati momenti storici. Proprio
per questo si sono indebolite per effetto dell’evoluzione naturale che
hanno vissuto le strategie collaborative perseguite dalle imprese.
Entrambe le teorie focalizzano la propria attenzione all’esterno
dell’impresa, poco curandosi dell’influenza sugli accordi da parte delle
risorse interne all’organizzazione aziendale.
L’analisi più moderna delle relazioni collaborative tra imprese è
quella che guarda agli accordi come strumenti di appropriazione,
creazione e diffusione di risorse
7
. Questo tipo di approccio al
problema esalta il ruolo strategico degli accordi e spiega in modo più
convincente il proliferarsi delle collaborazioni in certi settori, dove
risulta evidente il rischio di vedersi tagliati fuori dalla competizione in
caso di mancata conclusione degli accordi (es.: settore
automobilistico).
Nella moderna economia d’impresa a rivestire un ruolo
fondamentale non sono più le risorse tangibili, ma quelle
intangibili, prime fra tutte la conoscenza. Solo questo tipo di
risorse ha la possibilità di trasformarsi in competenze distintive,
fonte di vantaggio competitivo. Il problema più rilevante è che in un
ambiente competitivo come quello moderno, estremamente
complesso, per una singola impresa risulta estremamente difficile,
oltreché molto dispendioso, riuscire a possedere e padroneggiare
tutte le risorse necessarie per il successo sulla concorrenza. In altri
termini, l’aumento della complessità ambientale ha posto fine
all’autosufficienza delle imprese, ormai obbligate ad instaurare e
gestire relazioni proficue con una rete di partners.
Le relazioni che si creano tra imprese risultano praticabili e
vantaggiose grazie al fenomeno che va sotto il nome di
dematerializzazione della conoscenza
8
. Attualmente la
conoscenza necessaria per condurre le imprese risulta
dematerializzata, essa cioè non è più incorporata in particolari
prodotti, ma è rappresentata da particolari abilità e competenze,
acquisite e sviluppate operando in determinati settori produttivi.
Questa importante evoluzione rende più facilmente trasmissibili le
risorse cognitive, favorendo così la riuscita degli accordi tra imprese.
Il nuovo modo di concepire il processo di collaborazione tra
imprese astrae questo fenomeno dalle costruzioni teoriche
precedentemente illustrate. Soprattutto è rilevabile una forte
contrapposizione con la teoria williamsoniana; infatti, laddove
l'alternativa Gerarchia-Mercato poneva gli accordi tra imprese
7
L. Sicca, ibidem.
8
E. Rullani, ibidem.
8
in un ruolo residuale e marginale rispetto alle due soluzioni
estreme
9
, l’ottica cognitiva attribuisce la giusta importanza
agli accordi che, come avremo modo di verificare empiricamente, in
determinati contesti aziendali non sono affatto residuali, ma
risultano essere assolutamente essenziali ed inevitabili.
2.3 La Rivoluzione reticolare
L’evoluzione dottrinale relativamente alle strategie di
collaborazione tra le imprese ha registrato una vera e propria svolta
grazie ad un modo completamente nuovo di guardare agli accordi tra
imprese. Questa nuova interpretazione dei fenomeni oggetto di studio
viene denominata rivoluzione reticolare, proprio per sottolinearne
la portata innovativa.
Elemento fondamentale di questa evoluzione concettuale è
l’impresa-rete, cioè un soggetto imprenditoriale diverso sia
dall’impresa completamente integrata, che ricrea al proprio interno
tutto il sistema del valore, sia dall’impresa vuota, cioè quella che non
svolge attività imprenditoriale ma funge da centro di coordinamento
tra vari esecutori. La rete viene così ad essere formata da un centro,
che svolge attività strategica e presidia le core competence proprie
del network, e da vari nodi periferici, che, invece, svolgono tutta la
serie di attività più specificatamente operative, funzionali anch’esse
all’esistenza dell’impresa. La fase più delicata è la scelta di quali
attività si possano delegare ai nodi e quali invece, data la propria
rilevanza strategica, dovranno sempre essere svolte dal centro
dell’impresa-rete. Inoltre, mission e vision dell’impresa dovranno
essere diffuse sia nel centro che nella periferia della rete. In
particolare l’attività di vision dovrà essere continuamente ridiscussa
tramite l’action svolta dalla periferia.
Due sono gli elementi fondamentali che fanno risaltare la novità
di questa interpretazione rispetto alle impostazioni tradizionali delle
trattazioni degli accordi tra imprese:
1. Vantaggi di Gerarchia e Mercato senza i relativi
svantaggi. Nella dicotomia Gerarchia-Mercato proposta
da Williamson, sia l’una che l’altra scelta offrono dei
vantaggi e degli svantaggi, che, nella maggior parte dei
casi, finiscono con il compensarsi. In particolare, la scelta
Gerarchia dà la possibilità di avere più controllo nello
svolgimento delle attività che fanno parte della catena
del valore, però comporta un innalzamento della rigidità
dell’impresa, con inevitabili ripercussioni in situazioni di
domanda instabile. D’altro canto, la scelta Mercato offre
maggiore flessibilità, ma fa diminuire il controllo
9
S. Albertini, Gli accordi strategici, EGEA, Milano.
9
dell’impresa sulle varie fasi della catena del valore. Il
network, in teoria, dovrebbe offrire solo i vantaggi delle
due scelte. Infatti, tramite la delega all’esterno di alcune
fasi della catena del valore, si evita l’irrigidimento
dell’impresa senza perdere il controllo sulle attività
oggetto della delega, dal momento che i “gestori” di
questi processi sono legati all’impresa da relazioni
durature basate sulla fiducia. Inoltre, rivestirà un ruolo
importante l’analisi in base alla quale si sceglierà quali
attività delegare e quali invece svolgere all’interno.
2. Comportamento innovativo da parte delle
imprese
10
. Nella interpretazione tradizionale delle
relazioni tra imprese l’unico tipo di atteggiamento
studiato e proposto è stato quello di natura competitiva.
Il famoso “schema delle cinque forze” di Porter
sintetizzava dei comportamenti di natura esclusivamente
competitiva tra i vari soggetti coinvolti nel micro-
ambiente dell’impresa. Di conseguenza, la situazione che
si prospettava era che, all’aumento della complessità
ambientale, vuoi per la maggiore saturazione della
domanda, vuoi per la nascita di bisogni sempre più nuovi
e diversi da parte dei consumatori, vuoi per la comparsa
di concorrenti sempre più agguerriti, avremmo assistito
ad una competizione sempre più serrata tra le imprese
che insistevano su una determinata arena competitiva.
La realtà dei fenomeni d’impresa ha invece dimostrato
che l’aumento della difficoltà nella competizione ha
portato le imprese ad intensificare la condivisione
delle proprie risorse, fino alla creazione delle reti di
imprese, forme organizzative obbligatorie per continuare
a sopravvivere in un contesto come quello attuale.
La rivoluzione reticolare, così come è stata brevemente
sintetizzata, va considerata come il punto di approdo attuale delle
riflessioni circa le relazioni collaborative tra imprese. Essa, come è
facilmente intuibile, aggrega nella sua costruzione vari aspetti del
fenomeno sotto studio. Da una parte si individua la complessità
ambientale e l’importanza delle risorse come causa e guida della
formazione delle reti di imprese, dall’altra ci si riallaccia
all’impostazione tradizionale di Williamson per sottolineare i vantaggi
concettuali ed organizzativi dell’impresa network. Inoltre si nota in
questo tipo di trattazione un saldo legame con l’effettivo
comportamento da parte delle imprese le quali, nella realtà aziendale,
operano in forme organizzative riconducibili tutte al comune
denominatore del network.
10
L. Sicca, ibidem.
10
Capitolo 3: Possibili classificazioni degli
accordi tra imprese
Nonostante l’inevitabile specificità di ogni accordo intercorrente
tra due o più imprese, risulta necessario a fini esplicativi e didattici
fornire una sistemazione delle varie modalità con cui le imprese
formalizzano le loro relazioni. In questo senso gli accordi verranno
classificati in base a cinque fondamentali criteri (v. fig. 1 a pag. 13):
1. Intensità degli incroci di partecipazioni azionarie
2. Natura giuridica degli accordi
3. Estensione delle attività oggetto dell’accordo
4. Posizionamento dell’accordo in termini di catena del
valore
5. Natura delle risorse oggetto dell’accordo
Mentre i primi due criteri fanno riferimento a requisiti più
formali, con evidenti richiami ad aspetti di natura giuridica, i restanti
criteri di classificazione sono più eminentemente aziendalistici,
profondamente legati all’economia d’impresa.
3.1 Classificazione degli accordi in base alle partecipazioni
azionarie
Un metodo abbastanza semplice per classificare le relazioni tra
imprese è andare a quantificare l’intesa sul piano squisitamente
finanziario, verificando, dunque, la presenza, ed eventualmente,
l’intensità, di partecipazioni incrociate nel capitale di rischio delle
imprese coinvolte nell’accordo.
In base a questo criterio possiamo distinguere (v. fig. 2 a pag.
14):
1. Accordi di tipo non-equity. È completamente assente
una partecipazione azionaria incrociata. Rientrano in
questo tipo di intese gli accordi di collaborazione e le
alleanze strategiche.
2. Accordi di tipo equity parziale. Relazioni formalizzate
da una partecipazione incrociata di entità più o meno
consistente. Fanno parte di questo tipo di accordi le
joint ventures e i consorzi.
3. Accordi di tipo equity totale. Completo rilevamento da
parte di un’impresa del capitale azionario del proprio
partner (come si potrà notare in questo caso il termine
“accordo” è utilizzato in un modo abbastanza
improprio). Possiamo inserire in questa fattispecie le
fusioni e le acquisizioni.
11
Il criterio di classificazione illustrato si caratterizza per la
semplicità e la chiarezza, creando delle suddivisioni molto ben
distinte, senza alcun tipo di sfumatura tra i confini delle stesse.
D’altro canto agevole è rilevare come questo criterio classificativo
nulla ci dica sull’oggetto dell’accordo, sugli obiettivi da perseguire,
sulle risorse condivise, etc.
L’elemento preso in considerazione fa esplicito riferimento allo
strumento utilizzato per il controllo della relazione
11
, ed illustra
chiaramente come questo strumento possa essere utilizzato con
gradazioni diverse a seconda delle crescenti o decrescenti esigenze di
controllo. La completa assenza di partecipazioni incrociate
corrisponde ad un livello di controllo minimo, ovviamente basato su
strumenti diversi rispetto alla partecipazione azionaria. Lungo un
ipotetico continuum troviamo prima il grado di controllo
intermedio, con partecipazioni rilevanti ma non totalmente
assorbenti il capitale azionario del partner, e poi il controllo
massimo, presente in fattispecie quali fusioni ed acquisizioni.
Spetterà al management aziendale andare a scegliere la forma di
controllo da dare all’accordo, in relazione a vari fattori quali: la natura
delle risorse coinvolte nell’accordo, il grado di appropriabilità delle
competenze del partner, la possibilità di avere frequenti e proficui
contatti con il proprio alleato, etc.
Sintetizzando, si può ascrivere a questo criterio di
classificazione il merito di fornire semplicità classificatoria e
chiarezza informativa circa una caratteristica importante per gli
stakeholders come la presenza o meno di incroci azionari in una
partnership. Risulta, tuttavia, evidente, come una qualificazione
degli accordi esclusivamente in base a parametri azionari non
sia esaustiva e dunque debba essere integrata da altri elementi.
1
R. Parente, ibidem.
12
Figura 1: Sintesi delle possibili classificazioni
PARTECIPAZIONI
AZIONARIE
Accordi equity parziale
Accordi non-equity
Accordi equity totale
SUDDIVISIONI
NATURA
GIURIDICA
Accordi Contrattuali
Accordi Societari
ESTENSIONE
ATTIVITÀ
Accordi con estensione
Limitata
CATENA DEL
VALORE
Accordi Verticali
Accordi Orizzontali
Accordi Trasversali
NATURA DELLE
RISORSE
Accordi su
Risorse Tangibili
Accordi con estensione
Consistente
Accordi con estensione
Totale
Accordi su
Risorse Intangibili
CRITERI DI
CLASSIFICAZIONE