Abstract
Vista l'importanza delle imprese creative e culturali al giorno d’oggi, e la centralità in cui sono inserite visto
il veloce progredire della tecnologia, l'elaborato si propone di indagare le condizioni di mercato delle Startup
innovative in ambito creativo e culturale negli ultimi 10-15 anni, guardando ad aspetti dibattuti quali il tasso
di sopravvivenza sempre più basso, il mito dello startupper americano; oltre agli aspetti organizzativi più
performanti proposti dagli studiosi, che però non collimano perfettamente con le pratiche intraprese dai
fondatori delle startup. Infatti, questi molto spesso si confrontano con realtà locali di area ridotta che per
varie ragioni spesso non concordano con i dati totali del Paese. I dati rappresentano una media, le percentuali
non sempre dimostrano effettivamente come la singola situazione. Per questi motivi ho raccolto le esperienze
di diversi fondatori di startup creative. Dai risultati si evince una discrepanza – non eccessiva, ma comunque
presente – tra le informazioni provenienti dalla stampa (spesso sensazionalistiche), i dati ricavati dagli studi
specifici, e le situazioni reali.
1
Introduzione
Da più o meno dieci anni, la tendenza comune ai giovani imprenditori che vogliono
inserirsi in un business è quella di creare una startup. Se parliamo di giovani che sono
prossimi al mondo dell’audiovisivo e del culturale – notoriamente settori che hanno un
continuo bisogno di essere finanziati, se non in toto perlomeno per ogni progetto – la
tentazione di diventare manager di sé stessi può diventare ancora più alta: gestendosi da
soli si potrebbero eliminare alcuni costosi intermediari. Come vedremo, però, fondare
un’impresa, risulta, letteralmente “un’impresa”. Se può risultare un vantaggio che la parte
burocratica della costituzione di una società startup sia nettamente semplificata rispetto
alla controparte classica, rimane il fatto che occuparsi della gestione di vari aspetti in
solitaria non è una pratica consigliabile a tutti. Una delle maggiori complessità sta nel
trovare il capitale utile a continuare il lavoro, mentre uno dei rischi più grossi è proprio
la possibilità di poterlo perdere. Questa tesi suggerirà l’esistenza di molti fattori comuni
ad alcune startup italiane di successo, e li analizzerà mettendoli in relazione. Dopodiché
si procederà con un confronto tra la bibliografia tecnica del settore e la situazione che si
trova sul mercato. L'elemento di novità di questo elaborato è indagare gli elementi di
successo nel panorama delle imprese e industrie attive nell’ambito creativo in Italia.
L’obiettivo che si vuole raggiungere è evidenziare una connessione tra il buon andamento
di una startup nascente e le pratiche intraprese. Oltre a questo, si esaminerà il fenomeno
del videomaking, diffuso in tutto il mondo e utile supporto per una startup che abbia
bisogno di farsi conoscere.
Il primo capitolo approfondisce l’importanza del settore del videomaking in Italia e in
Europa, ponendolo in relazione alla crescita economica del Paese;
Nel secondo capitolo introdurremo le pratiche di finanziamento partite da Europa
Creativa, guardando al report di Italia Creativa sulla situazione dell’audiovisivo in Italia;
Nel terzo capitolo analizzeremo la situazione italiana in merito alle startup, con
attenzione al versante creativo;
Nel quarto capitolo si presenteranno i risultati emersi da alcune interviste poste ai
fondatori di startup attive in ambito creativo e culturale in Italia.
3
1. La rivoluzione digitale nell’ambito video
La tecnologia oggigiorno corre a ritmi veloci e questo permette di infrangere la barriera
del prezzo prima inaccessibile a molti consumatori. Infatti, l’abbassamento dei costi –
raggiunto principalmente delocalizzando i servizi e la produzione in paesi in via di
sviluppo e sostituendo in molti prodotti i materiali più pregiati con materiali plastici e a
basso costo – ha reso possibile l’acquisto di molti beni e servizi a un segmento di
popolazione che in passato non si sarebbe potuto permettere questi prodotti. Agli inizi
degli anni ‘2000, con un andamento via via più accentuato, si sono diffuse le cosiddette
tecnologie digitali come i personal computer, le fotocamere digitali, successivamente gli
smartphone e in generale tutti i dispositivi digitali connessi tramite la rete internet.
Il passaggio al digitale ha reso alcune operazioni ordinarie più semplici: basti pensare alle
numerose possibilità offerte dall’online banking (che permette quindi di non uscire più di
casa per effettuare operazioni monetarie), alla semplicità d’utilizzo dei programmi di
messaggistica istantanea (che alle volte agevola la comunicazione a distanza ed evita
lunghe file alle poste) e ad altri servizi diventati d’uso comune. Uno dei settori in cui il
digitale ha acquisito un certo peso dall’inizio è stato quello della cinematografia. Le
grandi produzioni, inizialmente scettiche a causa delle possibilità limitate, alla fine degli
anni ’90 hanno iniziato a pensare di convertire la produzione al digitale non appena le
tecnologie hanno raggiunto un livello sufficiente di resa qualitativa. Tuttavia, i
programmi di CGI
1
, ovvero quelli
di grafica computerizzata usata per
creare immagini, sono stati
utilizzati già dagli anni ’80 e ‘90,
all’interno di film come: Tron
2
(Lisberger, 1982), Terminator 2:
Judgment day
3
(Cameron, 1991).
Tra gli anni ’90 e il primo decennio
del 2000, l’industria
1
“La CGI, è un'applicazione nel campo della computer grafica, o più specificatamente, nel campo della computer
grafica 3D per la resa degli effetti speciali digitali nei film, in televisione, negli spot commerciali, nei videogiochi di
simulazione e in tutte le applicazioni di grafica visiva.” Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Computer-
generated_imagery
2
https://variety.com/2017/film/news/tron-jeff-bridges-cgi-1982-disney-anniversary-1202486941/
3
https://www.vulture.com/2015/06/oral-history-of-emt2ems-liquid-metal-effect.html
Fig.1 Un’ottima macchina digitale professionale: Blackmagic
Pocket 4k.
4
audiovisiva inizia a convertirsi alla produzione digitale: il primo lungometraggio
realizzato interamente in digitale è il film di animazione Toy Story
4
, (Lasseter, 1995),
mentre si passa alla produzione dei film veri e propri con Zodiac
5
(Fincher, 2007), il quale
ad oggi viene considerato il primo film girato completamente con tecnologie digitali. Ai
giorni nostri, sia le produzioni delle case cinematografiche major che i piccoli studi o gli
indipendenti (chiamati anche freelance) lavorano quasi al 100% in digitale, perché
sarebbe controproducente fare diversamente. Uno dei maggiori vantaggi (forse il primo)
di una produzione basata su tecnologia digitale, in confronto a un’ipotetica produzione
gemella ma analogica è il costo ridotto. Risulta certamente meno dispendiosa e
complicata per vari fattori, tra cui:
• Minore costo del supporto, che sia di tipo (meccanico (come gli Hard Disk),
magnetico (come i nastri LTO) o a stato solido (come le memorie flash e SSD);
• Durevolezza maggiore del supporto rispetto alla fragilità relativa della pellicola;
• Maggiore semplicità a visualizzare immediatamente le riprese, rispetto alla
preparazione dei giornalieri da controllare appunto a fine giornata, a riprese
terminate
6
;
• Ingombro relativamente contenuto delle macchine digitali.
Questi vantaggi vanno certo a favore delle grandi industrie ma si riflettono anche negli
studi più modesti, in quanto le piccole produzioni beneficiano in misura maggiore di un
abbassamento generale dei costi, speculare all’aumento qualitativo dell’attrezzatura
4
https://time.com/4118006/20-years-toy-story-pixar/
5
https://www.mymovies.it/cinemanews/2007/2188/
6
Questo perché la pellicola cinematografica necessita di un tempo di sviluppo per poterla visionare correttamente.
Fig. 2 Una videocamera DVCPRO HD,
molto ingombrante e con una qualità
limitata (2009)
Fig. 3 Una camera semiprofessionale ambita
nel 2008 poteva essere la Canon 5D Mark II.
5
acquistabile a pari cifra. Il potere d’acquisto del professionista con un basso budget, in
uno spazio ventennale si è alzato esponenzialmente. C’è inoltre, rispetto al passato, un
netto miglioramento qualitativo riguardo alla strumentazione cinematografica degli studi
indipendenti e dei lavoratori freelance: se nel 2000 un modello di videocamera
interessante per un piccolo studio poteva essere basata sullo standard DVCPRO HD
7
, nel
2008 un’ambita camera semi-professionale poteva essere la Canon 5D Mark II
8
(visibile
nella fig. 3), oggi con la stessa cifra si potrebbe acquistare una Sony A7s II, proposta alla
fig. 4, dalle specifiche tecniche di molto superiori e aggiornate alle esigenze di oggi, oltre
che più vicine al mondo del cinema professionale
9
.
1.1 Il miglioramento qualitativo
Prima dell’avvento del digitale, la qualità di ripresa di una piccola produzione si fermava
spesso al VHS (240 linee di risoluzione), in rari casi raggiungeva il Betamax
(corrispondenti a circa 350×576 pixel di risoluzione): niente a che vedere con la pellicola,
che all’epoca eccelleva nella ripresa e riproduzione audio-video
10
.
7
https://it.wikipedia.org/wiki/Digital_Video. Una camera DVCPROHD è visibile alla fig. 2.
8
https://it.wikipedia.org/wiki/Canon_EOS_5D_Mark_II
9
Ad esempio, per la presenza di un Bitrate di 230mbit/s.
10
Per la pellicola 35mm infatti, si stima una risoluzione equivalente all’8K digitale.
Fig. 4 Il mercato di oggi offre possibilità molto
maggiori rispetto al passato: vediamo la Sony A7s
II (2020).