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L’incontro con il gruppo di lavoro organizzatore del Campus, mi ha dato
l’opportunità di scoprire la straordinaria importanza dell’operato dell’Ing. Sisto
Mastrodicasa il quale, vero e proprio maestro e pioniere nel campo del
consolidamento edilizio e nello studio della teoria della fatiscenza muraria, ha
visto la continuazione della sua opera nel lavoro di divulgazione ed
approfondimento dell’Ing. G.Tosti, il quale scrive:
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«I giovani laureati in medicina apprendono il “linguaggio” dei
sintomi, perché possono contare sull’importantissima opportunità
dell’esperienza in “corsia” dove per alcuni anni, quotidianamente,
sperimentano le conoscenze teoriche acquisite nelle aule universitarie assistiti
ed accompagnati dai loro stessi docenti.
Non hanno la stessa fortuna i giovani laureati in ingegneria ed
architettura, il cui ingresso nel mondo del lavoro è troppo spesso traumatico
perché vissuto in totale solitudine.
Ancora più preoccupante è, per il giovane tecnico inesperto, l’ingresso
nello specifico campo della fatiscenza muraria perché in tale ambito alla
mancanza di esperienza si aggiunge la carenza di preparazione scientifica, alla
quale il sistema universitario non sembra voler dare risposta.
I corsi di scienza e tecnica delle costruzioni sono quasi integralmente
dedicati allo studio delle tipologie costruttive in calcestruzzo e in ferro. Solo in
pochissimi casi sorgono corsi marginali dedicati allo studio dei materiali
tradizionali. Indifferenza grave e inquietante, se si pensa che il nostro
patrimonio edilizio (non solo quello di elevata valenza storico-monumentale) è
realizzato prevalentemente in muratura ed è costantemente aggredito,
danneggiato, distrutto.
Tutto ciò nonostante gli studi, le ricerche, la codificazione scientifica che
il Mastrodicasa, in settanta anni di duro lavoro, ha raccolto in uno
straordinario trattato, consegnandolo agli uomini responsabili della nuova
generazione con un accorato invito:
iv
“... E da augurarsi che gli studiosi e gli sperimentatori perseverino in
queste ricerche.
Perché le lesioni murarie, nelle loro multiformi manifestazioni
deformative e fessurative. non sono altro che un silenzioso lamento delle
strutture sopraffatte da eccessivi e sempre più gravi cimenti e una invocazione
per sollecitare l’intervento del tecnico. E dunque necessario che di questo
lamento e di questa invocazione il tecnico intenda il linguaggio traendone il
significato dalle deformazioni e dalle fessurazioni, dalle manifestazioni esteriori
cioè, annunciatrici dei dissesti...” »
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In seguito a questa esperienza ho poi deciso di seguire, nonostante fosse al
di fuori del mio piano di studi, il corso tenuto dall’Ing.Fulvio Resta di
"Recupero e conservazione degli edifici", avendone compreso l’importanza per
la formazione di un ingegnere-architetto che dovrà andare ad operare in un
contesto come quello italiano, così denso di testimonianze del nostro passato,
che devono senza dubbio essere conservate, recuperate, e valorizzate. Esse,
infatti, rappresentano un patrimonio unico ed irripetibile, una sorta di carta di
identità, che non possiamo permetterci di lasciare abbandonata a se stessa in un
degrado capace di cancellare ogni traccia di testimonianza storica e culturale.
Oggi, purtroppo sempre più spesso, si deve registrare un elevato stato di incuria
e disinteresse, dovuti anche alla consapevolezza della consistente spesa
economica necessaria per la conservazione dei beni culturali, a fronte di una
minore rendita. In questo quadro si inseriscono molte realtà dei centri storici
liguri, di cui San Remo rappresenta, in alcuni suoi aspetti, un caso emblematico.
L’incontro con la competenza, la disponibilità e la professionalità
dell’Ing.Resta, che proprio nell’operato del Mastrodicasa trova i fondamenti del
suo insegnamento, mi ha convinto che fosse l’occasione migliore per affrontare
un lavoro di tesi che fosse il più vicino possibile alla realtà lavorativa e che fosse
realmente un intervento realizzabile, lo studio del quale mi avrebbe potuto
fornire ulteriori fondamentali strumenti per avvicinarmi all’esercizio futuro della
professione.
Ho infatti scelto questo tema di tesi perché volevo confrontarmi con la
complessa realtà di un lavoro reale di recupero e di adeguamento di un edificio
storico della mia città. Lo svolgimento di tale compito mi ha infatti posto di
fronte a problemi diversi, ma interconnessi tra loro in un complesso disegno
unitario. Lo sforzo è stato per me grande, ma molto stimolante poiché mi ha
consentito di abbracciare un po' tutti gli aspetti della progettazione nel campo
del recupero edilizio: l'analisi storica, il rilievo, la rifunzionalizzazione
distributiva, la riabilitazione strutturale, la progettazione impiantistica, la
rappresentazione grafica e la ricerca tecnologica.
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NOTE DI CHIUSURA
i
Salviamo il Salvabile rappresenta il tentativo di accompagnare le nuove generazioni di tecnici
nel difficile percorso che conduce dall’ambito teorico delle aule universitarie all’ambito applicativo
del mondo del lavoro. Giuseppe Tosti ha pensato e voluto questo Campus itinerante come una sfida,
uno stimolo ai neoingegneri e neoarchitetti a salvare ciò che è ancora salvabile del prezioso patrimonio
artistico che gli uomini e il tempo ci hanno generosamente lasciato. Le lezioni pratiche all’interno
degli edifici sono state integrate da lezioni teoriche in aula svolte da autorevoli docenti universitari e
professionisti.
ii
Giuseppe Tosti consegue la laurea in ingegneria civile nel 1957. Nello stesso anno inizia la sua
collaborazione con Sisto Mastrodicasa, che prosegue nel tempo in ambito professionale e
universitario. Dal 1988 è socio fondatore e presidente dell’Associazione Sisto Mastrodicasa, istituita
per incentivare la ricerca, lo studio e l’applicazione delle metodologie e tecnologie di indagine e
intervento per il restauro del patrimonio architettonico dissestato. È attualmente impegnato, in Italia e
all’estero, in qualità di esperto nella disciplina della diagnosi e terapia dei dissesti statici. E autore di
numerose pubblicazioni e i suoi lavori sono citati in vari testi, universitari e non, e nelle maggiori
riviste specializzate.
iii
Giuseppe Tosti: intervento tenuto presso l’Università di Bologna il 28/05/2004
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Sisto Mastrodicasa: Dissesti statici delle strutture edilizie, Hoepli, 1993
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1-Sanremo
1.1 - La storia
Nel territorio di Sanremo la più antica testimonianza di homo erectus,
ritrovata a Bussana nella grotta della Madonna dell’Arma, risale all’ultima
glaciazione quaternaria. Attorno al 1960 si effettuarono degli scavi (ripetuti
anche recentemente) lungo il versante orientale della collina della Pigna, non
lontano dal torrente San Francesco, e il risultato fu un’insperata quantità di
manufatti, per lo più raschiatoi e coltelli di forma particolare, detti “a dorso
abbattuto”.
Nel vicino centro rurale di Bajardo sono state ritrovate le ultime tracce
della cultura celto-ligure di Intemeli e Ingauni, antiche popolazioni del ponente
ligure che contennero le invasioni dei Greci, ma non riuscirono a impedire
l’ingresso di gruppi provenienti dal centro Europa che, in maniera per lo più
pacifica, si fusero con la popolazione locale, dando origine a ceppi celti-liguri.
Stessa cosa avvenne in Provenza, e anche da questa terra vi furono migrazioni
verso la costa ligure. Certe feste dei paesi dell’entroterra conservano ancora
tracce degli antichissimi retaggi.
La scoperta, sotto l’attuale via Cappuccini, di una necropoli databile a
poco prima del 100 d.C., ha permesso di individuare nella bassa collina detta “il
Piano”, la sede del nucleo più antico della Sanremo romana. I resti di due ville
rurali dell’epoca hanno fornito dati sugli usi e l’organizzazione sociale degli
antichi inquilini: quella che sorgeva allo sbocco del torrente Foce, risalente al III
secolo d.C., nota oggi come Villa Matutiana, possedeva anche un proprio
complesso termale.
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Dal 180 a.C. i Romani, invasori vittoriosi, sovrapposero la loro cultura a quelle
preesistenti; il nome dell’insediamento divenne allora proprio “Villa Matutiana”,
dal nome della dea dell’aurora o, più prosaicamente, dalla gens Matutia,
un’importante famiglia locale romanizzata il cui probabile capo aveva nome
Mattucius. La gens Matutia, a sua volta, doveva forse il suo nome ad una
divinità di origine asiatica, la Mater Matuta. Il nome attuale deriva da San
Romolo, vescovo di Genova, patrono della città, che intorno al VII-VIII secolo
si rifugiò in una grotta ai piedi del Monte Bignone (1298 metri, sul quale è stato
individuato e in parte scavato un castellaro, una primitiva fortificazione posta a
difesa dei pascoli sottostanti). La trasformazione del nome di San Romolo in
San Remo avvenne presumibilmente nel corso del XIV secolo e dal ‘400 la
nuova denominazione fu definitiva. Nei documenti ufficiali in latino il nome
continuò ad essere scritto Civitas Sancti Romuli, ma non è raro il caso di uno
stesso documento che riporti sia la nomenclatura latina che quella volgare
(Sancti Remi ). Due le ipotesi sulla trasformazione: la pronuncia dialettale locale
del nome Romolo (Remu); la corruzione dialettale di “Sant’Eremo di San
Romolo” che sarebbe diventato San Remu e poi Sanremo (tra l’altro non esiste
un santo di nome Remo). In questo secolo vi è poi stata una lunga diatriba - mai
risolta, o meglio, risolta con un “pareggio” - per
stabilire se la toponomastica ufficiale sia San Remo o
Sanremo.
1.1 - Plastico del centro storico realizzato in legno in
occasione del programma "Centocittà"
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Il primo insediamento si stanziò
nella zona bassa, ma necessità
difensive costrinsero gli abitanti ad
arroccarsi sul colle dove, secondo
uno schema ad avvolgimento, la
città cominciò ad ingrandirsi dando
vita al borgo de “la Pigna”.
Tre dunque le ipotesi sull’origine
del nome “Pigna”: potrebbe
derivare dalla forma della collina -
una dorsale tra le valli dei torrenti San Romolo e San Francesco - o dalla
struttura compatta “a scaglie”, composta per strati urbani successivi, del borgo, o
dalla fontana con il frutto scolpito che si trova all’esterno della Porta San
Giuseppe (accanto alla quale sorge l’omonima chiesa).
1.2 – Plastico in gesso che ben raffigura l’impianto urbano
del borgo
1.4 – La pigna scolpita che decora una fontana del centro.
1.3 - La porta San Giuseppe con la
fontana a forma di grande pigna
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L’estrema densità edilizia e la struttura vagamente concentrica della Pigna
rispondevano essenzialmente ad uno scopo difensivo, specie contro la minaccia
di invasioni e saccheggi dal mare da parte dei pirati saraceni (si ricorda in
particolare l’assalto delle orde del Barbarossa, nel 1543). Lungo le strade della
Pigna si contano ancora ben undici porte interne come la già citata Porta San
Giuseppe, Porta Santa Brigida, Porta Bugiarda, Porta Santa Maria, Porta della
Tana, che dovevano assicurare ulteriore protezione agli abitanti in caso di
invasione delle zone periferiche.
In verità il sito ancor oggi più “vivo” è quello che sorge ai piedi
dell’attuale Pigna: il complesso monumentale della cattedrale di San Siro,
l’attiguo battistero, modificato nel 1668, fondato su resti romani e
altomedioevali, e la casa canonica, un edificio romanico del XII sec. All’interno,
sull’altar maggiore, un grande crocifisso ligneo del Maragliano. Sulla parete di
fondo del coro, i SS. Siro, Pietro, Paolo, G.Battista e proprio S.Romolo, in una
tavola (1548) del Pancalino. Nella cappella a destra del Battistero, una scala che
scende sotto il livello del pavimento oggi permette di visitare la zona
archeologica.
1.5 – La facciata della chiesa di San Siro
1.6 – La decorazione del portale della chiesa
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1.7 – La torre Saracena o “della
Ciapela”
Nei pressi della cattedrale, ai piedi della Pigna,
circondata da un’aiuola, svetta la Torre della
Ciapela.
E’ una massiccia costruzione in pietra che
faceva parte delle mura della città. La maggior
parte dei sanremesi la chiama “Torre dei
Saraceni”, e in effetti la fortificazione fu
costruita attorno al ‘500 come difesa contro gli
assalti barbareschi. Le invasioni di queste tribù
arabe, convertitesi all’Islam attorno al 630 e
divenute un micidiale esercito in marcia verso
il bacino del Mediterraneo, segnarono per
sempre l’intera storia della Liguria
occidentale. In realtà le scorrerie e le invasioni dei pirati erano anche favorite
dalla tendenza dei principi locali a farsi guerra fra di loro più che a ostacolare i
seguaci di Maometto, e che molti disastri attribuiti a costoro erano in realtà
opera di combattenti “cristiani” che si alleavano con gli invasori per interessi
privati. E se il ricordo degli orrori saraceni rimane ancora nelle leggende liguri,
qualcosa di più, forse, dobbiamo a questi feroci predoni: è infatti a loro che si
deve la costruzione di un’ampia rete di strade, l’introduzione nel nostro territorio
della ruota ad acqua per i mulini e di colture prima sconosciute come il pero, il
susino e, appunto, il grano saraceno.
Nel 1400 Sanremo era “convenzionata” con Genova, faceva cioè parte di
quelle città e borghi della riviera di ponente che avevano patteggiato, facendo di
necessità virtù, una forma di sottomissione con la città più forte; si trattava
comunque di paesi “federati” e non “sudditi”, e le spinte autonomistiche di
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- Sanremo -
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Sanremo, come pure di Albenga, Ventimiglia e altre località della costa
occidentale, spesso raggelavano i rapporti con la dominante Genova. Il porto di
Sanremo, unico scalo di una certa importanza nell’estremo ponente ligure, tra il
medioevo e l’età moderna fece le spese della diffidenza genovese verso una
possibile concorrente commerciale. Sin dalla prima meta del XIII secolo i
sanremaschi lavorarono alacremente per migliorare le strutture di quello che
inizialmente era un molo di modeste dimensioni, destinato soprattutto a
proteggere il bacino dalle correnti. Nel corso del secolo successivo l’attività
commerciale della zona aumentò; il porto doveva crescere e divenire più solido,
anche come protezione contro i pirati, ma Genova prese a porre ostacoli di vario
genere all’edificazione di nuove strutture. Questa catena politica pesò sulla città
in modo evidente dall’inizio del XIV secolo fino alla fine del XVIII, e
contribuisce a spiegare perché i sanremaschi accoglievano a braccia aperte
chiunque potesse presentarsi come un “liberatore” da Genova, fossero i sabaudi
o addirittura, come alla fine del Settecento, l’esercito francese.
1. 8 – La mappa del Vinzoni unita all’elaborazione digitale della odierna
planimetria di Sanremo
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Nel 1753, in seguito al trattato di Acquisgrana che restituiva a Genova gli
antichi domini, un commissario della Repubblica veniva inviato dal senato a
vegliare sulla fedeltà di Sanremo. Il 6 giugno l’ingegnere militare Matteo
Vinzoni (autore di numerose e preziose carte del territorio dell’epoca) era
intento a rilevare i confini tra Sanremo e Coldirodi quando scoppiò la rivolta dei
sanremesi contro la Repubblica di Genova, subito preso prigioniero, riuscì a
riavere la libertà solo una decina di giorni dopo, quando le truppe genovesi
soffocarono i propositi autonomisti della cittadina, deturpando la chiesa e il
campanile di San Siro privandolo della sua gloriosa campana e demolendo la
torre (poi ricostruita nel dopoguerra in stile pseudo-barocco): era proprio il
giorno in cui Sanremo avrebbe dovuto festeggiare il patrono San Siro.
1.9 – La cattedrale di San Siro in una
foto storica prima della ricostruzione
1.10 - San Siro come si presenta oggi