5
Consulting, compagnia privata che li annoverava tra le sue fila come esperti per la
sicurezza, non ha voluto rilasciare, per ragioni di riservatezza aziendale, alcuna
informazione in tal senso
1
.
Dopo gli eventi di Falluja, l’opinione pubblica mondiale è venuta a conoscenza
del fatto che in Iraq non tutte le funzioni militari vengono svolte da personale
inquadrato nei ranghi delle forze armate statali. La presenza nell’area del conflitto di
operatori facenti capo a società militari private rappresentava, fino a quel giorno, una
realtà confinata nelle alte sfere militari ed in una ristretta cerchia accademica di studiosi.
La modalità dirompente ed improvvisa con cui il mondo delle società militari private è
giunto all’attenzione internazionale non ha contribuito alla formulazione di un’analisi
oggettiva ed equilibrata della portata del fenomeno. Infatti, le prime forme di
discussione sono state dominate da posizioni estreme ed ideologiche fondate sulla
scarsa informazione dei fatti. Gli impiegati delle società militari private sono stati
spesso etichettati “mercenari”, alla stregua delle bande armate disorganizzate che
avevano trovato impiego durante le guerre africane negli anni ’60 e ’70.
L’intervento militare in Iraq iniziato nel marzo 2003 ha portato al centro della
discussione politica il tema della privatizzazione della guerra. Ma è ingannevole pensare
a questo conflitto come alla causa del fenomeno piuttosto che alla massima espressione
dello stesso. L’ingaggio di soldati privati per svolgere funzioni militari concernenti il
combattimento vero e proprio rappresenta solo una dimensione – tra l’altro la meno
sviluppata – del complesso fenomeno della privatizzazione della guerra.
Il mercato delle Società Militari Private (SMP) vede la sua nascita negli anni
immediatamente successivi alla guerra fredda. La massiccia riduzione degli organici
delle forze armate di tutto il mondo, il diffondersi delle logiche della privatizzazione di
vari settori statali e la facilità di accesso alle più avanzate tecnologie sono tra i principali
sviluppi del mondo post-bipolare che hanno favorito l’emergere delle organizzazioni
militari private nella forma di moderne aziende multinazionali dotate di precise strategie
di marketing e titoli azionari quotati in borsa.
Inizialmente limitate alla fornitura di servizi logistici e di supporto alle forze
armate, le SMP hanno progressivamente conquistato nuove nicchie di mercato tra cui
1
Priest, Dana & Flaherty, Mary Pat “Slain Contractors Were in Iraq Working Security Detail”.
Washington Post, 2 aprile 2004.
6
quella della consulenza in materia di addestramento di truppe, modernizzazione delle
forze armate, manutenzione degli armamenti e perfino intelligence militare. Il ruolo
delle SMP è stato fondamentale nell’affiancare, e a volte nel sostituire, le truppe statali
nel corso dei conflitti degli ultimi vent’anni, tra cui le crisi in Sierra Leone, Angola,
Papua Nuova Guinea, Colombia, Bosnia, Kosovo, Iraq ed Afghanistan. A testimonianza
della considerevole portata del fenomeno, non solo gli organi statali si sono avvalsi
delle loro prestazioni, ma anche famose organizzazioni non governative come il World
Wildlife Fund (WWF), CARE e Refugees International hanno firmato contratti con
alcune delle maggiori SMP.
Le attività delle SMP sono classificabili in tre ampie aree funzionali. In base alla
loro specializzazione si incontrano: SMP impiegate direttamente in azioni di
combattimento; SMP che operano come consulenti militari; SMP che si occupano
soprattutto di servizi di supporto e logistica. In realtà, le tre categorie di servizi sono
spesso simultaneamente presenti nella gamma di prestazioni offerte dalle singole SMP,
ma, ai fini di questa analisi, le funzioni militari così raggruppate aiutano ad evidenziare
le conseguenze della privatizzazione di ognuna di esse.
L’obbiettivo di questo lavoro è quello di analizzare le implicazioni della
privatizzazione delle tre aree funzionali militari su Governo, Forze Armate e
Popolazione. Nelle parole di Carl von Clausewitz questi tre elementi costituiscono uno
“strano trilatero” su cui si fonda ogni impresa bellica e ogni studio fatto in materia
militare: “Una teoria che volesse trascurare uno di loro [uno dei tre elementi], o volesse
stabilire un rapporto arbitrario tra di essi, cadrebbe immediatamente in una
contraddizione tale con la realtà da doversi considerare semplicemente annientata”
2
.
Prendendo in esame l’impatto di ciascuna funzione militare privatizzata su
ognuno dei tre angoli del trilatero sarà possibile produrre una riflessione coerente sul
processo di outsourcing militare, portando alla luce sia le sue numerose contraddizioni
ma allo stesso tempo i suoi potenziali vantaggi.
2
Clausewitz, Karl. “Della guerra”. A. Mondadori, Milano 1999.
7
CAPITOLO 1
LA STORIA DELLE ORGANIZZAZIONI MILITARI PRIVATE
DAL MEDIOEVO AI GIORNI NOSTRI
1. Le organizzazioni militari private
Nonostante sia una delle professioni più antiche al mondo, quella del mercenario
è un’occupazione la cui definizione pone non pochi problemi. Abitualmente si pensa al
mercenario come ad uno straniero che accetta di combattere una guerra altrui per
ottenere vantaggi economici. Questo tentativo di definizione però ignora tutte le altre
motivazioni che spingono verso il servizio mercenario quali possono essere la ricerca di
avventure, la brama di potere, le convinzione politiche o addirittura la mera devozione
alla guerra in quanto tale. La realtà storica ci indica che non esiste un solo tipo di
mercenario e che spesso questo assume forme eterogenee piuttosto che univoche.
Generalmente, in questa introduzione storica, con il termine mercenari si intendono tutti
gli individui o organizzazioni che sono reclutati per operare in ambito militare al soldo
di un’entità politica, o una emanazione di questa, di cui non fanno parte. Verranno prese
in esame soprattutto le vicende europee, in quanto è dalla tradizione mercenaria
occidentale che le moderne Società Militari Private hanno origine. Particolarmente, ci
interesseremo della gestione privata della violenza da parte di organizzazioni militari
private che nel corso della storia raccoglieranno i professionisti della guerra per farne
armate private al soldo dei belligeranti.
Ci sono diversi motivi che spingono un mercenario a “vendersi” come membro
di una organizzazione invece che come combattente individuale. In primo luogo, la
necessità di ottenere maggiore potere contrattuale: una compagnia di balestrieri, un
drappello di archibugieri, una squadra di esperti sminatori possono offrire insieme più di
qualunque specialista preso singolarmente, e dunque dispongono dei mezzi per
richiedere ingaggi più considerevoli. Inoltre, molto spesso i servizi richiesti possono
solo essere svolti da coesi gruppi di militari abituati a lavorare insieme, ad esempio, si
pensi ad una squadra addetta al funzionamento di una catapulta, o ad una falange di
picchieri, o ad un pattuglia di scorta personale in zona di guerra. La complessità di
8
queste operazioni e tale da esigere un qualche tipo di organizzazione che permetta lo
sviluppo del grado di fiducia reciproca e di coordinazione necessario a svolgere bene il
lavoro. Inoltre, in un mercato competitivo come quello della violenza organizzata, è
necessario fregiarsi di una certa reputazione che solo la continuità di un’organizzazione
può mantenere nel tempo. La reputazione dell’organizzazione, come un marchio di
fabbrica, influenza i rapporti con il datore di lavoro e con l’avversario. Così, ad
esempio, la sola fama di essere i più formidabili tiratori d’Europa, dava ai balestrieri
genovesi del XII secolo la possibilità di chiedere una paga di 25 soldi al mese, pari a
quella di un notaio della Repubblica Marinara
3
. Nel XIV secolo, era tale la nomea di
carnefice del Duca Guarnieri che molte città si arrendevano alla sua Grande Compagnia
prima ancora di iniziare le ostilità. Oggigiorno, un impiegato di Military Professional
Resources Inc. (MPRI), una rispettata società militare privata con stretti legami con il
governo americano, può godere di buon credito nei confronti del cliente, oltre che di un
ottimo trattamento economico e assicurativo.
Come vedremo, saranno di svariata natura gli attori che si faranno promotori
delle organizzazioni mercenarie: a volte troveremo singoli individui, come i capitani di
ventura italiani del Quattrocento, che metteranno insieme masnade di sbandati per farne
formidabili compagnie mercenarie; in diverse situazioni saranno interi gruppi
socialmente coesi a trasformarsi in “soldatesche in affitto”, come il caso dei fanti
svizzeri o dei gurkha nepalesi; altre volte saranno le stesse autorità statali a prendere in
mano le redini del business della guerra e ad amministrare le prestazioni militari
all’estero dei propri sudditi. In questo capitolo si vogliono rintracciare alcune
organizzazioni, più o meno complesse, che durante il corso dei conflitti, hanno offerto
diversi tipi di servizi militari in cambio di remunerazione. Come apparirà chiaro, la
pratica di aggregarsi in una comunità di uomini d’arme per vendere le proprie capacità
militari non è una novità introdotta dai manager delle moderne Società Militari Private.
Partendo dall’Alto Medioevo fino ai giorni nostri, vedremo come la struttura delle
organizzazioni militari private diventi sempre più raffinata, come anche la capacità
degli esperti nel mestiere delle armi di proporsi sul mercato della guerra.
3
Cardini, Franco. Quell’antica festa crudele: guerra e cultura della guerra dall’età feudale alla grande
rivoluzione. Il Saggiatore, Milano. 1987.
9
2. Inservienti, tiratori scelti e cavalieri mercenari
Il Medioevo feudale aveva visto un’èlite di professionisti della guerra elevarsi
sulle folle di rustici inermi e su di essi acquistare potere giuridico ed economico. Quello
cavalleresco era un gruppo dirigente, o comunque privilegiato, cuore di una struttura
militare piuttosto statica che da un livello iniziale medio-alto, il nobile a cavallo in
armatura, si ramificava fino a giungere al semplice sottoposto armato di strumenti
agricoli. Oltre alle inefficienze che un esercito di plebei comportava, la struttura militare
feudale aveva un carattere quasi esclusivamente difensivo. Infatti, i nobili, in qualità di
vassalli, erano obbligati a servire come uomini d’arme solo per un limitato numero di
giorni all’anno e generalmente non erano costretti ad allontanarsi troppo dalle proprie
terre. La struttura feudale dei diritti e doveri militari presentava dunque delle barriere
alla messa in atto di campagne militari offensive lontane dai feudi controllati: questo
spinse i monarchi europei a rivolgersi sempre più di frequente ai soldati mercenari.
Mancando quasi del tutto l’uso della moneta, mancava anche un mercato legato alla
guerra, ma la prassi di assoldare uomini d’arme costituiva una realtà nella pratica della
guerra medievale, una verità camuffata e nascosta da un’ideologia militare nobiliare che
aveva elevato a principio il combattente individuale di ceto superiore a cavallo e armato
di spada. Con la rinascita economica del XII secolo, il denaro divenne sempre più
disponibile nelle casse di mercanti, potentati ecclesiastici e membri della nobiltà. Alcuni
oneri militari legati alle concessioni feudali iniziavano a trasformarsi in oneri fiscali: i
feudatari più abbienti non militavano più personalmente ma pagavano una speciale tassa
sostitutiva, lo scutagium
4
, che permetteva al sovrano di assoldare in vece loro dei
mercenari
5
.
Nell’Alto Medioevo, la commercializzazione della violenza avviene perlopiù in
modo disorganizzato: i militares vendono i loro servizi generalmente a titolo individuale
e svolgono le più svariate funzioni. Mentre non si può chiamare mercenario lo schiavo-
scudiero il quale, obbligato dalla corvèe militare, serviva il padrone-cavaliere, lo stesso
non si può dire dei numerosi appiedati che prestavano tutti quei servizi ausiliari di
4
soldo/scudo ovvero il costo per equipaggiare un combattente.
5
Cardini, Franco. Quell’antica festa crudele: guerra e cultura della guerra dall’età feudale alla grande
rivoluzione. Il Saggiatore, Milano. 1987.
10
cruciale importanza per il successo. Venivano dunque ingaggiati schermitori, arcieri e
squadre di inservienti, i quali accettavano di intraprendere una campagna non tanto per
la paga esigua che ricevevano, ma per le ben più ricche prospettive economiche
derivanti dal pagamento del riscatto da parte dei prigionieri di guerra e dai beni
conseguibili con il saccheggio delle fortezze conquistate. Tra le fila dei mercenari
incontriamo anche alcuni nobili economicamente meno agiati, con piccoli feudi e molti
obblighi di servizio, i quali erano costretti a fare come Gahmuret d’Angiò, il quale
“…per denaro offriva i suoi servigi, come assai spesso suol fare il cavaliere…”
6
.
In questo periodo appaiono anche le prime rudimentali organizzazioni militari
private nella forma di bande di “tecnici” specializzati nell’uso di armi tecnologicamente
avanzate, come la balista, la catapulta e la torre d’assedio, oppure di esperti
maneggiatori di quelle ritenute non consone al lignaggio di un cavaliere, come la
balestra. L’uso di quest’ultima arma, miracolo tecnologico dell’XI secolo, era quasi del
tutto monopolizzato dai genovesi, che esportavano la loro letale arte nei campi di
battaglia di tutta Europa, arrivando fino ad essere determinanti nella conquista di
Gerusalemme nel 1099
7
. La progettazione e costruzione delle balestre furono oggetto di
attenti controlli da parte del governo genovese allo scopo di evitare che l’inesperienza di
alcuni artigiani potesse intaccare il prestigio della categoria e della città. Per difendere
la supremazia dell’arte dei balestrieri genovesi, si rese necessario inquadrarne i precetti
con apposite leggi e costringere gli artigiani ad applicarle integralmente: nacque così la
corporazione dei “Balistari” con i suoi statuti e consoli. Le continue richieste di
balestrieri da parte degli eserciti europei spinsero il Comune a promulgare leggi per
incoraggiare i cittadini al tiro con la balestra. Lo stesso Comune permetteva alle squadre
di balestrieri di requisire temporaneamente qualsiasi terreno necessario per le
esercitazioni.
Ai balestrieri genovesi si devono presupporre le forme di servizio mercenario
meglio organizzato dell’Alto Medioevo, tuttavia questi uomini d’arme che vendono le
loro capacità militari non mettono ancora in questione la supremazia della cavalleria
d’alto rango sul campo di battaglia, e dunque quella dell’aristocrazia nella società. Il
nobile che, in qualità di vassallo feudale e sulla base di vincoli personali, presta il
6
Wolfram von Eschenbach. Parzifal 17:11. TEA, Milano, 1989.
7
Celebri protagonisti della presa di Gerusalemme difesa dai Mammalucchi furono i balestrieri del
Mandraccio guidati da Guglielmo Embriaco.
11
servizio delle armi al suo signore, rimane il fenomeno dominante nell’Alto Medioevo,
anche se al suo fianco scendevano in campo tecnici, fanti e cavalieri mercenari. Tra i
contemporanei c’era chi riconosceva i pericoli che ne derivavano per il vecchio ordine
sociale e per il ceto privilegiato della nobiltà. Nel 1179 il Concilio del Laterano lanciò
la scomunica sulla pratica della guerra per mezzo di tali formazioni mercenarie; nel
1215 papa Innocenzo invitò alla crociata contro le temute bande di mercenarie, lo stesso
anno, i baroni inglesi costrinsero Giovanni Senza Terra a licenziare i suoi milites
stipendiarios, ossia i suoi mercenari, ed a garantire con la Magna Charta Libertatum il
diritto di parola e di decisione della nobiltà negli affari del regno
8
. Nonostante tutto,
anche in una struttura sociale serrata e mascherata di onore come quella del Medioevo
feudale, la guerra poteva prendere la forma di una occupazione endemicamente
mercenaria
9
.
3. Le masnade mercenarie
Il fenomeno delle milizie mercenarie maturò con la fine del dominio sul campo
di battaglia del cavaliere in armatura, disarcionato dalla crescente importanza della
fanteria. Nel 1302 a Courtay la cavalleria del Conte di Artois si era disintegrata contro
le lance e le alabarde fiamminghe allineate in una falange lunga seicento metri. Courtay,
anche se non liberò del tutto la fanteria dal marchio di “forza ausiliaria”, diede il via ad
un nuovo modo di intendere la guerra. La campagna inglese per il trono di Francia fu
rivelatrice in tal senso. A Creçy nel 1346, il re inglese Edoardo III respinse la carica
della cavalleria francese di Filippo IV con una linea di picche improvvisata da semplici
fanti e da nobili smontati da cavallo. Le vittorie inglesi a Poitiers (1356) e, la più
schiacciante, ad Azincourt (1415) misero la parola fine al predominio della cavalleria
francese, considerata allora la più devastante macchina bellica nel mondo occidentale
10
.
Nel XV secolo l’esercito basato sul cavaliere con tutto il suo armamento e i suoi
servitori si era provato sia inefficiente in tempo di guerra che insostenibile
economicamente in tempo di pace. L’importanza crescente della fanteria ebbe
8
Cardini, Franco. Quell’antica festa crudele: guerra e cultura della guerra dall’età feudale alla grande
rivoluzione. Il Saggiatore, Milano. 1987.
9
Howard, Michael. War in European History. London: Oxford University Press, 1976. p. 7
10
Keegan, John. La Grande Storia della Guerra. Mondadori, Milano 1993.
12
conseguenze anche per le città, che ne riempivano i ranghi con i loro abitanti. Anche
questo modello comportava diverse inadeguatezze: le milizie di uomini liberi erano
costituite da gente coinvolta, come logico, nelle faccende e nelle passioni politiche e
sociali, ovvero gente in mano alla quale le armi potevano diventare uno strumento di
vendetta personale o addirittura di ribellione e mutamento dell’assetto sociale. Inoltre,
appariva chiaro come un buon artigiano non potesse essere un altrettanto buon guerriero
e che in realtà il suo posto era dietro un bancone e non nella falange di armati di picche.
Agli uomini della falange non si richiedeva solo la presenza fisica, ma anche qualità
militari che il comune cittadino non era in grado di fornire. Certo, la libertà di difendersi
e portare armi, acquisita con la libertà cittadina, non poteva più essere eliminata dalla
coscienze di sé del borghese, ma l’impiego di cittadini in eserciti di campagna per mesi
interi era pur sempre problematico.
La società comunale italiana duecentesca, sembrò dunque sposare la pratica del
mercenariato con il principio del servizio militare inteso come dovere del cittadino in
quanto tale. Mentre il cittadino avrebbe difeso di persona le mura della propria città, per
quanto riguarda la costituzione degli eserciti mobili, i reggenti dei comuni preferirono
ricorrere a uomini armati distaccati dal contesto sociale dove erano chiamati ad operare:
è questo il tempo delle masnade mercenarie. Le masnade rappresentano la protostoria
delle compagnie di ventura: non sono più i cittadini del libero Comune che fanno
quadrato attorno al carroccio, ma non sono ancora i professionisti della guerra,
organizzati regolarmente agli ordini di un capo legato ad un contratto. I masnadieri sono
cavalieri diseredati, servi e schiavi fuggiaschi, contadini senza terra, esuli e vagabondi
disposti ad uccidere per vivere, con il rischio della propria stessa morte. La maggior
parte di loro sono combattenti stranieri giunti in Italia al seguito degli imperatori Enrico
VII (1308-1313) e Ludovico il Bavaro (1314-1347) e dunque rimasti nella penisola per
esercitare il mestiere delle armi. Le loro terre d’origine sono principalmente le Fiandre e
il Brabante
11
ma anche in regioni meno evolute, come la Spagna nord-orientale,
compaiono formazioni di mercenari come gli aragonenses, i navarii, i bascoli. L’Italia
divenne il loro mercato preferito essenzialmente per due motivi: primo, per l’elevato
numero di comuni e stati in guerra tra di loro; secondo, per la grandissima ricchezza di
questi non legata alla terra, bensì a capitale commerciale urbano.
11
da cui il nome brabanzoni che fu usato per molti anni come sinonimo di “mercenari”.
13
L’espandersi del mercenariato significò la demilitarizzazione dei borghesi e
delle aristocrazie signorili ed una militarizzazione professionistica di alcuni gruppi di
uomini d’arme, riuniti in genere sotto il nome di compagnie
12
. Uno dei primi esempi di
masnada mercenaria è quello che si registra nel 1322, quando i Tolomei, fuoriusciti
senesi, con l’appoggio del vescovo di Arezzo, corrompono cinque capibanda che
militano al soldo di Firenze. Questi ingaggiano diversi uomini di Arezzo e Orvieto,
organizzando una masnada di circa cinquecento cavalieri e quasi mille fanti. La
chiamano genericamente “Compagnia”, ma non è che un’accozzaglia di banditi.
Riescono ad occupare Sinalunga e Turrita, facendo scorrerie nel contado di Siena; la
città reagisce ingaggiando a sua volta delle truppe alle quali mette a capo Ruggero dei
conti Giudi. Nessuna battaglia diretta contro la “compagnia”, solo poche scaramucce e
una manovra per tagliarle i viveri e la masnada si disperde alla spicciolata fuori dalla
Toscana
13
. Questi fatti, irrilevanti dal punto di vista militare, mettono però in rilievo il
problema dell’inaffidabilità delle masnade. Pisa prova a mettere disciplina stendendo un
codice apposito che regoli i rapporti con i masnadieri, evidenziando in termini
inequivocabili l’obbedienza al Comune: “Per prima cosa si ordina che tutti gli
stipendiarii della masnada, sia stranieri che italiani, siano tenuti ad ubbidire ed
ubbidiscano ai signori Anziani del popolo pisano […] nel fare ciò che ad essi gli stessi
Anziani avranno comandato”. Si cerca anche di emarginarli dalla vita quotidiana del
Comune: “Che nessuno di detta masnada possa mangiare o bere con alcun cittadino
pisano in casa sua o in qualunque altra casa”
14
. Non si ammettono scappatoie
dall’impegno assunto specificando che il soldo obbliga il mercenario alla prestazione
anche se ammalato. Ma la realtà è un’altra: a questi masnadieri la legge scritta è inutile,
hanno bisogno di vivere alla giornata per fare il buono e cattivo tempo. Arrivano nella
penisola, vivono di rapina, quando assoldati s’impegnano a sbrogliare in breve tempo
l’incarico e poi tornano a depredare per conto loro. Briganti, dunque, questi primi
mercenari al soldo dei Comuni, sbandati perché senza una leadership forte, una giornata
campale senza un domani è la loro stessa vita.
12
dal latino con pane indicando appunto il cibo ricevuto dai suoi componenti
13
Rendina, Claudio. I capitani di ventura: storia e segreti. Newton Compton, Roma, 1985
14
Ibid.
14
4. Le compagnie di ventura straniere del Trecento
Le cose cambiarono quando d’oltralpe arrivarono in Italia i grandi trascinatori di
truppe mercenarie come il duca Werner von Urslingen - italianizzato duca Guarnieri - o
il conte Konrad von Landau - il conte Lando. Arrivano nel 1339 per unirsi con le loro
brigate alle bande di tedeschi che da più di venti anni, in gruppi isolati, avevano preso
l’Italia come terra di saccheggio. Guarnieri combatte al soldo di vari signori lombardi e
toscani finché decise di non sottostare più ad un padrone. Radunò tutti i mercenari
presenti nella penisola e propose la costituzione di una libera compagnia che fosse
ispirata ad un preciso senso del mestiere e ad un chiaro programma. Il capo per
acclamazione fu lo stesso conte ma le deliberazioni erano prese da una sorta di consiglio
nominato dalle schiere, che soprassedeva ad un’equa distribuzione degli utili. Fu
imposta una disciplina di ferro che i caporali dovevano far rispettare, gli ingaggi davano
diritto al soldo che sarebbe dipeso dall’entità del bottino che la compagnia riusciva ad
ottenere. Così sorse la Grande Compagnia del temutissimo duca Guarnieri, forte di
tremila barbute, un totale di quasi 10.000 uomini, la quale, in sostanza, portò avanti un
business molto simile al racket della protezione
15
. Per quindici anni, tra il 1338 e il 1354
Guarnieri guerreggiò in tutta la penisola, lasciandosi dietro una scia di sangue,
devastando senza scrupolo e mantenendo fede all’iscrizione scolpita sulla sua armatura
che recitava: “Duca Guarnieri, Signore della Grande Compagnia, nimico di Dio, di pietà
et misericordia”
16
. Altri esempi rimarchevoli di compagnie di ventura sono la
Compagnia Bianca, guidata dall’inglese Sir John Hawkwood - Giovanni Acuto - e
immortalata da Conan Doyle nell’omonimo romanzo, la spagnola Grande Compagnia
Catalana guidata da Ruggero de Flor che nel 1311 usurpò il suo datore di lavoro, il
duca d’Atene, e controllò la città per sessanta anni
17
.
15
Howard, Michael. War in European History. London: Oxford University Press, 1976. p. 25
16
Rendina, Claudio. I capitani di ventura: storia e segreti. Newton Compton, Roma, 1985
17
Thompson, Janice. Mercenaries, Pirates, and Sovereigns: State-building,and Extraterritorial violence in
Early Modern Europe. Princeton, N.J.: Princeton University Press. 1994.
15
5. Le compagnie di ventura, le picche svizzere e le formazioni lanzichenecche
Negli eserciti italiani del Quattrocento troviamo soldati professionisti assunti
individualmente, milizie coscritte e residui di cavalleria feudale, ma le compagnie di
ventura furono lo strumento principale utilizzato nelle guerre italiche del XV secolo. La
Compagnia è organizzata verticisticamente intorno al Condottiero, nella maggior parte
dei casi esponente dell’aristocrazia guerriera italiana. La sua casa e la sua corte
diventano il fulcro primario dell’amministrazione militare ed economica della
compagnia, in cui confluiscono gli uomini d’arme a lui più fedeli, la sua scorta armata,
tesorieri, cancellieri, trombettieri, ecc. Pur fondandosi su nuclei di combattenti fedeli e
duraturi, quasi vassalli e fratelli d’arme del Condottiero, le compagnie erano costituite
da formazioni mobili e flessibili, composte da numerose unità, dette squadre, al cui
comando erano posti svariati condottieri minori. I mercenari dipendono dunque dal loro
capitano che li arma a sue spese e paga loro il soldo. E’ il capitano che va nei palazzi a
trattare direttamente con i signori che richiedono una prestazione mercenaria,
procurandosi un preciso contratto d’appalto: la condotta (da cui il termine condottiero,
ovvero contactor). La condotta è un documento redatto dai legali delle due parti
contraenti e specifica diritti e doveri delle compagnia nei più svariati ambiti, dalla
durata dell’ingaggio al numero di uomini e armi, dalla spartizione del bottino alla
trattamento di eventuali prigionieri. Firenze fu tra le prime ad organizzarsi creando
speciali magistrature, come quella degli “officiali di condotta” e degli “officiali sopra i
difetti delle soldatesche”, che controllavano la disciplina e l’armamento. Il condottiero,
una volta firmato il contratto doveva dar “mostra” degli uomini d’arme ai
“consegnatari” che avevano il diritto di rifiutare quelli ritenuti non idonei dagli officiali.
Questo aspetto ispettivo della condotta venne a decadere man mano che i capitani di
ventura acquistarono maggiore forza contrattuale e riuscirono quindi a svincolarsi da
qualsiasi registrazione e mostra. La durata dell’obbligazione veniva detta ferma e ad
essa faceva seguito un periodo dello aspetto nel quale il condottiero restava vincolato
alla controparte che aveva il tempo di decidere il rinnovo o meno del contratto.
Terminato il periodo d’aspetto, il condottiero era svincolato e libero di andare a lavorare
per un altro signore o stato. Veniva spesso inserita nella condotta la clausola secondo la