6
delle professioni, inquadra tutte le figure professionali (ex principali ed ex
ausiliarie) come professioni sanitarie;
2) la legge 10 agosto 2000, n. 251 “disciplina delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della
professione ostetrica” che istituisce la dirigenza infermieristica (e delle altre
professioni sanitarie ex ausiliarie) e la laurea specialistica.
3) Legge 1 febbraio 2006, n. 43 "Disposizioni in materia di professioni sanitarie
infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e
delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali" pubblicata
nella GAZZETTA UFFICIALE n. 40 del 17 febbraio 2006
1
1
"Nota della Redazione: il testo in rosso si riferisce agli aggiornamenti alla tesi integrati dall'autore tra il 2009/2010 sulla
base delle novità legislative in materia."
7
LE VARIE FIGURE INFERMIERISTICHE
La professione infermieristica non è mai stata inquadrata in modo unitario dalla
legislazione. Tanto è vero che l’ordine professionale non è l’ordine professionale degli
infermieri o degli infermieri professionali, bensì il Collegio IPASVI. La sigla indica tre
distinte figure professionali: l’infermiere professionale, l’assistente sanitario e la vigilatrice
d’infanzia.
L’infermiere professionale (oggi infermiere) ha ottenuto la pubblicazione del profilo
professionale per primo, recepito nel D.M. 14 settembre 1994, n. 739
2
, che doveva
2
D.M. 14 settembre 1994, n. 739
Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere.
1. E’ individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo: l’infermiere è l’operatore sanitario che, in
possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza generale
infermieristica.
2. L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le
principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione
sanitaria.
3. L’infermiere:
a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;
b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi;
c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico;
d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche;
e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali;
f) per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto;
g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare,
in regime di dipendenza o libero-professionale.
4. L’infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all’aggiornamento relativo
al proprio profilo professionale e alla ricerca.
5. La formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica è intesa a fornire agli infermieri di assistenza
generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro di erogare specifiche prestazioni
infermieristiche nelle seguenti aree:
a) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica;
8
ricondurre a unità la professione infermieristica; solo successivamente sono stati emanati sia
il profilo dell’assistente sanitario che dell’infermiere pediatrico nonché i criteri
dell’equipollenza.
Nulla è innovato invece sulla qualificazione di arte ausiliaria delle professioni sanitarie
riguardante l’infermiere generico.
Il successivo art. 100 del TULS stabilisce che “nessuno può esercitare la professione di
medico-chirurgo, veterinario, farmacista, levatrice, assistente sanitaria visitatrice o infermiera
professionale, se non sia maggiore di età e abbia conseguito il titolo di abilitazione
all’esercizio professionale, a norma delle vigenti disposizioni”.
La classificazione delle figure della professione infermieristica è stata recentemente
modificata dal D.M. 29 marzo 2001 “Definizione delle figure professionali di cui all’art. 6,
comma 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, da includere
nelle fattispecie previste dagli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 10 agosto 2000, n. 251 (art. 6
comma 1, legge 251/2000)” e dai decreti 2 aprile 2001 “Determinazione delle classi delle
lauree universitarie delle professioni sanitarie”.(OGGI Decreto Ministeriale 8 gennaio 2009
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 28 maggio 2009 n.122 )
La tripartizione classica della professione infermieristica viene cambiata. La professione
infermieristica viene suddivisa solo nei profili professionali di infermiere e di infermiere
b) pediatria: infermiere pediatrico;
c) salute mentale-psichiatria: infermiere psichiatrico;
d) geriatria: infermiere geriatrico;
e) area critica: infermiere di area critica.
6. In relazione a motivate esigenze emergenti dal Servizio Sanitario Nazionale, potranno essere individuate, con decreto
del Ministero della Sanità, ulteriori aree richiedenti una formazione complementare specifica.
7. Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della Sanità e si conclude con il rilascio di un attestato di
formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale per l’esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il
superamento di apposite prove valutative. La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiettive
necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di fatto.
9
pediatrico, mentre la figura dell’assistente sanitario viene spostata nella classe delle
professioni della prevenzione.
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PROFILO PROFESSIONALE DELL’INFERMIERE
Il profilo professionale dell’infermiere contiene numerosi spunti. Rispetto al passato si
parla ormai solo di infermiere e non più di infermiere professionale. Si specifica che
l’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica, affermazione decisamente
importante visto anche l’ultimo comma dell’art. 1 della legge 42/1999 che attribuisce
all’infermiere “un campo proprio di attività e di responsabilità”, in relazione al contenuto del
profilo professionale.
Il profilo professionale specifica che l’infermiere è “l’operatore sanitario che…”, espressione
necessitante una lettura diversa, proprio in virtù dell’abolizione del carattere di ausiliarietà
disposto dalla legge 42/1999. In conseguenza di questo, la corretta lettura di quanto
disposto dal profilo è: “l’infermiere è il professionista sanitario che…”.
Il punto 5 del profilo professionale pone le basi per il superamento dell’infermiere unico
e polivalente, prevedendo degli specifici percorsi post-base per la pratica specialistica, in
cinque distinte aree:
1. infermiere di sanità pubblica, che ricalca in gran parte la tradizionale figura dell’assistente sanitario;
2. infermiere pediatrico, il cui raccordo con le figure tradizionali delle vigilatrici d’infanzia pone in realtà
seri problemi, in quanto queste ultime hanno frequentato un corso di base, mentre la nuova figura
dell’infermiere pediatrico è il risultato di un corso di base più uno di specializzazione;
3. infermiere psichiatrico, figura che non deve essere in alcun modo confusa con l’infermiere psichiatrico
operante nelle vecchie istituzioni manicomiali, non riconducibile alla professione infermieristica vera e
propria;
4. infermiere geriatrico;
5. infermiere di area critica.
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Lo stesso profilo prevede che in seguito a motivate esigenze emergenti dal Servizio
sanitario nazionale potranno essere individuate ulteriori aree di formazione complementare.
12
L’ESERCIZIO PROFESSIONALE
LE ATTRIBUZIONI DELL’INFERMIERE:
IL SUPERAMENTO DEL SISTEMA MANSIONARIALE
Il sistema tradizionale di abilitazione all’esercizio professionale era stabilito dal
cosiddetto mansionario, che era recepito dal D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225. Più esattamente
il mansionario conteneva un insieme di funzioni e mansioni di carattere rigido ed esaustivo.
Ne consegue che tutto ciò che non era specificamente compreso era da considerarsi di
competenza medica. Vi erano anche altri riferimenti normativi che regolavano le mansioni
degli infermieri professionali – le fonti extramansionariali, di cui oggi ne residuano solo
alcune – ma è indubbio che il mansionario ne costituiva il corpus principale. Il profilo
professionale recepito con il D.M. 14 settembre 1994, n. 739, pur avendo innovato i criteri
per l’esercizio professionale, indicando una cornice ampia, di competenza infermieristica,
conservava un rapporto di convivenza non facile con il mansionario. Il mansionario si
componeva di sei articoli di cui solo i primi due erano dedicati specificamente all’infermiere
professionale, il terzo definiva le mansioni delle vigilatrici di infanzia, il quarto le mansioni
dell’infermiere professionale specializzato in anestesia e rianimazione, il quinto riguardava
gli assistenti sanitari, il sesto le mansioni degli infermieri generici, unico articolo
sopravvissuto all’abrogazione. Anche fonti terziarie, e segnatamente circolari, erano
intervenute nell’interpretazione delle norme mansionariali.
L’ESERCIZIO PROFESSIONALE SENZA MANSIONARIO
Le innovazioni apportate con la legge 26 febbraio 1999, n. 42, recante disposizioni in
materia di professioni sanitarie sono rilevanti ed epocali. Per la prima volta si delinea un
esercizio professionale senza mansionario. Data l’importanza del cambiamento, si riporta la
13
parte dell’art. 1 che sancisce l’abrogazione del mansionario:
“Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati il regolamento approvato con il
D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, a eccezione delle disposizioni previste dal titolo V, il D.P.R. 7 marzo
1975, n. 163 e l’art. 24 del regolamento approvato con D.P.R. 6 marzo 1968 e successive modificazioni.
Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’art. 6, comma 3, del
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei
decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di
diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le
competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle
quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze
professionali.”
Viene abolito il mansionario e vengono indicati quattro criteri guida e due limiti. I
criteri guida sono dal contenuto del profilo professionale
3
, dalla formazione di base
4
e
post-base (laurea specialistica
5
e master) ricevuta e dal codice deontologico
6
.
Un problema che potrebbe sorgere a livello interpretativo per individuare il “campo
proprio di responsabilità” è dato dalla non esaustività del profilo professionale, che volutamente
non ricomprende la ricchezza delle situazioni operative e cognitive in cui si trovano a
operare gli infermieri.
Oltre ai quattro criteri guida la legge pone due limiti: il limite delle competenze previste
per i medici e per gli altri professionisti sanitari laureati.
Il limite dell’atto medico si connota per la sua difficile individuazione per motivi che
potremmo definire storici, in quanto nel nostro ordinamento da sempre vi è una sorta di
3
D.M. 14 settembre 1994, n. 739
Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere.
4
TABELLA XVIII - TER – 04 CORSO DI DIPLOMA UNIVERSITARIO PER INFERMIERE
5
Decreto Ministeriale recante classi delle lauree specialistiche universitarie delle professioni sanitarie – 2/04/2001
6
CODICE DEONTOLOGICO DELL'INFERMIERE
Testo approvato dal Comitato Centrale della Federazione IPASVI - Febbraio 1999
14
equivalenza tra l’atto sanitario e l’atto medico. Equivalenza che ha trovato recentemente
anche l’avallo della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che ha avuto modo di
precisare che “solo una fonte normativa può consentire a soggetti diversi da quelli esercitanti la professione
di medico interventi invasivi sulla sfera corporale, sulla base di ragionevole riconoscimento di competenze
tecniche e professionali”. A fronte di una situazione di equivalenza, venuta meno, tra atto
sanitario e atto medico, risulta non facile il lavoro dell’interprete per l’individuazione degli
atti di non esclusiva competenza medica, e certo può esserci un certo rischio di ondeggiante
giurisprudenza sul punto. Appare chiaro che il nostro ordinamento è passato da una
situazione di evidente rigidità interpretativa, caratterizzata dall’esistenza stessa di mansionari,
a una situazione di maggiore flessibilità, con una interpretazione dei ruoli e delle funzioni di
ciascuna figura in modo non precostituito, ma destinato a letture di carattere storico-
evolutivo, con particolare riguardo alla evoluzione delle conoscenze necessarie per compiere
determinati atti. Il limite testuale richiamato dalla legge 42/1999 è quindi dato dalla
“competenza prevista per le professioni mediche” e “per le altre professioni sanitarie”.
La dottrina si è divisa sul significato di competenza avendo notato che il termine assume
una duplice valenza: competenza come “ciò che compete”, “ciò che è di pertinenza”, ma anche
competenza come “capacità” come insieme di conoscenze. Con una riflessione matura
potremmo dire che entrambe le interpretazioni potrebbero avere diritto di cittadinanza,
senza però offrire spunti decisivi per la risoluzione di alcune contraddizioni che sono da fare
risalire al dato testuale della legge.
La nuova situazione si presenta pressoché antitetica rispetto all’interpretazione
tradizionale della Suprema Corte di Cassazione che considerava vincolante per l’esercizio
professionale il possesso del titolo e dell’abilitazione arrivando ad affermare che dovevano
“considerarsi irrilevanti la perizia, la capacità e l’abilità del soggetto”, criteri che oggi vengono invece
posti, come abbiamo visto, come criteri guida per l’esercizio professionale.
E’ anche vero che i tradizionali ambiti peculiari della professione medica sono da
sempre, nella pubblicistica, nella trattatistica e nella giurisprudenza, individuati come
l’ambito della diagnosi e della cura.
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Limiti insopprimibili dell’attività medica ma non sempre esclusivi.
I riferimenti, anche normativi, in questi anni non sono mancati, tanto da poter azzardarsi
ad affermare che le norme contenute nella legge appena approvata costringono a un
ripensamento e a un ridisegnamento delle competenze delle professioni sanitarie non
mediche con la professione medica, visto anche il disposto finale della legge che precisa che
l’esercizio professionale deve avvenire “nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”.
Il percorso professionalizzante comune alle professioni non mediche che ha visto tutti i
passaggi essenziali – formazione universitaria, pubblicazione del profilo professionale,
abolizione degli eventuali mansionari – e la soppressione del carattere di ausiliarietà portano
le professioni sanitarie a esercitare a due livelli: uno autonomo e uno collaborante.
Nella professione infermieristica, il livello autonomo è dato in primo luogo dal
disposto contenuto nel primo articolo del D.M. 14 settembre 1994, n. 739 nella parte in cui
si precisa che l’infermiere “è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”.
L’attività collaborante viene invece sottolineata dal terzo comma, punto a) dello stesso
articolo laddove viene sottolineata la funzione integrante medico-infermiere, quando si
specifica che l’infermiere “partecipa alla identificazione dei bisogni della salute della persona e della
collettività”, laddove per partecipare si intende un’attività non autonoma, ma svolta in
collaborazione e in équipe. Inoltre il punto d) stabilisce che l’infermiere “garantisce la corretta
applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche” poste in essere dal medico. Ancora, il punto
e) ha modo di precisare, puntualmente, che l’infermiere “agisce sia individualmente sia in
collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali”.
E’ necessaria però un’opera di forte coinvolgimento di tutte le professioni coinvolte, di
elaborazione, di riflessione, di ricostruzione del proprio specifico professionale, senza
possibilmente scivolare in posizioni precostituite o rigidamente corporative, con il chiaro
scopo di ridisegnare le competenze sulla base dei criteri guida - profilo, formazione ricevuta
e deontologia – indicati dalla legge di riforma dell’esercizio professionale.
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FONTI EXTRAMANSIONARIE RESIDUE
Data la rigidità del sistema mansionariale, a partire dal 1990 il legislatore ha iniziato ad
attribuire funzioni e compiti alla professione infermieristica in modo disorganico in varie
fonti normative, di carattere legislativo e regolamentare.
Solo alcune di queste fonti sono sopravvissute all’ondata abrogatrice del mansionario,
note come “fonti extramansionariali residue”.
Si riporta qui di seguito quelle vigenti.
D.P.R. 27 marzo 1992
Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di emergenza sanitaria
“ Art. 4
La responsabilità medico-organizzativa della centrale operativa è attribuita nominativamente, anche a
rotazione, a un medico ospedaliero con qualifica non inferiore ad aiuto corresponsabile, preferibilmente
anestesista, in possesso di documentata esperienza e operante nella medesima area dell’emergenza.
La centrale operativa è attiva 24 ore al giorno e si avvale di personale infermieristico adeguatamente
addestrato, nonché di competenze mediche di appoggio (…)
La responsabilità operativa è affidata al personale infermieristico professionale della centrale, nell’ambito
dei protocolli decisi dal medico della centrale operativa.
…
Art. 10
Il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere
autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi nonché a svolgere le altre attività di manovre
atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio.”
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Decreto del Ministero della Sanità 22 agosto 1994, n. 582.
Regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte.
Sostituito dal D.M. 11 aprile 2008
“…Art. 4
L’esecuzione delle indagini elettroencefalografiche deve essere effettuata da tecnici di neurofisiopatologia sotto
supervisione medica.
In mancanza di tale figura professionale, in via transitoria e a esaurimento e sempre sotto supervisione
medica, l’esecuzione degli esami può essere affidata a tecnici e/o infermieri professionali adeguatamente
formati a svolgere tali mansioni.”
Per quanto riguarda la competenza a effettuare gli EEG bisogna ricordare che anche il
mansionario la contemplava, nella parte in cui specificava che competeva all’infermiere
l’esecuzione di ECG, EEG e similari: il D.M. 582/1994 sembra attribuire in via esclusiva
tale competenza al tecnico di neurofisiopatologia. L’art. 4 del decreto in questione specifica
che “l’esecuzione delle indagini elettroencefalografiche deve essere effettuata da tecnici di neurofisiopatologia
sotto supervisione medica”.
Da questo consegue che la figura che fino a oggi, oltre al medico, era abilitata a eseguire
gli EEG, perde la sua competenza a favore del tecnico di neurofisiopatologia, il cui profilo è
stato istituito con il D.M. 15 marzo 1995, n. 183. In tale decreto sono specificati gli esami
affidati al tecnico di neurofisiopatologia: elettroencefalografia (EEG), elettroneuromiografia
(EMG), poligrafia, potenziali evocati (PE) e ultrasuoni.
Nelle more che sono necessarie affinché tale figura sia presente in tutti i servizi sanitari,
l’esecuzione dell’elettroencefalogramma può continuare a essere effettuata dall’infermiere
professionale “in via transitoria e a esaurimento” a condizione che sia adeguatamente formato a
svolgere tali mansioni. Non tutti gli infermieri quindi, anche se per un periodo limitato
potranno continuare a effettuare gli EEG, ma solo coloro che avranno seguito l’apposito
corso di formazione. Da tutto questo deriva: