4
PARTE PRIMA: L’EUROSCETTICISMO AL VAGLIO
DELLA SOCIOLOGIA POLITICA
Capitolo 1: L’euroscetticismo: definizione, modelli,
interpretazioni
1)Le origini del concetto
Il termine di "euroscetticismo" ("Euroscepticism") nasce e si impone nel Regno Unito
1
per
indicare sostanzialmente un atteggiamento di opposizione all’adesione britannica alla Comunità
Economica Europea, che avverrà soltanto nel 1973. Negli anni '70 e '80, sebbene tale concetto si
evolva, a poco a poco, fino a designare, secondo l’accezione attuale, un atteggiamento di generale
critica o contrarietà al processo d’integrazione europea, esso rimane ancorato al contesto britannico:
l’opposizione è essenzialmente un’opposizione ad un’Europa "continentale", in procinto di un
progressivo abbandono delle relazioni transatlantiche, storicamente centrali, al contrario, per il
Regno Unito (Harmsen, 2005(b))
Il momento di svolta è costituito dai primi anni '90, e in particolare dal trattato di Maastricht
(Taggart, 1998, p. 366-367); (Viviani, 2010, p. 157): gli ampi dibattiti e, in alcuni casi, le difficoltà che
precedono la sua ratifica (si pensi al referendum di ratifica tenutosi in Francia, in cui i "sì" al trattato
non furono che il 51,04%
2
dei voti espressi) indicano chiaramente che, in maniera diffusa nei vari Stati
Membri, nasce e s’impone una riflessione sulla misura in cui progressivi trasferimenti di sovranità
statale ad un livello europeo possano essere accettati. Quella del processo d’integrazione europea
inizia, pertanto, a divenire una questione sempre più saliente nelle società europee, e quindi nelle
varie arene politiche del Vecchio Continente: inizia, in altre parole, a politicizzarsi (Flood, 2002),
costituendo un elemento ormai non più trascurabile nei vari sistemi partitici europei e in ogni
accurata ed esaustiva riflessione su questi ultimi.
Si affermano così, in letteratura, diversi modelli ed approcci esplicativi del fenomeno
dell’euroscetticismo partitico, dei quali il più comune risulta essere quello che interpreta il grado di
euroscetticismo di un dato partito politico in funzione della maggiore o minore centralità dello stesso
all’interno del sistema partitico nazionale di cui fa parte (Sitter, 2002), (Taggart, 1998), (Taggart &
Szczerbiak, 2002).
1
E, più precisamente, in ambito giornalistico più che accademico (Szczerbiak & Taggart, 2003, p. 2)
2
Fonte: ministero degli interni francese
http://www.interieur.gouv.fr/sections/a_votre_service/resultats-elections/rf1992/000/000.html
5
2)L’euroscetticismo come "pietra di paragone del dissenso"
Una dicotomia ormai paradigmatica è quella che oppone una versione "debole"
dell’euroscetticismo partitico – cioè non di principio, non indirizzata al processo in sé d’integrazione
europea – ad una "forte" – cioè di principio – (Taggart & Szczerbiak, 2002). A tale proposito, e per
poter godere di una maggiore chiarezza definitoria come punto di partenza della mia riflessione, è
utile riportare – in traduzione – la definizione originale dei due autori:
L’EUROSCETTICISMO FORTE si ha nei casi in cui ci sia un’opposizione di principio all’
UE ed all’integrazione europea, e quindi può essere riscontrata in partiti che
pensano che il proprio Paese dovrebbe uscire dall’UE, o la cui politica nei confronti
dell’UE equivale ad un’opposizione al progetto di integrazione europea nel suo
insieme quale è attualmente concepito.
L’EUROSCETTICISMO DEBOLE si ha nei casi in cui NON ci sia un’avversione di
principio all’integrazione europea o all’appartenenza all’UE, ma in cui alcune riserve
su una (o un certo numero di) delle aree di politiche pubbliche conducano
all’espressione di un’opposizione qualificata all’UE, o in cui esista un’opinione diffusa
che "l’interesse nazionale" sia attualmente in contrasto con la traiettoria dell’UE.
(Taggart & Szczerbiak, 2002, p. 4)
Sulla base di tale differenziazione, Taggart e Szczerbiak costruiscono quindi una tipologia
dell’euroscetticismo partitico ("Party-Based Euroscepticism"), assegnando ogni partito identificato
come euroscettico negli Stati membri e – nel 2002 – candidati all’adesione ad una delle due
categorie.
Un simile tentativo si può riscontrare, tuttavia, già in Taggart, 1998: sebbene l’autore
dichiari, infatti, di utilizzare il termine di "euroscetticismo" per indicare ogni tipo di opposizione –
tanto “contingente e qualificata”, quanto “assoluta e non qualificata” (pag. 366) – all’integrazione
europea, successivamente identifica quattro maniere in cui l’euroscetticismo si manifesta nei partiti
europei, costruendo, di fatto, una quadruplice classificazione dei partiti euroscettici.
Partiti euroscettici "Single issue", la cui unica caratterizzazione, nonché unico fattore in grado
di mobilizzare gli elettori, è proprio l’opposizione all’UE.
Partiti di protesta euroscettici, che hanno assunto, cioè, posizioni euroscettiche in aggiunta
ad un’opposizione generale al sistema politico (si potrebbe definirli “partiti anti-sistema”).
“Established parties” con posizioni euroscettiche, ossia partiti di governo o in una posizione
di prossimità rispetto ai partiti di governo.
Fazioni euroscettiche all’interno di partiti che esprimono un generale sostegno al processo di
integrazione europea.
6
I criteri alla base delle due classificazioni sono chiaramente diversi: nel primo caso l’accento
viene posto sui differenti gradi di euroscetticismo empiricamente riscontrabili nei sistemi partitici
europei, nel secondo sul tipo di partiti che esprimono euroscetticismo, quale che ne sia il grado.
Tuttavia, le due classificazioni sono per alcuni versi sovrapponibili. Ad esempio, si può
affermare con certezza che tutti i Partiti euroscettici "Single issue" esprimono euroscetticismo forte
(mentre non è necessariamente vero il contrario): poiché l’unica ragion d’essere di tali partiti è
proprio l’opposizione all’UE, non possono che esprimerla in una forma assoluta e non contingente o
relativa ad una o alcune aree di policy. In maniera analoga, l’euroscetticismo degli “Established
Parties”
3
e quello delle fazioni euroscettiche all’interno di partiti non euroscettici si presenta
esclusivamente nella sua forma debole. Non si riscontra, invece, alcuna corrispondenza piena tra i
partiti di protesta euroscettici e una delle due categorie della dicotomia "euroscetticismo
forte/debole"
4
: alcuni (come il Partito Comunista Francese o il Front National) sono annoverati fra i
partiti caratterizzati da euroscetticismo forte; altri (come la Lega Nord
5
in Italia) sono inclusi fra i
partiti che esprimono euroscetticismo debole
In ogni caso, da entrambe le classificazioni emerge un’idea generale riguardo
l’euroscetticismo partitico: quella secondo la quale tale fenomeno è interpretabile in funzione del
grado di centralità che i vari partiti politici rivestono all’interno dei rispettivi sistemi partitici nazionali.
Questo concetto è riscontrabile in maniera diretta ed immediata in Taggart, 1998: egli infatti
pone l’accento sul fatto che “l’euroscetticismo dei partiti di protesta sembra essere il tipo più
pervasivo di opposizione partitica all’UE” e che, quindi, “i partiti che sono periferici rispetto ai loro
3
Con l’eccezione del Left Party in Svezia: esso è, infatti, espressione di euroscetticismo forte al pari di
tutti i partiti d’ispirazione comunista (Taggart & Szczerbiak, 2002), ma, contrariamente agli altri partiti
analoghi, viene annoverato tra gli Established parties in virtù della sua storia di condivisione del
potere al governo del Paese con il Partito Social Democratico svedese (Taggart, 1998).
4
Una possibile spiegazione a tal proposito è quella fornita da Nick Sitter (2002), secondo il quale i
partiti di protesta anti-establishment esprimerebbero “naturalmente” una forma di euroscetticismo
forte, tuttavia essa è spesso influenzata dal comportamento dei mainstream parties, i quali possono
fornire ai primi un duplice incentivo ad ammorbidire le proprie posizioni euroscettiche o a diminuirne
la salienza: da una parte, nel caso in cui i mainstream parties manifestino euroscetticismo (nella sua
forma debole, e quasi esclusivamente quando essi non siano al governo del Paese), l’opposizione
all’UE perde, per i partiti di protesta, gran parte della sua importanza, in quanto questi ultimi
costruiscono il loro consenso elettorale proprio sulla differenziazione rispetto ai partiti maggioritari
(mettono in atto, cioè, in contrasto con i partiti maggioritari, una “competizione elettorale centrifuga,
e quindi trovano pochi incentivi, all’interno della competizione elettorale, a dar vita a piattaforme
euroscettiche moderate” – pag. 22 –); dall’altra, la prospettiva stessa, in alcuni casi, di accedere al
governo, induce i partiti anti-establishment ad attenuare il loro euroscetticismo, passando ad una
forma debole dello stesso.
5
È in ogni caso da ricordare come la Lega Nord sia un caso sui generis: contrariamente al percorso
osservato regolarmente nei sistemi partitici europei, essa è passata da una posizione europeista (in
senso federalista) ad una euroscettica nel passaggio da partito “di protesta” a partito “di governo”
(per un’indagine ed una spiegazione approfondita di tale fenomeno, si veda Confalonieri, 2005);
probabilmente questo “passato europeista” è uno dei motivi per cui Taggart e Szczerbiak
annoverano la Lega Nord tra i partiti caratterizzati da euroscetticismo debole, e non forte, come
invece fanno per gli altri partiti europei appartenenti alla famiglia della New Right o New Populist,
nella quale si può includere la Lega Nord degli ultimi anni.
7
sistemi partitici sono maggiormente predisposti ad utilizzare l’euroscetticismo come fattore di
mobilitazione rispetto a partiti più centrali nei rispettivi sistemi partitici” (pag. 372); ciò è possibile per
tre ragioni principali e legate fra di loro. Innanzi tutto i partiti anti-establishment possono politicizzare
fortemente la questione dell’integrazione europea ad un costo relativamente basso in termini di
consenso elettorale in quanto, generalmente, essa costituisce una issue secondaria per il loro
elettorato: si tratta, infatti, di partiti che, se non qualificabili come single-issue parties, sono attivi su
un certo numero ben identificabile di issues piuttosto che su altre (siano esse l’immigrazione,
l’ambientalismo, la difesa dell’identità nazionale, il marxismo, ecc); in secondo luogo, poiché tali
partiti sono raramente al governo (o aspirano a diventarlo), essi dovranno difficilmente confrontarsi
direttamente col sistema politico europeo, che obbedisce ancora prevalentemente a meccanismi
intergovernativi
6
: la mobilitazione in senso anti-europeo risulta, di conseguenza, ancora una volta
relativamente priva di rischi; infine, i partiti periferici possono efficacemente usare la questione
europea per costruire o, più frequentemente, rafforzare la propria identità politica di partiti, per
l’appunto, anti-establishment: poiché il processo d’integrazione europea non costituisce una policy
issue su cui i mainstream parties si differenziano (attorno a cui, al contrario, esiste un pressoché
totale consenso), esso rappresenta, per i partiti periferici, una delle ragioni per le quali potersi
legittimamente presentare al proprio elettorato come partiti “altri” e “diversi” rispetto al
“cartello”che legherebbe i partiti maggioritari e lo Stato nelle democrazie occidentali contemporanee
(Katz & Mair, 1995). L’euroscetticismo, quindi, è a tutti gli effetti una “pietra di paragone del
dissenso” nei sistemi partitici europei, e persino uno strumento utile – una sorta di “cartina di
tornasole” – per caratterizzare la loro natura in generale ed i loro cambiamenti strutturali.
Anche se in maniera meno immediata, lo stesso concetto emerge in Taggart & Szczerbiak
(2002). Nonostante la dicotomia euroscetticismo forte/debole si basi, in questo caso, sul grado del
fenomeno empiricamente rilevato, e non direttamente sulle differenze tra i partiti euroscettici, essa
analizza ancora una volta l’euroscetticismo in funzione della maggiore o minore perifericità di questi
ultimi all’interno dei rispettivi sistemi partitici; in particolare, tale perifericità si esprime, in questo
caso, in termini di presenza all’interno dei governi nazionali
7
, e i due autori affermano
6
Sebbene tale caratteristica sia andata nel tempo attenuandosi, in ragione da un lato del potere
sempre maggiore riservato al Parlamento Europeo eletto a suffragio universale diretto, che ne fa, di
fatto, un co-legislatore accanto al Consiglio, dall’altro dell’importanza crescente attribuita dai Trattati
al principio di sussidiarietà, che accentua il potere dei Parlamenti nazionali e, in generale, dei poteri
pubblici nazionali e sub-nazionali.
7
La presenza dei partiti all’interno dei governi nazionali assume un ruolo assai rilevante anche
nell’analisi dell’interazione fra partiti politici, sistemi partitici e euroscetticismo svolta da Sitter
(2002), il quale costruisce il modello dell’“euroscetticismo come politica di opposizione”. Al centro di
tale modello vi sono i mainstream o catch-all parties (ma che potremmo definire, per l’appunto,
anche come partiti di governo, in quanto sono quelli che, di fatto, si contendono il governo del
Paese), opposti lungo il cleavage (centro)-destra/(centro)-sinistra (sostanzialmente, allo stato attuale
delle democrazie europee, si tratta della contrapposizione tra le forze di ispirazione social-
democratica e le principali forze di opposizione a queste ultime, che, a seconda dei casi, possono
essere di matrice conservatrice, (neo)liberale o cristiano-democratica): essi non manifestano
euroscetticismo, se non nella sua forma debole, e soprattutto quando non si trovino al governo del
Paese. Tuttavia, le posizioni da essi assunte possono influenzare quelle degli altri partiti (si veda nota