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Introduzione
Il presente lavoro di tesi si propone di dare un contributo allo studio del
distretto ad alta innovazione tecnologica,ponendosi in una prospettiva di
analisi strategica e cercando di analizzare i fattori di successo e le
criticità di un modulo imprenditoriale di tipo cooperativo che racchiude
in sé il passato e il futuro, nell’affascinante contrapposizione della
tradizione e dell’innovazione, della dimensione locale e di quella
globale. L’obiettivo, in sintesi, è quello di capire quali strategie mette in
atto l’azienda, inserita in un contesto di distretto, operante in un settore
ad alta innovazione tecnologica e per questo in continua tensione verso il
cambiamento.
Il tema dell’innovazione tecnologica è di fondamentale importanza per
questo lavoro: infatti, l’innovazione rappresenta il fattore cruciale della
competitività e dello sviluppo delle aziende; la modalità per la creazione
di nuovi prodotti, nuovi processi e nuove modalità di organizzazione che
diventano un’occasione per aumentare la propria competitività.
L’espressione “innovazione tecnologica” è sintetica e allo stesso tempo
ambigua,in quanto può avere tanti significati: essa può connotare,
infatti,contemporaneamente il miglioramento nella performance di una
tecnica o la commercializzazione di nuovi ritrovati tecnologici. In ogni
caso, un elemento in comune è che l’ innovazione tecnologica
rappresenta la trasformazione e lo sviluppo della conoscenza.
Un apporto fondamentale allo studio dell’innovazione tecnologica è stato
dato da Joseph Schumpeter, ovvero colui che per primo ha discusso ed
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esaminato in modo ampio, sistematico, approfondito il ruolo
dell’innovazione nelle moderne economie mondiali.Egli descrive
l’innovazione come “un cambiamento storico ed irreversibile nel modo
di fare le cose” ed una “distruzione creativa”(Schumpeter,1942).
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La moderna definizione di innovazione tecnologica fornita dall’Oslo
Manual(OECD)
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è sintetizzabile nell’insieme di attività collegate che
riguardano ogni sforzo di natura scientifica, tecnologica, organizzativa,
finanziaria e commerciale per realizzare o rendere disponibile sul
mercato delle versioni caratterizzate da un miglioramento funzionale,
considerevole rispetto alle versioni precedenti.
Il concetto di innovazione tecnologica, a questo punto, si sublima nella
concezione di distretto tecnologico in quanto, date le sue peculiarità
come la presenza di risorse umane qualificate, la collaborazione con i
Centri di Ricerca e le Università, il sostegno economico pubblico,
rappresenta un terreno fertile dove l’innovazione diventa possibile.
Il lavoro di tesi cercherà di individuare i fattori che sostengono la
capacità strategica delle imprese coinvolte nel processo innovativo;
l’analisi sull’azienda ” ad alta innovazione tecnologica” verrà proiettata
sul modulo distrettuale ed infine verrà proposto un caso studio molto
attuale e dinamico, vero testimonial italiano del distretto ad alta
innovazione tecnologica, attraverso il quale gli approfondimenti della
tesi troveranno un’ esemplificazione concreta.
Il lavoro si suddivide in tre capitoli. La prima parte è dedicata alla
descrizione dei distretti, a partire dal distretto industriale di concezione
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Schumpeter J, (1942), Capitalism, socialism, and democracy, Harper, New York.
2
L’Oslo Manual rappresenta la più rilevante guida internazionale in grado di fornire una base comune
per la raccolta e l’interpretazione dei dati relativi all’innovazione tecnologica; a cura dell’Oecd.
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“marshalliana” fino al distretto tecnologico; verrà esposto il modello
della tripla elica e dell’innovazione tecnologica, tema portante del
lavoro. Nel capitolo sarà illustrata in particolar modo la realtà dei
distretti tecnologici in Italia, con riferimento ai sistemi regionali di
innovazione e alla normativa vigente.
Nel secondo capitolo si approfondirà il tema delle strategie innovative
d’impresa: la disamina sarà centrata inizialmente dal confronto tra due
importanti approcci di riferimento, ovvero quello del vantaggio
competitivo di Porter e l’approccio RBV( Resource based view);
successivamente, analizzando le tendenze attuali nella gestione
strategica, in particolare con la teoria della complessità, legata
all’organizzazione interna dell’impresa, perverremo al modello del
distretto quale entità promettente, capace di conseguire integrazione,
flessibilità e innovazione.
Nel terzo capitolo, infine, vi è un approfondimento sul distretto
tecnologico ” Etna Valley”, proposto come case study. La scelta del
distretto catanese è stata una scelta mirata: il lavoro è partito proprio da
qui. Difatti, nel pensare alla Sicilia dal punto di vista dello sviluppo
economico,oltre ai problemi ostativi e minacciosi dovuti alla legalità
dell’ambiente, l’idea immediata va sul settore del turismo o al massimo
sull’agricoltura. Scoprire che, invece, nell’Area catanese vi fosse la
realtà industriale più importante d’Italia, nel settore della
microelettronica e dei nano sistemi, ovvero un distretto di imprese hi-
tech collegato con centri di ricerca ed Università, fa un certo effetto.
Si scopre una cattedrale nel deserto, che poi deserto non lo è più. Infatti,
intorno alla STMicroelectronics, che nel 1997 decise di instaurare un sito
industriale nella città di Catania in quanto riteneva che quella zona
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presentasse le caratteristiche peculiari per un rilancio della
multinazionale, si è sviluppata una rete tra industrie ad alta tecnologia,
centri di ricerca e Istituti di formazione dell’Università e degli Enti
locali, incoraggiando l’insediamento di tante aziende hi-tech.
Con l’approfondimento sul Caso “Etna Valley” sarà illustrata la storia
dello sviluppo del distretto, anche avvalendosi del supporto di tabelle di
sintesi dei dati elaborati; verranno esposti gli obiettivi di partenza, di
promozione e di affermazione del distretto tecnologico che sono stati
definiti dalla norma nel “Patto per lo sviluppo del distretto”; infine, si
cercherà di analizzare il case study, alla luce degli elementi considerati,
attraverso un modello di analisi SWOT.
Il modello potrà essere di supporto alla definizione delle strategie,
consentire di identificare le principali linee strategiche in relazione all’
obiettivo di sviluppo ed evidenzierà i principali fattori, interni ed esterni
al contesto di analisi, in grado di influenzarne il successo.
In un contesto attuale, attraversato da crisi economiche e quindi
complesso e difficile, ipotizzeremo così scenari possibili in grado di
sfidare il futuro.
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Capitolo 1
Il distretto
1.1. Definizioni di distretto industriale
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Il distretto industriale definito da A. Marshall si configura come un
“modello di organizzazione fondato su un sistema integrato di piccole e
medie imprese”
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; tale modello organizzativo negli anni Ottanta si è
affermato come una valida alternativa alla crisi della grande impresa
fordista (di cui il distretto conserva la gran parte dei vantaggi senza la
rigidità tecnologica, organizzative e decisionali). Il distretto è, in
sostanza, “una fabbrica senza mura”.
Un distretto industriale può essere definito come “un’entità socio-
territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale
circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una
comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali”. La
comunità di persone ha come caratteristica principale il fatto di
incorporare un sistema omogeneo di valori che “si esprime in termini di
etica del lavoro e dell’attività,della famiglia, della reciprocità, del
cambiamento”. La popolazione di imprese appartiene ad uno stesso
settore industriale, in senso ampio, e ciascuna è specializzata in una o più
3
Fonte principale del paragrafo: “La nascita del concetto di distretto: il distretto marshalliano”
disponibile al link http://sid.decon.unipd.it/materiale4/bel_caldari_lezione_distretti.pdf
4
Marshall A.,(1919), Industria e commercio,London .
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fasi del processo produttivo tipico del distretto. Marshall distingue tra
localizzazione semplice e distretto vero e proprio.
La localizzazione è dovuta soprattutto all’esigenza dei produttori di
essere vicini alle risorse naturali. E’ quindi dovuta a condizioni fisiche
(clima, risorse naturali, accesso al mare); un’altra causa della
localizzazione semplice è il patrocinio di una corte (beni di alta qualità);
un’altra causa ancora è la presenza di una città (centro smercio,
mercato). Nell’analisi marshalliana
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la localizzazione può assumere due
forme, quella di città manifatturiera e quella di distretto industriale.
Tra le due realtà c’è un’importante divisione del lavoro: le città
specializzate in marketing; i distretti in attività manifatturiere.
Questa suddivisione delle attività produttive tra città e distretto è
spiegata essenzialmente da ragioni di natura economica: l’alto costo
della rendita urbana, provocato dall’aumento dell’insediamento urbano,
fa sì, infatti, che le attività produttive che richiedono impianti di
maggiori dimensioni si spostino in luoghi, a più bassa densità, dove la
rendita è minore, lasciando alla città quelle attività che possono essere
svolte in uno spazio più ristretto.
Questo spostamento è stato permesso e favorito dal miglioramento dei
modi di trasporto che hanno reso possibile l’allontanamento dei corpi
produttivi dal luogo di vendita o di acquisto, senza pesare a livello di
costi.
Per parlare di distretto occorre che la localizzazione “semplice” duri per
un tempo lungo. Il fatto di esistere per un lungo periodo fa nascere alcuni
importanti vantaggi:
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Marshall A, I principi di economia, UTET, Torino, 1972.
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Specializzazioni ereditarie;
Il formarsi di un certo numero di industrie sussidiarie;
l’uso di macchinari altamente specializzati;
mercato locale per lavoro specializzato.
Questi sono gli aspetti che contraddistinguono il distretto industriale e
sono riassunti nell’idea di atmosfera. Per assestarsi un’atmosfera ha
bisogno di tempo: un dato molto importante perché la forza del distretto
si basa su caratteristiche che richiedono “tempo” per radicarsi e
svilupparsi.
Gli elementi di forza di un distretto marshalliano sono:
1) La presenza di economie esterne;
2) Promuovere lo sviluppo della conoscenza;
3) Promuovere l’innovazione;
4) L’importante miscela di cooperazione e concorrenza.
1) Economie esterne : dipendono dallo sviluppo generale
dell'industria. Secondo Marshall esse operano indipendentemente dalla
dimensione delle imprese e si esplicano nella forma di diffusione della
conoscenza.
Questo “capitale” rappresentato dalla economie esterne si sostanzia in
molte e diverse forme. La più importante viene associata alla
localizzazione dell’industria ma un ruolo fondamentale viene
riconosciuto anche ai mezzi di comunicazione, ai mezzi di trasporto, alle
scoperte scientifiche, ai cambiamenti tecnologici, al ruolo dello Stato in
relazione all’educazione, al sistema bancario.
Nonostante la diversa tipologia riconosciuta alle economie esterne, in
sostanza esse si traducono in una generale diffusione e crescita della
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conoscenza. Questo spiega perché Marshall riconosce loro un ruolo che è
di gran lunga più importante rispetto alle economie interne.
2) Conoscenza:il secondo aspetto importante del distretto
marshalliano è, infatti, la sua natura di essere il principale motore della
“education”, della conoscenza, della circolazione delle informazioni.
3) Innovazione: il distretto, attraverso la facilità e la naturalezza con
cui si sviluppano in esso i rapporti umani, diviene un importante motore
di innovazione.
Il distretto costituisce, insomma, il luogo ideale per l’esplicarsi dei
presupposti essenziali del progresso: la conoscenza, la circolazione delle
informazioni, l’innovazione.
L’esperienza e il procedere incessante dell’aumento della conoscenza,
processo cumulativo, consentono anzi alla realtà del distretto di
rispondere più prontamente ai cambiamenti.
Quindi, per avere vantaggi di produzione, non è inevitabilmente
necessario che le imprese siano di grande dimensione perché, anche se di
piccole dimensioni ma raccolte in un’unica area possono avere notevoli
vantaggi.
Sono fondamentalmente tre le ragioni perché questo avviene e che danno
ragione dell’esistenza e della forza del distretto:
A) la possibilità di dividere il processo di produzione in diversi stadi,
ognuno dei quali può essere compiuto e può ottenere il massimo risultato
negli stabilimenti di piccola dimensione la cui esistenza consente lo
sviluppo di industrie sussidiarie atte a fornire le cose necessarie a questi
stabilimenti;