2
Sul fronte opposto, invece, si deve osservare come le molte unità che compongono i gruppi
mettano in luce una naturale diversità all’interno dei medesimi, legata non solo e non tanto alla
pluralità dei soggetti giuridici in capo ai quali ricadono i diritti e gli obblighi connessi al processo
di gestione, quanto soprattutto all’articolato comporsi degli interessi istituzionali che gravitano
attorno alle varie unità aziendali.
Ci si riferisce sia agli stakeholder in senso lato, i quali configurano rapporti legati all’operatività
delle varie unità del gruppo, sia in particolare agli azionisti di minoranza, i quali apportano
capitale di rischio in entità:
- delle quali non soltanto non sono in grado di controllare la direzione di marcia, come
avviene per qualsiasi azionista di minoranza in un contesto societario;
- ma il cui moto è parte di un sistema più vasto, i cui obiettivi trascendono quelli delle
unità aziendali alle quali assicurano i predetti apporti.
Eppure, l’individualità delle diverse unità aziendali e dei soggetti che in esse apportano risorse non
può essere disattesa, specie quando proprio in certi ambiti del complesso (singole realtà aziendali,
sottogruppi, raggruppamenti delineati nell’insieme) sono presenti, in modo localizzato e non
diffuso, risorse critiche di particolare pregio e quando tali ambiti manifestano una propria
riconoscibilità e credibilità esterna, sulla quale trova fondamento quella complessiva del gruppo.
Se così è, una corretta rappresentazione e analisi del sistema non può ignorare la complessità che
lo contraddistingue e la ricchezza delle sue individualità.
L’ordine secondo cui tale complessità si propone è non soltanto di natura operativa, ovvero legata
alla pluralità delle combinazioni e dei processi che connotano le diverse realtà operanti nel
sistema, ma soprattutto istituzionale, per la presenza di una rete di soggetti che gravitano attorno
alle unità che compongono il gruppo, e che manifestano interessi economici primariamente nelle
unità cui partecipano e solo di riflesso nell’intero gruppo.
L’ipotesi di lavoro che orienta la ricerca qui sviluppata riposa nel convincimento che la forza
unificante del legame di gruppo, suscettibile di condizionare in modo significativo l’indirizzo della
gestione delle diverse consociate, non annulla la ricchezza di un assetto istituzionale articolato, nel
quale si compongono attese differenziate da parte dei soggetti che gravitano in capo alle varie
unità.
A tali attese si associano talora esiti non omogenei nelle risultanze della gestione.
Si tratta di risultati tendenti a premiare l’operatività di alcune unità aziendali e a penalizzare quella
di altre, pur nell’ambito dello stesso gruppo.
Essi ricadono dapprima sulle singole unità, poi sul complesso nel suo insieme, a motivo dei
collegamenti strutturali e di quelli legati alle relazioni di scambio fra le varie realtà aziendali.
3
Per questi motivi, la ricerca delle situazioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale di
gruppo non può limitarsi a considerare l’insieme in modo indifferenziato, come se si trattasse di
un’unica realtà aziendale, ma richiede di dare spazio, accanto all’individuazione degli equilibri su
base consolidata, alla considerazione sia di situazioni parziali, localizzate in unità o sottogruppi del
complesso, sia soprattutto dei collegamenti fra tali situazioni, quali sono indotti dalle relazioni
intragruppo.
Al fine di sviluppare questa idea di fondo, Il percorso che ci si propone nel seguito della
trattazione passa attraverso le seguenti fasi consequenziali.
Nel primo capitolo si identificheranno gli elementi qualificanti per delimitare il concetto di
equilibrio nei gruppi di imprese. L’indagine porta a riconoscere la necessità di indagare i connotati
istituzionali dei gruppi, al fine di dare significato al carattere della «permanenza nel tempo», che
dà conto, nella successione degli esercizi, delle condizioni di equilibrio generale.
Tali condizioni sono investigate distintamente - nel secondo e terzo capitolo - lungo i profili
economico e finanziario, tenendo conto delle molteplici soggettività interessate ai processi di
produzione del gruppo e che partecipano in modo spesso differenziato ai risultati e ai rischi
associati allo svolgimento della gestione.
L’ultimo capitolo intende porsi quale finalizzazione del percorso logico svolto nei capitoli
precedenti, mediante l’analisi delle condizioni di equilibrio nel gruppo ERG, punto di riferimento
nel mercato energetico del nostro paese.
4
CAPITOLO 1
L’IDENTIFICAZIONE DEL CONCETTO DI
EQUILIBRIO NEI GRUPPI AZIENDALI
1.1 L’evoluzione istituzionale delle unità aziendali nel contesto dei gruppi
Secondo un’astrazione analogica generalizzante, tanto sottilmente indefinita quanto largamente
accreditata in ambito scientifico, i gruppi di imprese sono identificati quali insiemi aziendali,
articolati in strutture giuridiche distinte, accomunati dal soggetto economico.
La concezione riflette, e traspone ai gruppi, la distinzione fra gli ordini di elementi che connotano
ogni sistema d’impresa: da un lato le condizioni produttive disponibili per lo svolgimento della
gestione, cioè il capitale avvinto con il lavoro nell’ambito di distinti contesti istituzionali e
organizzativi, dall’altro il soggetto che le indirizza.
La trasposizione consente di sottolineare le modalità secondo cui gli elementi primi dell’impresa o
dei gruppi si modificano significativamente nello stesso momento in cui si combinano nei contesti
cui vanno ad appartenere.
Le condizioni di capitale e di lavoro sono infatti inizialmente aggregate in sistemi aziendali
elementari contraddistinti da un finalismo che li indirizza e da un ordine interno che dà coesione a
ciascuno di essi, consentendo di delinearne i confini organizzativi rispetto agli altri sistemi
contigui.
La permanenza nel tempo di tali sistemi presuppone il raggiungimento dell’autonomia economica,
che legittima l’esistenza degli stessi quali imprese dotate di una propria vitalità economica
1
, attesta
la validità dei sottostanti progetti imprenditoriali e prelude alla continuazione della gestione in
condizioni di potenziale costanza di soggetto economico
2
.
La susseguente composizione dei sistemi aziendali elementari in gruppi, che si configura come una
aggregazione di secondo livello, cioè una combinazione di elementi già combinati, è allo stesso
modo suscettibile di trasformare le connotazioni costitutive dei sistemi di primo livello
appartenenti al gruppo.
1
La legittimazione riguarda il collegamento esistente tra la gestione e il carattere di autosufficienza economica, «intesa in senso
largo come attitudine della gestione a remunerare, con i ricavi, alle condizioni richieste dal mercato (o in generale, alle condizioni
cui l’impresa si deve ritenere vincolata), tutti i fattori produttivi (compreso il capitale, qualunque forma esso abbia) onde l’azienda
abbisogna perché possa avere vita continua e conveniente sviluppo», come osserva P. Onida, Economia d’azienda. Lo stesso Autore
ribadisce peraltro, ibidem, come lo sviluppo appaia un carattere fondante della vitalità economica giacché «costituisce
comunemente, almeno a lungo andare, condizione perché l’impresa possa, non solo prosperare, ma addirittura sopravvivere. Ben
a ragione, lo sviluppo suole formare una tendenza di fondo nelle scelte d’impresa».
2
L’autonomia economica è infatti prodromica di autonomia di fini e quindi di soggetti, secondo il collegamento sottolineato in L.
Azzini, Autonomia e collaborazione tra le aziende, che sviluppa con particolare ricchezza di elementi la posizione esposta in G. Zappa,
Le produzioni nell’economia delle imprese.
5
L’indirizzo di un sistema articolato trova infatti una propria ragion d’essere in un ordine generale
che, sebbene necessariamente «passi attraverso» le singole unità che lo compongono, le può
trascendere tutte. Cioè in un ordine teso prioritariamente ad assicurare gli obiettivi del soggetto
economico in quanto soggetto del complesso e non in quanto soggetto delle unità che lo
compongono.
La distinzione non è formale e trova spiegazione nella differenza esistente fra i caratteri
istituzionali dei complessi aziendali «non gruppi» e quelli dei gruppi di imprese.
Nei primi, infatti, la perdita di indipendenza delle singole unità che stabiliscono fra di loro
rapporti di interconnessione, e pertanto limitano i propri spazi di discrezionalità decisionale, si
combina con la preservazione dell’autonomia, che è tale in relazione ai fini supremi di una
pluralità di soggetti di governo, ciascuno dei quali si assoggetta liberamente ad una autentica
limitazione di indipendenza, con l’obiettivo di ritrarre vantaggi dal collegamento con altre unità
aziendali
3
. La limitazione di indipendenza è dunque il supremo atto di autonomia di ciascun
soggetto, finalizzato ad assicurare l’autosufficienza economica alla propria impresa.
Nei gruppi, invece, l’unitarietà del soggetto di governo riconduce l’autonomia ad una dimensione
super-aziendale, cioè non osservabile a livello di singola unità di gruppo, in quanto i fini supremi
di tale soggetto, per quanto articolati, non possono certamente collidere fra di loro per il sol fatto
che sono presenti più unità attraverso le quali si esplica l’azione imprenditoriale.
In tale prospettiva, l’autosufficienza economica della singola unità può dunque essere percepita
come secondaria rispetto a quella del sistema-gruppo nel suo complesso nonostante che non esista
di per sé contrapposizione tra perseguimento dell’equilibrio di complesso ed equilibrio di ogni sua
componente.
La differenza non è di poco conto e va meglio definita con riguardo sia ai caratteri delle unità
aziendali coinvolte nei gruppi, sia ai soggetti che partecipano al rischio delle unità che lo
compongono.
Le imprese operanti al di fuori di un contesto di gruppo trovano una legittimazione di esistenza
nell’assolvimento del vincolo di reintegro e di remunerazione dei fattori impiegati, realizzato
attraverso la cessione sul mercato della produzione, situazione che attesta il perseguimento
dell’equilibrio economico generale.
3
La relazione tra il carattere di autonomia e quello di indipendenza è essenziale ai fini della comprensione delle forme di
aggregazione aziendale, nelle loro molteplici manifestazioni. Nella letteratura, tuttavia, tali caratteri vengono qualificati con
accezioni molto diversificate, per la quale si rinvia a L. Azzini, Autonomia e collaborazione tra le aziende: «È perciò necessario non
confondere l’autonomia con l’indipendenza delle aziende. Ogni azienda è autonoma rispetto alle altre ma non è da queste
indipendente. L’attività di ogni azienda vincolata all’attività delle altre aziende con le quali opera direttamente nell’attuazione di
operazioni o di processi economici comuni o indirettamente con la partecipazione agli stessi o a mercati correlati, con
l’appartenenza allo stesso o a settori economici interconnessi, con l’appartenenza allo stesso ordinamento nazionale o
internazionale; tali vincoli e relazioni concorrono a variamente delimitare il campo delle scelte ma non la libertà delle scelte in tale
campo».
6
Nel momento stesso in cui le medesime imprese vengono a condividere il soggetto economico
con altre realtà aziendali nel contesto di un sistema più vasto, è fisiologico che tale soggetto
persegua come prioritario il reintegro dei fattori con riguardo all’intero insieme e non
necessariamente alle singole unità che lo compongono.
Ciò è pienamente coerente con la natura degli istituti attraverso i quali si realizza la produzione,
se e quando il soggetto di gruppo è in condizione di far ricadere interamente su di sé i rischi che si
localizzano ai vari livelli delle catene proprietarie.
Tale circostanza causerebbe dunque, per le unità appartenenti al gruppo e che erano qualificate
quali imprese quando non vi appartenevano, il possibile venir meno del carattere che
maggiormente le contraddistingue rispetto ad altre aziende pure operanti nel sistema econimico-
sociale: l’autosufficienza economica.
Il carattere dell’autonomia economica, proprio di ciascuna impresa, può dunque trasformarsi in
una condizione accessoria con riguardo alla singola unità di gruppo, sempre che tale carattere sia
recuperato ad un livello superiore, che può coincidere o meno con quello del complesso nel suo
insieme.
Questa lettura riflette invero uno solo dei processi di formazione dei gruppi, quello di
aggregazione di unità aziendali distinte: si tratta dunque del processo che, perseguendo l’obiettivo
di realizzare un gruppo di imprese, è suscettibile di far perdere alle stesse la connotazione che le
qualifica come tali.
Ma anche seguendo l’altra via, ovvero quella dell’enucleazione di parti da una unitaria impresa, si
perviene alle medesime conclusioni, se è vero che il processo di espulsione di nuclei organizzati
può non accompagnarsi al sorgere di vere e proprie imprese, almeno fino a quando la condivisione
del soggetto economico con l’unità dalla quale hanno tratto origine faccia percepire come
secondaria l’esigenza di raggiungere l’autosufficienza economica a livello di controllata, essendo
ritenuta invece essenziale a livello di gruppo o ad un livello intermedio fra questo e le unità
consociate sottostanti.
Ad evidenza, l’eventuale perdita dell’autosufficienza economica (nel caso di processi aggregativi)
o il mancato raggiungimento della stessa (nel caso di processi enucleativi) non rappresentano certo
un obiettivo della holding, ma si comprendono alla luce di progetti che vengono perseguiti
unitariamente dal medesimo soggetto, al quale le realtà di gruppo si rapportano secondo nessi di
piena strumentalità.
La prospettiva di osservazione muta significativamente se e quando le unità del gruppo si
connotano per la presenza di interessi istituzionali primari composti in modo dissimile da quelli
della capogruppo, secondo due sequenziali gradienti di diversità:
7
- una differente combinazione, ai vari livelli delle catene di controllo, dei medesimi
soggetti che partecipano al rischio di gestione della capogruppo
4
;
- la presenza di altri soggetti rispetto a quelli che detengono parte del capitale della
controllante, a valere per una o più unità del complesso
5
.
Quanto maggiore è nelle controllate il grado di interessenza dei soggetti terzi rispetto alla
maggioranza di gruppo (vuoi perché soci di minoranza nella holding, vuoi perché soci nelle sole
controllate) tanto maggiore è il vincolo per la capogruppo ad assicurare il reintegro delle risorse
impiegate a livello di unità locali, oltre che a livello di gruppo nel suo complesso.
La mancata considerazione di questo vincolo, non tanto per il manifestarsi del rischio della
gestione, ma invece per effetto di una programmata allocazione del valore aggiunto e dei risultati
lordi prevalentemente a monte della catena di controllo, finirebbe per contraddire gli obiettivi in
forza ai quali sono state attratte risorse esterne: quelle di irrobustire l’azione delle controllate con
soggetti in grado di apportare risorse complementarmente essenziali rispetto a quelle offerte dalla
holding.
Il processo di ricerca dell’autosufficienza economica, riferita alternativamente al gruppo nella sua
intierezza oppure anche alle parti che lo compongono, risente naturalmente dell’azione del
soggetto economico condiviso dal complesso.
Tale soggetto si rapporta ad esso in modo non necessariamente coincidente alle modalità secondo
cui si pone nei confronti di imprese considerate isolatamente.
Con riguardo a singole unità aziendali non di gruppo, infatti, nello stesso momento in cui il
soggetto economico diviene catalizzatore delle condizioni di capitale e di lavoro, cioè degli
elementi essenziali di ogni impresa, esso imprime alle stesse l’ordine coessenziale alla propria
teleologia. Ciò avviene mediante un’azione di governo svolta nell’ambito dei confini istituzionali e
organizzativi delle unità costituite, quelli cioè contraddistinti dalla possibilità di esercizio del
proprio potere di influenza economica, nei limiti di legittimità riconosciuti dalla normativa.
Così, l’azione del soggetto economico si avvale di strumenti diretti di influenza sulle unità
organizzative, ovvero del potere
6
che si estende dagli organi istituzionali fino a quelli operativi,
4
La situazione si connette all’accentuazione data, in talune unità aziendali, a classi particolari di soggetti rientranti fra quelli che
comunque gravitano in capo alla holding. Ciò si realizza sia - in prima battuta - attraverso la detenzione diretta da parte di tali
soggetti di quote in capo ad alcune società del gruppo, dunque non partecipate totalmente dalla maggioranza, sia - a livelli inferiori
delle catene di controllo - per effetto del combinarsi insieme di linee proprietarie che sfuggono al controllo totalitario e nelle quali
le interessenze più alte ricadono in capo ai soggetti di minoranza della capogruppo.
5
Ci si riferisce alla presenza di veri e propri soggetti nuovi che intervengono a vari livelli delle linee proprietarie, secondo i
seguenti indirizzi prevalenti:
- apporti di capitale che accompagnano e rafforzano responsabilità gestionali assunte direttamente dai soci negli specifici contesti
aziendali delle controllate, essendo gli stessi detentori di particolari know how impiegabili nei processi produttivi;
- soci prevalentemente interessati a consolidare e stabilizzare propri rapporti contrattuali con le controllate, anche attraverso un
vincolo di capitale, quale preludio ad una sincronizzazione degli indirizzi e alla condivisione di una progettualità comune;
- soci che nell’ottica di una propria diversificazione di portafoglio investono i capitali in società la cui credibilità è corroborata
dalla solidità patrimoniale della holding.
8
lungo le linee gerarchiche proprie di ogni istituto-impresa.
Coordinata e veicolata attraverso gli strumenti di governance delle diverse forme aziendali, tale
azione ha origine per effetto della diretta e immediata partecipazione agli organi istituzionali
superiori da parte dell’imprenditore-soggetto economico e trova compimento in processi di
delega nei quali il rapporto con i livelli sottostanti:
- non è intermediato in modo significativo né da organi né da soggetti interposti rispetto
all’alta direzione;
- si avvantaggia di caratteri di potenziale immediatezza sia nell’acquisizione delle
informazioni sia nella presa delle decisioni, a valere per tutti i soggetti coinvolti;
- è talmente diretto da ammettere spesso la sostituzione del management senza il vincolo di
alcun passaggio attraverso organismi di tipo istituzionale (come ad esempio organi
assembleari).
Il rapporto tra il soggetto economico di gruppo e le unità che lo formano si presenta
potenzialmente difforme da quello qui sopra esaminato.
Nella fase genetica dei rapporti di gruppo, realizzati attraverso aggregazioni di unità distinte, non
è il soggetto del complesso a combinare le condizioni di produzione (capitale e lavoro) in forma di
impresa, posto che le unità aziendali attratte al gruppo già possiedono tali caratteri: il soggetto
economico riorienta i sistemi organizzativi attratti verso il proprio sistema di valori e di obiettivi.
Del pari, in concomitanza con la costituzione di gruppi realizzati attraverso processi enucleativi, si
ha in genere un progressivo distacco dall’unità costituita dal soggetto di governo, non foss’altro
che per la necessaria frapposizione di organi istituzionali e di soggetti tra il vertice del gruppo e il
management delle realtà aziendali oggetto di scorporo.
Tali connotazioni sono potenzialmente enfatizzate nei momenti successivi a quelli genetici dei
gruppi.
Il soggetto di gruppo svolge infatti nei confronti delle unità del complesso un’azione assai variabile
per distanza dagli organi locali preposti alla gestione, per strumenti impiegati nell’esercizio del
potere di indirizzo economico nonché per intensità e direzione dell’influsso esercitato, con
riguardo agli obiettivi particolari che persegue nelle distinte unità del complesso.
La distanza è percepibile dalla separazione istituzionale lungo le catene di controllo ed è
sintomatica della possibile confluenza, fra gli stockholder di riferimento, di soggetti terzi, con attese
variamente rapportabili rispetto a quelle della maggioranza di gruppo.
6
Si fa riferimento qui ad una concezione organizzativa di potere che vede nel medesimo la capacità di influenzare i comportamenti
dei membri operanti nel sistema organizzativo e per la quale si rinvia a A. Rugiadini, Organizzazione d’impresa.
9
Gli strumenti fanno leva su processi di indirizzo che passano prevalentemente attraverso le linee
istituzionali di governance, segnate dagli organi, dai soggetti e dalle procedure che codificano gli
indirizzi in concrete azioni direzionali. D’altra parte, i gruppi fortemente coesi ratificano,
attraverso le linee istituzionali, processi di indirizzo maturati e veicolati attraverso canali semi-
formali di prevalente caratterizzazione organizzativa, ovvero attraverso meccanismi di
comunicazione e di controllo che coinvolgono il management del gruppo, superando le barriere
frapposte dai vincoli giuridici delle singole unità.
Anche sotto il profilo dell’intensità e della direzione dell’influsso esercitato, la gamma di
situazioni possibili è molto vasta: essa si estende da comportamenti che mirano a rafforzare una
progettualità di business comune al gruppo, che fa leva su interazioni effettive o potenziali fra le
unità del complesso, di natura non solo finanziaria, fino a comportamenti che trovano prevalente
spiegazione nella volontà del soggetto di governo di frazionare le combinazioni «rendimento-
rischio» insite nel proprio investimento a monte.
In questa seconda situazione, la capacità di ciascuna unità aziendale di preservare, anche al di fuori
di sinergie di gruppo, la propria autosufficienza economica fa premio sull’apporto che essa può
dare ad un’eventuale progettualità condivisa ad altre unità del complesso.
1.2 L’equilibrio di gruppo tra equilibrio di sistema e sistema di equilibri
La ricerca dei connotati condivisi dei gruppi, osservabili negli aspetti aziendali, porta a constatare
che sebbene il gruppo sorga e si qualifichi quale aggregazione di unità economico-aziendali, la sua
formazione può determinare significative trasformazioni sia dei suoi elementi oggettivi (le unità
che lo compongono) sia dei suoi elementi soggettivi (il rapporto delle sue parti con il soggetto di
governo)
7
.
Sul primo fronte, la vitalità economica delle entità che lo compongono dipende non solo dalla
capacità della loro direzione di assicurare competitività al sistema di prodotto, in modo correlato
al reintegro dei fattori consumati e alla soddisfazione degli interlocutori sociali, ma anche dal
ruolo assegnato alla singola unità dal progetto che il soggetto di governo propone e pone in essere
per l’intero complesso.
Da un lato vi è infatti la situazione di unità di gruppo oggettivamente poste nella condizione di
limitare la propria operatività alla mera esecuzione delle politiche di gruppo, senza un’autonoma
7
Simmetricamente, quando sorge per enucleazione di parti distinte (ad esempio le divisioni), la sua formazione può determinare
una incompiuta trasformazione sia dei nuclei organizzativi in unità aziendali aventi connotazioni di imprese, sia del soggetto
economico in soggetto di governo capace di controllare un sistema complesso.
10
elaborazione delle strategie da perseguire e con livelli decisionali esercitati riguardo a questioni
operative, spesso di basso profilo
8
.
Questa fattispecie, coerente con forme di controllo che replicano, nelle catene a valle, il
medesimo intreccio di interessenze tipico dei livelli più alti del gruppo, sposta la ricerca della
vitalità economica da singole unità a sistemi interagenti che partecipano ai progetti nei quali esse
svolgono un ruolo strumentale subalterno, ovvero con bassi gradi di indipendenza decisionale.
Non necessariamente il livello al quale va ricercata la vitalità economica coincide con quello di
gruppo complessivamente inteso, se è vero che la progettualità d’insieme trova per lo più origine
nel sistema di offerta che un complesso aziendale propone nel proprio contesto competitivo e che
realizza attraverso l’interazione di parti anche diverse dall’intero gruppo, quando questo si sia
sviluppato secondo direzioni conglomerali eterogenee
9
.
D’altro lato vi è invece la situazione di unità di gruppo alle quali sono riconosciuti spazi fecondi di
indipendenza decisionale, correlati a impegni che responsabilizzano la direzione al conseguimento
di risultati strategici, reddituali e sociali a valere per le stesse e - congiuntamente - per il gruppo
nel suo complesso.
Questa fattispecie fa riferimento ad unità aziendali nelle quali è preservata l’identità fra soggetto
decisionale e confini istituzionali, rispetto ai quali il soggetto di gruppo si pone per avallare o
stimolare le scelte di fondo elaborate localmente, rendendo competitivo il contesto finanziario di
svolgimento della gestione e soprattutto assicurando la compatibilità di tale contesto con quello
degli altri business perseguiti a livello di gruppo.
In altri casi si ha poi un interessamento in modo più diretto da parte del soggetto di gruppo, il
quale riesce a coniugare l’obiettivo di assicurare una ragion d’essere relativamente autonoma
all’unità di cui progetta le linee di sviluppo e di cui assicura l’indipendenza economica, con quella
di ritrarre un vantaggio per il gruppo. Vantaggio, questo, di tipo sostanzialmente indiretto, cioè
riflesso al gruppo per effetto del tradursi del vantaggio competitivo, realizzato dalla controllata, in
uno reddituale a valere per le unità sovrastanti della catena di controllo o in flussi finanziari
allocabili nel contesto dell’intero complesso.
8
È di particolare interesse il confronto tra la visione aziendalistica del sistema di indirizzo e i risvolti giuridici di tale problema, per
una sintesi dei quali si rinvia a G. Marchetti, Sul controllo e sui poteri della controllante. Relativamente ad una nozione di controllo
come posizione che legittima il potere di direzione unitaria, scrive tale Autore, ibidein, che: «La generale imputazione alla
controllante di operazioni compiute dalla controllata, di operazioni squisitamente gestorie ... conferma che l’influenza dominante
copre uno spazio che comprende, appunto, non solo la nomina, ma la successiva condotta degli amministratori della controllata».
Ed ancora «indubbiamente il controllo, se legittima la direzione delle imprese di gruppo da parte della controllante, non vanifica la
rilevanza delle “società” di gruppo come centro autonomo d’interessi e di volontà ... e può quindi essere pure fonte, per essa, di
responsabilità probabilmente (contrattuale) nei confronti della società del gruppo, di creditori e soci terzi, sempre che,
naturalmente ricorra un danno non giustificato da specifici vantaggi compensativi».
9
Ci si riferisce alla situazione di gruppi nei quali, oltre alla sola diversificazione legata al soddisfacimento di bisogni diversi, su
mercati articolati e con tecnologie varie, la crescita del gruppo non è connotata dalla prevalenza di «un’attività rispetto alle altre,
ma proprio per la sostanziale equidistribuzione dei suoi impegni produttivi, finanziari e di marketing fra i diversi settori-mercati»,
secondo la concezione esposta in M. Rispoli, Le strategie.
11
Il diverso ruolo che il soggetto economico viene a stabilire all’interno del sistema di gruppo può
essere sinteticamente «tipizzato» in due situazioni alternative.
La prima fa riferimento all’attitudine di tale soggetto a sfruttare le sinergie, di vario ordine, che
appaiono implicite in un sistema formato da più parti eterogenee, sinergie che portano ad incidere
sul comportamento delle singole unità rispetto a quello che le stesse avrebbero tenuto al di fuori
di un sistema di gruppo. Nel caso in cui il sistema veda la presenza di unità prive di una vitalità
economica propria, l’influenza è in genere orientata a recuperare la progettualità di complesso (o
di sottocomplesso), la sola suscettibile di essere valutata nelle dimensioni secondo le quali
vengono apprezzati i progetti d’impresa.
Diversamente, quando la vitalità economica è delle unità aziendali, il soggetto di gruppo stimola
l’integrazione e il sincronismo delle complementarità possibili (di ordine finanziario o relative alla
gestione di particolari funzioni aziendali) talché i vantaggi, di per sé ritraibili già a livello di singola
unità, vengono enfatizzati soprattutto dalla osservazione dell’intero insieme
10
.
La seconda situazione è invece evocativa di un comportamento che vede nelle diverse realtà di
gruppo complessi la cui pluralità assicura di per se stessa, senza la necessità di particolari azioni di
coordinamento, un bilanciamento del binomio rendimento-rischio, specie quando il gruppo abbia
caratterizzato il proprio sviluppo secondo una direzione conglomerale eterogenea.
Questa fattispecie di approccio è più difficilmente compatibile con le situazioni contrassegnate
dalla assenza di vitalità economica di alcune consociate, perché in tal caso parti più o meno
significative del gruppo sono suscettibili di rappresentare fattori di potenziale minaccia per il
complesso, posto che la loro presenza non trova giustificazione razionale nell’ambito dell’insieme.
È invece questa una situazione del tutto normale nei gruppi in cui la vitalità economica delle
singole unità aziendali, sebbene non venga effettivamente rafforzata dal sostegno dell’insieme,
tuttavia trova spiegazione e giustificazione nel sistema di micro-equilibri che concorrono a
qualificare l’investimento del soggetto di controllo, secondo una logica di portafoglio
11
.
10
Scrive L. Caselli, Dalla grande impresa al gruppo. Un preliminare modello interpretativo: «La forza e l’efficacia di un progetto di
gruppo (specie di tipo imprenditoriale) poggia da un lato sull’esistenza di risorse di coesione e nel contempo di propulsione
(sinergie interne derivanti da capitali, uomini, tecnologie, know-how, cultura, ecc.); dall’altro sulla capacità di multiposizionamento
rispetto alle molteplici dimensioni dell’ambiente generando interazioni e sinergie esterne. Stà in ciò il fondamento ultimo ovvero
la genesi del surplus di valore che la struttura a gruppo è potenzialmente in grado di aggiungere alle parti o aziende componenti,
surplus misurabile e valutabile non solo in termini di incrementi di fatturato, diminuzione dei costi, riduzione delle necessità di
investimento, aumento dei livelli di differenziazione rispetto ai concorrenti, ma anche di moltiplicazione delle opportunità di
impiego delle risorse disponibili nonché di crescita dei gradi di controllo e di libertà nei confronti dell’ambiente sia inglobandone
porzioni significative sia rafforzando il posizionamento (e quindi la capacità di anticipo e/o di risposta) nei confronti delle diverse
manifestazioni e articolazioni dell’ambiente stesso».
11
Riguardo al contenimento del rischio patrimoniale si veda M. Marano, La struttura di gruppo nell’economia dell’impresa: «Qualora si
gestiscano combinazioni economiche contraddistinte da dimensioni medie o grandi, l’adozione della struttura di gruppo può essere
rivolta a separare il generale sistema delle operazioni aziendali in nuclei distinti, ciascuno svolto nella forma della società di capitali
da un soggetto giuridico appositamente istituito» ... «va peraltro ricordato come la sistematica ricerca di condizioni di separazione
e contenimento del rischio patrimoniale possa riverberarsi negativamente sulla funzionalità economica del gruppo, in ispecie
laddove a seguito di dissesti di singole società operative si manifesti una perdita di fiducia degli stakeholders e, in particolare, dei
finanziatori nei confronti del gruppo».