Introduzione
Nell'immaginario collettivo Italia e Spagna sono spesso considerati come
due Paesi simili, o comunque con molti elementi in comune: sono entrambi
Paesi mediterranei, entrambi di lingua neolatina e con uno stile di vita
paragonabile (il PIL PPA pro capite spagnolo nel 2008 è stato di 30.764 dollari
1
,
quello italiano è di 31.022 dollari); la differenza di popolazione non è
particolarmente marcata (45.630.000 spagnoli contro 58.890.000 italiani) e il PIL
PPA nazionale rispecchia più o meno questa differenza (1.396.881 milioni di
dollari quello della Spagna, 1.814.557 milioni quello dell’Italia), nonostante il
fatto che la crisi in Spagna abbia iniziato a farsi sentire più tardi (+1,2% nel
2008, -4,6% nel 2009) rispetto all’Italia (-1% nel 2008, -5,1% nel 2009).
Proprio a causa di questa supposta somiglianza, Spagna e Italia sono stati
spesso usati come termini reciproci di paragone in materia economica, politica o
sociale; per questo motivo, dato che lo scopo di questa tesi è analizzare
economicamente le specificità del settore editoriale spagnolo e valutare quanto
esse incidano sullo stesso, sostenendo che siano decisive nel determinare
profonde differenze rispetto ad altri sistemi editoriali considerabili simili, si è
deciso di operare, in ogni capitolo, anche un sintetico confronto con la realtà
italiana, per meglio comprendere l’effettiva portata di tali differenze.
Come sottolinea David Hesmondhalgh
2
, “l’industria culturale è una
componente sempre più importante dell’industria nel suo complesso, e perciò
7
1
Dati provenienti dal World Economic Outlook Database, aprile 2009, del Fondo Monetario
Internazionale, http://imf.org
2
Direttore del Media Industries Research Centre alla Leeds University.
delle economie nazionali”
3
, oltre che della cultura di un Paese: si tratta infatti di
un’industria particolare, in cui il valore economico non è l’unico a essere
considerato ma è anzi strettamente legato al valore culturale. David Throsby
4
fa
notare che “se è vero che l’economia e i sistemi economici operano all’interno di
un contesto culturale, è anche vero il contrario. Le relazioni e i processi culturali
possono esistere anche all’interno di un ambiente economico e possono essere
interpretati in termini economici”
5
. È questo il punto di partenza di questa tesi:
analizzare economicamente la produzione editoriale spagnola, pur senza
tralasciare i cambiamenti culturali che l’evoluzione del settore editoriale negli
ultimi decenni ha provocato.
Nei Paesi occidentali, infatti, dal dopoguerra in avanti è cambiato
profondamente il rapporto tra cultura e Stato: se negli anni ’50 e ’60 “lo
sviluppo del welfare state abbracciava la nozione egualitaria di una cultura per
tutti”
6
, negli anni ’70 “l’attenzione cominciò a spostarsi verso una visione più
funzionale della cultura, con il riconoscimento emergente delle industrie
culturali come motori del dinamismo economico e della trasformazione della
società”
7
. La Spagna ha vissuto questi cambiamenti in maniera più diluita e con
un certo ritardo, a causa della dittatura franchista che ha di fatto limitato la
libertà culturale fino alla metà degli anni ’70; per questo motivo, e anche per
ragioni di spazio, l’analisi qui proposta parte proprio dalla caduta del
franchismo per concentrarsi sui cambiamenti avvenuti nella Spagna
democratica, cambiamenti in linea con quanto accaduto nel resto dell’Europa e
nei Paesi occidentali in generale.
8
3
Hesmondhalgh, p. 197.
4
Economista australiano specializzato in economia della cultura.
5
Throsby, p. 33.
6
Throsby, p. 205.
7
Throsby, p. 205.
Infatti, “con l’aumento del tempo libero e dei redditi disponibili [...]
l’industria culturale ha lentamente ma progressivamente assunto un peso
maggiore rispetto al passato nelle economie industriali avanzate”
8
, sia dal
punto di vista della produzione, per cui tali industrie culturali “sono fonti
sempre più importanti di profitto e occupazione”
9
, sia dal punto di vista dei
fruitori, ponendo “l’enfasi sull’accesso culturale e sulla partecipazione invece
che sulla ricerca della «qualità» nelle arti alte”
10
. Negli ultimi trent’anni è
cambiato gradualmente il concetto di cultura e, soprattutto, è stato inserito in
una logica industriale; se già nel 1947 Max Horkheimer e Theodor Adorno
parlavano di “industria culturale” riferendosi in modo sprezzante alla
mercificazione della cultura di massa, il fenomeno è andato via via
espandendosi e consolidandosi soprattutto a partire dagli anni ’70 e ’80, quando
si è iniziato ad attribuire “maggiore importanza alla ricerca dell’audience, al
marketing e alla conquista di pubblico di nicchia”
11
per allargare il più possibile
la base dei consumatori di prodotti culturali, spesso a scapito della qualità delle
opere. Per coinvolgere una fetta di pubblico più ampia è infatti necessario
produrre delle opere di livello culturale più basso, in modo che possano essere
fruite anche da chi è in possesso di un grado d’istruzione minore; ciò ha
portato, oltre che a un allargamento del pubblico, anche a un allargamento della
cerchia di autori, di cui a partire soprattutto dagli anni ’90 hanno iniziato a far
parte anche membri dello star system televisivo e del mondo dello spettacolo in
generale.
Nonostante siano il punto di partenza della produzione editoriale, “i
creatori di testi sono stati quasi totalmente ignorati nelle recenti teorizzazioni
delle industrie culturali, per via di una comprensibile, ancorché eccessiva,
9
8
Hesmondhalgh, p. 208.
9
Hesmondhalgh, p. 7.
10
Throsby, p. 205.
11
Hesmondhalgh, p. 2.
reazione al feticismo dell’«eccezionalità» del lavoro artistico”
12
. Il punto di
partenza di quest’analisi invece, nel capitolo 1, sarà proprio una panoramica di
quei generi e, soprattutto, di quegli autori che hanno goduto di un certo
successo nella Spagna democratica e che per questo hanno influito
particolarmente anche sulla dimensione economica, oltre che culturale, del
settore editoriale spagnolo. Una dimensione economica che non avrebbe avuto
un ruolo così di primo piano senza l’intervento di un particolare anello della
filiera editoriale, quello degli agenti letterari, di cui si parla nel capitolo 2, che,
sulla scia di quanto ottenuto da una figura quasi mitica e rivoluzionaria, hanno
cambiato radicalmente il rapporto tra autori ed editori, che da parte loro si sono
visti costretti a riconsiderare il lavoro creativo degli autori come parte
principale dell’industria culturale, e a remunerarla adeguatamente.
Proprio il settore della produzione di contenuti, di cui si parla più
ampiamente nel capitolo 3, è il cuore dell’industria editoriale spagnola e, al pari
di altri Paesi occidentali, negli ultimi decenni ha subito numerosi cambiamenti.
Come spiega Françoise Benhamou
13
, le industrie culturali “si trovano ad
affrontare notevoli rischi, che esse stesse determinano, derivanti dalla
moltiplicazione dei prodotti offerti e dal tentativo di controllarne la
distribuzione”
14
; per ridurre questi rischi, nel corso del tempo, e soprattutto a
partire dagli anni ’80, i grandi gruppi hanno cercato, e trovato, delle soluzioni
che hanno portato alla radicale modifica sia della struttura generale del settore
sia dello stesso panorama culturale in cui operano.
Innanzitutto, le case editrici più grandi “alla mercé di mercati poco
prevedibili, cercano di proteggersi da un eventuale insuccesso ricorrendo a
strategie di concentrazione”
15
, che portano all’acquisizione di ampie quote di
10
12
Hesmondhalgh, p. 5.
13
Economista francese specializzata in economia della cultura.
14
Benhamou, p. 91.
15
Benhamou, p. 91.
mercato e a “una crescita nell’ambito delle competenze e del potere delle
singole corporation dell’industria culturale, in cui la stessa corporation può
avere partecipazioni in molte differenti forme di comunicazione”
16
. Sempre più
frequenti sono infatti i casi, in Spagna come altrove, in cui i grandi gruppi
editoriali possiedono notevoli interessi anche al di fuori del loro settore, sia nel
campo “vicino” dei mezzi di comunicazione (televisioni, stampa, produzioni
cinematografiche, ecc.) sia in settori completamente estranei (settore
immobiliare, telefonia, giochi e scommesse ecc.). Rimanendo però all’interno
del settore editoriale, si possono distinguere due tipi di concentrazione: una
definibile come “orizzontale”, in cui semplicemente le imprese più piccole
vengono acquisite da quelle più grandi “onde ridurre la concorrenza per la
conquista dell’audience”
17
, e una “verticale”, in cui “si acquistano altre
compagnie operanti in fasi diverse del processo di produzione e
distribuzione”
18
in modo che il grande gruppo in questione possa controllare
l’intera filiera, dalla produzione alla distribuzione alla vendita finale del
prodotto. In Spagna il modello di concentrazione più diffuso è il primo, in
quanto i grandi gruppi hanno preferito creare nuove imprese ad hoc per il
controllo dell’intera filiera distributiva piuttosto che acquisire imprese già
operanti sul mercato.
In generale, comunque, il fenomeno della concentrazione “rafforza il potere
degli oligopoli che dominano le industrie culturali e promuove imperativi
commerciali a spese dei valori artistici”
19
. Avendo come obiettivo principale il
profitto economico, nella maggior parte dei casi i grandi gruppi hanno
abbracciato senza riserve la politica del best-seller, arrivando al punto che “le
classifiche influenzano la domanda di titoli, nonché le scelte dei dettaglianti sui
11
16
Hesmondhalgh, p. 186.
17
Hesmondhalgh, p. 24.
18
Hesmondhalgh, p. 25.
19
Hesmondhalgh, p. 186.
prodotti da promuovere”
20
e, in definitiva, le scelte d’acquisto del pubblico.
Richard Caves
21
, a questo proposito, si chiede: “se i prodotti più venduti sono
quelli più acquistati dai consumatori, e i consumatori acquistano i prodotti più
venduti, qual è la causa e qual è l’effetto? Questa domanda non trova una
risposta generale”
22
, ma è fuor di dubbio che “la classifica dei prodotti più
venduti svolge una funzione di certificazione automatica ma anche
oggettiva”
23
.
La politica del best-seller influisce sugli stessi livelli di produzione del
settore editoriale: “la ricerca di facili successi, da un lato, e l’evidente
abbandono degli altri prodotti ad un oblio quasi programmato dall’altro,
determinano una minore durata del ciclo di vita dei prodotti”
24
, e questa
rotazione rapida delle opere sul mercato “va di pari paso con un
impoverimento della gamma dei titoli offerti: la logica di vendita (della
massima quantità) prevale sulla logica di prodotto (o della creazione)”
25
. In altre
parole, dato che sono le novità ad attirare principalmente i consumatori, o
perlomeno un certo tipo di consumatori (il cosiddetto “pubblico di massa”),
diminuisce il numero di titoli in commercio e si punta su più novità dal breve
ciclo di vita, a scapito soprattutto della qualità dei titoli offerti.
È però anche vero che la produzione editoriale non può sopravvivere
sfornando di continuo prodotti eccessivamente standardizzati: serve anche una
certa dose di innovazione; ciò crea una “contrapposizione tra l’innovazione, che
rappresenta uno stimolo indispensabile al mantenimento della domanda, e la
standardizzazione, che è l’unico modo per ridurre i rischi”
26
. In questo senso,
12
20
Caves, p.197.
21
Economista americano della Harvard University, specializzato in economia della cultura.
22
Caves, p. 197.
23
Caves, p. 197.
24
Benhamou, p. 97.
25
Benhamou, p. 112.
26
Benhamou, p. 98.
“le industrie più importanti adottano strategie più conservatrici e tendono a
confinare l’innovazione al margine”
27
; questo “margine” è rappresentato dalle
piccole case editrici, “potenzialmente più dinamiche e maggiormente capaci di
innovazione”
28
, sia da quelle indipendenti che da quelle che fanno parte di un
gruppo ma che nella maggior parte dei casi godono di una certa autonomia per
poter “continuare ad esercitare la propria capacità innovativa”
29
.
Fino a questo momento si è parlato di caratteristiche generali delle industrie
culturali dei Paesi occidentali, ma esistono, come detto, alcune peculiarità
proprie del settore editoriale spagnolo che verranno esaminate sempre nel
capitolo 3. Tra queste, le principali sono tre: il fattore America Latina, che è
sicuramente importante, ma che, come si vedrà, incide meno di quanto si possa
pensare sul fatturato annuo dell’industria editoriale spagnola; l’esistenza di
altre lingue ufficiali oltre al castigliano e della conseguente produzione
editoriale in tali lingue, che però ha un’importanza più culturale che economica;
infine, la questione del prezzo dei libri, rigidamente regolato dalla legge per
salvaguardare il commercio al dettaglio, che però anche al netto di sconti e
promozioni risulta più alto che in altri Paesi, tra cui l’Italia.
Ciò è dovuto soprattutto, come si vedrà nel capitolo 4, all’inefficienza del
settore distributivo. Infatti, se è vero che “la distribuzione di un libro dalla casa
editrice alla libreria è possibile sostenendo un costo fisso, di entità non
trascurabile”
30
e che “il problema legato all’organizzazione delle attività di
distribuzione fisica e di promozione consiste nel tentativo di minimizzare il
peso di questi costi”
31
, in Spagna la frammentazione del settore distributivo
13
27
Benhamou, p. 106.
28
Hesmondhalgh, p. 196.
29
Benhamou, p. 107.
30
Caves, p. 190.
31
Caves, p. 190.
rende invece questi costi particolarmente elevati, e ciò incide direttamente sul
prezzo di vendita al pubblico dei libri, fissato dalle case editrici.
L’elevato numero di imprese di distribuzione presenti in Spagna crea
difficoltà anche all’interno del settore dei canali di vendita, a cui è dedicato il
capitolo 5, costretti a impiegare sempre più tempo nell’espletazione di pratiche
amministrative e burocratiche, a scapito dell’organizzazione degli spazi della
libreria, del rapporto con la clientela e dell’aggiornamento professionale. A
questa difficoltà propria del panorama spagnolo se ne vanno ad aggiungere
altre di carattere globale, a partire dalla crisi delle librerie tradizionali,
“sostituite da altre imprese come le catene al dettaglio, i grandi magazzini, e
altre organizzazioni del mercato secondario”
32
, e dai cambiamenti nelle
abitudini d’acquisto dei lettori, logica conseguenza dell’allargamento del
mercato di cui si è detto: con l’avvento di un’editoria destinata a un pubblico di
massa, poco abituato a frequentare le librerie, la nascita e il rapido sviluppo di
canali di vendita alternativi come, appunto, grandi catene, centri commerciali,
supermercati ed edicole sono parse come conseguenze semplicemente logiche e
naturali.
In fin dei conti, infatti, sono i consumatori il vero “motore” di tutto il settore
editoriale: se da una parte senza gli autori non ci sarebbero i libri, dall’altra
senza i lettori non esisterebbe un’industria culturale e non avrebbe senso
produrre opere editoriali, che non verrebbero lette, né acquistate, da nessuno. È
quindi importante che alla base di un’industria editoriale ci sia un pubblico
forte; in questo senso, tradizionalmente, i Paesi mediterranei sono in una
situazione di “inferiorità” rispetto a quelli anglosassoni o del nord Europa. È
anche vero, però, che la Spagna sta mettendo in atto, ormai da quasi un
decennio, delle efficaci politiche di promozione della lettura, che stanno
lentamente ma progressivamente riducendo il gap.
14
32
Caves, p. 201.
Se è vero che “in molti Paesi, fino a poco tempo fa, il concetto di una
esplicita politica culturale quale competenza politica dei governi ha avuto poca
importanza”
33
, ancora oggi in alcuni Paesi, come l’Italia, la situazione non è
particolarmente migliorata, come verrà evidenziato nel capitolo 6: infatti, “in un
ambiente politico dominato dal modello economico [...] affinché le politiche
vengano accettate [...] devono essere impostate su risultati economici e sociali
osservabili, e per certi aspetti un fenomeno incommensurabile come il valore
culturale potrebbe non venir preso sul serio da testardi fautori di politiche
abituati ad avere a che fare con principi di fondo quantificabili”
34
. Questo è
proprio il caso dell’Italia, mentre in Spagna si è riusciti a far accettare l’idea che
l’obiettivo delle politiche culturali “si fonda sulla ricerca della massimizzazione
congiunta del valore economico e culturale”
35
e che questo obiettivo “non è
adeguato o completo se contiene solo valore economico, nell’ipotesi che esso
comprenda tutto quel che è rilevante”
36
. Il Plan de Fomento de la Lectura dal
2001 ha raggiunto risultati importanti non solo in termini di differenza
percentuale tra lettori e non lettori, ma soprattutto come concezione nella
mentalità comune della lettura come “un derecho que permita acceder al
conocimiento a toda la ciudadanía en condiciones de igualdad”
37
. Sempre nella
legge del 2007 si afferma che “la lectura enriquece y desarrolla la necesaria
capacidad crítica de las personas; de ahí que tras el acto de la lectura, además
de los valores cívicos que encierra, habite una adquisición de habilidades que
15
33
Throsby, p. 193.
34
Throsby, p. 210.
35
Throsby, p. 211.
36
Throsby, p. 211.
37
“Un diritto che permetta l’accesso alla conoscenza per tutta la popolazione in condizioni di
uguaglianza”, in Ley 10/2007, de 22 de junio, de la lectura, del libro y de las bibliotecas, preámbulo I.
dota a los individuos de recursos necesarios para su desarrollo como
personas”
38
.
Proprio la Ley 10/2007, invocata da tempo come necessaria da molti addetti
ai lavori, è stata un segnale importante da parte delle istituzioni spagnole per
manifestare il loro interesse anche nel campo dell’industria culturale.
Effettivamente, questa può essere considerata come un’altra caratteristica
propria del settore editoriale spagnolo: l’attenzione e la presenza delle
istituzioni a tutti i livelli della filiera, sia dal punto di vista governativo,
attraverso il Ministerio de Cultura, sia da quello interno ai vari segmenti del
settore, con un’efficace organizzazione in associazioni di categoria a livello
regionale, riunite poi in federazioni a carattere nazionale. Tra i vari compiti di
queste associazioni di categoria figura anche quello di monitoraggio continuo
dello status del sistema, attraverso numerosi studi di settore, a cadenza
solitamente annuale, che si aggiungono a quelli eseguiti indipendentemente dal
Ministerio de Cultura e dall’Instituto Nacional de Estadística. Il tutto
contribuisce a mantenere sotto controllo ogni aspetto dell’industria editoriale e
a programmare interventi puntuali ed efficaci dove più ce n’è bisogno.
È proprio grazie a questa importante mole di dati e di studi di settore che è
stato possibile realizzare l’analisi che di seguito viene proposta.
16
38
“La lettura arricchisce e sviluppa la necessaria capacità critica delle persone; di conseguenza
dall’atto della lettura, oltre ai valori civici che racchiude, deriva l’acquisizione di abilità che dota
tutti gli individui delle risorse necessarie per il loro sviluppo come persone”, in Ley 10/2007, de
22 de junio, de la lectura, del libro y de las bibliotecas, preámbulo I.
1. Autori
L’autore è l’anello iniziale della filiera editoriale, senza il quale non si
parlerebbe nemmeno di libro, di editoria e di tutto ciò che ne deriva. Infatti,
secondo la definizione che ne dà l’ADAL
39
, l’autore è “la persona natural que
crea alguna obra literaria, artística o científica y consecuentemente, la
Propriedad Intelectual de una obra literaria, artística o científica corresponde al
autor por el solo hecho de su creación”
40
.
La scrittura però, nella maggior parte dei casi, è più un’attività che una
professione, nel senso che sono ben pochi, rispetto alla totalità delle opere
pubblicate, gli autori che possono vivere solo dei proventi delle proprie
creazioni letterarie. Infatti, i lauti anticipi che ricevono gli autori di best-seller e
di libri scritti su commissione sono delle eccezioni nel mondo editoriale, in cui
solitamente gli autori guadagnano in proporzione alle copie vendute della
propria opera.
Normalmente, in Spagna a un autore “medio” viene pagato il 10% del
prezzo di copertina per ogni copia venduta della prima edizione, percentuale
che può salire al 12% alla seconda edizione, e così via. Se il libro è di un autore
straniero vengono in un certo modo sottratti i costi di traduzione, e la
percentuale scende all’8%, così come le percentuali sono più basse nel caso dei
più economici libri tascabili (dal 5% al 9%); in caso di autori importanti le
percentuali si alzano anche fino al 15% e oltre.
17
39
Asociación de Agencias Literarias.
40
“La persona fisica che crea un’opera letteraria, artistica o scientifica e, di conseguenza, la
Proprietà Intellettuale di un’opera letteraria, artistica o scientifica appartiene all’autore per il
solo fatto di averla creata”, in http://www.asociacion-agencias-literarias.org
Prendendo come esempio un ipotetico libro “normale” di narrativa, ovvero
non un best-seller, si potrebbe calcolare a quanto ammonta il ricavo “medio”
dell’autore in questione: in Spagna, la tiratura media di un libro di narrativa è
di 6.700 copie, a un prezzo di 10,5 euro per copia
41
; tenendo conto che la
percentuale dei resi sfiora il 30%, ciò significa che il nostro autore “medio”
guadagna circa 4.900 euro per ogni libro pubblicato, evidentemente troppo poco
per poterci vivere, soprattutto in virtù del fatto che queste cifre sono “gonfiate”
dai dati di vendita e di tiratura dei best-seller.
1.1 Associazioni di categoria
Quella degli autori è l’unica categoria all’interno del mondo editoriale che
non è riunita in un’associazione nazionale ufficialmente riconosciuta. Esistono
però diverse libere associazioni a livello regionale, soprattutto per quanto
riguarda gli scrittori in lingue diverse dal castigliano (catalano, basco e galego),
oltre a varie associazioni a livello nazionale ma dal ruolo marginale, come ACE
(Asociación Colegial de Escritores), AERMU (Asociación de Autores, Escritores
y Críticos), Asociación de Escritores y Artistas Españoles, Asociación Hispánica
de Escritores, Asociación de Escritores Noveles e altre ancora. Scopo di tutte
queste associazioni è prestare assistenza fiscale agli autori, aiutarli a tutelare i
diritti della loro opera nei rapporti con gli editori e rappresentarli di fronte agli
organismi ufficiali.
18
41
Il prezzo medio tiene conto sia dei libri a copertina rigida sia dei tascabili; i dati sono dello
studio Comercio interior del libro en España 2008, p. 63.