Giovanna Filosa
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LE RIUNIONI DI PARTITO: UN CONTRIBUTO DI RICERCA 5
ξ La somiglianza dei contesti storico-politico-sociali (rispetto a quello italia-
no): sono stati presi in esame solo ricerche che riguardassero i paesi occi-
dentali, industrializzati, caratterizzati da istituzioni prevalentemente demo-
cratiche, tralasciando quindi i paesi sottosviluppati, gli stati totalitari o ad al-
ta instabilità politica.
ξ La reperibilità: sono state scartate pubblicazioni introvabili o inaccessibili
geograficamente o linguisticamente (ad esempio la letteratura tedesca).
ξ L’esistenza di una consolidata tradizione di ricerca, di forti basi teorico-
empiriche, di strumenti e metodi convalidati.
ξ È stata considerata prevalentemente letteratura a sfondo psicologico, psico-
sociale o psicologico-politico, tralasciando quindi il filone storico e giuridi-
co.
In base a questi criteri, sono due le correnti le principali su cui concen-
trarsi: quella statunitense e quella francese
5
. Esse verranno ora illustrate, consi-
derando il quadro teorico generale di riferimento, l’oggetto e le ipotesi specifi-
che di ciascuna ricerca (prendendone in esame una particolarmente rappresen-
tativa per ogni filone), la metodologia utilizzata, i punti di forza e di debolezza.
5
In realtà, a questi due filoni si rifanno anche studi di diversa provenienza geografica (tra cui
italiani), ma per semplicità sono stati denominati secondo la lingua e il paese da cui provengo-
no la maggioranza delle ricerche trattate.
Giovanna Filosa
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1.1.1 La letteratura statunitense
La comunità scientifica nordamericana è senz’altro quella che ha prodot-
to il maggior numero di lavori sulla psicologia politica in generale, e sulla par-
tecipazione in particolare. Non di rado sono le stesse istituzioni, od organizza-
zioni politiche, a commissionare studi di carattere sociale o psicologico, che
vengono poi presi in considerazione nella stesura di programmi di intervento o
nella conduzione di campagne elettorali.
Non a caso negli Stati Uniti la ricerca si è concentrata principalmente su
temi concreti, quali ad esempio le variabili che influenzano il comportamento
di voto o le dinamiche dei movimenti sociali. Più precisamente, oggetto di tali
studi è la verifica (in genere tramite questionario) delle determinanti psicologi-
che e sociali della partecipazione individuale e le tipologie (unidimensionali o
multidimensionali
6
) di quest’ultima.
Per Milbrath (1965, p.198), ad esempio, la “political participation” è rap-
presentata da “those actions of private citizens by which they seek to influence
or to support governments and politics”
7
.
È lo stesso Milbrath a proporre una scala gerarchica di attività politiche,
che può essere utile per individuare meglio i soggetti di questa ricerca. Utiliz-
zando un’analogia con gli spettacoli gladiatorii degli antichi romani, egli divide
la popolazione in tre modalità partecipative di base: “apathetics, persons who
are withdrawn from the political process; spectators, persons who are mini-
mally involved in politics; and gladiators, persons who are active combatans.
(…) A small band of gladiators battle to please the spectators, who in turn
cheer, clap, and finally vote to decide who has won the battle (election). The
apathetics don’t even watch the show”
8
(ibidem, p. 200-201).
6
Sulla multidimensionalità degli indicatori della partecipazione politica, cfr. Verba S. & Nie
N., Participation in America: Political democracy and social equality, New York: Harper &
Row, 1972, lavoro recentemente ripreso nell’articolo di Jankowski T.B. & Strate J.M. (Modes
of Participation over the Adult Life Span, in Political Behavior, Vol. 17(1), 1995) che effettua-
no un’analisi fattoriale di tali indicatori.
7
“quelle azioni di privati cittadini attraverso le quali essi cercano di influenzare o di sostenere
governi e uomini politici” (t.d.a.), cfr. Milbtrath L.W. & Goel M.L., Political Participation (2
nd
ed.), Chicago: Rand McNally, 1977.
8
“apatici, persone che sono al di fuori dei processi politici; spettatori, coloro che sono mini-
mamente coinvolti in faccende politiche; e gladiatori, persone che sono combattenti attivi. (…)
Una piccola banda di gladiatori si batte per divertire gli spettatori, che a turno acclamano, ap-
plaudono e alla fine votano per decidere chi ha vinto la battaglia (elezioni). Gli apatici non
guardano affatto lo spettacolo” (t.d.a.) cfr. Milbtrath L.W., Political Participation, Chicago:
Rand McNally, 1965. Lo stesso Milbrath, in edizioni successive, ha poi modificato questa tipo-
logia, aggiungendo, ad esempio, una categoria transizionale. Ma per gli scopi di questa tesi tale
classificazione, anche se semplice, è più che sufficiente.
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Gli apathetics sarebbero quindi coloro che si astengono da qualsiasi atti-
vità; gli spectators sarebbero coinvolti, ma in maniera superficiale, ad esempio
discutendo con altri di politica, votando o esponendosi a messaggi di propa-
ganda elettorale. I gladiators, invece, sarebbero i più impegnati nella parteci-
pazione politica: si tratta dei politici veri e propri, coloro che detengono cariche
pubbliche, i candidati o gli iscritti attivi di un partito. È su quest’ultima catego-
ria, quella dei militanti, per utilizzare un termine ormai desueto, che si concen-
trerà l’attenzione.
La ricerca americana, invece, raramente ha preso in esame le interazioni
tra i membri di un partito, ma si è interessata piuttosto al comportamento di vo-
to
9
e alle variabili (sociali, psicologiche, di personalità etc.) che lo possono in-
fluenzare. Oppure essa ha studiato l’attivismo all’interno del vasto arcipelago
dei movimenti sociali
10
, ad esempio quello per i diritti civili
11
o per la libera-
zione della donna.
Questo probabilmente perché negli Stati Uniti non esiste un sistema di
partiti così come è inteso in Italia, dove esso funge (o dovrebbe fungere) da
cerniera tra la gente e le istituzioni, coprendo quindi ogni aspetto della parteci-
pazione collettiva, come si vedrà anche nel secondo capitolo. La funzione dei
partiti negli Usa, almeno per ciò che riguarda i semplici iscritti, si limita solo
all’attività propagandistica o elettorale. Tutti gli altri aspetti dell’azione parte-
cipativa, dalla mobilitazione dell’opinione pubblica alle iniziative di piazza su
problemi specifici, sono demandati alle associazioni e ai movimenti.
Una volta definito cosa si intende per partecipazione politica, e quali so-
no le modalità di azione collettiva, i ricercatori americani hanno cercato di in-
dividuare i fattori che la determinano. Tali fattori possono derivare
dall’ambiente esterno, (ad esempio la presenza di stimoli politicamente rilevan-
ti, il sistema sociale di appartenenza, le tradizioni culturali, il livello di moder-
nizzazione), o da fattori personali.
9
Su questo tema sono state fatte anche delle ricerche comparate, ad esempio quella di Gran-
berg D., Holmberg S., The political system matters: Social psychology and voting behavior in
Sweden and the United States, Cambridge: Cambridge University Press, 1988.
10
Per una rassegna generale cfr. McAdam D., McCarthy J.D., Zald M.N., Social Movements,
in Handbook of sociology a cura di N.J. Smelser, Newbury Park: Sage Publications, 1988.
11
Interessante a questo proposito la trattazione di Chong D., Collective action and the civil
rights movement, Chicago: University of Chicago Press, 1991
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Per questi ultimi, si intendono particolari atteggiamenti e credenze
dell’individuo (coinvolgimento psicologico, senso di obbligazione civica, iden-
tificazione di partito o di gruppo
12
) o fattori di personalità, quali socievolez-
za/estroversione, fiducia in sé stessi e forza dell’Io, dominanza, manipolatività
etc. Un’altra determinante della partecipazione è la posizione sociale: status
socioeconomico, livello di istruzione, età, genere
13
, razza, residenza e così via.
Una volta individuati i fattori, bisogna vedere in che modo essi effetti-
vamente agiscono sulle modalità di partecipazione. A questo proposito esistono
varie teorie. Qui verranno elencate brevemente le principali (Catellani, 1997),
nell’ambito della sociologia e della psicologia.
Per quanto riguarda l’approccio sociologico, può essere importante citare
la teoria della mobilitazione delle risorse (McCarthy e Zald, 1979), secondo la
quale i soggetti sono indotti ad agire collettivamente qualora prendano coscien-
za di un loro diritto negato. Per ottenere l’oggetto delle loro rivendicazioni, essi
aggregano adeguate risorse (personali ed economiche) attraverso
l’organizzazione. L’individuo è visto come un “attore” razionale, che cerca di
raggiungere i propri scopi attraverso un preciso calcolo di costi e benefici
14
.
Secondo la teoria sociocostruttivista, invece, (Melucci, 1989) sono i si-
gnificati socialmente costruiti e condivisi che orientano l’azione collettiva. Le
persone acquisiscono la consapevolezza di avere interessi comuni tramite la
comunicazione interpersonale e i mass-media, all’interno del contesto sociale
in cui sono collocate e che concorre alla formazione della loro identità.
Vi sono poi gli approcci di tipo psicologico. La teoria del Locus of
Control (LoC) (Rotter, 1966) mette l’accento su una particolare variabile di
personalità: la percezione di avere (LoC interno) o non avere (LoC esterno) un
controllo sugli eventi. Alcuni studi hanno confermato che chi ha un LoC inter-
no è più motivato all’agire collettivo, appunto perché è convinto di avere un
controllo sugli avvenimenti (Peterson e Maiden, 1993).
12
Oltre a questi tipi di atteggiamento, che spingono l’individuo alla partecipazione, sono stati
isolati anche altri atteggiamenti che spingono all’astensione o al disinteresse, quali
l’alienazione, il cinismo, la distruttività (Citrin, McClosky, Shanks e Sniderman, 1975).
13
Ad esempio, cfr. Sherkat D.E., Blocker T.J., The political development of sixtie’s activists:
Identifying the influence of class, gender, and socialization on protest participation, in Social
Forces, Vol 72(3), 1994.
14
Cfr. teoria dell’azione ragionata (ad es. Kelloway E.K., Barling J., Member’s Participation
in Local Union Activities: Measurement, Prediction, and Replication, Journal of Applied Psy-
chology 78(2) 262-279, 1993) e modello dell’aspettativa per valore (Ajzen I. & Fishbein M,
Understanding attitudes and predicting social behavior, Englewood Cliffs: Prentice-Hall,
1980).
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Altre ricerche, invece, hanno dimostrato che sono coloro che hanno un
LoC esterno ad essere maggiormente orientati alla partecipazione politica, pro-
prio perché sperano di acquisire attraverso l’azione collettiva quel controllo su-
gli eventi esterni che essi al momento pensano di non avere (Levenson, 1974).
Wollman e Stouder (1990, p. 558) spiegano questa apparente contraddizione
con il fatto che “political activity correlates better with political efficacy than
with general efficacy in life”
15
.
L’efficacia politica è intesa come “an individual’s perceived ability to
participate in and influence the political system”
16
(Yeich e Levine, 1994, p.
259). Sono state individuate due distinte componenti di questo costrutto:
l’efficacia politica interna
17
e quella esterna. Più precisamente “the internal po-
litical efficacy component represents perceptions of personal skills for political
participation. The external component represents perceptions of responsiveness
of the political system to the concerns of individuals”
18
(Yeich e Levine, 1994,
p.259). Ad esempio, Craig e Maggiotto (1981) hanno ipotizzato che le persone
rimangono più facilmente coinvolte in azioni di protesta se “(a) they feel per-
sonally competent to engage in political activity and (b) they perceive the
system as unresponsive to their personal interests”
19
(Yeich e Levine, 1994, p.
260).
Ancora nell’ambito degli studi riguardanti l’efficacia politica, si colloca
la nozione di group-efficacy, ovvero le “aspettative, sia di competenza che di
risultato, che il soggetto ha non nei confronti di se stesso, bensì degli altri po-
tenziali o effettivi partecipanti all’azione politica” (Catellani, 1997, p. 183)
20
.
15
“L’attività politica correla meglio con l’efficacia politica che con il senso di efficacia genera-
le nella vita” (t.d.a.).
16
“una capacità percepita dell’individuo di partecipare a ed influenzare il sistema politico”
(t.d.a.). Si tratta di una ricerca su un movimento di “senzatetti” nel Michigan, in cui tra l’altro
viene introdotta la componente della collective political efficacy, che rappresenta “perceptions
of system responsiveness to collective demands for change” (p. 260: “la percezione della recet-
tività del sistema alla domanda collettiva di cambiamento”, t.d.a., corsivo nel testo).
17
La dimensione dell’efficacia interna può essere ricondotta alla nozione di autoefficacia o
self-efficacy. Cfr. Bandura A. (1977). Self-efficacy: Toward an unifying theory of behavioral
change. Psychological Review, 84.
18
“La componente dell’efficacia politica interna rappresenta le percezione delle capacità per-
sonali per la partecipazione politica. La componente esterna rappresenta la percezione della re-
cettività da parte del sistema politico per quanto concerne gli individui” (t.d.a). Cfr. McPher-
son J., Miller J., Welch S. & Clark C.: The stability and reliability of PE: Using path analysis
to test alternative models. American Political Science Review, 71, 509-521, 1977.
19
“(a) essi si sentono personalmente capaci di intraprendere una attività politica e (b) essi per-
cepiscono il sistema come insensibile ai loro interessi personali” (t.d.a.).
20
Cfr. Andrews, 1991, Klandermans, 1997.
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LE RIUNIONI DI PARTITO: UN CONTRIBUTO DI RICERCA 10
Secondo Hinkle e Brown (1990) chi ha un orientamento collettivista ha
più probabilità di essere coinvolto nell’agire politico rispetto a chi ha
un’orientamento individualista.
La prospettiva della deprivazione relativa (Folger, Rosenfield, Robinson,
1983) considera come determinante della partecipazione politica la percezione
del soggetto di essere discriminato come individuo (deprivazione egoistica) o
come gruppo (deprivazione collettivistica).
Infine, l’agire politico è stato esaminato in relazione all’identità sociale
(Tajfel e Turner, 1986): alla condivisione di ideologie, scopi e credenze, al sen-
so di appartenenza ad un gruppo che abbia un orientamento relazionale e col-
lettivista. Ad esempio, Abrams ha studiato il peso che l’appartenenza ad un
partito minoritario (Scottish Nationalist Party) ha nella formazione dell’identità
sociale dei suoi aderenti, scoprendo che “minority political parties should pro-
vide more central and important bases of social identity. Supporters of minority
political parties showed greatest commitment, perceived their parties to be
more representative of themselves”
21
(Abrams, 1994, p. 357).
La ricerca di Kelly & Kelly (1994)
22
sul sindacato può essere considera-
ta emblematica, perché in essa vi sono esaminate molte delle determinanti della
partecipazione precedentemente elencate. Attraverso un questionario sommini-
strato ad un campione di 350 sindacalisti, “a number of possible social psycho-
logical determinants of individual participation in collective action have been
reviewed. These are level of group identification, collectivist orientation, col-
lective (and possibly egoistic) relative deprivation, perceived intergroup con-
flict, outgroup stereotyping, and political efficacy”
23
(Kelly e Kelly, 1994, p.
69).
Si potrebbero fare ancora tanti altri esempi sul tipo di ricerche affrontate
dalla letteratura statunitense. Ma il campione fin qui esaminato è sufficiente per
trarre un, seppur parziale, bilancio.
21
“i partiti politici minoritari fornirebbero le basi più centrali ed importanti dell’identità socia-
le. I sostenitori di partiti politici minoritari mostrano maggiore impegno, percepiscono i loro
partiti come più rappresentativi di loro stessi” (t.d.a.)
22
Cfr. anche: Kelly C. & Breinlinger S., Attitudes, Intentions, and Behavior: A Study of
Women’s Participation in Collective Action, Journal of Applied Social Psychology, 25(16),
1430-1445, 1995.
23
“Sono state riviste un numero di possibili determinanti sociopsicologiche della partecipazio-
ne individuale all’azione collettiva. Queste sono: livello di identificazione di gruppo, orienta-
mento collettivistico, deprivazione relativa collettiva (e possibilmente egoistica), conflitto in-
tergruppo percepito, stereotipizzazione dell’outgroup, ed efficacia politica” (t.d.a.).
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LE RIUNIONI DI PARTITO: UN CONTRIBUTO DI RICERCA 11
Come si è visto, l’oggetto di studio prevalente è costituito dalle variabili
individuali che presiedono alla partecipazione politica. Gli strumenti più fre-
quentemente utilizzati sono il questionario e l’analisi delle correlazioni tra que-
ste variabili.
Questo tipo di studi presenta due punti di forza. In primo luogo,
l’abbondanza di letteratura a disposizione e di strumenti di analisi consolidati.
In secondo luogo, la semplicità di utilizzo e di applicazione di tali strumenti.
Tuttavia, vi sono anche dei fattori che rendono la ricerca statunitense dif-
ficilmente applicabile ad un contesto come il circolo di partito e le sue riunioni.
Come già si è visto, negli Usa la partecipazione è intesa soprattutto come com-
portamento elettorale, o come azione all’interno dei movimenti sociali. Ci sono
notevoli differenze tra il loro sistema politico-istituzionale ed il sistema dei
partiti così come esso è concepito in Italia, pluralistico e comprensivo di gran
parte dell’attivismo politico del paese.
Inoltre, si tratta di ricerche centrate per lo più sull’individuo (e sulle va-
riabili che lo spingono alla partecipazione), raramente sul gruppo e sulle sue
dinamiche interne. Infine, un problema metodologico: essendo il questionario
lo strumento più utilizzato, si tratta di studi quasi esclusivamente quantitativi.
Altri elementi importanti, per esempio, le interazioni tra i partecipanti e le loro
modalità di relazione, che andrebbero esaminati anche tramite l’osservazione o
altre tecniche di tipo qualitativo, non vengono quasi mai presi in considerazio-
ne.
Un confronto con lo stato della ricerca in Francia può servire a mettere
meglio a fuoco tali problemi.