2
1. L’impresa multinazionale
Si definisce multinazionale un‟impresa che detiene una rilevante
partecipazione azionaria (in genere il 50% o più) in una o più aziende operanti in
un paese estero e che persegue, svolgendo funzioni di produzione e di vendita in
diverse aree geografiche, una gestione integrata delle risorse disponibili nel
mercato interno e in quelli esteri. Alla luce di questa definizione, un‟Impresa
Multinazionale (IMN), deve quindi verificare due requisiti fondamentali:
uno strutturale, che richiede che l‟azienda sia organizzata in forma
di gruppo, con una società madre che detiene più del 50% dei voti
spettanti agli azionisti o che ha diritto a nominare o sostituire la
maggioranza dei membri degli organi amministrativi, direttivi o di
sorveglianza delle società figlie, parte delle quali ubicate in un
paese diverso dal proprio;
uno di gestione imprenditoriale, che fa riferimento alla direzione
unitaria e centralizzata delle attività avviate nelle varie parti del
mondo, cioè al carattere d‟integrazione conferito alla gestione delle
operazioni domestiche e internazionali
1
.
Il fenomeno della diffusione delle IMN si è pienamente sviluppato dagli
anni Sessanta del secolo scorso, quando un cospicuo numero di aziende industriali
americane ha dato avvio a una serie di Investimenti Diretti all‟Estero (IDE);
secondo le definizioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e
dell‟Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) l‟IDE è
«un investimento in un‟impresa estera nella quale l‟investitore possiede almeno il
10% delle azioni ordinarie, effettuato con l‟obiettivo di stabilire un interesse
duraturo nel paese estero, una relazione a lungo termine e una significativa
1
Cfr. per il requisito strutturale: BARBA NAVARETTI G., VENABLES A. J. (2006), Le multinazionali
nell’economia mondiale, Il Mulino, p. 12; per il requisito di gestione imprenditoriale: SCIARELLI S. (1973),
L’impresa multinazionale, Giannini editore, p. 29.
3
influenza nella gestione dell‟impresa»
2
. A differenza dei semplici investimenti di
portafoglio, gli IDE si caratterizzano per due aspetti fondamentali:
il “movimento” o la “formazione” di capitale all‟estero;
l‟acquisizione del “controllo” gestionale di attività svolte al di fuori
dei confini nazionali
3
.
A differenza del semplice investimento di portafoglio, che rappresenta
l‟operazione attraverso cui un investitore finanzia dall‟esterno un certo progetto,
dando luogo a una movimentazione verso l‟estero di capitali nazionali, l‟IDE è
attuato anche attingendo capitali di credito nello stesso mercato estero, cedendo
licenze o reinvestendo utili non distribuiti delle controllate estere; inoltre l‟IDE,
come suggerisce il BERTIN, sta a indicare, in genere, «l‟insieme delle risorse in
moneta, o valutate in moneta, apportate in un‟impresa da un investitore straniero,
che partecipa direttamente all‟attività di questa»
4
, definizione che, quindi,
sottolinea la natura prevalentemente, ma non esclusivamente, finanziaria
dell‟apporto e che mette in luce anche il secondo aspetto che caratterizza l‟IDE:
mentre nell‟investimento di portafoglio, il finanziatore non intende gestire le
attività cui ha rivolto la sua attenzione, nell‟IDE l‟investitore prende parte
direttamente alla conduzione dell‟attività oggetto della transazione. E‟ bene
rilevare, che il concetto di controllo legato a un IDE deve intendersi in senso
piuttosto ampio, nonostante che le definizioni del FMI e dell‟OCSE facciano
riferimento a una quota di partecipazione minima ben precisa (10%) nel capitale
delle consociate estere: indipendentemente dal fatto che l‟investimento riguardi la
totalità, la maggioranza o la minoranza del capitale oppure la creazione di una
joint venture, se un soggetto riesce a esercitare, di fatto, un controllo sull‟azienda,
inteso come capacità effettiva, ad esempio, attraverso un accordo contrattuale, di
governare e godere di una maggior porzione dei diritti residuali, il controllo, e
2
Cfr. BARBA NAVARETTI G., VENABLES A. J. (2006), op. cit., p. 13.
3
Cfr. SCIARELLI S., op. cit. (1973), p. 36.
4
V. BERTIN G. (1963), Investissement en France, Presses Universitaires de France, Paris; cit. in SCIARELLI
S., op. cit..
4
quindi anche l‟investimento, può essere senz‟altro classificabile come “diretto”
5
; è
corretto affermare, inoltre, che la differenza tra le due forme d‟investimento
potrebbe essere individuata anche nel diverso orizzonte temporale delle
operazioni: breve per l‟investimento di portafoglio, medio - lungo per l‟IDE.
Alla luce di questa definizione, si può affermare che l‟IDE rappresenti la
condizione necessaria, ma non anche sufficiente, alla politica di espansione
dell‟IMN; affinché operazioni domestiche ed estere siano gestite in maniera
unitaria e coordinata, le attività oggetto d‟investimenti effettuatati all‟estero non
possono non essere direttamente e stabilmente controllate dalla multinazionale.
E‟ importante ricordare la distinzione effettuata da parte della dottrina
economico aziendale tra “impresa esportatrice”, “impresa con mercato
internazionale” ed “impresa multinazionale”
6
. Il carattere d‟internazionalità della
prima discende soltanto da un ampliamento dell‟area di vendita al di là dai confini
nazionali; la seconda vede nell‟espansione all‟estero un fatto meramente
commerciale e si preoccupa poco di sfruttare le possibilità di integrazione delle
operazioni produttive, finanziarie e distributive svolte in campo internazionale; la
terza è caratterizzata dagli attributi di struttura e di gestione imprenditoriale
precedentemente illustrati. Nell‟ambito della categoria delle imprese
internazionali, è opportuno richiamare che la stessa dottrina ha individuato altre
due classi: le “imprese transnazionali” e le “holding internazionali”. Le “imprese
transnazionali” si distinguono per il fatto, che management e proprietà
dell‟azienda non hanno composizione prevalentemente nazionale e, soprattutto,
per il maggior peso attribuito alle attività svolte all‟estero rispetto a quelle
domestiche; utili indici per indicare l‟importanza relativa dei diversi mercati, sono
forniti dal rapporto tra fatturato realizzato all‟interno e all‟estero ed eventuale
presenza sul territorio straniero di centri di Ricerca e Sviluppo (R&S). Tuttavia,
poiché il percorso evolutivo delle IMN ha insegnato che questo tipo di aziende
5
Sul problema del governo “economico” dell‟impresa v. ZATTONI A. (2006), Assetti proprietari e
corporate governance, Egea.
6
Cfr. SCIARELLI S. (1973), op. cit..
5
tende ad accrescere negli anni il volume di affari realizzato al di fuori dei confini
nazionali (e, tralasciando la questione della nazionalità degli organi di governo
dell‟azienda, alla luce soprattutto del processo di globalizzazione dell‟economia),
le “imprese transnazionali” possono essere considerate un tipo particolare di IMN,
cioè quelle aziende dotate del più elevato grado di multinazionalità. Le “holding
internazionali” invece non rispondono al requisito di gestione imprenditoriale che
caratterizza le IMN, in quanto, attuando all‟estero degli investimenti puramente
finanziari, lasciano un‟elevatissima autonomia gestionale ai centri di produzione
dislocati all‟estero; riguardo ciò è bene puntualizzare che anche le multinazionali
concedono dei margini di autosufficienza alle proprie consociate, tuttavia per
questo tipo di organizzazioni si riscontra sempre la presenza nell‟organigramma di
un centro di coordinamento in grado di assicurare la stretta integrazione
direzionale ed operativa tra attività domestiche ed estere.
Dal punto di vista storico, alcuni autori
7
intravedono già nelle Compagnie
Coloniali del XVII secolo alcuni tratti tipici delle IMN, giacché queste furono i
primi tipi di società che, seppur non svolgessero attività propriamente industriali,
diedero luogo a investimenti permanenti in paesi esteri, movimentando non più
solamente denaro e merci, bensì anche tecnologie produttive e forza lavoro.
Tuttavia, si può più correttamente affermare che, i primi tipi di società che hanno
presentato le già citate caratteristiche strutturali e imprenditoriali tipiche delle
IMN, siano state aziende statunitensi ed europee, come la Singer o la Nobel
8
;
queste società, trovandosi a uno stadio avanzato del proprio processo di
espansione nazionale, verso la metà del XIX secolo, avviarono una politica di IDE
verso quei paesi, dove la domanda di propri prodotti registrava interessanti tassi
d‟incremento; da un certo punto in poi, la convenienza economica di servire i
mercati stranieri, attraverso una propria rete d‟impianti e centri di vendita
all‟estero, portò queste aziende a preferire gli IDE alle esportazioni. Tali forme
7
V. MC NULTY P. J. (1972), Predecessors of the multinational corporation, Columbia Journal of World
Business, may; cit. in SCIARELLI S. (1973), op. cit..
8
Sul punto v. SCIARELLI S. (1973), op. cit..
6
d‟investimento, tra l‟altro, riguardavano la movimentazione di capacità
direzionali, oltre che di capitali, e la concessione di licenze, marchi e brevetti.
Come detto in precedenza, tuttavia, è solo dopo la Seconda Guerra
Mondiale che è possibile parlare dell‟inizio di una vera e propria fase di
espansione delle IMN su scala mondiale, a causa soprattutto del massiccio
intervento del capitale americano nelle economie dei diversi paesi coinvolti nel
conflitto; più precisamente, MUROLO individua cinque motivi alla base della
diffusione nel Secondo Dopoguerra degli IDE in Europa da parte delle
multinazionali statunitensi
9
:
la raggiunta condizione di pace dei paesi industrializzati;
l‟egemonia del dollaro in seguito agli accordi di Bretton Woods
10
;
l‟evoluzione dei sistemi di comunicazione;
il raggiungimento di un regime d‟indipendenza politica da parte di
alcuni paesi (con conseguente apertura di relativi mercati di
sbocco);
la costituzione del Mercato Comune Europeo.
Sugli ultimi due fattori vale la pena fare una più precisa riflessione: la
costituzione di un‟unione doganale tra paesi europei (con gli anni destinata ad
allargarsi sempre più, fino agli attuali 27 Stati) sollecitò notevolmente le aziende
statunitensi a compiere investimenti diretti in Europa, da un lato perché il mercato
così formato era molto vicino, per dimensioni e struttura, a quello statunitense,
dall‟altro perché i concorrenti interni non avevano la capacità di competere sullo
stesso livello delle aziende americane, maggiormente solide dal punto di vista
della dotazione tecnologica, del reperimento dei mezzi di finanziamento e delle
strutture organizzative. Gli IDE americani in Europa furono quindi favoriti in
9
Cfr. MUROLO A. (1981), Investimenti diretti e attività industriali all’estero: un contributo allo studio
delle multinazionali, Liguori.
10
Le caratteristiche principali degli accordi di Bretton Woods furono due: l'obbligo per ogni paese di
adottare una politica monetaria tesa a stabilizzare il tasso di cambio ad un valore fisso rispetto al dollaro,
che venne così eletto a valuta principale; l‟assegnazione del compito di risolvere gli squilibri causati dai
pagamenti internazionali al Fondo Monetario Internazionale. Sull‟argomento v. DELL‟OREFICE A., GIURA
V. (2001), Nascita e sviluppo dell’economia contemporanea, Edizioni scientifiche italiane.
7
primo luogo dalla supremazia statunitense in campo politico, che consentì agli
investimenti diretti di essere posti al riparo da rischi politici e, in secondo luogo,
dal fatto che la già poco sviluppata industria europea fu costretta a curare le
profonde ferite interne derivanti dalle distruzioni belliche e a fronteggiare una
grave mancanza di fonti finanziarie.
Allontanando il discorso dalle ragioni contingenti al periodo del Secondo
Dopoguerra, è possibile individuare due ordini di ragioni generali alla base dello
sviluppo multinazionale delle aziende: uno di tipo macroeconomico e un altro
aziendalistico.
Dal punto di vista economico generale, gli IDE, e quindi i processi di
sviluppo multinazionale delle aziende, possono essere giustificati dalla Teoria del
Ciclo del Prodotto (TCP), così come illustrata da studiosi quali HIRSH e VERNON
11
.
La TCP si colloca nell‟ambito delle moderne teorie del commercio internazionale,
le quali offrono una valida interpretazione del cambiamento dei rapporti di
scambio tra gli Stati; secondo la TCP, il ciclo tradizionale del prodotto si sviluppa
secondo tre stadi: novità, in cui il prodotto è fabbricato solo nel paese innovatore;
maturità, in cui prende avvio l‟esportazione; standardizzazione, in cui inizia la
produzione all‟estero. Il principio su cui si basa la TCP è che l‟investimento
iniziale in una produzione è motivato dall‟individuazione di un bisogno
insoddisfatto e dalla possibilità di soddisfarlo, conseguendo pro tempore una
posizione di monopolio, prima all‟interno e in seguito, quando la domanda
comincia a saturarsi, all‟estero. Tuttavia, una volta che i prodotti terminano il
secondo stadio, s‟innesca un processo d‟imitazione da parte di concorrenti
stranieri, i quali riescono a porsi in una situazione di vantaggio nei confronti del
primo produttore, poiché non sono costretti a sostenere i “costi dell‟innovazione”;
di conseguenza, giacché vede minacciati i propri profitti non solo sul mercato
estero, ma anche, col tempo, su quello domestico, il produttore - innovatore
11
V. HIRSH S. (1967), International competitiveness, Clarendon press, Oxford; VERNON R. (1966),
International investment, Quarterly journal of economics, may; cit. in SCIARELLI S. (1973), op. cit..
8
ricorre a IDE sia per sfruttare maggiori economie di scala, sia per bloccare il
processo imitativo da parte d‟imprenditori locali.
Un‟altra interessante teoria economica che spiega la diffusione delle IMN è
quella dei Vantaggi Oligopolistici, così come elaborata da HYMER
12
: le
imperfezioni di mercato sono alla base di quei vantaggi di marketing, tecnologici e
manageriali delle IMN nei confronti dei produttori di certi paesi; i vantaggi di
marketing sono connessi con una migliore differenziazione del prodotto e più
efficaci politiche promozionali e distributive; i vantaggi tecnologici sono collegati
alle disponibilità d‟invenzioni, brevetti, tecnologie e attrezzature; i vantaggi
manageriali, infine, sono connessi con la superiorità dei quadri direzionali rispetto
a quelli presenti nei mercati stranieri. Inoltre, il KINDLEBERG si è riferito anche ad
altri vantaggi, quali le economie di scala interne ed esterne legate all‟integrazione
verticale e orizzontale e le limitazioni governative sulla produzione e
sull‟importazione
13
. L‟asimmetria informativa, che occorre quando una delle parti
coinvolte in una transazione ha informazioni che l‟altra non possiede, da origine a
una struttura oligopolistica di mercato, che consente ad alcune aziende di andare
oltre una situazione di mera esportazione di prodotti finiti e attuare un vero e
proprio investimento diretto all‟estero; l‟IDE, in condizioni di mercato perfetto,
risulterebbe svantaggioso, poiché i produttori nazionali godrebbero dei vantaggi
della migliore conoscenza dell‟ambiente economico interno, di centri decisionali e
operativi più vicini, di una maggiore integrazione nell‟economia nazionale e di
rischi di cambio cui andrebbero soggette le imprese estere.
Appare rilevante osservare quindi, che mentre la TCP individua l‟aspetto
“difensivo” che motiva l‟IDE, la Teoria dei Vantaggi Oligopolistici ne rileva
invece l‟aspetto “offensivo”.
12
V. HYMER S. (1960), The international operations of National firms: a study of direct investment, M.I.T.
doctoral dissertation, Cambridge; cit. in SCIARELLI S. (1973), op. cit..
13
Cfr. KINDLEBERGER C. P. (1969), The international corporation, M.I.T. Press, Cambridge; cit. in
MUROLO A. (1981), op. cit..
9
La questione della crescita dimensionale delle organizzazioni è alla base
dell‟ordine delle ragioni aziendalistiche degli IDE: lo sviluppo dimensionale di
un‟azienda, infatti, costituisce una delle condizioni necessarie per la
sopravvivenza dell‟organizzazione nel lungo periodo, che meglio consente
l‟adattamento della stessa ai cambiamenti dell‟ambiente esterno. La strategia di
sviluppo multinazionale costituisce l‟evoluzione della strategia di espansione
“internazionale” che può essere definita come «la politica diretta ad assicurarsi in
modo sistematico nuovi sbocchi all‟estero per le produzioni poste in essere in
patria o direttamente nei paesi stranieri»
14
; chiaramente l‟espansione
“internazionale”, diventa “multinazionale”, quando sono confermati i requisiti di
struttura e gestione imprenditoriale illustrati in precedenza.
Passando dunque all‟analisi del punto di vista aziendalistico, lo sviluppo
multinazionale consente di migliorare e consolidare i risultati della gestione
attraverso tre vie:
la crescita del volume di affari;
il miglior uso delle risorse internazionali;
la diversificazione dei rischi di gestione
15
.
Le prime due modalità si collegano soprattutto all‟obiettivo dell‟aumento
del profitto globale, mentre la terza è legata fondamentalmente all‟esigenza di
stabilizzare il reddito aziendale.
La crescita del volume di affari e, di conseguenza, delle dimensioni
aziendali è sicuramente analizzabile alla luce della TCP: gli IDE mirano a difendere
la posizione conquistata non solo in altri paesi, ma anche nel mercato domestico.
Tuttavia, il concetto d‟investimento “difensivo” trova una minore attendibilità dal
punto di vista dello sviluppo multinazionale, in cui il focus non è una singola
operazione d‟investimento, bensì una più articolata politica generale di gestione:
lo sviluppo multinazionale si manifesta, quando un‟azienda «vende e investe in
14
Cfr. SCIARELLI S., op. cit. (1973), p. 69.
15
Sull argomento v. SCIARELLI S. (1973), op cit..
10
quei paesi che sembrano offrire le maggiori possibilità di profitto e di
remunerazione dell‟investimento nel tempo lungo»
16
, cioè, quando un‟impresa
orienta la sua attività secondo una visione globale delle opportunità di mercato e
delle occasioni d‟investimento in campo internazionale. L‟IMN, in altre parole, si
lascia guidare dalla comparazione dei saggi di profitto ottenibili all‟estero e
all‟interno e dalla massimizzazione del reddito complessivo nel lungo periodo;
questo è un concetto molto vicino, ma più complesso, di quello analizzato dalla
“Teoria dei Vantaggi Oligopolistici”, che sintetizza, invece, il lato “offensivo”
degli IDE, poiché fa riferimento a quell‟abilità “imprenditoriale” e quello spirito
d‟iniziativa, che contraddistinguono certi gruppi aziendali di maggiori dimensioni.
Anche il miglior uso delle risorse internazionali contribuisce a
massimizzare il profitto globale nel lungo periodo; l‟ottica di analisi si basa sulle
tesi di PENROSE, secondo cui la migliore utilizzazione delle risorse disponibili
all‟interno di un‟azienda contribuisce al suo successo economico
17
: l‟esistenza di
capacità inutilizzate nell‟impresa induce, in seguito, a ricercare all‟esterno le
opportunità di crescita. Questa prospettiva, che si potrebbe definire “from the
inside to the outside”, trova giustificazione se ci si pone nell‟ambito di analisi
della “Teoria dei Vantaggi Oligopolistici”, soprattutto considerando i vantaggi
tecnologici e manageriali che sono alla base del processo di sviluppo delle IMN. I
vantaggi tecnologici sono, come descritto in precedenza, nel tempo destinati ad
appianarsi, per via dei processi d‟imitazione innescati dalla concorrenza: per cui,
lo sviluppo multinazionale contribuisce a sfruttare su scala internazionale la minor
durata utile dell‟invenzione o dell‟applicazione tecnologica. Il vantaggio
manageriale invece costituisce non solo un fattore interno da sfruttare più
efficacemente col procedere dello sviluppo dimensionale, ma anche la risorsa
basilare per avviare tale processo.
16
Cfr. MIRACLE G.E.(1967), International advertising in RYANS J.-BAKER J.C., World marketing, a
multinational approach, Wiley, New York ; cit. in SCIARELLI S. (1973), op. cit..
17
Cfr. PENROSE E. (1963), The theory of the growth of the firm, Blackwell, Oxford; cit. in SCIARELLI S.
(1973), op. cit..
11
L‟elemento rischio, infine, va valutato sotto due distinti profili: quello che
si riferisce a ciascun‟attività all‟estero e quello invece più generale, che riguarda
l‟intero portafoglio d‟investimenti effettuati. Riguardo al primo, si può affermare
che la maggiore rischiosità intrinseca di un IDE rispetto a un investimento simile
nel mercato interno, deve essere bilanciata non solo dai tre già citati vantaggi
oligopolistici, ma anche dalla possibilità di sfruttare economie di scala e di scopo
o di reperire fondi, laddove si trovino con maggior facilità e più a buon mercato.
Riguardo il secondo, la diversificazione degli investimenti in diversi paesi
senz‟altro giova alla riduzione del rischio di portafoglio, in quanto, non legando le
sorti dell‟investimento a quelle dell‟economia di un particolare paese, consente di
compensare le alterne vicende congiunturali che, di periodo in periodo, si
presentano in ciascuna nazione
18
.
Terminata l‟analisi di quelle che sono considerate le ragioni sottostanti allo
sviluppo multinazionale delle imprese, si può osservare come il processo di
penetrazione all‟estero segua di solito cinque fasi, che presentano gradi d‟impegno
e di rischiosità crescenti. Come sostiene SCIARELLI, «la difficoltà di muoversi in
un ambiente non familiare, l‟impossibilità in molti casi di prevedere lo sviluppo
delle vendite, la necessità di cominciare a fare esperienza nel modo meno
rischioso, sono tutti elementi che spingono ad attuare inizialmente un‟attività di
esportazione dei prodotti finiti, per poi passare a forme più stabili di presenza
all‟estero»
19
. Le fasi principali del processo di espansione internazionale sono
dunque:
18
Sull‟ argomento v. MISHKIN F. S., EAKINS S. G., FORESTIERI G. (2007), Istituzioni e mercati finanziari,
Pearson Paravia, Mondadori.
19
Cfr. SCIARELLI S. (1973), op. cit., p. 72.