2
sindacati iniziarono uno sciopero protrattosi per 35 giorni, che si concluse con una lunga
marcia
3
di migliaia di dipendenti Fiat
4
.
Questi ultimi, esasperati per il lungo sciopero, chiedevano la ripresa del lavoro
scagliandosi contro lo stesso sindacato che, messo sotto pressione, firmò la cassa
integrazione per 24.000 dipendenti.
Per Romiti e la Fiat fu una grande vittoria che permise di impostare una strategia di
rilancio senza nessun ostacolo. Nel giro di pochi anni la Fiat toccò i suoi massimi storici.
La società torinese ridusse costantemente il suo debito e nel 1985 riuscì ad ottenere un utile
consolidato pari a 1.682 miliardi di lire
5
.
Nel 1986 continuò la sua marcia, divenuta oramai una corsa, raggiungendo e superando la
quota di mercato in Europa del 16% (Ben 2 punti percentuali in più della diretta rivale
Volkswagen).
Nel 1987 il Gruppo iniziò una straordinaria politica di acquisizioni societarie: acquistò il
Corriere della sera, La Rinascente, la Toro Assicurazioni, la Maserati, pose le mani su
Montedison di cui ne assunse il controllo, acquistò la Snia industria chimica appetibile
perché produceva esplosivi, missili, propellente e motori spaziali, ottenne la Galbani
industria alimentare e soprattutto la concorrente Alfa Romeo, “rubata” all’americana Ford.
Nel 1989 la Fiat conseguì gli utili più alti della sua storia, grazie al lancio del modello
Tipo, una vettura che ricalcò i fasti della Uno.
La situazione cambiò nuovamente. Il colosso piemontese inebriato dal doppio successo di
Uno-Tipo continuò a inviare il lancio del nuovo modello Punto, pagando il ritardo.
Agnelli riferendosi a quel periodo dichiarò in un’intervista al quotidiano Sole24ore:“Mi
pare fossimo la cinquantesima azienda al mondo per fatturato e la quinta o la sesta in
termini di utili. Imparai anche, se è certamente gradevole avere grandi utili, che ciò è
quanto di più diseducativo esista per un’azienda, in quanto si affievolisce forse
l’attenzione alla qualità, alle economie, alla produzione, di nuovi modelli.”
6
Anche se in realtà, la scarsa attenzione dei vertici Fiat, non era dovuta alla presenza di
grandi utili, ma all’incapacità di avere una vista lungimirante e alla mancata ricerca
dell’efficienza, l’analisi dell’Avvocato, seppure a posteriori, era corretta.
3
Denominata dalla stampa la marcia dei 40.000.
4
In proposito: Turani G.(2002).
5
Fonte: Quotidiano IlSole24Ore del 25/1/03 art. di Guerci C.M., L’auto un mercato da riconquistare, pag:8.
6
Fonte: Quotidiano IlSole24Ore del 25 gennaio 2003, art.cit., di Bernacchi A..
3
Agli inizi del 1991 la casa torinese era nuovamente in crisi
7
.
Una crisi la quale tuttora non si ha la certezza assoluta di aver superato
1.2 La cronologia della crisi
La crisi Fiat nacque “istituzionalmente” il 9 ottobre 2002, con la richiesta inoltrata al
Governo dell’applicazione dello status di “società in crisi”
8
e con la presentazione di un
piano di risanamento che prevedeva la cassa integrazione straordinaria per oltre 8.000
dipendenti. Il 5 Dicembre 2002, dopo lunghe trattative, lo Stato rispose positivamente e
quattro giorni dopo, la Fiat poté spedire le lettere di cassa integrazione a 8000 dipendenti.
Per la verità, l’inizio della crisi ha radici ben più lontane. Difatti la caduta di competitività
e redditività della Fiat Auto e il suo inevitabile riflesso sui conti complessivi del gruppo
incominciarono ad essere percepiti gia dal 1990, quando la casa italiana subì il sorpasso
definitivo da parte della Volkswagen nella classifica dei produttori europei. Da quel
momento al 2001, le quote di mercato della Fiat Auto sarebbero calate dal 52,8 al 34,7 per
cento in Italia e dal 14,3 al 9,6 per cento in Europa. La situazione era quindi già critica ben
prima del 9 ottobre 2002 e peggiorò ulteriormente nei mesi successivi.
Il fenomeno divenne evidente a cavallo del secolo. I preparativi e le celebrazioni del
centenario della Fiat riuscirono solo in parte a mascherare la situazione di evidente
difficoltà.
Il Corriere della Sera del 12 dicembre 1999 scriveva: “…Il settore auto è anche molto
concorrenziale. E la concorrenza è destinata ad aumentare in Europa[…]Lo scenario non
è roseo particolarmente per la Fiat che opera con pochi modelli, prevalentemente di fascia
bassa. Con queste prospettive le fusioni diventano inevitabili per tagliare i costi;
diversificare geograficamente le aree di vendita; acquisire marchi e nicchie di mercato; e
raggiungere rapidamente le dimensioni necessarie per sostenere l'onere elevato dello
sviluppo di nuovi prodotti […] Ma Fiat non è un'azienda come le altre: sarebbe indelicato
parlare di “vendita”. Prepariamoci, dunque, a una più digeribile alleanza strategica”
9
.
7
Per molti analisti e giornalisti (come Giusepe Berta in La Fiat dopo la Fiat, Milano, 2006, Mondatori) la
parentesi di tranquillità creata col lancio della Punto e dei modelli Brava e Bravo, non è sufficiente per
considerare la Casa torinese fuori dalla crisi.
8
Passo necessario per accedere ad ammortizzatori sociali parzialmente a carico dello stato, quali cassa
integrazione straordinaria e mobilità e per l’ammissione.
9
Articolo scritto da Alessandro Penati, con titolo: Fiat? Vale un quinto di Telecom e rende meno di un Bot.
4
Sul Corriere del 3 Febbraio 2000, apparve un articolo in cui Giuseppe Volpato indicò in
un’alleanza strategica l’unica via a disposizione di Fiat per poter crescere; il 13 marzo
2000
10
, nel Corriere della Sera, Giacomo Ferrari
11
scriveva: “Per gli Agnelli, sarebbe stato
meglio vendere tutto subito, liberando risorse da investire in altri settori. Così rimarranno
vincolati alle fortune dell'auto ancora per diversi anni. L'indecisione può costare cara” ed
Alessandro Penati, in un articolo
12
del 9 giugno 2001, scriveva: “Fiat non è solo debiti e
auto: è un vasto conglomerato, privo di stringente logica industriale; con diverse imprese
redditizie, ma poco sinergiche, e quasi mai leader nei rispettivi settori. Il risanamento non
dovrebbe affrontare solo la crisi di oggi, ma invertire il declino del gruppo. Si dovrebbero
vendere le attività meno sinergiche, quelle con le peggiori prospettive, e quelle che la
Borsa valuta con i multipli più bassi. E puntare alla leadership in pochi settori, ricorrendo
a dismissioni e cartolarizzazioni per eliminare il debito. Invece, diversificazione e
indebitamento hanno subito un'accelerazione dal 1999, sotto la nuova presidenza di Paolo
Fresco”.
Ma da Corso Marconi
13
venivano lanciate accuse di catastrofismo e pessimismo a
chiunque osasse attaccare l’operato svolto. Neanche i risultati di bilancio relativi agli
esercizi 2000 e 2001, che presentavano vistose perdite di esercizio, pari rispettivamente a
44 milioni e 549 milioni di euro
14
e le pericolose cadute di quote di mercato, registrate in
Europa e in Italia, bastarono a far comprendere la gravità della situazione e a spingere il
top-management ad un riadattamento della propria gamma prodotti o ad un turnaround
che, se non altro, avrebbero reso la situazione meno tragica.
Allo stato dei fatti, è quindi chiaro che la crisi del gigante torinese era facilmente
prevedibile, se non addirittura annunciata.
Il 12 marzo 2000 la Fiat firmò un’alleanza con General Motors. Un accordo resosi
indispensabile per la sopravvivenza del gruppo.
Inizialmente, seppure i due colossi mondiali dell’auto apparissero notevolmente diversi per
struttura, idee e strategie, l’intesa sembrò dare i primi frutti, soprattutto grazie alle due
10
Il giorno dopo la sottoscrizione dell’accordo tra Fiat e GM.
11
Il titolo dell’articolo era: Fiat-GM: nozze con scambio di azioni.
12
Dal titolo: I difetti di una conglomerata, nel caso Fiat.
13
Sede di Ifi e Ifil.
14
Fonte: Bilanci Consolidati del Gruppo Fiat relativi agli esercizi 2000 e 2001.
5
joint-venture previste
15
, ma così non fu. La situazione peggiorò verso la metà di dicembre
2001, quando si dimise Roberto Testore, amministratore delegato di Fiat Auto
16
.
Quest’ultimo venne sostituito da Boschetti alla guida dell’auto, lasciava Fiat mentre veniva
annunciato un piano di rilancio di tutto il gruppo che prevedeva: l’aumento di capitale da 1
miliardo di euro, le cessioni di alcuni asset del gruppo che avrebbe comportato un incasso
pari a 2 miliardi di euro, un prestito obbligazionario da 2,4 milioni di dollari garantito dalla
quota di GM posseduta da Fiat
17
, la chiusura di 18 stabilimenti e la riorganizzazione di Fiat
Auto in 4 business-units: Fiat-Lancia-veicoli commerciali, Alfa Romeo, Attività
Internazionali e Servizi al Cliente.
Nello stesso periodo, il settimanale “Il Mondo”annunciò che il Gruppo Fiat avrebbe chiuso
l’esercizio 2001 con una perdita di oltre 800 milioni di euro
18
e con una perdita operativa
per Fiat Auto di 483 milioni di euro
19
. .
Sul fronte vendite la situazione dell’auto non era delle migliori, considerando che la quota
di mercato in Italia passò al 34,7% rispetto al 35,4% del 2000 (nonostante l’applicazione
nel nostro paese degli incentivi alla rottamazione)
20
, ed in Europa dal 10% del 2000 al
7,8%. Erano ormai lontani i tempi della Fiat di Ghidella e della Uno, quando la società
combatteva testa a testa con il Gruppo Volkswagen per la leadership in Europa con una
quota di oltre il 15%, o delle varie Punto e Bravo/a con cui la Fiat aveva ottenuto per due
anni consecutivi il premio per la migliore auto prodotta.
Dopo aver effettuato il primo tentativo di turnaround, che portò al cambio del top-
management di Fiat Auto, nel febbraio 2002. Contemporaneamente alla nomina dei
responsabili delle quattro business-unit, rispettivamente Gianni Coda (Fiat-Lancia),
Daniele Bandiera (Alfaromeo), Jan Nahum (Attività internazionali) e Silvano Cassano
(Servizi al cliente)
21
, si iniziò a vociferare circa i possibili cambi al vertice del Gruppo,
smentiti dall’intervento dell’Avvocato Agnelli, pur defilato dalla scena, per motivi di
salute. I dati relativi al bilancio 2001 che indicarono una perdita di 762 milioni di euro ed
15
Due società a composizione paritaria nella produzione di motopropulsori (Powertrain) e nell’acquisto dei
componenti (Purchasing).
16
Le dimissioni furono rassegnate il 10 dicembre 2001.
17
Il prestito da 2.4 milioni di dollari poteva essere convertito in circa 32 milioni di azioni General Motors. Se
ci fosse stata una completa richiesta di conversione, la posizione finanziaria netta della Fiat sarebbe
migliorata di circa 4.780 miliardi di lire.
18
In realtà la perdita fu di 791 milioni di euro. Fonte FiatGroup.
19
In realtà la perdita fu di 549 milioni di euro. Fonte FiatGroup.
20
In realtà gli incentivi, messi a disposizione di tutti i marchi dell’auto, non fecero che velocizzare
l’andamento del mercato e la perdita di quote da parte della Fiat.
21
Fonte: Fiat Auto.
6
una posizione finanziaria netta negativa
22
per oltre 6 miliardi di euro per il gruppo,
accompagnati da una perdita per Fiat Auto di oltre 500 milioni, sottolinearono
ulteriormente la crisi Fiat nella sua dura realtà. Nell’Aprile 2002, la società Standard &
Poors, ipotizzò un abbassamento del rating e il titolo perse oltre il 4% arrivando a toccare
il minimo al di sotto dei 13 euro. Tutto questo contribuì ad appesantire il clima ostile e di
tensione verso la società torinese, da più parti si levarono critiche all’operato del top-
management e si fecero più insistenti le voci di cambio al vertice, ma nuovamente Agnelli
intervenne per smentirle categoricamente. I dati del primo trimestre 2002, confermarono le
pessime previsioni e la quota di mercato in Europa scese ulteriormente dal 10% al 7.8%, il
risultato più deludente degli ultimi trent’anni. .
Il mese di maggio iniziò con l’annuncio che Agnelli non poteva partecipare all’annuale
assemblea degli azionisti poiché, debilitato da una malattia, doveva recarsi in America per
sottoporsi a delle cure (quella fu la prima volta in 60 anni, che il massimo dirigente Fiat
non partecipava al consueto incontro).
Il 14 maggio si tenne l’assemblea, dove si stabilì la riconferma per ulteriori tre anni di
Fresco e Cantarella.
Il piano di risanamento illustrato da Boschetti agli analisti finanziari il 17 maggio, oltre a
riassumere le cause della crisi (era la prima volta che il management ammetteva i propri
errori nella gestione), indicò la via per uscire dalla grave congiuntura: tagli
all’occupazione, una migliore focalizzazione degli investimenti verso i modelli con un
reale potenziale di mercato, aumento dei componenti comuni tra i vari modelli così da
poter ottenere, dove possibile, delle economie di scala ed infine una maggiore
collaborazione con GM. Il piano di ristrutturazione non convinse né gli analisti finanziari
né il sindacato, il titolo scese ulteriormente e vennero proclamati scioperi in tutti gli
stabilimenti
italiani.
Si cominciò a sospettare che la famiglia Agnelli si stesse preparando ad utilizzare
l’opzione put con GM, ma l’annuncio del riazzeramento del capitale sociale di Fiat Auto
per coprire i debiti accumulati e la sua ricostituzione a 1,8 miliardi di euro
23
, mise un freno
alla caduta del titolo, che tuttavia mantenne un andamento altalenante, rispecchiando la
22
Soprattutto causate dalle acquisizioni societarie di Pico (settore dei beni strumentali) e di Case
Corporation (macchine per l’agricoltura) realizzate nel corso del 2001.
23
Il 27 maggio alcune banche, attraverso un comunicato congiunto, accettarono di garantire la
ricapitalizzazione di Fiat. La firma del contratto di “finanziamento convertendo” dell'importo di 3 miliardi di
euro, avvenne però in luglio.
7
mancanza di una valida politica industriale. Il piano di finanziamento avrebbe dovuto
garantire al management Fiat per i successivi tre anni quella tranquillità necessaria per
poter affrontare al meglio la situazione di crisi, ma così non fu, considerando che il 10
giugno, Paolo Cantarella, amministratore delegato del Gruppo, si dimise per far posto a
Paolo Fresco
24
. Quest’ultimo avvenimento contribuì ad aumentare il clima di incertezza
che circondava la casa torinese e il rispettivo titolo in Borsa.
Un altro gravoso problema che bisognava risolvere al più presto era l’applicazione di tagli
occupazionali, che avrebbero portato, come vedremo in seguito, a infinite discussioni con
le parti sociali e col governo, nonché a numerosi scioperi, che sicuramente non
contribuirono a migliorare la disastrosa situazione.
Il 9 dicembre, dopo lunghe e infuocate trattative, l’azienda poté spedire 5.600 lettere di
cassa integrazione a zero ore e mettere 2.400 lavoratori in mobilità lunga.
Sul fronte manageriale venne attuato un altro cambio. Difatti il 13 dicembre, il CdA della
Fiat, riunito sotto la presidenza di Paolo Fresco, nominò Alessandro Barberis
amministratore delegato della società, Franzo Grande Stevens vice presidente e Ugo
Draetta segretario, accogliendo le dimissioni da amministratore di Gabriele Galateri,
rimasto in carica per soli 6 mesi. Gli altri passi volti al miglioramento della situazione
finanziaria furono la cessione della quota GM
25
di Fiat a Merril Lynch, operazione che
permise di incassare 1.076 milioni di dollari e la cessione del 51% di Fidis Retail alle
banche creditrici per 400 milioni.
Il 24 dicembre, i piccoli rialzi che aveva avuto il titolo per effetto delle vendite attuate,
furono annullati per opera della società di rating Moody’s che declassò il debito della Fiat
nel novero dei titoli “spazzatura”, questo diede un forte contraccolpo alla piccole speranze
di una rapida ripresa e il titolo arrivò a quota 7,5 euro, il livello minimo da oltre diciotto
anni.
L’anno 2003 si aprì con una proposta del finanziere Colanninno, desideroso di entrare
nell’azionariato Fiat.
Il piano Colaninno, reso noto il 4 Gennaio, si basava su un aumento di capitale per Fiat
S.p.a. pari a 2 miliardi di euro, su un patto di sindacato che puntava a garantire la
pariteticità delle quote azionarie di circa il 20% ciascuno in Fiat, divise tra Immsi (la
società di Colaninno) e la famiglia Agnelli, su un ingresso diretto nella gestione con
24
Paolo Fresco assunse fino al 27 Giugno le cariche di Presidente ed Amministratore delegato del Gruppo.
25
La quota era pari al 5.7% del capitale GM.
8
l’assunzione delle cariche di vice-presidente ed amministratore delegato, sul rilevamento di
oltre i due terzi dell’ammontare del “prestito convertendo” di 3 miliardi di euro erogato a
luglio 2002 dalle banche, ed infine sulla non applicazione del put con GM.
L’11 gennaio uscì allo scoperto anche il finanziere Gnutti che, contando sulle proprie
disponibilità finanziarie, era fortemente convinto ad entrare in Fiat attraverso il piano
lanciato dalla sua società Hopa. Il piano Gnutti, prevedeva una ricapitalizzazione da 3
miliardi di euro per Fiat S.p.a, di cui 750 milioni sarebbero stati versati dagli Agnelli e
dalla Hopa, mentre il resto, pari a 1,5 milioni, dal mercato. Una volta concluso questo
primo aumento di capitale, Fiat S.p.a. avrebbe proceduto a ricapitalizzare a valle Fiat Auto
con i 3 miliardi raccolti in precedenza più altri 2 miliardi che sarebbero arrivati dalle
banche, sotto forma di nuovi finanziamenti. Infine, Fiat Auto, sarebbe stata scorporata da
Fiat S.p.a. . Al termine della complessa operazione, la Hopa di Emilio Gnutti sarebbe
diventata azionista anche della società che partecipa all'Hdp-Corriere della Sera, che ha il
controllo del gruppo Toro-Capitalia e che possiede il 2% di Mediobanca, in pratica
l'operazione in questione, avrebbe potuto cambiare alla radice gli equilibri finanziari del
Paese
26
.
Il 20 gennaio, venne invece presentato il progetto di Lazard, banca francese e consulente di
Fiat. I tre piani vennero discussi il 24 gennaio, in un’assemblea dell’accomandita Giovanni
Agnelli & C., la cosiddetta “cassaforte della famiglia Agnelli”. Le ipotesi messe al vaglio
della famiglia, per il rilancio di Fiat erano tre: scissione dell’auto e ricapitalizzazione, piani
Colannino e Gnutti, e l’intervento dello Stato. La prima proposta trovava un ostacolo
nell’accordo con GM, poiché il capitolo 6.10 dell’intesa costituita nel marzo 2000, vietava
a Fiat Auto di entrare in transazione con altre aziende del Gruppo Fiat, e siccome la
struttura del Gruppo appariva molto complessa, fatta di partecipazioni azionarie a cascata,
inevitabilmente la scissione avrebbe comportato il coinvolgimento di qualche altra società
del gruppo, per cui qualsiasi operazione su Fiat Auto avrebbe dovuto avere l’avallo di GM.
I risultati della seduta sancirono l’intenzione della famiglia a reinvestire nell’auto e quindi
la non accettazione dei vari piani finanziari presentati (anche se qualche spiraglio veniva
lasciato per il piano Colannino). Inoltre venne stabilito che da maggio 2003, Umberto
Agnelli divenendo Presidente del Gruppo, sarebbe succeduto a Fresco.
26
La vera intenzione di Gnutti, non era entrare in Fiat, bensì utilizzare tale eventuale partecipazione azionaria
per arrivare al controllo di Hdp-Corriere della Sera e Toro-Capitalia.
9
Il 25 gennaio Giovanni Agnelli che per oltre quaranta anni aveva gestito e comandato le
sorti della Fiat, morì a Torino, lasciando nello sconforto sia la famiglia che il Gruppo,
poiché veniva a mancare una guida fondamentale e vitale per affrontare il periodo di forte
crisi. La morte dell’Avvocato accelerò il naturale decorso dell’applicazione di quanto
stabilito dall’accomandita Giovanni Agnelli &C, così il 25 febbraio venne attuato il terzo e
definitivo turnaround: Paolo Fresco lasciò la presidenza della Fiat in anticipo per Umberto
Agnelli, Giuseppe Morchio, ex manager di Pirelli, divenne amministratore delegato,
Barberis vice-presidente, e Luca Cordero di Montezemolo entrò nel consiglio di
amministrazione. Sul fronte strategico vennero stabilite le cessioni di Fiat Avio, Toro e
Fidis
27
, e la ricapitalizzazione di Fiat Auto pari a 5 miliardi, da eseguirsi entro 18 mesi, con
un operazione infragruppo attraverso lo spostamento dei debiti di Fiat Auto, pari a 3
miliardi, alla holding Fiat S.p.a..
Il 6 marzo, dopo la bocciatura di Moody’s (dicembre 2002), arrivò pure quella di
Standard&Poor’s che declassò i debiti Fiat a junk (spazzatura), in risposta alle cessioni di
Fiat Avio e Toro, che avrebbero portato, come si poté leggere nel comunicato stampa della
società di rating, da un lato ad una maggiore liquidità ma dall’altro ad una riduzione dei
risultati operativi con conseguente abbattimento della capacità di generare cash-flow.
L’11 marzo viene ceduto il 100% di Fidis alle banche creditrici che avevano erogato il
“prestito convertendo”, il 24 marzo Toro passò alla DeAgostini per 2.4 miliardi di euro
28
.
Inoltre proseguiva l’applicazione del piano, firmato il 5 dicembre con il Governo, che
prevedeva l’alleggerimento di 8.100 dipendenti. Dal numero previsto, vennero però
reintegrati più di 6.000 lavoratori, questo creò un certo ottimismo verso il rilancio,
dimostrato anche dal recupero del titolo che si portava da quota 5.9 del 7 aprile a 6.9 il 5
maggio 2003.
Per gran parte del mese di maggio, si intensificarono gli incontri con GM e con le banche
creditrici. I meeting con la società americana, avevano come obiettivo invitare il colosso
americano a partecipare alla ricapitalizzazione di Fiat Auto, ma le risposte pervenute da
Detroit non furono molto positive in tal senso. Dalle banche si cercò invece di ottenere un
prolungamento del prestito convertendo fino al 2008 (la scadenza prevista era nel 2005).
27
Il 51% di Fidis era stato gia venduto nel dicembre 2002 alle banche creditrici.
28
Fonte: Quotidiano “IlSole24Ore” del 23 Marzo 2003 pag.23.