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1. Introduzione
Negli ultimi due decenni, il settore pubblico ha vissuto una
metamorfosi epocale, con l’emergere di importanti riforme, che
hanno cambiato il modo di agire della Pubblica Amministrazione.
Questo processo di riforma è meglio noto con il termine New Public
Management (NPM), coniato negli anni ’80, volto proprio a
sottolineare il “nuovo” ruolo che il settore pubblico avrebbe assunto
nell’immediato futuro.
La nuova dottrina si basa su due concetti fondamentali (Hood,
1995):
• la forte attenuazione delle differenze tra settore pubblico e
settore privato;
• il passaggio dalla rendicontazione (accountability) sul
processo decisionale, all’accountability in termini di risultati
conseguiti.
L’affermazione del paradigma del New Public Management ha
portato all’emergere di una rinnovata concezione dell’istituto
pubblico, generando molteplici effetti: (i) ha modificato
l’organizzazione del settore pubblico, orientandola più verso i servizi
che esso eroga (contemplando così una divisione per centri di
costo); (ii) ha incentivato una maggiore competizione tra settore
pubblico e privato, ma anche all’interno del settore pubblico
medesimo; (iii) ha introdotto comportamenti e pratiche
manageriali; (iv) ha posto l’accento sulla economicità dell’uso delle
risorse e sulla ricerca di alternative meno costose per l’erogazione
dei servizi; (v) ha riposto maggiore fiducia nel management,
incentivandone la sua autonomia decisionale; (vi) ha sostituito la
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cultura legalistico – formale con una economico – manageriale; (vii)
ha sottolineato la dimensione che il settore pubblico deve darsi, la
quale deve essere d’insieme, più omeostatica e meno frammentaria
(Hood, 1995).
Tra gli innumerevoli cambiamenti che il NPM ha apportato, quello
certamente che ha più inciso riguarda le innovazioni inerenti il
sistema contabile, tanto da coniare un nuovo termine, New Public
Financial Management (NPFM), proprio per sottolineare la centralità
che le riforme contabili hanno avuto nel delineare l’intero processo
di riforma.
Il presente lavoro si focalizzerà proprio su quest’ultimo aspetto,
ossia sulla tendenza, all’interno del settore pubblico, ad adottare un
sistema di bilancio non più basato unicamente sulla logica
finanziaria, bensì incentrato sul momento economico della gestione,
del tutto analogo a ciò che avviene nel settore privato. In
letteratura si è sviluppato un acceso dibattito inerente opportunità
della transizione da una logica prettamente finanziaria a una
economico - patrimoniale, con alcuni autori (Anessi Pessina 2002;
Anthony 1980, 1989; Barrett 1993; Evans 1995; Jones 1995;
Mellor 1996; Tunnel e Cooper 1998) che sostengono l’introduzione
della contabilità generale, in sostituzione della finanziaria, e altri
(Christiaens 1999; Cristiaens e Vanhee 2002; Ellwood 1999;
Guthrie 1998; Guthrie e Johnson 1994; Johns 1951; Lewis 1995;
Matthews 1993; Monsen 2002; Monsen e Näsi 1996, 1998, 1999;
Oettle 1990) che si oppongono fermamente, evidenziando la
peculiarità delle Amministrazioni Pubbliche, la cui gestione poco si
confà a una logica privatistica.
In definitiva: è opportuno introdurre nel settore pubblico un sistema
di bilancio che abbracci la logica economico – patrimoniale? È altresì
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utile? Inoltre, come salvaguardare la funzione autorizzativa in modo
da non pregiudicare l’importante principio dell’equità
intergenerazionale?
A queste domande si cercherà di rispondere nel prosieguo del
lavoro, analizzando dapprima la letteratura e in seguito un caso
concreto di alcuni Enti Locali trentini che si apprestano ad adottare
un processo di bilancio basato sulla logica economica in luogo della
finanziaria. Infine, il contributo che il presente lavoro intende dare,
consiste nella proposta di un nuovo sistema di programmazione e
controllo, volto a colmare, almeno in parte, le lacune del modello
attuale, evidenziate sia in letteratura che nell’esperienza concreta
emersa presso gli Enti Locali trentini oggetto dell’analisi.
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2. Review della letteratura
2.1 Ragioni a favore dell’adozione della contabilità
economico – patrimoniale nel settore pubblico
L’introduzione della contabilità economico - patrimoniale nelle
amministrazioni pubbliche può considerarsi come una delle più
importanti innovazioni del New Public Management. Difatti, sin dai
primi anni ’90, una molteplicità di Paesi ha tentato di implementare
questo cambiamento, in maniera diversa da luogo a luogo,
soprattutto per via delle diverse variabili di influenza che
caratterizzano ognuno, quali, fattori culturali, storici e strutturali
(Torres; Pina; 2003). Per questa ragione, i Paesi anglosassoni, dove
l’attenzione per l’efficienza, l’efficacia e l’economicità è stata
sempre elevata, hanno costituito una sorta di avanguardia
nell’adozione di principi aziendalistici nel settore pubblico.
Analogamente i Paesi scandinavi, i quali hanno mantenuto la
contabilità finanziaria a livello centrale, ma hanno introdotto quella
economica al livello decentrato (agenzie). Nei Paesi dell’Europa
centro - meridionale, invece, la Pubblica Amministrazione è ancora
permeata da una cultura legalistica e burocratica e i cittadini sono
ancora considerati non come dei veri e propri clienti, bensì in
qualità di meri utenti dei servizi pubblici. Tuttavia, specie a livello
decentrato, la contabilità economica – patrimoniale sta via via
sostituendosi o semplicemente affiancandosi alla finanziaria,
lasciando intuire che, anche nell’Europa continentale, è in atto un
importante cambiamento nella cultura amministrativa (Torres; Pina,
2003). La ragione principale che ha portato alla transizione verso la
contabilità generale, risiede senza dubbio nei limiti insiti nella
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contabilità finanziaria, la cui finalità principale è quella
autorizzativa. Tale funzione si esplica nel compito precipuo di
vincolare l’operato degli organi di amministrazione, i quali “non
potranno svolgere operazioni se non nei limiti in cui i valori da essi
suscitati rispettino i limiti delle assegnazioni definite per ogni tipo di
impiego dalle scelte compiute, a preventivo, dagli organi
rappresentativi del soggetto economico” (Borgonovi 1984). Proprio i
limiti della funzione autorizzativa hanno indotto molti legislatori a
superare la contabilità finanziaria, sia pure non prescindendo
dall’importanza che tuttora riveste tale funzione nel settore
pubblico. Le motivazioni principali che hanno portato a porre in
discussione la contabilità tradizionale, possono agevolmente
sintetizzarsi in tre punti principali:
• l’inefficacia dello strumento logico dell’autorizzazione di spesa
e del correlato sistema contabile nel realizzare il controllo
della spesa e del disavanzo (Borgonovi, 1996);
• la propensione ad attribuire maggiore importanza al rispetto
contabile delle autorizzazioni di spesa che non alla ricerca di
efficacia ed efficienza (Borgonovi, 1996);
• anche laddove efficace nel controllo della spesa, la finalità
autorizzativa non assicura l’effettivo soddisfacimento dei
bisogni cui le risorse sono finalizzate (Caperchione, 2000).
Inoltre, la crescente complessità e articolazione dell’intervento
pubblico hanno generato nel tempo una crescente divaricazione tra
lo strumento contabile prettamente di natura finanziaria e le
esigenze di misurazione e controllo reale della gestione,
contribuendo ad assegnare alla contabilità pubblica la funzione di
acquisire e mantenere il consenso, piuttosto che la capacità di
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indirizzo e controllo della situazione amministrativa (Pezzani, 2005).
Tutto ciò ha portato, non di rado, a comportamenti opportunistici,
miranti a sovrastimare le entrate o sottostimare le uscite, al fine
soddisfare “appetiti” di natura politica, che nulla hanno a che fare
con la corretta gestione della cosa pubblica.
In risposta agli evidenti limiti sopra esposti, il legislatore italiano si
è avvicinato alle novità ispirate dal New Public Management con
diversi provvedimenti legislativi, pur tuttavia con la tendenza a un
approccio fortemente legalistico e burocratico, dall’alto al basso (top
down), prescrittivo e onnicomprensivo, caratterizzato da una
ingente produzione normativa (Anessi Pessina; Steccolini, 2005). Il
primo atto tramite il quale la pubblica amministrazione italiana è
andata incontro al processo di “aziendalizzazione” propugnato dal
NPM, è il D.lgs. 142/1990, il quale ha recepito pienamente il
modello manageriale orientato ai risultati, attuando una piena
separazione tra indirizzo e gestione, ossia tra responsabilità di
indirizzo e responsabilità tecnica, (1) devolvendo agli Enti Locali una
maggiore autonomia sia organizzativa che finanziaria; (2)
incrementando l’autonomia dei dirigenti locali e l’accountability nelle
loro relazioni con i politici; (3) incentivando l’esternalizzazione e la
privatizzazione dei servizi (Anessi Pessina; Steccolini, 2005). A
questo iniziale provvedimento se ne è aggiunto uno ulteriore, volto
proprio a incidere sul sistema contabile fino ad allora in uso presso
gli Enti Locali, ossia il D.lgs. 77/1995. Esso ha introdotto due
importanti novità: (i) la contabilità economico - patrimoniale,
seppur obbligatoria soltanto per la predisposizione del rendiconto e
in coesistenza con il conto del bilancio di natura finanziaria e (ii) il
piano esecutivo di gestione (PEG), come supplemento al bilancio di
previsione annuale. Riguardo al rendiconto di natura economica,
esso può ottenersi seguendo diverse configurazioni alternative del
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sistema contabile, come illustrato dai successivi punti (Steccolini,
2004):
• un sistema di contabilità finanziaria estesa o “metodo
minimale”, tramite il quale si rilevano gli accadimenti in
partita semplice integrandole con alcune informazioni
extracontabili finalizzate alla redazione del conto economico,
conto del patrimonio e prospetto di conciliazione;
• i sistemi integrati, i quali possono alternativamente fondarsi
sulle registrazione della contabilità finanziaria e completarle
con quelle della contabilità economico - patrimoniale, o
viceversa;
• i sistemi paralleli, che prevedono due sottosistemi di
rilevazioni (contabilità finanziaria in partita semplice e
contabilità economico - patrimoniale in partita doppia)
autonomi e privi di collegamenti formali.
Infine, si è giunti al D.lgs. 286/1999 che ha completato un primo
processo di riforma degli Enti Locali, introducendo ulteriori livelli di
controllo oltre a quello di conformità, vale a dire (i) il controllo
manageriale; (ii) il controllo strategico e (iii) la valutazione del
personale. Come si nota, è dalla metà degli anni ’90 che il sistema
di rilevazione contabile degli enti locali ha subito profondi
cambiamenti, permettendo la rilevazione dell’aspetto economico
della gestione e, quindi, non solo delle entrate e delle uscite ma
anche dei costi e dei proventi. In sostanza, l’introduzione della
contabilità - economico patrimoniale avrebbe apportato effetti
benefici che la sola contabilità a base finanziaria non garantiva in
relazione alla maggiore correttezza dell’informazione al cittadino e
ai mercati finanziari; alla gestione finanziaria e patrimoniale; al