INTRODUZIONE
L’immagine romantica del genio isolato nella selvaggia brughiera
promosso da numerosissimi biografi ha contribuito nel tempo ad alimentare
e diffondere quello che Lucasta Miller definisce a ragione il ‘Bronte Myth’:
la storia di tre sorelle che riflettono parte della loro biografia sulle loro
eroine, riuscendo ad elevarsi al di sopra dello stereotipato ruolo domestico
femminile ed esaltare la propria individuale creatività. Questo ‘mito’
affascinò i lettori dell’epoca vittoriana e sopravvive ancora oggi in libri,
opere teatrali e film.
Caratterizzate da vite di fatto represse, da una infanzia spezzata e
segnata dal prematuro incontro con la morte, dapprima della madre , poi
delle due sorelle maggiori, Charlotte, Emily ed Anne si allontanano dalla
norma, sviluppando un carattere unico.
Grazie ai continui stimoli ricevuti dal padre che si occupava in prima
persona della loro educazione, della madre e degli altri componenti della
famiglia, caratterizzati ognuno a proprio modo da una incredibile
propensione alle arti, le sorelle Brontë divennero incredibilmente
fantasiose, sviluppando i mondi immaginari di Gondal ed Angria e
inseguendo fantasie che continuarono fino all’età adulta.
Pur tentando, non riusciranno mai ad abbandonare il loro luogo di
origine, Haworth: nonostante la frustrazione e il sentimento di abnegazione
impresso nella pelle e nella mente, l’isolamento di questa piccola cittadina
del West Riding in realtà costituirà sempre un punto di forza per le sorelle,
che probabilmente proprio grazie a questo isolamento riuscirono ad entrare
in una profonda connessione con i personaggi creati , esplorare la propria
intimità e a farsi forti dal proprio dolore.
La prima con la quale entrai in contatto fu Emily, leggendo una copia
arrangiata di Cime Tempestose. Rimasi affascinata dal temperamento di
Heachcliff, dal carattere volubile di Catherine e dalla passione che quella
storia cercava di trasmettere. Ne fui completamente rapita.
Poi fu la volta di Charlotte Bronte; Jane Eyre mi lasciò attonita.
Amorevolezza, abnegazione, portamento, eleganza: questo riuscì a
trasmettermi Jane sin dalle prime pagine ed insieme una incredibile forza,
prontezza di spirito, intelligenza.
Per ultima feci la mia conoscenza con Anne. Da sempre
sottovalutata, ho ritrovato nelle pagine di Agnes Grey parte della mia stessa
storia. Lontani dalla passione violenta di Cime tempestose e
dall’interiorizzazione forzata promossa da Jane Eyre, in Agnes Grey ho
trovato una storia vera, una ragazza in carne ed ossa che affronta con
determinazione le sue sfide quotidiane. Una prova perfettamente riuscita
anche per la più piccola delle sorelle Brontë.
Ma come nasce e come si sviluppa un genio scrittorio di tale portata
nell’isolamento forzato della brughiera? Attraverso i miei studi posso solo
affermare che la risposta a questa domanda sta nello studio attento e
risoluto della loro stessa biografia, nei giochi di penna adolescenziali, nelle
sofferenze patite in collegio, nel rapporto con le altre compagne e nella
vicinanza fraterna che da sempre intreccia e corregge le loro rotte. Le
eroine brontiane altro non sono che un alter ego delle loro creatrici, in una
brughiera parallela in cui potessero vedere le loro ambizioni realizzate. Dal
pezzo di carta posato sul tavolo da cucina su cui Emily era solita essere
china, allo sfarzo della villa dei Lincoln, dalla disastrosa esperienza come
governante di Charlotte alla grande storia d’amore di Jane, dai sogni
spentisi sulle rive del mare di Anne, alla loro realizzazione in Agnes.
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CAPITOLO I
LE ORIGINI DELLA FAMIGLIA BRONTË
1. La famiglia Brontë
Lungo la strada che conduce ad Haworth le case si fanno meno
frequenti, i colori diventano via via più spenti, l’aria è offuscata, la luce
attenuata, arbusti e cespugli prendono il posto degli alberi; emerge sola
sulla collina, in posizione elevata così che possa essere ben visibile, la
chiesa. La composizione geografica ben designa la piccola cittadina del
West Riding, dove l’anglicanesimo era ben radicato non solo nello spazio
ma anche nella psicologia degli abitanti. Ostinata forza di volontà,
prudenza nei confronti di tutto ciò che si discosta dalla tradizione,
diffidenza contro i loro stessi vicini, sono solo alcuni dei tratti caratteristici
dei nativi di quelle terre.
Non si discosta da questa descrizione il Signor Brontë, o, per meglio
dire, il Sig. Patrick Prunty, maggiore di dieci figli, nato nella contea di
Down in Irlanda. Cercando in ogni modo di allontanarsi dallo status della
sua famiglia d’origine, composta da umili braccianti agricoli, Patrick
Brontë, fin dai primi anni diede segno di una intelligenza al di sopra del
comune, e una forte ambizione: “ Quando aveva solo sedici anni aprì una
scuola elementare a pagamento per i ragazzi del vicinato e la mandò avanti
per cinque o sei anni. Più tardi divenne precettore in casa del reverendo Mr.
Tighe, rettore della parrocchia di Drumgooland” .
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Grazie alle referenze di Tighe, vince una borsa di studio per il St
John's College di Cambridge e proprio in questo periodo decide di
cambiare il proprio cognome: la scelta rimane tutt’oggi avvolta nel mistero:
l’ipotesi più accreditata è quella della identificazione nell’ammiraglio
Horatio Nelson insignito del titolo di Duca di Bronte dal re Ferdinando
Elizabeth Gaskell, La vita di Charlotte Brontë, Castelvecchi, 2015. Kindle file, p.437.
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IV delle Due Sicilie. Il nome Brontë appariva inoltre più aristocratico e lo
allontanava dalla sua famiglia in un momento in cui il fratello William era
in fuga dagli inglesi per il suo coinvolgimento con i radicali irlandesi uniti.
Come letterato, avendo familiarità con il greco classico, avrebbe potuto
scegliere il nome dal greco βροντή (“tuono"). La dieresi sulla vocale finale
venne aggiunta in modo tale da ‘costringerne’ la pronuncia in lingua
inglese.
Consegue la laurea in arte e viene ordinato pastore nel 1806,
sistemandosi come curato nella parrocchia di Hartshead.
È l’autore di Cottage Poems (1811), The Rural Minstrel (1814), numerosi
opuscoli, articoli di giornale e varie poesie rurali.
Abita ad Hartshead cinque anni durante i quali conosce e sposa
Maria Branwell.
Maria Branwell, ottava dei dodici figli di Thomas Branwell e Anne
Carne, nasce a Penzance, in Cornovaglia in una famiglia agiata, il che le
permise di frequentare la migliore società del luogo. È forse dall’ambiente
metodista in cui vive da ricercare l’origine del suo portamento: “a woman
of more than usual sensibility […] she had remarkable mental and
emotional qualities”.
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Nell’estate 1812 durante una visita al reverendo John Fennel, suo
zio, Maria incontra per la prima volta Mr. Brontë: tra l’uomo “di statura al
di sopra della media dal portamento eretto e la testa nobilmente modellata”
e la donna di 29 anni “di corporatura minuta, non bella ma molto
elegante” fu amore a prima vista. In un primo scambio epistolare, come ci
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ricorda la Gaskell, Maria fu sorpresa “di ritrovarsi fidanzata e fa allusione a
quanto sia breve il tempo della loro conoscenza”.
Barbara Evans and Gareth Lloyd, Everyman Companion to the Brontës, London, J.M. Dent, 1985, p.69.
2
Gaskell, op. cit., p. 511.
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Il matrimonio viene celebrato il 29 dicembre 1812 nella chiesa
parrocchiale di Guisely da un amico comune il reverendo William Morgan.
I novelli sposi si trasferiscono a Liversedge dove Patrick Brontë viene
nominato pastore della parrocchia di Dewsbury e dove nascono le loro
prime due figlie: Maria ed Elizabeth.
Per Patrick Brontë, lo Yo r k s h i r e era "the very centre of the
Evangelical revival”
ed inoltre condotto da un vicario, il reverendo John
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Buckworth, eccellente predicatore, bisognoso di un curato evangelico per la
sua cagionevole salute.
Un anno dopo, nel 1815 la famiglia si trasferisce nuovamente a
Thornton, nella circoscrizione ecclesiastica di Bradford, dove Patrick
diventa “curato perpetuo” e dove nasce, il 21 aprile 1816, Charlotte Brontë.
Seguono nei tre anni successivi le nascite di Patrick Branwell, Emily Jane
ed Anne.
Dopo la nascita di quest’ultima le condizioni di salute della signora
Brontë iniziarono a peggiorare, aggravate dalla difficoltà fisiche ed
economiche nell’accudire contemporaneamente ben sei figli. La famiglia si
trasferisce, per l’ultima volta nel febbraio 1820 ad Haworth di cui Brontë
occupa la canonica; Maria Brontë, la primogenita, ha poco più di sei anni.
Descritta come “delicate, unusually clever and thoughtful for her
age” , perde di fatto gli anni della sua infanzia: a soli sei anni diventa
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compagna e aiuto prezioso per la madre ormai inferma e tormentata da forti
dolori. Patrick Brontë, poco avvezzo alla paternità ed in un certo qual modo
indisposto dalla presenza di numerosi bambini, disse in seguito che poteva
parlare con Maria su un qualsiasi argomento popolare della giornata con la
stessa fluidità di un adulto, rammaricandosi della sua “potente mente
John Lock and W.T. Dixon, “A Man of Sorrow: The Life, Letters and Times of the Rev. Patrick Brontë”,
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p.10. https://www.kirklees.gov.uk/beta/museums-galleries-history/pdf/patrickbronte.pdf.
Gaskell, op. cit., p.547.
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intellettuale”. Ovviamente, la sua precocità intellettuale veniva riversata
sui fratelli minori verso cui divenne primo vero punto di riferimento.
Maria ed Elizabeth (di cui abbiamo pochissime notizie) vennero
iscritte nel 1824 nella scuola di Cowan’s Bridge, dove entrambe trovarono
la morte l’anno successivo per tubercolosi.
Charlotte rimase molto colpita dalla morte della sorella maggiore tanto
che traspose nel personaggio di Helen Burns in Jane Eyre, la giovane
brillante donna che fa amicizia con Jane e che muore tra le sue braccia.
Dopotutto in Jane Eyre assistiamo a numerose caricature e descrizioni di
personaggi e ambienti realmente esistiti e legati a Cowan’s Bridge, che nel
capolavoro brontiano diventa la tetra Lowood School.
Meraviglia la decisione del reverendo Brontë, dopo la morte delle
figlie, di iscrivere Emily e Charlotte nel medesimo collegio che versava in
condizioni disastrose sia per approvvigionamento alimentare che per igiene.
Fortunatamente su consiglio della direzione, le bambine furono rimandate a
casa nell’autunno 1825.
Unico figlio maschio, Patrick Branwell Brontë meriterebbe un
excursus di notevole ampiezza tanto per il suo talento, che emerse fin dai
primi giochi letterari condotti con le sorelle, quanto per la condotta
dissoluta e per l’involuzione personale avvenuta durante il suo percorso di
vita.
Nato nel 1817, fu educato interamente da Mr. Brontë sull’impronta
del proprio ostinato percorso di studi. Appassionato lettore del Blackwood’ s
Magazine, una rivista britannica miscellanea incentrata su un romanticismo
radicale propugnato dalle opere di Percy Bysshe Shelley, Samuel Coleridge
e William Wo r d s w o r t h, all’età di undici anni ne produsse una personale
versione chiamata Branwell’ s Blackwood’ s Magazine che includeva poesie,
opere teatrali, critiche, storie e dialoghi. Anche il suo unico reale tentativo
di ricerca di un lavoro è collegato alla suddetta rivista: alla morte di uno dei
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suoi scrittori di punta, il diciottenne Branwell tentò invano di proporsi
come sostituto, inviando i propri scritti e offrendo i propri servigi. Branwell
manifestò un particolare interesse per l’arte e la pittura, alimentato
dall’amicizia con John Bradley, un modesto artista della vicina Keighley.
L’unico quadro raffigurante le tre sorelle Brontë, conservato oggi nella
National Portrait Gallery porta la sua firma.
Dopo la mancata ammissione alla Royal Academy of Arts, ogni
tentativo di raggiungere i propri obiettivi sembrò diventare vano e
fallimentare: fu in questo periodo che si accentuarono le dipendenze da
alcool e oppio. Carico della responsabilità di essere l’unico figlio maschio,
oberato dalle aspettative del padre e piegato da una serie di lutti mai del
tutto superati, la vita di Branwell precipita definitivamente con la relazione
amorosa e unilaterale nei confronti di Mrs Robinson, di quindici anni più
grande: da lei, dopo la morte del marito, venne allontanato grazie ad una
clausola testamentaria.
Nonostante il prezioso aiuto delle sorelle, Anne in particolare,
Branwell non riuscì a svincolarsi dal degrado che accompagnava la sua vita
e morì ad Haworth nel 1848.
2. Formazione
“-The imaginative and intellectual talents that all
the Brontë children displayed and on which they drew
in their reading, writing, and role-playing activities
seem likely to have been inherited from their talented
father.”
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Patricia Ingham, The Brontës, Oxford, Oxford University Press,2008, p.3.
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Fu proprio Mr. Brontë ad occuparsi, nella prima fase dell’infanzia
della loro educazione, impartita sulla lettura dei classici dal campo
drammatico e poetico sino a quello filosofico e teologico, alla lettura dei
quotidiani, accrescendo in loro un notevole entusiasmo storicista.
Patrick Brontë si pose il problema di trasformare quel piccolo centro
rurale in un microcosmo in grado di porsi in rapporto dialogico con i centri
della cultura nazionali ed europei.
Egli costruì una biblioteca non solo fatta
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di reminiscenze classiche, ma anche in vivo rapporto con gli ambienti
letterari coevi, indirizzando i figli a curare l’intelletto a scapito di ogni
forma di materialismo.
Poco avvezzo alla paternità e affetto da frequenti scatti d’ira, ben
presto Brontë si allontanò dai figli.
Figure femminili si susseguirono e intrecciarono nello sviluppo
educativo e personale dei piccoli Brontë, anzitutto la zia, Miss Elizabeth
Branwell, rigida metodista che raggiunse il cognato nello Yo r k s h i r e circa un
anno dopo la morte di Mrs Brontë per farsi carico della casa e dei bambini,
quando la primogenita Maria aveva sette anni e l’ultima nata, Anne, solo
venti mesi. Abbiamo testimonianze e visioni contrastanti su Miss Branwell,
che viene ricordata il più delle volte semplicemente come “Aunt Branwell”.
Spesso descritta come rigida, cinica, severa e riservata, wesleyana
inflessibile, basava i suoi precetti educativi sullo sforzo nella ricerca della
perfezione riguardo alla propria condotta, attraverso la fede; altresì viene
sovente sottolineato il sacrificio di una donna radicata alla sua terra,
Penzance, che mise da parte le proprie ambizioni per diventare una madre
surrogata per i Brontë fino alla sua morte.
Miss Branwell riportò ordine nell’ambiente domestico, imponendo
una ferrea routine nella gestione e nella cura della casa e dei piccoli,
Francesco Marroni, Come leggere Jane Eyre, Chieti, Solfanelli,2013, p.26.
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