5
Ho, infatti, studiato il programma con molto interesse.
Dopo aver sostenuto l’esame ho deciso, avendone avuto la possibilità,
di biennalizzarlo. Constatato il continuo interesse verso la materia e
verso le tematiche ho chiesto al prof. Massimo Corsale se era
possibile approfondire il tema.
Da qui l’inizio della mia tesi…
Il piano di studi prevede anche delle ore di tirocinio; io avendo
iniziato a studiare approfonditamente le risorse umane come
vantaggio competitivo e l’importanza della formazione oggi, ho scelto
l’Ente in base al mio interesse.
Ho, infatti, svolto l’attività di tirocinio presso il Dipartimento di
Formazione e Comunicazione dell’ASL NA1.
Quest’esperienza mi ha dato tanto nello studio e nella stipulazione
della tesi ma anche nella vita personale.
La tesi è stata sviluppata nel seguente modo:
Nel primo capitolo, Le risorse umane nell’organizzazione: la
loro storia, descrivo, in generale, le caratteristiche e le
funzioni delle organizzazioni, per poi analizzare il complesso
rapporto uomo/organizzazione, gli aspetti che lo
caratterizzano e le conseguenze che ne derivano.
Nel secondo capitolo, Gestire le Risorse Umane, parlo delle
competenze e della gestione delle risorse umane. Delineo,
poi, le peculiarità della gestione delle risorse umane e mi
soffermo, in particolare, sugli aspetti di un’efficace gestione
6
delle risorse umane come fattore di sviluppo per
l’organizzazione e di vantaggio competitivo.
Nel terzo capitolo, Senso di insicurezza che pervade le risorse umane
nel lavoro flessibile, pongo l’enfasi sulla flessibilità. Analizzo il
mondo del lavoro e metto in evidenza come oggi le rigidità
burocratiche vengono messe sotto accusa e come ciò accade anche per
i danni prodotti dalla cieca routine. Qui, però, metto in evidenza
soprattutto il rapporto tra flessibilità e ansia.
Nel quarto capitolo, L’epoca della fine del lavoro, descrivo la nostra
epoca e sottolineo come a dominare oggi è la disoccupazione e il non-
lavoro.
Nel quinto capitolo, Risorse umane e società del rischio, descrivo la
società odierna, post industriale, analizzata in modo approfondito
dallo studioso Ulrich Beck.
Nel sesto capitolo, Società del rischio: ansia e depressione, descrivo
queste due patologie e li considero conseguenza della società del
rischio.
Nel settimo capitolo, La formazione come strumento stratgico,
descrivo le caratteristiche del vantaggio competitivo, anche alla luce
dell’analisi competitiva tradizionale. Mi soffermo, quindi, sulla
strategia competitiva organizzativa, sui fattori competitivi e le
determinanti del vantaggio. Parlo anche della formazione
professionale e delle tappe principali del suo processo, ponendo
particolare attenzione al fondamentale contributo dell’intervento
formativo nello sviluppo delle risorse umane e nella gestione efficace
delle stesse.
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Nell’ottavo capitolo, L’importanza della formazione nelle Aziende
Sanitarie Locali: ASL NA1, descrivo il Servizio Formazione e
Aggiornamento dell’Asl Na1 ( Servizio FAP), ente presso il quale ho
svolto l’attività di tirocinio, e approfondisco il fabbisogno formativo
di questa Azienda.
Nel nono capitolo, Il gap nella formazione dei Dirigenti Medici
riporto lo studio fatto all’interno di questa organizzazione sul gap
esistente nella formazione medica tra quelle che sono le
conoscenze/competenze tecnico-professionali e quelle, invece,
economico-manageriali.
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Cap. I
Le risorse umane nell’“organizzazione”: la
loro storia
Il termine “organizzazione” deriva dal greco “organon” ed indicava uno
strumento musicale; nel Medioevo assunse il significato di “il formarsi degli
organi”, mentre nel 1600-1700 di “processo di accomodamento”; oggi
“organizzazione” è inteso come “modalità di mettere insieme, ordinare, preparare,
disporre”. “Organizzazione” richiama quindi un’idea di struttura rigida con leggi,
ma anche sistemi organizzati quali entità sociali, chiese, scuole, partiti.
L’organizzazione fa riferimento ad alcuni elementi di artificiosità/convenzione,
ma è anche associata alla costrizione/coercizione. In generale, le organizzazioni
sono sistemi sociali in cui vengono riconosciute una serie di più o meno
identificate risorse, governate da una figura di leadership/controllo/autorità e
dotate di un programma per determinare le finalità e gli scopi.
Le organizzazioni sono, inoltre, organismi specificatamente costituiti per il
conseguimento di determinati obiettivi, i quali hanno ottenuto il massimo
impegno cognitivo e normativo, ma costituiscono anche un modello teorico più
ampio (scienza dell’organizzazione), un modello di organizzazione sociale
caratterizzato da:
- un insieme di relazioni sociali che si instaurano tra i soggetti appartenenti
all’entità;
- un complesso di “valori condivisi” e praticati dagli stessi soggetti.
9
Si può parlare di organizzazione sia per aggregati tipici, come le aziende, sia nel
caso di organizzazioni naturali, come le famiglie, o di più vaste costellazioni,
come le città, le comunità regionali, ecc.
Più specificatamente Etzioni (1961) individua tre tipologie di organizzazione:
- le coercitive: carceri, ospedali psichiatrici, campi di lavoro, comunità
terapeutiche;
- le utilitaristiche: hanno una finalità di profitto (aziende di produzione, di
credito, di servizio) o sono associazioni con o senza fini di lucro (no profit,
onlus);
- le normative: chiese, ospedali, partiti politici, esercito, organizzazioni
scolastiche.
Le organizzazioni sono delle collettività, i cui soggetti umani che le costituiscono
sono accomunati “dall’operare insieme”: di fatto le organizzazioni esistono da
quando esistono gli esseri umani e questi ultimi appartengono ad un’infinità di
esse nel corso della vita. Le organizzazioni costituiscono un processo complesso
di differenziazione, di divisione del lavoro, di specializzazione e divisione dei
compiti (cioè ripartizioni basate su professionalità comuni o su specializzazioni
analoghe).
Le organizzazioni, proprio in quanto sistemi di ruolo, sono sempre e comunque
meccanismi di influenza dei comportamenti individuali, sia perché gli altri si
aspettano comportamenti previsti da chi ricopre i vari ruoli, sia perché non ci
comportiamo in maniera diversa da come siamo, naturalmente a seconda dei
diversi ruoli che rivestiamo all’interno delle diverse organizzazioni in cui siamo
impegnati.
L’organizzazione, più che come sistema predeterminabile, “è il risultato di
processi di apprendimento organizzativo, di incontro tra i soggetti (attori), di
approfondimento reciproco dei comportamenti e dei loro effetti e di definizione a
10
posteriori delle preferenze in base all’osservazione degli effetti delle soluzioni
organizzative via via adottate”
1
.
Organizzazione si riferisce al complesso schema di comunicazione e di altre
relazioni che viene a stabilirsi in un gruppo di esseri umani. Questo schema
fornisce ad ogni appartenente al gruppo buona parte dell’informazione, delle
premesse, degli obiettivi e degli atteggiamenti che influenzano le sue decisioni e,
allo stesso tempo, crea in lui delle aspettative stabili e ragionevolmente sicure
riguardo a ciò che gli altri membri del gruppo stanno compiendo e al modo in cui
essi reagiranno a quanto egli dice o compie. Simon chiama questo schema un
sistema di ruoli, ma per la maggior parte di noi esso è più familiare sotto il nome
organizzazione.
L’organizzazione complessa è un insieme di parti indipendenti che formano un
tutto, poiché ognuna fornisce un contributo ricevendone qualcosa, mentre il tutto,
a sua volta, è interdipendente con un ambiente più ampio. Lo scopo viene
identificato nella sopravvivenza del sistema, mentre le parti e le loro relazioni
sono presumibilmente determinate attraverso processi evolutivi.
Un’organizzazione si dispiega secondo alcuni principi, programmi, funzioni,
competenze. Nelle organizzazioni esistono una serie di adempimenti formali e
ritualistici che definiscono requisiti, rapporti di sequenzialità, di complementarità,
di ruoli e di strutture. Si può affermare che più che un meccanismo,
l’organizzazione si avvicina ad un “organismo”, ad una realtà mutevole ma
costantemente integrata nelle sue parti.
Lo sforzo di due o più individui che lavorano insieme per un traguardo comune è
più efficace dello sforzo separato dei singoli individui: l’organizzazione, quindi, è
un fenomeno naturale e spontaneo e gli uomini sono “animali organizzativi”.
Ne consegue che le organizzazioni, per essere tali, o per poter sopravvivere a se
stesse, debbano essere in grado di soddisfare i fabbisogni dei propri membri e
dare loro risposte, anche se le condizioni sociali e storiche mutano continuamente
1
: Barocci., Inventare l’organizzazione, Roma, ed. Psicologia, 1994, p. 39.
11
e così mutuano i valori e gli incentivi e, perciò, è improbabile definire modelli
organizzativi assoluti.
Le organizzazioni possono essere di varia natura (ente, chiesa, esercito, azienda,
ospedale, ecc.) e sono composte da gruppi ed individui, ossia da sottosistemi e
singoli che cercano di raggiungere obiettivi condivisi e distribuiti assumendo
alcune componenti fondamentali:
- divisione del lavoro: i compiti sono distribuiti a più persone;
- obiettivi orientati verso un unico target: ogni membro deve essere in grado
di muoversi, comportarsi ed agire coerentemente nei tempi, modi e luoghi
e per farlo è necessario avere un flusso di informazioni pertinenti;
- sinergie di decisioni tattiche/strategiche: capacità delle organizzazioni di
rendere sinergiche le attività attraverso una guida generale (vision), al fine
del raggiungimento del bersaglio;
- durata nel tempo: lo scopo può essere perseguito in modo durevole nel
tempo;
- assetto giuridico: l’organizzazione necessita di un assetto giuridico legale
che contempli anche gli obiettivi della stessa fin dalla stesura del suo
statuto; sancito e riconosciuto dalla struttura giuridica dello Stato;
- utilizzazione delle risorse: l’organizzazione deve essere in grado di
sfruttare le risorse tecnologiche, finanziarie, architettoniche (posto fisico,
le sedi), logistiche, materiali, di trasporto, ma soprattutto umane/expertise
(depositari di conoscenze, competenze e professionalità sufficienti alla
sopravvivenza dell’organizzazione e che permettono il raggiungimento
dell’obiettivo);
- soddisfazione dei bisogni dei suoi membri e di individui terzi: bisogni in
termini di beni, servizi, appartenenze o condivisione di interessi politici e
sociali (partiti, sindacati).
In una realtà organizzativa si possono individuare alcune forze determinanti che
contribuiscono a delineare e confermare un’organizzazione:
12
- processi di differenziazione, ossia di attribuzione di compiti specifici alle
professionalità esistenti; più un’organizzazione è complessa tanto più essa
sarà differenziata;
- processo di integrazione, garantito da un processo di differenziazione, che
garantisce a sua volta il raggiungimento degli obiettivi.
La struttura organizzativa, inoltre, si sostiene su quattro processi:
- “sistema di controllo;
- comunicazione e informazione;
- procedere attraverso metodiche codificate di valutazione e di ricompensa;
- capacità di pianificare”
2
.
Questi processi sono tali per cui un cambiamento di uno di essi può modificare o
cambiare totalmente gli altri.
Le teorie classiche hanno contribuito all’elaborazione di un modello ideale di
organizzazione esclusivamente formale. Il loro fine era quello di mobilitare in
modo ottimale le risorse materiali ed umane dell’organizzazione inserendo
razionalità e prevedibilità.
Per quanto riguarda l’organizzazione classica si possono individuare alcuni
principi generali:
- principio scalare o gerarchico: è necessario che sia ben chiara la “piramide
aziendale” caratterizzata da un’attenta burocrazia;
- unità di comando: in un’organizzazione classica è necessario che ciascuno
sappia esattamente da chi è comandato;
- principio d’eccezione: nel momento in cui l’organizzazione si trova di
fronte ad una situazione insolita si deve ricorrere al soggetto con più alto
potere decisionale;
- ambito di controllo: in un’organizzazione è necessario che colui che
controlla/gestisce conosca l’ambito nel quale esercita la sua funzione;
- specializzazione organizzativa: più un’organizzazione si evolve e cresce e
più essa tende a specializzare le proprie funzioni;
2
: Baglioni G., Lavoro e decisioni nell’impresa, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 48.
13
- accentramento/decentramento: è necessario che in un’organizzazione vi
sia la distinzione tra responsabilità/compiti che sono in diretta funzione
dell’amministrazione centrale e quelle che possono essere decentrate.
L’elaborazione del primo modello organizzativo è da attribuire ad Henry Fayol.
Quest’ultimo gettò le basi della dottrina direzionale moderna con un contributo di
fondamentale importanza, ossia la divisione delle funzioni all’interno di
un’organizzazione: le operazioni tecniche, le operazioni commerciali, le
operazioni finanziarie, le operazioni di contabilità, le operazioni di sicurezza, le
operazioni di direzione, di tipo organizzativo e di autorità.
Max Weber (1991) è il primo studioso che mette in risalto un’idea razionale
operazionalistica delle organizzazioni, arrivando a formulare un ideal-tipo di
organizzazione che parte da un’ipotesi di fondo: le strutture organizzative devono
tendere al raggiungimento razionale dei propri obiettivi. Tale realizzazione sarà
tanto più efficace quanto più verranno eliminate le arbitrarietà e le occasioni di
conflitto nelle relazioni interpersonali e fra i gruppi.
Ciò è possibile solo realizzando la gestione delle operazioni attraverso i principi
organizzativi:
- divisione del lavoro fondata sulla specializzazione funzionale (funzioni
diverse generano compiti diversi);
- una gerarchia di autorità ben definita;
- un sistema di norme precise: esistono delle regole generali che devono
essere seguite e che possono essere apprese;
- un sistema di procedure per affrontare i problemi;
- impersonalità delle relazioni interpersonali: le funzioni vanno svolte da
ciascuno senza inutili passioni o entusiasmi;
- la selezione e la promozione fondata sulla competenza tecnica: i
funzionari di un’organizzazione devono essere assunti e impiegati per le
loro competenze non nominati o eletti su altre basi.
14
Fayol e Weber offrono, dunque, alcuni principi generali di organizzazione:
- il primo individua le funzioni principali che vi possano essere
riconosciute;
- il secondo un modello perfetto di organizzazione, il “modello bericratico”,
che insiste sulla specializzazione e sulle regole.
Il modello di teoria organizzativa di Taylor rappresenta la prima importante
esperienza sistematica di analisi del lavoro (job analisys), considerandolo parte
della realtà e che quindi può essere studiato e migliorato, superando la visione del
lavoro come attività generata spontaneamente e non imitabile.
La sua esperienza lavorativa come manovale era stata lo spunto di alcuni propositi
di cambiamento per ottimizzare il lavoro attraverso la tecnica induttiva del botton-
up, che poi diedero origine al modello organizzativo scientifico.
Questa tecnica fa parte dei fenomeni empirici per raccogliere tutti gli elementi per
definire i principi teorici di un paradigma così da consentire la costruzione di un
modello organizzativo applicabile a più ambiti.
La sua prima intuizione fu quella di vedere il lavoro con una visione più generale,
ossia efficienza e produttività non sono legate ad una singola azione, ma vanno
ridistribuite a lungo termine.
Per Taylor il sistema andava rivisto cercando di aumentare il peso sollevato
nell’intero arco della giornata da persone normali, anche se non dotate di
particolare forza fisica.
La sua ipotesi era che ogni lavoratore poteva raggiungere una migliore
produttività trasportando molto più materiale, soltanto se si fosse attenuto ad un
sistema di tempi morti e tempi di lavoro ben precisi, per non far insorgere il
sovraffaticamelo.
Secondo Taylor, inoltre, non era più indispensabile immaginare l’uomo più adatto
ad una mansione, ma intervenendo sugli strumenti usati nell’azione anche un
uomo non particolarmente dotato poteva ottenere ottime performances (“strategia
15
ergonomia: intervenire sullo strumento per ridurre la fatica ed aumentare
l’efficienza su lungo periodo”
3
).
Il modello di Taylor diventa protagonista di una rivoluzione organizzativa della
storia dell’uomo con il nome di “modello scientifico” e costituirà l’ossatura
portante dell’“Organizzazione Scientifica del Lavoro”.
Dietro questo modello organizzativo si concretizzava una filovia dell’uomo e
sull’uomo: la rappresentazione organizzativa umana è la congiunzione di alcune
caratteristiche e le loro unione è il modello organizzativo dell’uomo e della
componente umana.
La visione dell’uomo per Taylor viene chiamata “Teoria razionale economica
dell’uomo”, ossia: “l’uomo spontaneamente rifiuta il lavoro, rifiuta qualsiasi
responsabilità, non lavora senza un’utilità, non sa organizzarsi razionalmente, ha
modalità operative spontanee-improvvisate, lavora solo se pagato o punito
(principio del bastone e della carota)”
4
.
L’organizzazione scientifica del lavoro è il complesso delle regole che vengono
stabilite dall’impresa allo scopo di ottenere il massimo della produttività. Essa
ebbe origine negli Usa verso la fine del XIX secolo e fu teorizzata come scienza
economica da Taylor, da cui prese il nome taylorismo. “Il taylorismo si inserisce
in un contesto sociale ed economico particolarmente problematico dovuti ai
massicci flussi migratori verso l’America, situazione che faceva nascere
l’esigenza di gestire e controllare socialmente e politicamente masse eterogenee e
disordinate di persone provenienti da tutto il mondo. In quel tempo, inoltre, alcune
grandi imprese, che volevano conquistare una situazione di monopolio per la
produzione e la vendita di alcuni prodotti industriali, avvertirono la necessità di
produrre a basso costo: per ottenere ciò occorreva aumentare la produttività del
lavoro industriale con sistemi studiati scientificamente”
5
.
In Italia l’organizzazione scientifica del lavoro fu introdotta soltanto dopo il
secondo dopoguerra, intorno agli anni ’50, quando ebbe inizio la fase più intensa
3
: Ibidem p. 46.
4
: Ibidem, p. 49.
5
: Auteri E., Management delle risorse umane, Milano, Guerini, 1998, p. 19.
16
del processo di industrializzazione. L’esigenza, infatti, di organizzare
razionalmente il lavoro umano scaturisce proprio dalle caratteristiche stesse della
produzione industriale e, per aumentarne la produttività, bisogna eliminare i tempi
morti, imponendo precise regole che razionalizzino al massimo i metodi di
lavorazione e l’intervento dell’uomo sui mezzi tecnici strumentali.
La frammentazione dei processi di lavorazione in piccole parti viene detta
“parcellizzazione” e, in base ad essa, ogni singola fase operativa viene affidata ad
un operaio che fa parte di una catena di montaggio, nell’ambito della quale un
nastro trasportatore passa davanti all’operaio, in una successione di tempo
scandita rigorosamente secondo ritmi studiati per eliminare tutti i movimenti
superflui e ridurre i tempi morti. La parcellizzazione del lavoro, se da una parte fa
aumentare la produttività, dall’altra fa si che ogni lavoratore si specializzi soltanto
in una fase del lavoro estremamente ridotta, e ciò determina disinteresse, noia e
fatica psicologica.
Due personaggi di spicco che hanno applicato e potenziato la dottrina del
taylorismo sono stati i coniugi Gilbreth: Frank Gilbreth (1868-1924) e Lillian
Moller Gilbreth (1878-1972).
I coniugi Gilbreth rappresentano l’espressione organizzativa tecnico-psicologica
che è seguita all’approccio sociotecnico.
I coniugi Gilbreth sono considerati i padri dell’efficientismo e il loro pensiero
affonda le radici nella moderna organizzazione. Essi individueranno una serie di
unità elementari in movimento ed elaborarono un modello per la definizione dei
tempi predeterminati: il modello MTM.
Inoltre, in particolare Lillian Gilbreth rafforzò l’interesse per gli aspetti umani del
lavoro e per la selezione, il collocamento, l’addestramento del personale
dipendente, per la sicurezza e la salubrità nei luoghi di lavoro, per il valore della
persona.
Con Henry Ford (1926) il taylorismo raggiunge la massima maturità. Ford poggia
la sua impresa su due assi portanti: il sistema manifatturiero americano e lo
Scientific Management.
17
Egli dà inizio alla produzione del “modello T”; applica la teoria di Taylor, dà vita
alla catena di montaggio, ottimizza i tempi.
Il fordismo scopre il mercato di massa e il consumismo e la Ford risulta essere
sempre l’impresa più integrata al mondo.
Al taylorismo segue la scuola delle Relazioni Umane, la quale non introduce un
nuovo modello esplicito di organizzazione, ma propone una critica alla
concezione classica del fattore umano, sviluppando delle tecniche per superare
certe disfunzioni, quali bassi morale, resistenza al cambiamento e bassa
produzione (nasce verso la fine degli anni ’20 come psicologia industriale).
La crisi del modello tecnicista avviene soprattutto ad opera dei pre-ergonomi
inglesi e della ricerca condotta da Mayer. Quest’ultimo (anni ’20- ’30) è
considerato lo studioso più autorevole tra gli psicotecnici e i pre-ergonomi inglesi.
La critiche attuate dagli psicotecnici inglesi diventano particolarmente attive ed
utili durante la prima guerra mondiale per focalizzare l’attenzione sull’incremento
dell’efficienza e la riduzione della fatica, anche grazie ai contributi di Antonio
Mosso, fisiologo italiano che ha dedicato grande impegno allo studio delle curve
di fatica e di efficienza.
I ricercatori dopo un attento studio sulle pause lavorative, approdano ad una
scoperta che avrebbe messo in crisi alcuni punti cardine del taylorismo: la
monotonia industriale.
L’uomo non è esattamente quello che pensa Taylor e cioè una macchina
muscolare, ma nell’uomo subentra un fenomeno psicologico, che è la fatica
psichica; il muscolo “cervello” eccede l’individuo, spontaneamente teme la
ripetizione e la standardizzazione: dal punto di vista psico-fisiologico la
parcellizzazione del lavoro si è rilevata esattamente il contrario della scientificità
e della razionalità. L’uomo spontaneamente non tende alla ripetizione, la
ripetizione gli causa sofferenza, saturazione psicologica e monotonia.
I pre-ergonomi inglesi furono i primi a sostenere che l’uomo e la macchina
debbano essere compatibili, tuttavia non deve essere l’uomo che si adatta alla
18
macchina, ma è il sistema uomo- macchina- ambiente che deve essere completato
insieme, per permettere miglior adattamento possibile tra l’uno e gli altri.
Studi sulla saturazione psichica mettono in evidenza come sia necessario
stimolare il cervello in termini di variazioni che permettono all’uomo di interagire
con l’ambiente e con il lavoro.
L’organizzazione scientifica del lavoro, quindi, considera l’uomo solo in modo
parziale. Un altro duro colpo contro le certezze del taylorismo e del fordismo
viene da Harward e da Elton Mayo.
Gli interessi di Mayo si incentrarono sugli esperimenti effettuati alla Western
Eletric di Hawthorne (1927-1932), nel campo della ricerca motivazionale, a
seguito dei quali si fece strada l’ipotesi che una gestione autoritaria e
burocratizzata di impronta rigidamente tayloristica non consentisse
l’ottimizzazione di obiettivi di efficienza industriale. Gli esperimenti vertevano
sull’esigenza di aumentare l’efficienza/efficacia produttiva.
Attraverso le sue ricerche alla Hawthorn, Mayo sperimentava un modello
organizzativo in un organizzazione del lavoro fordista e taylorista con metodiche
classiche, ma ottiene risultati no comprensibili, non prevedibili, scoprendo
l’esistenza di una nuova “Gestalt”, ossia l’esistenza del gruppo psicologico delle
organizzazioni.
Mayo giunge ad alcune fondamentali conclusioni:
- il rendimento dei lavoratori è in buona parte legato ai rapporti umani che si
instaurano all’interno dell’organizzazione. Compito dell’impresa è di
eliminare le tensioni e le conflittualità, favorendo un attaccamento dei
lavoratori all’azienda e la loro spontanea collaborazione;
- gli uomini agiscono spesso non come singoli, ma come membri di un
gruppo. Tale tendenza è positiva e deve essere favorita, in modo da
sviluppare uno spirito di gruppo che possa diventare, in seguito, spirito di
corpo per tutti i lavoratori dell’azienda. in tale logica si deve tener conto
dei leader naturali dei gruppi, anche se ciò potrebbe generare una gerarchia
aziendale diversa da quella imposta dall’impresa;