10
Premesse
Il presente contributo è dedicato all’analisi e allo studio del diritto
penale societario e tributario e, in particolare, ad alcune fattispecie
caratterizzate dalla presenza di soglie quantitative di punibilità, dal
superamento delle quali il nostro legislatore ha pensato di far
discendere, come diretta conseguenza, la rilevanza penale della
condotta posta in essere dai consociati. Oggigiorno, a seguito
dell’enorme incremento degli investimenti nel mercato finanziario e
del proliferare delle imprese, la materia del diritto penale economico
ha assunto sempre più importanza a livello normativo, ma è
diventata anche di grande popolarità nell’opinione pubblica, tanto
che espressioni come “falso in bilancio” sono, ormai, di uso
consueto, anche fra i non addetti alla materia. Il crimine economico,
detto anche crimine dei colletti bianchi, purtroppo, si presenta
particolarmente insidioso, in quanto provoca sulla collettività danni,
che, sebbene non sempre facilmente individuabili e quantificabili,
sono di certo rilevantissimi. Da qui, la particolare attenzione che ad
esso andrebbe dedicata da parte del legislatore, il quale, nel nostro
ordinamento, è di recente intervenuto in materia con una massiccia
11
opera di riforma, attuatasi, come avremo modo di vedere
approfonditamente nel prosieguo della trattazione, all’inizio di
questo nuovo secolo. Per quanto attiene al microcosmo del diritto
penale tributario, sembra che le novità introdotte siano da accogliere
con favore, dato l’atteso recupero del fondamentale principio di
offensività e l’abbandono della tecnica dei reati “prodromici”,
mentre uno dei pochi aspetti, se non proprio l’unico, che ha destato
frequenti critiche in dottrina, è da ravvisarsi nell’utilizzo di soglie
quantitative di punibilità e nei problemi che ne discendono, su cui ci
soffermeremo ampliamente. Di contro, numerosissime censure, delle
quali avrò modo di dare conto, sono piovute sulle novelle che hanno
interessato i reati societari e, in specie, sulle false comunicazioni
sociali, erette a simbolo del disprezzo manifestato da molti nei
confronti del recente intervento normativo. Una seria e importante
modifica del nostro sistema penale, in campo economico, si rendeva
certamente, da tempo, necessaria, data la presenza di uno
spropositato numero di fattispecie incriminatrici farraginose e
disorganiche. Pare, però, che il nostro legislatore non sia riuscito a
porre rimedio e ad apprestare un’ effettiva e robusta tutela a tutti gli
interessi che ruotano intorno alle società e ai soggetti che vi operano
o che con esse intrattengono rapporti, essendo egli spesso mosso
non dagli effettivi bisogni e dalle esigenze della realtà dei rapporti
economici e societari, ma piuttosto dalla mera convenienza politica e
dalla tentazione di ricorrere ad una legislazione simbolica tesa a
placare l’ansia di immediata tutela manifestata dai consociati, a
seguito anche dei numerosi scandali che si sono avvicendati nel
nostro Paese. Come ricorda Beccaria, invece, in epigrafe della sua
12
celeberrima opera “Dei delitti e delle pene”, citando un passo di
Bacone, tratto dal saggio De officio iudicis: “in tutte le cose, e
particolarmente nelle più difficili, non ci si deve aspettare di
seminare e mietere contemporaneamente, ma è necessario che vi sia
una preparazione affinché esse maturino in modo graduale”. Nel
legiferare, quindi, cosa sicuramente di non facile riuscita nel nostro
Paese, come dimostra ciò che si è detto e che si dirà, alla base di
ogni seria attività di riforma vi dovrebbe essere un attento, lungo e
scrupoloso studio delle reali necessità di tutela, dei bisogni e degli
interessi non di pochi o di uno solo, ma dell’intera comunità dei
consociati.
13
Capitolo I
La categoria dogmatica della punibilità e le soglie
quantitative
Sommario: 1. Le soglie quantitative di punibilità nel diritto penale dell’economia:
espansione crescente ed esempi; 2. Discussione dottrinale sulla collocazione sistematica
della punibilità: elemento strutturale dell’illecito o semplice conseguenza della sua
sussistenza; 3. Le diverse cause di non punibilità presenti nel sistema penale e le
condizioni oggettive – 3.1 Cause di esclusione del tipo di reato, cause di giustificazione,
cause scusanti e cause di non punibilità in senso stretto. 3.2 Nozione tradizionale e tratti
distintivi delle condizioni oggettive di punibilità.
1. Le soglie quantitative di punibilità nel diritto penale
dell’economia: espansione crescente ed esempi.
Da un po’ di anni a questa parte, il nostro legislatore, nell’ambito del diritto
penale e, in specie, del diritto penale dell’economia, sembra animato dalla
propensione ad introdurre, nel sistema, delle fattispecie incriminatrici che si
presentano connotate dalla presenza di soglie quantitative di punibilità , il cui
superamento conduce direttamente all’ incriminazione della condotta posta in
essere dai consociati. Le soglie, in genere, si esprimono in quantità numeriche
che possono essere fisse o percentuali e rappresentano la linea di demarcazione
che, se oltrepassata, fa sì che il comportamento così realizzato, diventi
14
apprezzabile sul piano criminale e degno, quindi, di essere sanzionato
penalmente. Questa tendenza all’inserimento di limiti quantitativi di rilevanza
del fatto, che si sta consolidando sempre più, nasce da una situazione di
ipertrofia del diritto penale italiano, che trova come causa il crescente proliferare
di fattispecie penali a seguito dell’ampliamento del catalogo dei beni giuridici
meritevoli di tutela, lo sviluppo costante delle conoscenze tecniche e scientifiche
e l’aumento, per la società, dei rischi che ne sono connessi. Tutto questo ha
condotto ad un rilevante incremento del numero dei procedimenti penali e,
quindi, ad una saturazione degli uffici giudiziari, con conseguente notevole
rallentamento dei tempi della nostra giustizia, a cui si unisce, sul piano
prettamente sostanziale, la perdita del principio di sussidiarietà o extrema ratio
del diritto penale. A questi problemi si è cercato di porre rimedio in diversi e
molteplici modi, ad esempio con lo strumento della depenalizzazione o con
soluzioni di natura processuale come il patteggiamento o, ancora, con interventi
sulla parte speciale, sulle singole incriminazioni, con l’inserimento di clausole
di esiguità sotto forma di possibili soglie di punibilità, come limiti alla rilevanza
penale della condotta.
1
Basti pensare, a titolo esemplificativo di questa tendenza, alla fattispecie di cui
all’art. 316-ter c.p., norma che punisce l’indebita percezione di erogazioni in
danno dello stato, secondo cui, se la somma indebitamente percepita non
raggiunge una certa entità, la condotta viene degradata a semplice illecito
amministrativo, con conseguente applicazione della sola tradizionale sanzione
pecuniaria, oppure alla materia dei reati ambientali, dove le soglie sono lo
strumento che assicura un’ attività di prevenzione e di controllo dei rischi, in
conformità al principio di precauzione, in quanto la loro determinazione avviene
sulla base di studi scientifici ed epidemiologici che hanno ad oggetto il possibile
carattere nocivo di una sostanza, quando essa si trovi presente negli alimenti,
nell’acqua o presso i luoghi di lavoro. Viene così individuato il livello di
esposizione a cui non corrisponde alcun effetto dannoso per la salute e, a questo,
si aggiunge un ulteriore margine di sicurezza nella enucleazione dei limiti
1
V.Plantamura, Il ruolo delle soglie di punibilità nella struttura dell’illecito penale, Riv. Trim.
Dir. Pen. Econ. 2003
15
soglia, in modo che essi risultino ampliamente più bassi rispetto a quelli già
sicuri per il benessere umano.
2
Per venire alla materia che più da vicino ci interessa, si pensi alle fattispecie dei
reati tributari di cui agli artt. 3, 4, 5 e 11 del decreto delegato 74/2000 e a quelle
delle false comunicazioni sociali ex artt. 2621 e 2622 c.c.. Per quanto attiene ai
primi, si deve all’art. 9 della legge delega 205/1999 la previsione dell’obbligo di
introdurre, per il legislatore, “soglie quantitative di punibilità, idonee a limitare
l’intervento penale ai soli illeciti economicamente significativi”. In particolare,
sempre in base all’art. 9, le soglie dovevano essere articolate in modo da :”1)
escludere l’intervento penale al di sotto di una determinata entità di evasione; 2)
comportare l’intervento penale solo quando il rapporto fra l’entità dei
componenti reddituali o del volume di affari evasi e l’entità dei componenti
reddituali e l’entità del volume di affari dichiarati sia superiore ad un
determinato valore; 3) comportare, in ogni caso, l’intervento penale quando
l’entità dei componenti reddituali o del volume di affari evasi raggiunga,
indipendentemente dal superamento della soglia proporzionale, un determinato
ammontare in termini assoluti; 4) prevedere, nelle ipotesi di omessa
dichiarazione, una soglia minima di punibilità inferiore a quella prevista per i
casi di infedeltà”. La previsione delle soglie è stata recepita, allora, dal
legislatore con riguardo rispettivamente alle fattispecie di dichiarazione
fraudolenta mediante altri artifizi (art. 3), dichiarazione infedele (art. 4), omessa
dichiarazione (art. 5), sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art.
11). In relazione alle false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622
c.c., la presenza di soglie quantitative di punibilità è un’assoluta novità del
decreto legislativo 61/2002 che ha riformato i reati societari. È l’art. 11 della
legge delega 366/2001 ad imporre, nello specifico, al legislatore, di prevedere
che “le informazioni false od omesse debbano essere rilevanti e tali da alterare
sensibilmente la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della società o del gruppo cui essa appartiene, anche attraverso la
previsione di soglie quantitative”. L’auspicio espresso ha, così, avuto seguito
2
A.Astrologo, Le cause di non punibilità: un percorso tra nuovi orientamenti interpretativi e
perenni incertezze dogmatiche, Bononia University Press, 2009.
16
nell’introduzione di tre sbarramenti che, fra l’altro, segnano il discrimine tra
illecito penale e le corrispondenti figure di illeciti amministrativi di false
comunicazioni sociali. Tali sbarramenti sono rappresentati da una soglia
generale ed elastica, data dalla “alterazione sensibile” della situazione
patrimoniale, economica o finanziaria e da due, specifiche e rigide, espresse in
termini percentuali, in relazione al risultato economico d’esercizio e al
patrimonio netto. Da ultimo, va segnalata la previsione di un’ulteriore soglia
percentuale, relativa alle valutazioni estimative, che opera autonomamente
rispetto alle precedenti.
3
Diverse sono le discussioni dottrinali connesse al tema delle soglie di punibilità.
In tal senso, allora, sarebbe interessante richiamare la distinzione che viene
operata fra soglie di rilevanza e soglie tecniche: le prime sono quelle viste in
merito al diritto penale societario e tributario, che sarebbero espressione di
valutazioni meramente politiche del legislatore, ovvero di giudizi di valore che
non si basano su alcuno studio e competenza di tipo scientifico e tecnico; di
contro, le soglie che caratterizzano il diritto penale ambientale sono il frutto
dell’elaborazione dei più accreditati contributi scientifici del momento, di modo
che il loro superamento è in grado di esprimere un disvalore suffragato
tecnicamente e, quindi, universalmente condivisibile, idoneo, altresì, a fondare
in modo plausibile l’intervento di una sanzione anche a carattere penale.
4
Il problema, però, di certo più discusso e controverso, che ha dato origine ad un
acceso dibattito in dottrina, è quello che attiene alla natura giuridica delle soglie
e, quindi, alla loro collocazione sistematica nella teoria del reato.
Per quanto concerne, infatti, i reati tributari, sono prevalentemente due le
posizioni che si scontrano: quella che attribuisce alle soglie di punibilità la
natura di elementi costitutivi del fatto di reato, con tutte le conseguenze che ne
discendono naturalmente, nel diritto penale, sul piano dell’elemento soggettivo
e, quindi, in particolare, sul piano del dolo e che, oltretutto, sembra essere
avallata da quanto esplicitato dal legislatore nella relazione al decreto 74/2000 e
quella che, diversamente, sostiene la riconduzione delle soglie alla categoria
3
V.Plantamura, Il ruolo delle soglie di punibilità nella struttura dell’illecito penale, cit.
4
A.Astrologo, Le cause di non punibilità, cit.
17
delle condizioni obbiettive di punibilità. Relativamente ai reati di false
comunicazioni sociali, la gamma delle posizioni dottrinali si presenta più
variegata, in quanto taluni autori asseriscono che le soglie vadano qualificate
come elementi costitutivi del fatto tipico, anche, in tal caso, con tutte le
conseguenze annesse, altri parlano di cause di non punibilità che, nel nostro
sistema, rappresentano una categoria alquanto variegata, altri ancora tirano
nuovamente in ballo l’istituto delle condizioni oggettive di punibilità.
Appare certamente evidente che, per poter comprendere i termini della
questione relativa alla natura delle soglie di punibilità e, quindi, per valutare in
maniera critica e consapevole la portata delle varie tesi ed opinioni manifestate
fra gli operatori del diritto, sia necessario muovere dal recupero di alcuni istituti
di parte generale che, indubbiamente, rappresentano la base imprescindibile per
lo sviluppo di ogni serio ragionamento che si voglia condurre in materia.
A costo di poter apparire retorici, non è, infatti, pensabile, poter affrontare e
discorrere di qualsivoglia problema connesso alle fattispecie di parte speciale,
come faremo nel seguito della nostra disquisizione, senza aver bene a mente i
connessi istituti di parte generale del diritto penale, in assenza dei quali ogni
costruzione ermeneutica e dogmatica rischierebbe di divenire una sorta di
“verità rivelata” da prendere alla lettera, in mancanza di strumenti per poterla
vagliare e apprezzare criticamente o, per usare una metafora, sarebbe come una
duna di sabbia nel deserto, destinata, continuamente, a mutare forma per effetto
del moto impetuoso scagliatole contro da tempeste di obbiezioni più o meno
autorevoli, che finirebbero con il disorientare chiunque tenti di approcciarsi alla
questione, lasciandolo privo di fondati e fondanti punti di riferimento.
Per questo, prima di addentrarci nel pieno della trattazione relativa ai reati
tributari e societari, sopra menzionati, provvisti, appunto, di soglie di punibilità,
procederemo ad una sintetica, ma autorevole rassegna delle principali
problematiche e degli istituti connessi alla materia della punibilità, in modo da
affrontare, poi, in maniera cosciente, i temi che seguiranno.
In particolare, ci soffermeremo, nel prossimo paragrafo, sulla collocazione della
punibilità nella sistematica del reato, sulle figure riconducibili all’ampia e
multiforme categoria delle cause di non punibilità, in senso ampio,
18
naturalmente, nonché sulle speculari condizioni obiettive di punibilità, di cui si
cercherà di spiegare il significato e le modalità operative.
2. Discussione dottrinale sulla collocazione sistematica della
punibilità: elemento strutturale dell’illecito o semplice
conseguenza della sua sussistenza.
La punibilità è luogo di cui appare necessaria l’esplorazione per poter studiare
la natura giuridica delle soglie, sulla quale, qui, ci interroghiamo. Essa appare,
di certo, materia di grande e vivo interesse, soprattutto nell’ambito della parte
generale del diritto penale, ma è, altresì, foriera di notevole discussione fra i
cultori, in riguardo ai suoi rapporti con la struttura dell’illecito penale.
Costituisce, infatti, annosa questione, quella relativa alla considerazione della
punibilità come elemento proprio del reato oppure come un “quid” di ulteriore
ed esterno, che rispecchia e risponde a ragioni di mera opportunità di
sottoposizione del fatto a sanzione penale, le quali niente hanno a che vedere
con il disvalore dello stesso.
Senza addentrarmi eccessivamente nel problema, cosa che, evidentemente, mi
allontanerebbe troppo dall’oggetto primario della presente trattazione, ne
ripercorrerò le linee essenziali, dando conto delle posizioni che, in materia,
hanno diviso la dottrina.
Al reato, inteso come fatto tipico, antigiuridico e colpevole, generalmente segue
la punibilità, ovvero viene irrogata la pena prevista normativamente. Molti
autori, però, considerano la stessa come esterna alla struttura dell’illecito penale
e non come elemento che ne condiziona l’esistenza, o meglio, come quarta
categoria, che, accanto alla tipicità, antigiuridicità e colpevolezza, è rivendicata
con forza da quanti abbracciano, di contro, la cosiddetta teoria “quadripartita”
del reato. La punibilità può avere, invero, due significati: uno comune, secondo
cui un certo fatto è previsto dalla legge come reato, in quanto come conseguenza
per i suoi autori è prevista l’applicazione della sanzione penale; l’altro, tecnico,
19
in forza del quale nella punibilità deve identificarsi il concorso di tutti gli
elementi richiesti dalle norme penali per sottoporre una persona al potere
punitivo. Bene, né in un caso, né nell’altro, si può dire che la punibilità
costituisca elemento del reato, perché, secondo il primo significato, sarebbe
nient’altro che la rimarcatura del disvalore di un fatto i cui fattori strutturali
restano la conformità al tipo, l’antigiuridicità e la colpevolezza, mentre, secondo
l’altro significato, la punibilità si identificherebbe con la conseguenza del reato
stesso.
5
Lo stesso Rocco negava che la punibilità si potesse considerare come
uno dei requisiti del reato. Egli, infatti, ribadiva che l’elemento della punibilità
dell’azione, lungi dall’essere un attributo del reato in sé, fosse, invece,
nient’altro che la sua conseguenza giuridica, sicché definirla come condizione di
esistenza del fatto, equivarrebbe a definire come causa di un fenomeno ciò che,
di contro, ne costituisce l’effetto.
6
La punibilità sarebbe, infatti, da considerarsi,
come propugna la dottrina che sostiene la teoria “tripartita”, implicita al reato,
in esso originariamente compresente, altrimenti, se ne condizionasse l’esistenza,
un fatto non punibile non sarebbe mai reato, cosa che è smentita dalla presenza
nel sistema delle cause di non punibilità in senso stretto, di cui ci occuperemo in
seguito. A volte, però, il legislatore può subordinare il sopraggiungere della
pena al verificarsi di un evento futuro, come avviene nel caso delle condizioni
oggettive di punibilità, ma, anche se tale evento non dovesse prendere corpo e,
quindi, la sanzione non potesse essere irrogata, non potrebbe dirsi che sia venuto
meno il reato in sé, poiché, pur essendo la punibilità caratteristica intrinseca al
reato, se ne deve riconoscere, viceversa, la possibilità di separazione dallo
stesso. Tale scissione ha, come chiaro fondamento, il fatto che la punibilità sia
estranea al contenuto di disvalore del fatto che è alla base della norma
incriminatrice e, quindi, al messaggio che il legislatore rivolge ai consociati
7
. Ne
discende, come naturale conseguenza, che sia le cause di non punibilità in senso
stretto, sia le condizioni oggettive di punibilità, presuppongano un reato già
5
Vassalli, Cause di non punibilità, Enciclopedia del diritto vol.VI, Milano, 1960.
6
Rocco, Oggetto del reato e della tutela giuridica penale. Contributo alle teorie generali del
reato e della pena, Torino, 1913.
7
M. Romano, Teoria del reato, punibilità, soglie espresse di offensività e cause di esclusione
del tipo, in Studi in onore di Giorgio Marinucci,Giuffrè, Milano, 2006 ; Commentario
sistematico del codice penale, Giuffrè, Milano, 2004.
20
completo e perfetto nella sua struttura. La separazione fra reato e pena rende,
dunque, quest’ultima, una categoria del tutto autonoma, di cui il legislatore fa
uso come merce di scambio per raggiungere scopi che risultano estranei alla
tutela dei beni direttamente offesi dal reato.
8
Ai casi di mancata corrispondenza
fra ambito del divieto e ambito della sanzione, si può dare spiegazione
asserendo che al divieto non corrisponde la sanzione, perché i valori sottesi al
divieto non corrispondono all’ambito della sanzione. Ci sono, infatti, casi in cui,
pur ricorrendo un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, non si applica, tuttavia,
la pena, in quanto ricorrerebbero cause riconducibili a ragioni di utilità, di
politica criminale e di opportunità politica.
9
Del resto, se reato è sinonimo di
fatto vietato con minaccia di pena, appare evidente che tale carattere non possa
essere uno dei requisiti strutturali del reato stesso, anche perché tale requisito
sarebbe già implicito in quello della “conformità al tipo” descritto dalla norma e
in quello dell’antigiuridicità penale, costituendo, in tal modo, un’inutile
ripetizione. Non bisogna, dunque, far confusione fra il concetto formale di reato,
caratterizzato dalla sua punibilità e i requisiti che deve avere il fatto affinché sia
punibile, la cui assenza esclude la concreta irrogazione della pena, non la
punibilità come qualità intrinseca del reato.
10
All’opposto di quanto si è finora sostenuto, si collocano gli autori, invero assai
meno numerosi, che rivendicano per la punibilità lo status di elemento
strutturale dell’illecito penale, accanto alla tipicità, antigiuridicità e
colpevolezza. In quanto tale, essa necessita, al pari degli altri elementi, di una
definizione, fornita dalla dottrina come “ l’insieme delle eventuali condizioni,
ulteriori ed esterne rispetto al fatto antigiuridico e colpevole, che fondano
o
escludono l’opportunità di punirlo”. Di reato si può, ergo, parlare, in concreto,
solo in presenza di un fatto tipico, antigiuridico, colpevole e, altresì, punibile.
La pena, di fatto, rappresenta ciò che connota il diritto penale e, nel contempo,
lo distingue dagli altri rami del nostro ordinamento giuridico; inoltre è ciò che
8
D’Ascola, Reato e pena nell’analisi delle condizioni obiettive di punibilità, Edizioni scientifica
italiane, Napoli, 2004.
9
Di Martino, La sequenza infranta. Profili della dissociazione fra reato e pena, Giuffrè, Milano,
1998.
10
Grispigni, Diritto penale italiano, Giuffrè, Milano, 1952.
21
“plasma” l’identità del reato a confronto con qualsiasi altra figura di illecito.
Sarebbe, ergo, la stessa fisionomia del reato ad imporre la sistemazione della
punibilità fra gli elementi costitutivi e strutturali dello stesso. In aggiunta, la
sistematica quadripartita seguirebbe un ordine logico che ha un vero e proprio
fondamento normativo, dato dall’art. 129 c.p.p., che impone il proscioglimento
in ogni stato e grado del processo, quando il giudice rilevi che il fatto non
sussiste, oppure non costituisce reato, volendo alludere, con quest’ultima
formula, alla presenza di cause di giustificazione o di esclusione della
colpevolezza o, ancora, alla sussistenza di una causa di non punibilità in senso
stretto o all’assenza di una condizione oggettiva di punibilità.
11
Inoltre, come taluni asseriscono, altro è la pena, altro la punibilità, che esprime,
appunto, la minaccia della prima o per meglio dire la possibilità di applicare la
pena stessa e quest’ultima sussiste anche se la pena non viene, in concreto,
irrogata. Il reato è un fatto punibile, non un fatto punito, per cui la punibilità non
può nascere dopo che il reato è già sorto e stare fra il reato e la pena, con la
conseguenza che essa non può non essere riguardata come elemento strutturale
dell’illecito.
12
Non si tratterebbe, dunque, della sua essenza, ma di una sua
parte, una sua componente, anzi, per alcuni, la componente più importante, in
quanto, per tornare a quanto detto prima, sarebbe “marchio distintivo del reato “.
La categoria dell’illecito non ammetterebbe vie di mezzo: o è o non è, nel senso
che o si ha l’illecito con le conseguenze e le potestà giuridiche che gli sono
proprie, oppure non si ha niente, almeno per il ramo del diritto in questione,
ovvero quello penale. Non sarebbe, dunque, possibile collocare la punibilità e
tutto ciò che ad essa è connesso, come le condizioni oggettive di punibilità, fuori
dal reato.
13
A tutte queste considerazioni si deve aggiungere che la teoria
quadripartita assicura anche dei vantaggi nello studio della sistematica del reato,
dato che dà vita ad uno spazio autonomo in cui sarebbe possibile collocare tutte
le vicende attinenti alla punibilità o, per meglio dire, tutti quegli istituti che sono
11
Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale, Giuffrè, Milano, 2007.
12
Battaglini, Diritto penale, parte generale, Cedam, Padova, 1949.
13
Bricola, Condizioni obbiettive di punibilità, Digesto XIV, Torino, Utet, 1987.
22
stati etichettati come cause di non punibilità e che altrimenti sprofonderebbero
in una grande confusione.
14
3. Le diverse cause di non punibilità presenti nel sistema penale
e le condizioni oggettive.
La categoria delle cause di non punibilità presenti nel nostro sistema penale è
oltremodo variegata. Richiamare brevemente gli istituti che ad essa sono
riconducibili, insieme alle condizioni oggettive di punibilità, risulterà senza
dubbio utile, in quanto, a proposito delle soglie, gli autori, nel tentativo di
chiarirne la natura giuridica, hanno dimostrato di farne ampio utilizzo e, quindi,
questo ci consentirà, quando andremo ad affrontare le varie posizioni dottrinali
espresse in materia, di comprendere subito e con facilità la loro portata,
promuovendone eventualmente la critica.
L’espressione “cause di non punibilità” comprende tutte le cause che escludono
il reato e l’applicazione della pena; in tal senso, si suole appunto parlare di cause
di non punibilità ” in senso ampio”, nel cui perimetro figurerebbero le cause di
esclusione del tipo di reato, categoria che, però, non è universalmente
riconosciuta, le cause di giustificazione dette anche scriminanti, le cause di
esclusione della colpevolezza dette anche scusanti, che portano, tutte, alla
mancata integrazione del reato per assenza di uno dei suoi elementi strutturali.
Infine vi sono le cause di non punibilità in senso stretto che, secondo la
maggioranza degli autori, determinano il venir meno della sola punibilità, pur
lasciando intatta la sussistenza dell’illecito penale, mentre, com’ è ovvio, per
coloro che abbraccino la teoria quadripartita, la loro presenza comporterà
anch’essa l’assenza del reato.
Proprio alle cause di non punibilità in senso stretto fa da pendant, in positivo,
l’istituto delle condizioni oggettive di punibilità, che rappresentano degli
avvenimenti futuri e incerti, dal verificarsi dei quali il legislatore fa dipendere
14
D’Ascola, Reato e pena nell’analisi delle condizioni obiettive di punibilità, cit.
23
l’applicazione della sanzione normativamente prevista. Si tratta di una categoria
estremamente problematica, una di quelle su cui regna la maggiore incertezza, a
causa della difficoltà di tracciare i criteri distintivi rispetto agli elementi
costitutivi del reato e per via della suddivisione, proposta da numerosi autori, fra
condizioni intrinseche ed estrinseche, senza contare i problemi posti sul piano
del principio di colpevolezza e dei rapporti con la struttura del reato.
3.1 Cause di esclusione del tipo di reato, cause di giustificazione,
cause scusanti e cause di non punibilità in senso stretto.
Passiamo,ora, sinteticamente, a ricordare la definizione e le modalità operative
delle figure, sopra menzionate, che sogliono essere ricondotte entro l’orizzonte
delle cause di non punibilità. Innanzitutto dovremmo chiederci quale sia
l’elemento strutturale dell’illecito che viene meno in presenza di siffatte figure,
determinando, come pacifica conseguenza, l’impossibilità di qualificare il fatto
come reato. Seguendo l’ordine logico, tipico della sistematica del reato, la nostra
analisi prenderà le mosse dalle cause che determinano il venir meno di quello
che viene qualificato come il primo elemento nella struttura dell’illecito penale
ed anche nell’opera di accertamento cui è chiamato il giudice, vale a dire la
“tipicità”, la corrispondenza del fatto commesso alla fattispecie legale astratta
prevista dalla norma incriminatrice. Si parla, a tal proposito, di cause di
esclusione del tipo, dette anche limiti esegetici o taciti. Esse opererebbero
quando il legislatore, dopo aver proceduto a descrivere la condotta che
costituisce reato, ritorna sui suoi passi, delimitandone la portata e l’ampiezza,
ovvero escludendo dal “tipo” di reato una certa fattispecie. Il limite esegetico
sarebbe interno allo stesso precetto, al di là di esso non sussisterebbe neppure il
fatto base
15
. Accade, allora, che il legislatore, dopo aver fornito la precisazione
di ciò che costituisce il fatto di reato, ne rimuova una parte, rendendola, perciò,
atipica, probabilmente per rimarcare, in modo ulteriore, il disvalore della
15
Nuvolone, I limiti taciti della norma penale, G. Priulla, Palermo, 1947.