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Lavoro contadino – foto di Mario Giacomelli
INTRODUZIONE
Durante gli ultimi 150 anni, l’agricoltura è stata uno dei settori fondamentali dello
sviluppo dell’Italia, capace di garantire crescita e stabilità a tutto il sistema economico
nazionale.
Nel corso del XX secolo, questo settore ha mutato completamente la sua struttura e il suo
rapporto con la società, soprattutto a partire dalla fine della II guerra mondiale.
Il movimento di lotta e di rivendicazione del mondo contadino nel secondo dopoguerra
ha conosciuto una decisa intensificazione, e con ciò ha favorito importanti processi di
ammodernamento. A tale proposito vanno citate la Riforma Fondiaria (attraverso la
quale, grazie a interventi caratterizzati da enormi lavori di bonifica e di trasformazione, le
terre migliorate sono distribuite tra coloni prima e tra assegnatari poi) e il cosiddetto
“Lodo De Gasperi”, una proposta di Legge, avanzata nel 1946, dall’allora Presidente del
Consiglio Alcide De Gasperi, che aveva l’obiettivo di stabilire rapporti più equi e corretti
tra proprietari, latifondisti e contadini, per la maggior parte braccianti. In sintesi, la Legge
prevedeva di risarcire ai contadini i danni di guerra e imponeva ai latifondisti di assumere
mano d’opera disoccupata. In questo modo, si tentava di riavviare i cicli produttivi,
offrendo un impiego a chi non lo aveva e, sul piano economico, si operava per realizzare
una maggiore circolazione di denaro e per sottrarre alla miseria una delle classi sociali
più deboli.
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In questo periodo, l’intera struttura economica e sociale dell'Italia si avvia verso un
mutamento radicale, determinando una trasformazione del paese da agricolo-industriale a
paese a forte prevalenza industriale. L'agricoltura perde così il suo primato nella struttura
economica nazionale: si riduce radicalmente l'occupazione agricola e si realizza una forte
migrazione verso le città o verso l'estero. Il fenomeno dell'esodo agricolo, già in corso
dalla metà dell'Ottocento, conosce, infatti, una rapida accelerazione negli anni Cinquanta
e Sessanta. Contemporaneamente si sviluppa un settore industriale capace di assorbire i
lavoratori espulsi dall’ambito agricolo. La produzione agricola, tuttavia, cresce
rapidamente grazie alla progressiva meccanizzazione derivante dall’applicazione delle
nuove tecnologie. Il tasso di produttività di ogni lavoratore agricolo aumenta
vertiginosamente facendo raddoppiare l’intera produzione. A mutare sono anche
l'organizzazione del settore e le stesse abitudini di consumo: si riduce l'autoconsumo
delle famiglie contadine e aumentano i consumi di beni secondari anche nelle zone rurali,
dove, con l’arrivo dei servizi idrici ed elettrici, si realizza una pur lieve urbanizzazione.
L'impiego della tecnologia ha, infine, trasformato il settore agricolo in un complesso
sistema agro-alimentare, in cui industria, agricoltura e commercio sono settori
profondamente integrati.
I nuovi orientamenti produttivi fanno affermare a Giuseppe Medici che “la storia è in
pieno svolgimento […..]; storica proprio perché dopo due millenni di agricoltura
promiscua, esercitata da contadini muniti di zappa o di vanga o, talvolta di aratro,
intenti a produrre anzitutto i loro alimenti, comincia ad affermarsi un’agricoltura
specializzata, che comporta l’integrale meccanizzazione di tutte le operazioni colturali e
produce quasi esclusivamente per il mercato” (G. Medici, 1970).
Lo sviluppo interessa principalmente le zone di pianura del nord Italia, ben irrigate e
collegate ai mercati di sbocco dalle infrastrutture ferroviarie e autostradali, rafforzando
quel divario dualistico, tra Nord e Sud non risolto ancora oggi.
A partire dai primi anni ’70, il diffondersi dei processi di industrializzazione e la crescita
dei settori terziari e della pubblica amministrazione favoriscono, inoltre, l’affermazione e
la crescita di aziende agricole part-time o pluriattive, dove i familiari e gli stessi
conduttori si impegnano anche in attività extragricole.
In quegli anni, la produttività del lavoro agricolo aumenta ulteriormente rendendo le
remunerazioni salariali più consistenti, anche perché, il progresso tecnico ha ridotto
drasticamente i tempi di lavoro delle singole operazioni colturali e un numero sempre
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maggiore di colture risultano poco intensive e non necessitano di eccessiva manodopera.
L’occupazione agricola, negli anni ’90, assume una diversa fisionomia: in molte aree,
soprattutto del Nord, vi sono difficoltà a reperire manodopera qualificata e numerose
operazioni vengono effettuate ricorrendo a servizi esterni alle aziende, con la rapida
diffusione del settore terziario, capace di fornire a numerose aziende servizi
meccanizzati, che vanno dalla raccolta a una serie di altre operazioni colturali (aratura,
semina ecc.). Il contoterzismo, nato come conseguenza alla necessità delle aziende
agricole di diminuire gli investimenti in macchine riducendo gli immobilizzi di capitale,
risponde ai criteri di flessibilità degli ordinamenti produttivi delle aziende più moderne e,
allo stesso tempo, permette alle aziende di minori dimensioni di usufruire delle
innovazioni tecnologiche.
Nel corso degli anni ’90, si afferma una vera industria agroalimentare, con il passaggio
della trasformazione dei prodotti dalle aziende agricole a imprese artigianali e industriali
sempre più efficienti. In questo modo, l’intero comparto diventa uno dei principali settori
dell’industria manifatturiera, con la costituzione di grandi gruppi e l’affermarsi di veri e
propri distretti.
Un altro importante elemento del processo di trasformazione dell’intera catena alimentare
italiana è rappresentato dall’affermazione progressiva della grande distribuzione, che ha
cambiato profondamente i rapporti fra i diversi attori interessati.
Il cambiamento nella struttura dei consumi alimentari, soprattutto per l’affermarsi dei
processi di imitazione e di “europeizzazione”, sposta l’attenzione dei consumatori sulla
cosiddetta “dieta mediterranea”, mostrando un maggior interesse verso le produzioni
tipiche e di qualità, che caratterizzano, sempre più numerose, le realtà regionali e locali
italiane.
In conclusione, le trasformazioni descritte (sintetizzate nella Tabella 1) hanno consentito alla
nostra agricoltura di dare un forte impulso al progresso economico del Paese e di incidere
sulla qualità della vita, facendo leva sulle peculiarità delle nostre produzioni
agroalimentari, esaltandone i tratti della tipicità e della genuinità. Per il forte legame
esistente tra territorio, storia e cultura, il sistema agroalimentare italiano potrebbe avere
ancora l’occasione di affermarsi nel nuovo scenario economico mondiale.
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Tabella 1 - Tavola riassuntiva delle trasformazioni socio-economiche e dei consumi alimentari in Italia
I grandi cambiamenti socio-economici in Italia
• Incremento demografico seguito successivamente da un rallentamento del tasso di crescita e da
un progressivo invecchiamento della popolazione
• Spostamenti campagna-città, Sud-Nord
• Aumento del flusso migratorio
• Rapido sviluppo economico
• Diffusione di nuove forme di lavoro
• Crescente terziarizzazione e coinvolgimento della manodopera femminile
• Aumento del reddito disponibile
• Ampliamento e unificazione del mercato interno
• Apertura ai mercati internazionali (1957, Comunità Economica Europea).
Le trasformazione dei consumi alimentari nel secondo dopoguerra
Quantitativa (+217 % tra il 1951 e il 1997)
• Aumento demografico
• Aumento reddito
• Elevata elasticità prezzi/reddito e variazioni prezzi
Qualitativa
• Importanza delle caratteristiche del prodotto
• Trasformazione del prodotto, importanza dell’industria agroalimentare
• Servizi incorporati (marketing, etichette, etc.)
L’oggetto di analisi della tesi è l’opportunità che il comparto dei prodotti tipici potrebbe
rappresentare per il nostro Paese nella crisi economica internazionale. La sua
valorizzazione, infatti, appare come un elemento decisivo di rilancio dello sviluppo rurale
che punti al ripristino e alla rivalutazione della storia, del paesaggio, della cultura e delle
tradizioni dell’agricoltura multifunzionale. Lo studio è strutturato in tre capitoli, nei quali
si analizza il tema sotto l’aspetto generale evidenziandone punti di forza e criticità.
Nel primo capitolo viene messa in evidenza l’evoluzione del concetto di ruralità
attraverso i tre modelli teorici: ruralità agraria, ruralità industriale e post-industriale.
Il secondo capitolo contiene la descrizione delle caratteristiche delle produzioni tipiche
dal punto di vista della politica della qualità.
Il terzo capitolo si concentra sulla valorizzazione delle produzioni tipiche certificate del
nostro sistema agricolo alimentare, come sfida sul mercato interno e internazionale.
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CAPITOLO 1
AGRICOLTURA E RURALITA’: un’analisi evolutiva
In base alle origini etimologiche e alle definizioni riportate nei dizionari la parola
“rurale”
1
risulta strettamente collegata all’agricoltura. Comunemente usata come
sinonimo di “agricoltura”, la parola “rurale” ha, tuttavia, un significato che include anche
la sfera sociale e il territorio. Infatti, se nella percezione comune i due termini vengono
considerati sinonimi, alludendo sia alle tecniche produttive agricole che al tessuto
economico sociale di un particolare ambiente naturale con le sue specificità ecologiche, i
due termini hanno un loro significato chiaro: il termine “agricoltura” indica le attività
inerenti alla coltivazione e all’allevamento di animali, mentre il termine “ruralità” ha una
definizione più ampia, comprendendo anche agli aspetti sociali, economici e territoriali.
Tuttavia, tale similitudine ha permesso che, per lungo tempo, si assumesse il peso
percentuale dell’agricoltura, in termini di tasso di occupazione, come misura del grado di
ruralità e per separare le aree rurali da quelle urbane.
Il concetto di ruralità (“rus – ruris” = campagna) e la sua evoluzione nel tempo hanno
portato all’identificazione di tre modelli teorici di analisi qualitativa:
1. ruralità agraria (anni ’50 e ’60)
2. ruralità industriale (anni ’60 e ’90)
3. ruralità post-industriale (dagli anni ’90 fino ai giorni nostri)
riassunta, alla fine della trattazione in tabella 2.
1 .1. RURALITÀ AGRARIA
Nell’Italia del secondo dopoguerra il settore prevalente era ancora l’agricoltura (41% in
Italia e 60% circa nelle Marche) e, per conseguenza, il livello generale di sviluppo e
benessere del territorio rurale risultava direttamente condizionato dal settore primario.
1
Nei principali vocabolari della lingua italiana troviamo al termine “rurale” le seguenti definizioni: Nuovo Zingarelli ed Enciclopedia
Zanichelli (2007): “della campagna, che riguarda la campagna. Chi abita e lavora in campagna”; Devoto-Oli (2011) “relativo alla
campagna (spesso contrapposto a urbano)”.