INTRODUZIONE
La revisione degli ordinamenti didattici dei corsi di laurea promossa dal DM 270 del 2004
1
offre la
possibilità di rivalutare le offerte formative di ogni facoltà. In particolare le considerazioni
riguardanti il corso di laurea in Infermieristica sono riconducibili al peso da attribuire ai CFU teorici
e professionalizzanti, al valore dei crediti influenzati dalle capacità di apprendimento di ogni
singolo studente, ai contenuti ed ai metodi di insegnamento, alle risorse disponibili ed
all’articolazione del piano di studi.
L’applicazione del decreto in oggetto non mira esclusivamente ad una semplice organizzazione
delle risorse ma ad una riflessione sulle scelte culturali e formative da intraprendere per
migliorare la qualità della formazione.
L’idea di un equilibrio tra gli ambiti scientifici e quelli umanistici del corso prende le mosse proprio
da tale decreto riuscendo così a promuovere lo sviluppo del concetto di cura relativo ad ogni
persona.
Per sostenere tale progetto l’assistenza poggia le sue basi sulla relazione d’aiuto tra l’operatore
sanitario e il paziente, sull’educazione terapeutica affinchè il paziente comprenda la patologia e
quindi la nuova condizione di vita e di ruolo che lo vede protagonista.
L’integrazione tra la componente scientifica e la componente umana al corso di Infermieristica
fornisce le basi allo studente per comprendere e conoscere l’uomo non solo dal punto di vista
naturale, biologico, fisico e chimico, ma anche da quello psicologico e sociale, facilitando le
competenze relazionali, educative e tecniche richieste all’infermiere dal codice deontologico del
2009 (capo I, articolo 2
2
).
La componente formativa umanistica mira a formare e a sviluppare nello studente quella
componente valoriale che gioca un ruolo fondamentale nella prassi etica che la scienza pone nella
pratica quotidiana.
Inoltre si aumenta l’interesse verso la visione olistica dell’uomo e dei suoi bisogni considerando
maggiormente quelle discipline che rientrano nel quadro più complesso delle scienze umane. Lo
studio dell’uomo visto non solo come sintesi biologica e chimica ma come complessa unità
individuale e singolare la cui storia e personalità sono aspetti imprescindibili nella cura dell’uomo
e quindi della persona.
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Decreto 22 ottobre 2004, n. 270: modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia
didattica degli atenei, approvato con decreto del ministro dell’università e della ricerca scientifica e
tecnologica 3 novembre 1999, n. 509
2
L’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso
interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico – scientifica, gestionale,
relazionale ed educativa.
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Se l’obiettivo è quello di rinnovare il concetto di cura, la componente umanistica all’interno del
corso di studi in Infermieristica svolge un ruolo fondamentale. L’assistenza infermieristica mira
all’uomo nella società, all’uomo che gioca nella vita relazionale di tutti i giorni un determinato
ruolo, quindi l’aspetto sociologico ed antropologico sono inscindibili nella formazione di ogni
studente infermiere. Le competenze fornite dal corso di scienze umane non permettono
esclusivamente uno studio sull’altro, ovvero il paziente e la collettività, ma anche sull’individualità
dello studente stesso che attraverso l’atto infermieristico sancisce il rapporto con l’assistito,
inteso come comunità o come singolo. In questa relazione, la componente morale di entrambi
detta le regole di condotta verso un rapporto che mira al ripristino dell’equilibrio psicofisico.
L’infermiere viene ad essere un soggetto attivo la cui capacità di agire rientra in una cornice
valoriale in cui il rispetto dell’uomo è condizione necessaria per assistere e per realizzare
concretamente l’idea della salute come bene fondamentale del singolo e della collettività.
Lo studio delle scienze umane in campo infermieristico permette una riflessione sull’uomo nei
termini di persona e di malato. Persona intesa come essere che vive nel fitto intreccio di relazioni
instaurate nel mondo sociale in cui vive e malato inteso nel complesso quadro del mancato
equilibrio psicosociale.
In virtù di tali riflessioni, la tesi è organizzata in modo tale da permettere un excursus storico
relativo alla nascita delle discipline costituenti il complesso quadro delle scienze umane (capitolo
1 e 2), un approfondimento legato alla dimensione umana nella formazione scientifica (capitolo 3)
ed il modo in cui le principali facoltà italiane di Infermieristica organizzano e valutano il corso di
scienze umane grazie all’analisi degli ordinamenti didattici di facoltà (capitolo 4 e 5).
1. LE SCIENZE UMANE
Introduzione
Il primo capitolo è scritto con l’intenzione di introdurre il periodo entro il quale le scienze
umane si sviluppano le nuove scienze (par. 1.1.), un periodo in cui il valore
dell’oggettività e dello studio della realtà assumono un significato preponderante nella
cultura ottocentesca tanto da sottoporre l’uomo stesso ad oggetto di analisi (par. 1.2.).
Partendo da quest’ottica, il paragrafo 1.3. si preoccupa di sottolineare quali discipline
siano appartenenti alla grande categoria delle scienze umane, quali la psicologia (par.
1.3.1), la sociologia (par. 1.3.2.), l’antropologia (1.3.3.), la pedagogia (1.3.4.) e la filosofia
morale (1.3.5.), descrivendone i caratteri generali che le caratterizzano.
3
Nella cultura dell’età positivistica, alcune discipline, che precedentemente erano
appannaggio della filosofia, guadagnano una maggiore autonomia da quest’ultima e dai
suoi metodi deduttivo – speculativi, per costituirsi come branche del sapere individuali
per metodo e contenuti. Questo processo affonda le proprie radici in un pensiero che
riservava alla filosofia un ruolo esclusivamente epistemologico, negandole di contribuire
direttamente alla conoscenza dei singoli ambiti oggettuali, campo d’indagine delle singole
scienze.
È proprio in quest’ottica che il positivismo reclama l’estensione dei metodi di indagine,
oggettivi e controllabili, sul modello di quelli delle scienze tradizionali ( matematica,
fisica, biologia), anche allo studio dei fenomeni più complessi dell’esperienza umana, che
diventano oggetto di studio delle discipline psicologiche, culturali e sociali. Psicologia,
pedagogia, sociologia, antropologia sono discipline concernenti l’uomo, inteso come
individuo o collettività, che non rientrano più nella giurisdizione del sapere filosofico, ma
costituiscono un campo d’indagine proprio ed interdipendente, che può essere riassunto
nella denominazione di scienze umane.
La prospettiva teorica delle scienze umane attribuisce valore all’esperienza sensibile e
all’osservazione, nel tentativo di pervenire per via induttiva a tipologie generali di
descrizione della realtà per questo uno dei metodi più utilizzati è la comparazione, che
interpreta i dati osservati alla ricerca di uniformità e differenze tra fenomeni. Inoltre
l’uomo, nella sua integrità psico-fisica, viene ad essere oggetto d’indagine, alla stregua di
ogni fenomeno naturale; l’uomo e la società in cui vive costituiscono oggetto specifico
d’indagine. L’ambiente, quale esso sia, fisico, sociale o culturale, assume notevole
rilevanza nella vita dell’uomo e nella sua storia: questo è il punto di partenza che
evidenzierà lo stretto rapporto tra uomo ed ambiente.
Fondamentale è stata, per gli studiosi di scienze umane, la domanda relative al metodo di
indagine utilizzabile tra due correnti opposte. Molti studiosi si sono posti una domanda
fondamentale relativa al metodo che queste discipline debbano utilizzare per studiare
l’uomo. Per molti, il tipo di conoscenza che si può ottenere relativamente ai fatti umani è
identico a quello che si può ottenere dai fatti naturali e di conseguenza il metodo
utilizzato da scienze della natura dovrebbe essere lo stesso anche per le scienze dell’uomo.
Altri, invece sostengono che l’esistenza di una diversità di fondo tra natura e uomo si
rispecchia in una diversità di metodo. Nel campo delle azioni umane è impensabile
un’esattezza e una precisione, perché l’aspetto motivazionale sottende a fattori non
quantificabili, come l’intenzione, la volontà ed il desiderio di ogni singolo uomo.
1.1 Le scienze umane, le nuove scienze
4
Le conoscenze umane sono di vario tipo e grado si è soliti assegnare il valore di “scienza”
a quelle conoscenze che, tra tutte, ci appaiono attendibili e la cui validità ci è pienamente
provata e dimostrata.
Uno dei requisiti cardine di un sapere a cui si vuole assegnare l’attributo di scientifico è
quello della sua riproducibilità in tempi diversi per mano di differenti persone. Se questa
possibilità venisse meno, verrebbe a mancare una condizione base dell’attendibilità del
sapere scientifico, quella conoscenza rimarrebbe unicamente soggettiva ed individuale. La
riproducibilità di un sapere indica la sua impersonalità e quindi il suo carattere
puramente oggettivo, “una conoscenza è oggettiva non quando è vera, ma quando è non –
soggettiva, cioè quando viene formulata secondo dei criteri che la rendono impersonale”
(Volontè, Lunghi, Magatti, & Mora, 2002).
L’oggettività quindi non viene ad essere necessariamente sinonimo di verità di
conoscenza; la fisica, la chimiche ed in generale le discipline scientifiche sono tali non
nella misura in cui dicono la verità, ma nella misura in cui ciò che dicono vale
indipendentemente da chi lo dice. Il carattere scientifico di una disciplina risiede nella
misura in cui si sforza di rendere il proprio sapere oggettivo, ovvero impersonale,
comunicabile agli altri e riproducibile. Questo è possibile quando alle prove empiriche,
vengono formulati argomenti logicamente conseguenti ( le teorie ).
1. 3. Discipline che rientrano nelle scienze umane
1.3.1. Storia e caratteri della psicologia
La psicologia ha per oggetto l’anima o la coscienza della vita animale ed in particolare di
quella umana. In particolare si concentra sugli eventi, considerati come puramente
“mentali”, ovvero come fatti di coscienza, o come eventi oggettivamente osservabili
(movimenti, comportamenti).
La psicologia si è costituita per la prima volta nell’ambito filosofico con Aristotele, nel De
Anima, nel quale descrisse l’anima come “sostanza nel senso di forma, ovvero è essenza di
un determinato corpo. Così se uno strumento, ad esempio, una scure fosse un corpo
naturale, la sua essenza sarebbe di essere scure, e quest’essenza sarebbe la sua anima”
(Cioffi, Luppi, Vigorelli, & Zanette, Corso di filosofia, storia e testi, l'età antica e
medievale, 2001). L’anima è intesa come un presupposto fondamentale dalla quale è
1.2. Cosa intendiamo per scienza : il criterio dell’oggettività
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possibile studiare un principio unico e semplice, una sostanza necessaria, dalla quale è
possibile dedurre le determinazioni che gli eventi posseggono. La psicologia viene ad
essere così descritta come scienza deduttiva dell’anima, nella quale i fenomeni particolari
entrano esclusivamente come conferma del singolo teorema.
Dall’ottocento fino ad anni più recenti, la psicologia si presenta divisa in una serie di
scuole, che si differenziano tra loro per metodi ed indirizzi concettuali specifici. (Cioffi,
Luppi, Vigorelli, & Zanette, Corso di filosofia, storia e testi, l'età antica e medievale, 2001)
La psicologia scientifica viene ad essere una di queste. Nel XIX secolo si era negata la
possibilità della nascita e dello sviluppo di una psicologia empirica, risolvendola in un
quadro di interesse proprio dell’antropologia descrittiva Kant infatti scriveva: “deve
rimanere sempre lontana dal grado di scienza della natura, propriamente degna di questo
nome, la dottrina empirica dell’anima < poiché la matematica non è applicabile ai
fenomeni del senso interno e alle loro leggi” (Geymonat, Storia del pensiero filosofico e
scientifico dall'800 al 900, 1977). Ciò che mancava era il riconoscimento di due concetti
fondamentali, il primo riguardava la valutazione del rapporto tra eventi psichici ed eventi
fisici mediata dall’azione del sistema nervoso, il secondo dall’introduzione di qualche
procedimento di misura. Ciò si realizzò grazie all’opera di Helmholtz, Weber e Fechner; il
primo riusciva a misurare l’impulso nervoso, il secondo descriveva il concetto che
evidenziava il rapporto tra lo stimolo e la sensazione, l’ultimo, invece, stabiliva la
legge”psicofisica fondamentale” che consisteva nella formula matematica esprimente la
legge di Weber. Spencer nei Principi di psicologia (1855) asseriva che “la psicologia si
distingue dalle scienze sulle quali poggia *dall’anatomia e dalla fisiologia] perché ciascuna
delle sue preposizioni prende in considerazione sia il fenomeno interno connesso sia il
fenomeno esterno connesso, al quale si riferisce”. Dall’empirismo inglese, la psicologia
desunse due aspetti fondamentali, l’atomismo e l’associazionismo, cioè la spiegazione di
fenomeni più complessi da elementi ultimi, quali le sensazioni, le emozioni elementari ed
i riflessi semplici (Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico dall'800 al 900,
1977).
Con la psicologia della forma o gestaltismo, i cui fondatori sono Wertheimer, Kohler e
Koffa, non l’elemento ma la forma totale il fatto fondamentale della coscienza, in modo
che questa forma non è mai riconducibile ad una somma o ad una combinazioni di
elementi. Pur mantenendo ben saldo il concetto della psicologia scientifica, cioè che i fatti
di coscienza sono studiati dalla psicologia nella loro connessione funzionale con i
fenomeni esterni, il gestaltismo non parla più di fatti di coscienza ma di forme o
configurazioni o campi, intesi nella loro struttura totale. Questa corrente si è occupata
maggiormente delle percezioni, analizzandole con una mole importante di lavoro
sperimentale.
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Le psicologie abissali o del profondo considerano la psicologia come scienza
dell’interpretazione. La psicoanalisi, la maggiore tra le correnti abissali, l’interpretazione
desume il suo punto di partenza dal sintomo. Nell’interpretazione del sintomo si segue
un’unica e specifica regola, cioè quella di ridurre il sintomo a simbolo o ad un’espressione
di un bisogno.
Infine, la psicologia funzionale o funzionalismo, il cui oggetto vengono ad essere le
funzioni dell’organismo, intese come unità indivisibili. Il metodo che utilizza è
riconducibile a quello oggettivo o comportamentistico: le funzioni vanno studiate per
osservazione oggettiva. La novità portata in atto dalla psicologia funzionalista è il suo
carattere probabilistico, cioè l’idea di negare alle capacità conoscitive umane, il carattere
di certezza e di riconoscere la loro validità probabile.
1.3.2. Il Pensiero Sociologico
Il pensiero sociologico nasce con l’intento di comprendere aspetti dell’attività umana che
non sono riconducibili a condizionamenti biologici né a volontà e scelta individuale.
Lo studio della sociologia viene ad essere lo studio dei condizionamenti storico – sociali,
visti come il consolidarsi di attività organizzate precedentemente in strutture che
risultano essere vincolanti per gli individui.
Questo non nega la libertà individuale ma questa dev’essere concepita all’interno dei
condizionamenti. La presa di coscienza di questi da parte dell’individuo, non limita la
libertà di quest’ultimo ma permette all’uomo di controllare i condizionamenti stessi.
L’idea che la sociologia non possa tener conto dei più complessi ed articolati problemi
strutturali, storici, economici e politici è impensabile perché questi agiscono sull’uomo a
sua insaputa. Proprio per questo, la sociologia non può limitarsi a registrare
comportamenti ma deve svelare i condizionamenti mostrandone la variabilità storica, la
loro trasformabilità e la possibilità dell’azione.
Storicamente il termine sociologia venne coniato da A. Comte nel 1838 proprio con
l’intento di indicare “la scienza di osservazione dei fenomeni sociali” in contrasto con le
filosofie che pretendono di illustrare, indipendentemente dai fatti, la natura della società
come un tutto.
Si possono distinguere due concetti fondamentali della sociologia quella sintetica, che ha
come oggetto la totalità dei fenomeni sociali, e la sociologia analitica, avente per oggetto
di studio gruppi o aspetti particolari dei fenomeni sociali.
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Inizialmente la sociologia nasce come scienza che delinea, mediante leggi rigorose, un
ordine necessario e lo sviluppo di quest’ordine. Comte infatti amava definirla anche
“fisica sociale”, conseguentemente la sociologia avrebbe dovuto occuparsi di “percepire il
sistema generale delle operazioni successive, filosofiche e politiche, che devono liberare la società
dalla sua fatale tendenza alla dissoluzione imminente e condurla direttamente ad una nuova
organizzazione, più progressiva e salda di quella che riposava sulla filosofia teologica”.
Secondo Spencer, la sociologia è una scienza descritta il cui compito è quello di
determinare le leggi dell’evoluzione superorganica, cioè quelle leggi che regolano il
progresso dell’organismo sociale. (Izzo, 1994)
La maggiore realizzazione della sociologia sistematica è il trattato di sociologia generale
(1916 – 1923) di Vilfredo Pareto, che segna l’inizio della crisi della sociologia sistematica.
Pareto vuole organizzare la sociologia come una scienza positiva che indaga “la realtà
sperimentale mediante l’applicazione dei metodi che hanno fatto le loro prove in fisica, chimica,
astronomia, biologia e nelle altre scienze”
Nella scienza il carattere fondamentale è, per Pareto, il carattere “logico – sperimentale”
che implica due elementi: il ragionamento logico e l’osservazione del fatto. Lo scopo delle
scienze rimane quello di formulare leggi che descrivono una situazione di equilibrio
sociale. Ma egli insiste fortemente anche sul concetto che ogni fenomeno reale è dovuto
all’intersecarsi di un certo numero di leggi differenti, sottolineando quindi che ogni
spiegazione scientifica è solo approssimativa e parziale.
Il passaggio dalla sociologia sintetica a quella analitica è segnato anche dall’opera di
Durkheim, che sostiene “ciò che esiste, ciò che solo è dato all’osservazione, sono le società
particolari che nascono, si sviluppano, muoiono indipendentemente l’una dall’altra”. Inoltre
Durkheim insiste sul carattere esterno dell’oggetto della scienza sociale, i “fatti sociali”, per
il sociologo, “consistono in modi di agire, pensare esterni all’individuo e dotati di un potere di
coercizione per il quale gli si impongono” (Curcio, 2005, p. 176). Questo significa considerare i
fatto sociali come qualcosa indipendente dai pregiudizi soggettivi e dalle volontà
individuali.
Lo stesso principio guida è formulato anche da Weber egli riconosce come oggetto della
sociologia l’atteggiamento umano, inteso come azione umana che è riferita agli
atteggiamenti degli altri, che è determinata e che può essere spiegata. Inoltre Weber
sottolinea come punto focale nel suo pensiero sociologico la netta separazione tra la
ricerca empirica e le valutazioni etiche, politiche. Dall’opera di Weber scaturisce anche
l’esigenza della ricerca empirica particolare, questa solo può determinare le uniformità di
atteggiamento costituenti proprio l’oggetto della sociologia.
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Dall’opera dei suoi padri fondatori europei, la sociologia si è sviluppata, dapprima in
America e poi nel resto del mondo, assumendo vari contorni: dalla sociologia urbana a
quella delle migrazioni, dalla sociologia della cultura di massa e dei mass-media a quella
della conoscenza e così via. Negli ultimi decenni non sono mancate alcune teorie generali
riconducibili a quattro grandi famiglie: da quella funzionalista, con Parsons, a quella
dell’interazionismo simbolico e dell’etnometodologia di Mead, a quella del
conflittualismo di Collins fino alla political economy e la teoria dello scambio e della
scelta razionale di Homans.
1.3.2.a. La teoria moderna di Parsons, l’integrazione sociale e l’azione umana
L’aspetto fondamentale enunciato nella teoria parsoniana è quello dell’integrazione in una
società composta da gruppi etnici diversi, e del concetto di azione umana; in quest’ultimo
aspetto individua tre elementi: l’attore, come colui che compie l’atto, il fine, l’obiettivo
verso cui è orientato l’agire umano e la situazione, quella di partenza, le cui linee
differiscono in misura maggiore o minore dalla situazione verso la quale è orientata, cioè
quella di fine.
L’azione può essere studiata, per motivi analitici, in relazione alla personalità di chi la
compie (la psicologia); dalla cultura, dai segni e dai simboli comuni che permettono
l’interazione (l’antropologia culturale); dal punto di vista delle relazioni che intercorrono
tra i vari soggetti agenti (la sociologia stessa).
Si può parlare allora di due sistemi, dove sistema assume il significato di rete di rapporti
tra soggetti agenti che appunto agiscono in base a posizioni ad essi assegnati nella rete di
rapporti. Il sistema di personalità, che descrive le aspettative nei confronti degli oggetti e
degli individui ed il sistema dei segni e dei simboli, che rendono possibile le interazioni e
che costituiscono un sistema coordinato.
In questo contesto, la cultura viene ad essere: “costitutiva della personalità. Senza le necessarie
risorse culturali, che devono essere assimilate mediante il processo di interiorizzazione, non è
possibile l’emergere di un livello umano di personalità, e di conseguenza lo sviluppo di un tipo
umano di sistema sociale” (Izzo, 1994, p. 285). Il sistema sociale perciò richiede la personalità
formatesi per agire nel sistema attraverso l’interiorizzazione dei principi della cultura.
Parsons descrive tre elementi chiave dell’azione umana: quello catetico, in ogni azione
umana c’è una motivazione a raggiungere conseguenza positive ed evitare le negative;
quello conoscitivo, che descrive come la motivazione può insorgere solo se c’è una
sufficiente conoscenza della situazione; l’elemento valutativo, l’esigenza di scegliere tra le
diverse alternative presenti nella situazione.
9
Il sistema sociale è sì definito in termini di interazioni come relazioni tra soggetti agenti,
specificate in termini di status
1
e di ruoli
2
, ma ha anche una vita indipendente rispetto ai
singoli individui, questi infatti possono occupare una serie di status ed esercitare ruoli in
una seri di sistemi. Per esempio lo status di medico o di paziente in un sistema
ospedaliero ed i loro rispettivi ruoli, esistono e si svolgono in termini indipendenti e
prevedibili anche a prescindere dalla loro personalità.
Il soggetto descritto da Parsons ha delle aspettative nei riguardi dell’altro e viceversa.
L’altro viene ad assumere le fattezze non solo di persona definita ma anche di reazioni
assunte dagli altri; quest’ultime possono essere sanzionatorie nei confronti dell’ego (il
soggetto), il quale cercherà di conformarsi così come farà l’alter nei suoi confronti.
Le aspettative perciò fanno riferimento ai ruoli. La reciprocità delle sensazioni e delle
aspettative stesse nei confronti dei singoli ruoli costituiscono l’istituzione
3
. Per esempio
“la proprietà privata è un’istituzione nel senso che comporta l’aspettativa di reciproci
comportamenti da parte di chi la detiene come da parte di chi non la detiene” (Izzo, 1994, p. 287).
Nella realtà esistono diversi sistemi tra loro differenziati, questi si diversificano tra loro in
seguito alle alternative di ruolo che si presentano al soggetto agente nel corso della sua
azione, al soggetto possono presentarsi diverse alternative ma in numero limitato e
definito, ciò che Parsons chiama appunto come variabili strutturali. Il combinarsi di
queste segue determinate regole perché è necessario che debbano integrarsi in un sistema
che sia talmente coerente da permettere il suo mantenersi nel tempo.
1.3.3. L’antropologia
Per molto tempo l’antropologia si è identificata con lo studio della società primitiva, si è
quindi spesso associata all’archeologia e all’inventario degli usi e costumi dei popoli
esotici, oggetto - soggetto del suo studio. Il suo fine è quello però di trascendere i
particolarismi che potrebbero derivare da tale studio e di pensare l’umanità nel suo
1
Parsons intende con questo termine le posizioni sociali, rispetto agli altri in un sistema di
relazioni intese come struttura.
2
Con questo termine si intendono le attività del soggetto agente collegate alla sua posizione, ciò
che compie nelle sue relazione con gli altri.
3
Un’unità di strutture sociali di ordine più elevato del ruolo perché composta da una pluralità di
modelli di ruolo interdipendenti e di loro componenti.
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insieme. Questa tensione tra particolarismo ed universalismo caratterizzerà in toto
l’evoluzione storica dell’antropologia.
Nello studio delle società “primitive” non bisogna concepire il concetto di “primitivo”
come un sinonimo di arretratezza socio - culturale della società in analisi, ma fa
riferimento al carattere singolare di questa in rapporto a tutte le altre società di tipo
storico. (Kilani, 2002).
Proprio per questo motivo, aspetto fondamentale per gli antropologi è quindi il metodo
della comparazione; le attività dell’antropologo non potrebbero che essere comparative
perché non c’è affermazione, sociale o culturale, che si possa fare su uno sfondo vuoto. In
un certo modo le attività dell’antropologo si avvicinano a quelle dello storico; in effetti
anche quest’ultimo è vincolato alla necessità di comparare, la differenza risiede nel fatto
che per lo storico l’aspetto preponderante è l’originalità ed il carattere particolare dei fatti
che prende in esame, mentre per l’antropologo sono le proprietà generali della materia ad
assumere una forma centrale nel proprio corpus di studi. Anche se, a volte, un
antropologo dà priorità al particolare è solo perché è interessato alla totalità di una società
o di una cultura. (Freedman, 1979).
L’interesse verso i “costumi” umani e dei vari popoli inizia nel Settecento, grazie agli
innumerevoli contatti con le civiltà extra – europee. Tanto è vero che a Parigi, verso la fine
del XVIII secolo, si costituisce la “Società degli osservatori dell’uomo”, che pur avendo
vita breve ( dal 1799 al 1805 ) raccoglie una notevole mole di materiale interdisciplinare su
ciò che riguarda le varie società.
Ma precedentemente Vico, nella Scienza Nuova, aveva argomentato sulla categoria del
primitivo ed in particolare sull’enunciazione del criterio del verum – factum e dei tre
principi della storia delle nazioni: religione, matrimoni e sepolture. Questi tre principi si
intersecano tra loro, nel senso che, per Vico, ogni “nazione” sorge quando tra gli uomini si
affermano culti, matrimoni e riti funebri; in ogni momento del proprio sviluppo, ogni
società si conserva in virtù di questi costumi. La società descritta da Vico segue tre
principi cardini nella sua evoluzione storica: quello gnoseologico, il cronologico e
l’ontologico. Questi principi descrivono come una società nasca con l’affermarsi di tali
costumi ( principio gnoseologico e cronologico ) e che nessuna società umana possa
esistere senza culti, nozze e sepolture ( principio ontologico ), (Cioffi, Luppi, Vigorelli, &
Zanette, 2000).
Gli studi sulle società “primitive” guideranno l’antropologia fino al XX secolo, quando
con la fine della seconda guerra mondiale, si applicheranno i metodi dell’antropologia al
mondo industriale e che, sotto la spinta di una richiesta sociale, si valorizzeranno i
patrimoni culturali nazionali e locali. L’antropologo inizierà a lavorare, non su società
“altre”, ma sulla propria e per realizzare ciò dovrà rimettere in discussione la nozione di
11
distanza dal proprio oggetto di studio, questo per due motivi: il primo perché le società
del Terzo Mondo tendono a somigliare, dal punto di vista economico e politico, alle
società europee ed in secondo luogo perché lo sguardo alle società industriali riprende le
modalità di approccio utilizzate per quelle esotiche.
1.3.3. a. Le correnti principali del pensiero antropologico
Il discorso antropologico si avvale ovviamente di varie correnti che hanno segnato
l’evoluzione storica dell’antropologia stessa.
La corrente evoluzionista si afferma nella seconda metà del XIX secolo. Si basa sul
concetto di Lamarck, relativo al trasformismo, e su quello di Darwin, concernente
l’origine della specie attraverso la selezione naturale. Come nel mondo naturale è
possibile osservare una diversificazione delle specie ed un perfezionamento costante nella
capacità di adattamento all’ambiente, analogamente nel mondo sociale è possibile rilevare
un passaggio dal semplice al complesso e un miglioramento dei sistemi sociali nei settori
economico, politico e religioso. In questo modo “l’evoluzionismo è combattuto tra una filosofia
teleologica della storia, caratterizzata dalla credenza in un destino ascendente della civiltà, e una
visione della storia che vede quest’ultima come determinata da fattori predominanti, che, a seconda
degli autori, possono essere quello biologico (Darwin), quello tecnologico (Morgan), quello
economico (Marx) e quello spirituale (Frazer)” (Rivière, 1998, p. 35-36).
Le tappe dello sviluppo si collocano su una linea evolutiva e si diversificano tra i vari
autori, per Comte si parla di uno stadio teologico, metafisico, positivo, Ferguson e
Morgan descrivono uno stadio selvaggio, barbaro e civile, Marx analizza una società
schiavista, che poi evolve in quella feudale, capitalista e socialista.
Altra importante corrente del pensiero antropologico è quella del diffusionismo, questa
mette in discussione l’idea evoluzionista dello sviluppo per fasi, mirando allo studio
geografico di determinati tratti culturali. Questa corrente appare nel XX secolo ed è
rappresentata da tre grandi scuole: quella britannica, secondo cui tutte le civiltà derivano
da quella egiziana; la scuola austro-tedesca, che si avvale degli studi di linguistica e della
storia, e quella americana che sviluppa le proprie idee partendo dagli studi sul campo e
da ricostruzioni storiche a raggio limitato.
Negli anni Trenta, si sviluppa in seno alla scuola di antropologia culturale la corrente di
“cultura e personalità”; questa definisce la cultura come l’insieme dei comportamenti
appresi e trasmessi attraverso l’educazione, l’imitazione ed il condizionamento in un
determinato ambiente sociale. Gli esponenti di questa scuola hanno cercato di
comprendere come la cultura sia presente negli individui e come orienti loro
comportamenti.