8
La ricerca teorica sarà supportata da un sondaggio esplorativo.
Somministreremo una serie di interviste ad una decina di soggetti.
L’indagine sarà finalizzata non alla raccolta di dati, bensì: da un lato, alla
verifica dei punti individuati aprioristicamente nel modello, dall’altro, alla
possibilità di trovare spunti di riflessioni interessanti e tuttavia non
contemplati nel modello stesso. Gli intervistati fanno parte di una società di
consulenza di media grandezza e abbastanza giovane, cui ho avuto
casualmente accesso. Dentro una società di consulenza lavorano i
knowledge workers
3
per antonomasia, i quali dovrebbero creare, scambiare,
diffondere e alimentare conoscenza, per venderla al cliente. È il luogo ideale
per somministrare le interviste esplorative, in modo da valutare se le nostre
teorizzazioni deduttive siano valide e/o se emergano aspetti importanti
precedentemente ignorati.
L’organizzazione del lavoro sarà così concepita.
La prima parte sarà dedicata alla letteratura sulla fiducia nell’ambito delle
organizzazioni. A fronte della vastità del materiale scritto sulla fiducia,
tuttavia poco organico e proveniente da discipline molto differenti tra loro,
la scelta sarà quella di organizzare la prima parte per aree tematiche,
piuttosto che per approcci. Le aree tematiche corrispondono agli aspetti
considerati più rilevanti nell’ambito dello studio sulla fiducia nelle
organizzazioni, che entrano peraltro in gioco anche nei processi di
circolazione della conoscenza: la cooperazione, il controllo, il rischio e,
molto più brevemente, la reputazione* e i valori* condivisi.
La seconda parte offrirà una breve rassegna dei principali contributi allo
studio del Knowledge Management, concentrandosi sui problemi principali
della condivisione di conoscenza nelle organizzazioni e facendo leva
sull’importanza della fiducia all’interno di questi processi.
Nella terza parte saranno innanzitutto presi in considerazione alcuni recenti
tentativi di studio del rapporto esistente tra fiducia e circolazione di
conoscenza, cercando di evidenziare alcune intuizioni interessanti, ma anche
i loro limiti. In secondo luogo, sarà proposto un modello analitico della
3
Butera, F., Donati, E., Cesaria, R., I lavoratori della conoscenza, Franco Angeli, Milano,
1997.
9
mente degli agenti coinvolti in un processo di knowledge sharing, che rende
conto di quali credenze e quali scopi incentivino la condivisione di
conoscenza con gli altri membri della stessa organizzazione, mostrando che
molti di questi ingredienti cognitivi sono legati alla fiducia.
Nell’ultima parte, sarà presentata l’indagine condotta all’interno
dell’organizzazione di cui sopra, i risultati saranno confrontati con le nostre
teorizzazioni e saranno messi in luce eventuali elementi di interesse che il
modello non prende in considerazione.
In fondo si trova un Glossario, dove è possibile consultare il significato di
alcuni termini (segnalati con un asterisco) tipici dell’approccio cognitivo,
non approfonditi all’interno dei capitoli per non appesantirne la lettura.
10
Prima Parte:
La fiducia nelle organizzazioni
11
1 Che cos’è la fiducia?
Non sarebbe nemmeno elencabile la quantità di occasioni in cui le parole
fiducia, affidabile e affidarsi ricorrono quotidianamente nella vita degli
individui. Il significato di questi termini è spesso deducibile dal senso
comune. Tuttavia, quando si parla di fiducia nelle organizzazioni,
consapevoli del ruolo determinante che essa gioca nel favorire il
funzionamento del team-work, la cooperazione, la delega, la costruzione di
comunità nelle quali circolino valori condivisi e conoscenza, nonché il
knowledge sharing stesso, diventa importante cercare di fornire una
definizione precisa del termine, al quale sono tradizionalmente attribuiti
molteplici e differenti significati
4
. Proprio per questa ragione, diversi
studiosi tentano ancora oggi non solo di delineare una tipologia di fiducie
possibili, ma anche di classificare in modo ordinato l’insieme di elementi
che sottendono a un comportamento o semplicemente a un’intenzione
fiduciaria e che sono comuni ad approcci differenti.
Con l’efficace metafora dell’elefante e dei sei uomini ciechi, Lewicki e
Bunker
5
imputano la varietà delle definizioni di fiducia al fatto che i
ricercatori si siano sempre focalizzati su un solo aspetto o su un solo tipo di
fiducia. Questa osservazione è valida se si considera che l’analisi della
fiducia ha interessato discipline diverse: dalla sociologia, alla psicologia,
alla psicologia sociale, all’economia. Tuttavia, sebbene ognuno di questi
approcci abbia necessariamente preso in esame aspetti parziali e definito in
modo disomogeneo la fiducia, è anche vero che alcuni autori hanno dedicato
la loro attenzione a più di un aspetto, tanto che esistono considerazioni
analoghe ad autori diversi.
4
McKnight, D.H., Chervany, N.L., «The meanings of trust »,
http://misrc.umn.edu/wpaper/WorkingPapers/9604.pdf.
5
McKnight, D.H., Chervany, N.L, ibidem, p.10. La metafora paragona la fiducia a un
elefante che viene toccato da sei uomini ciechi. A causa delle dimensioni dell’animale è
difficile per gli uomini percepirlo per intero, sicché a seconda della parte toccata, ognuno
crede di essere di fronte a qualcosa di diverso: un albero, un muro, ecc.
12
Bigley
6
sostiene che, dal momento che la fiducia è stata studiata
concettualmente da discipline molto distanti tra loro, la soluzione migliore
di fronte a questa frammentarietà non sia cercare di integrare i diversi
significati della fiducia in un unico concetto, ma affrontare le svariate
problematiche connesse alla fiducia utilizzando gli approcci di volta in volta
più pertinenti. Ciò non compromette la validità teorica degli approcci e,
anzi, permette di rispondere a questioni differenti congiungendo tra loro le
varie concettualizzazioni, piuttosto che cercare di integrarle forzatamente
per creare un’unica e omogenea concettualizzazione della fiducia nelle
scienze organizzative.
In un suo articolo, Roderick Kramer
7
presenta inizialmente i principali
approcci di studio alla fiducia nelle organizzazioni: quello psicologico,
quello economico, che considera la fiducia come una scelta razionale (ne
parleremo nel par. 2.1) e, infine, quello relazionale. Quest’ultimo, in cui
Kramer stesso si inserisce, ha una matrice sociologica e psicologica e si
focalizza prettamente sull’aspetto sociale anziché strumentale del
comportamento fiduciario.
In seguito, l’autore elenca e spiega le cosiddette basi della fiducia nelle
organizzazioni, ossia i diversi fattori su cui l’agente* costruisce la propria
valutazione dell’affidabilità altrui, includendo sia quelli psicologici, sia
quelli sociologici, sia quelli più strettamente organizzativi. Da diversi studi
di autori appartenenti a discipline diverse, emergono le seguenti basi della
fiducia:
1. la fiducia disposizionale (dispositional trust): ogni individuo ha una
diversa predisposizione a fidarsi degli altri, che deriva dalla storia
delle sue precedenti interazioni e relazioni fiduciarie, le quali
costruiscono le sue credenze generali sulla natura umana.
2. la fiducia basata sulla storia (history-based trust): la storia delle
interazioni di un agente* con un altro gli fornisce delle informazioni
6
Bigley, G. A., «Straining for shared meaning in organisation science: problems of trust
and distrust », http://www.findarticles.com/cf_0/m4025/n3_v23/21060905/print.jhtml.
7
Kramer, R., «Trust and Distrust in Organizations: Emerging Perspectives, Enduring
Questions », Annual Review of Psychology,
http://findarticles.com/cf_0/m4256/3_27/776738229/print.jhtml
13
sulle disposizioni, le intenzioni e le motivazioni dell’altro, che
influenzano la percezione della sua affidabilità e condizionano la
decisione fiduciaria; Kramer cita una serie di studi, tra cui uno di
Deutsch del ‘58, che dimostrano come la reciprocità nello scambio
accresca la fiducia, mentre la violazione di reciprocità la minacci. La
fiducia basata sulla storia è una forma di knowledge-based trust.
3. la fiducia nei terzi (third-parties as conduits of trust): gli altri
forniscono conoscenza di seconda mano, attraverso i “gossip” che
riportano informazioni sull’affidabilità altrui;
4. la fiducia basata sulla categoria (category-based trust):
l’appartenenza di un soggetto a una determinata categoria sociale o
organizzativa è un’informazione capace di influenzare anche in
modo inconsapevole la valutazione sulla sua affidabilità, soprattutto
se l’agente* che deve decidere se fidarsi o no appartiene alla stessa
categoria. In questo caso, un po’ come riteniamo avvenga per la
“condivisione di valori”, da molti indicata come un fattore
favorevole all’instaurarsi di un rapporto fiduciario, l’agente
attribuisce i propri valori, o quelli che percepisce come valori della
categoria, all’agente a cui si affida. Quindi, quando gli attribuisce
caratteristiche come la cooperatività, l’onestà e l’affidabilità, gli
conferisce una sorta di fiducia “de-personalizzata”, dovuta non alle
sue caratteristiche personali, bensì alla sua appartenenza alla
categoria;
5. la fiducia basata sul ruolo* (role-based trust): anche in questo caso,
come nella fiducia basata sulla categoria, l’agente* attribuisce una
fiducia “de-personalizzata” al soggetto, in virtù del ruolo che egli
ricopre. Essa facilita l’affidarsi anche quando è assente una storia
delle precedenti interazioni. Kramer cita alcuni autori, tra cui Barber,
Dewes e Meyerson
8
, i quali spiegano che nel momento in cui
l’agente si affida in base al ruolo, si sta fidando del sistema di
“expertise” che produce e mantiene i ruoli stessi (l’esempio efficace
fatto da Dewes è: ci fidiamo degli ingegneri perché ci fidiamo
8
Ibidem.
14
dell’ingegneria, i cui principi gli ingegneri hanno studiato e
applicano)
9
.
6. la fiducia basata sulle regole (rule-based trust): l’esistenza delle
norme di transazione, delle routines di interazione e delle pratiche di
scambio fornisce delle basi per inferire che anche gli altri membri
dell’organizzazione, se adottano quelle regole, si comporteranno
prevedibilmente in modo affidabile. Kramer riporta un esempio
interessante: Yamagishi e Yamagishi
10
condussero nel 1994 una
ricerca sui cittadini giapponesi e americani, al termine della quale
conclusero che i giapponesi mostrano livelli di fiducia inferiori
rispetto agli americani, nel senso che i giapponesi manifestano una
mutua sicurezza, più che una fiducia generalizzata - due concetti
distinti - dovuta alla stabilità delle relazioni interpersonali e
interorganizzative nella società e fondata, quindi, su attribuzioni de-
personalizzate: una fiducia basata su regole, appunto, piuttosto che
su meccanismi di conoscenza; in America, invece, dove la stabilità e
la sicurezza sociale sono molto più fragili, i cittadini si affidano
soprattutto alla conoscenza personalizzata e alla reputazione,
manifestando così una fiducia generalizzata maggiore.
Anche Rousseau, Sitkin, Burt e Camerer
11
descrivono le differenti forme di
fiducia, che a parer loro sono quattro:
1. Fiducia basata sul deterrente (Deterrence-based trust): un agente
crede che l’altro si comporterà in maniera affidabile perché le
sanzioni che riceverebbe nel caso in cui tradisse la fiducia sono più
costose di eventuali benefici opportunistici. La questione che rimane
aperta riguardo a questo tipo di fiducia è il rapporto con il controllo:
alcuni sostengono infatti che la fiducia basata sul deterrente non
9
Questo concetto rimanda alla “fiducia nei sistemi astratti”, che, secondo Giddens,
caratterizza la modernità. Giddens, A., The Consequences of Modernity, Cambridge, Polity
Press, 1990 (tr. it. Conseguenze della Modernità: fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il
Mulino, Bologna, 1994).
10
Yamagishi T., Yamagishi, M., «Trust and commitment in the United States and Japan,
Motivation and Emotion, N. 18, 1998, pp.129-166.
11
Rousseau, D. M., Sitkin, S., B., Burt, R.S., Camerer, C., «Not so different after all: a
cross-discipline view of trust », in Academy of management Review, Vol. 23, N.3, 1998, pp.
393-404.
15
possa chiamarsi propriamente fiducia, anche se favorisce la
cooperazione. Altri fattori (ad esempio, la coercizione) possono
infatti incentivare un comportamento cooperativo, ma spesso più che
forme di fiducia sono forme di controllo. In realtà, il rapporto tra
fiducia e controllo è molto complesso. Ciò sarà più volte sottolineato
e, nel cap. 3, ampiamente spiegato.
2. fiducia basata sul calcolo (calculus-based trust): è basata su una
scelta razionale, tipica degli scambi economici. Il trustor ha la
percezione che il trustee intenda compiere un’azione vantaggiosa per
lui. Questa percezione deriva sia dalla fiducia basata sul deterrente,
ma anche e soprattutto dalle informazioni sulle intenzioni e sulla
competenza dell’altro, ottenute tramite reputazione (ossia fidandosi
dei racconti di altri sul trustee), o tramite certificazione. Pare che
all’interno di questo tipo di fiducia, gli autori non contemplino
l’esperienza diretta, tipica invece della terza forma. Le parti si
fidano, ma dietro verifica. Il concetto di verifica non è purtroppo
approfondito: da un lato, è sicuramente precedente alla decisione di
fidarsi, nel senso che per fidarsi sono necessarie alcune condizioni:
informazioni sull’affidabilità del trustee (bisogna per esempio
verificare la credibilità delle informazioni che circolano sulla sua
reputazione); dall’altro, potrebbe anche essere verifica “post-
decisione”, ossia controllo dell’operato del trustee una volta che il
compito gli sia già stato affidato.
3. fiducia relazionale (relational trust): deriva dalle interazioni
ripetute. La reputazione è costruita dall’esperienza diretta. Non solo:
secondo gli autori, in questo caso interviene anche l’emozione,
poiché le interazioni frequenti e a lungo termine formano un
attaccamento basato sulla preoccupazione e la cura interpersonale
12
.
Essa può anche superare eventuali violazioni, a differenza della
fiducia basata sul calcolo, che ne sarebbe invece penalizzata fino
12
Gli autori la chiamano care, proprio come Nonaka e Nishiguchi (Nonaka, I., Nishiguchi,
T., Knowledge Emergence. Social, Technical, and Evolutionary Dimensions of Knowledge
Creation, Oxford University Press, New York, 2001), secondo i quali è lo stadio relazionale
ideale di un “ba”, ossia di un luogo che favorisca la creazione di conoscenza (cfr. par.
5.2.1.2).
16
all’interruzione di ogni relazione. La forma più elevata di questa
fiducia, che loro chiamano “affettiva”, è la fiducia basata
sull’identità, definizione mutuata da McAllister
13
. La distinzione tra
fiducia basata sul calcolo e fiducia basata sulla relazione ricorda
quella tra conditional e unconditional trust di Jones e George
14
, di
cui parleremo approfonditamente nel par. 6.3.
4. fiducia basata sull’istituzione (institution-based trust): è la fiducia
basata sull’esistenza di sistemi legali per proteggere dall’assunzione
di rischio insita nella decisione fiduciaria. Così come per la
deterrence-based trust, il problema sollevato è: si tratta di una forma
di fiducia o di una forma di controllo? (Figura 1)
Figura 1
Fonte: Rousseau, Sitkin, Burt e Camerer, 1998.
Tra i modelli classici della fiducia annoveriamo anche quello di Butler e
Cantrell
15
. Partendo dalle cinque dimensioni della fiducia, individuate da
Jennings e Gabarro
16
: integrità (onestà), competenza (conoscenza tecnica e
interpersonale necessaria per svolgere il proprio lavoro), coerenza
13
Rousseau, D. M., Sitkin, S., B., Burt, R.S., Camerer, C., «Not so different after all: a
cross-discipline view of trust », op. cit.
14
Jones, G.R., George, J.M., «The evolution of trust and cooperation: implications for
teamwork and tacit knowledge », http://wehner.tamu.edu/mgmt.www/faculty/Gareth-R-
jones/research/thirdtrust.5.html
15
Butler, J.K., Cantrell, R.S., «A Behavioural Decision Theory Approach to Modelling
Dyadic Trust in Superiors and Subordinates », in Psychological Reports, N. 55, 1984,
pp.19-28.
16
Ibidem.
Calculative
trust
Relational trust
Institutional
trust
Early Middle Later
Developmental time
17
(affidabilità, prevedibilità), lealtà (motivazioni benevolenti, volontà di
proteggere una persona) e apertura (volontà di condividere apertamente
idee e informazioni), gli autori condussero una ricerca, volta a indagare la
relativa importanza di queste dimensioni nella fiducia verso i superiori e
verso i subalterni.
Le ipotesi della ricerca, mutuate da Gabarro, vennero in parte confermate,
in gran parte negate. Dai risultati emerse che i soggetti intervistati
giudicavano l’integrità, la competenza e la coerenza dei loro potenziali
subordinati più importante della loro lealtà e apertura. Lo stesso valeva per i
potenziali superiori (questo disconfermava l’ipotesi di Jennings e Gabarro
che, in questo caso, la lealtà, l’integrità e l’apertura fossero invece più
importanti). Inoltre emerse che l’integrità dei superiori e quella dei
subalterni era ugualmente importante, così come non c’era una significativa
differenza tra l’importanza della competenza, coerenza, lealtà o apertura in
termini di fiducia verso i capi o verso i livelli subordinati.
Un altro dei classici modelli della fiducia è quello di Mayer, Davis e
Schoorman
17
(Figura 2). I tre autori si sono proposti di mettere ordine tra le
varie discipline che si sono occupate di fiducia e di risolvere anche due
errori, cui spesso gli studiosi dell’argomento sono andati incontro:
confondere la fiducia con altri costrutti e scambiare gli antecedenti per i
conseguenti.
Come si evince dalla Figura 2, gli autori individuano tre variabili che
caratterizzano l’affidabilità di un agente (trustee) nella percezione di un
altro (trustor):
1. abilità: l’insieme delle competenze e degli skills di un agente* che lo
rendono capace di realizzare determinati compiti, specifici di un
determinato campo (ciò sottolinea che la fiducia è sempre relativa ad
17
Mayer, R.C., Davis, J.H., Schoorman, F.D., «An Integrative Model of Organisational
Trust », Academy of Management Review, Vol.20, N. 3, 1995, pp. 709-734.
18
un campo preciso); è quella che Butler e Cantrell
18
, McKnight e
Chervany
19
, Castelfranchi e Falcone
20
chiamano competenza.
Figura 2
Fonte: Mayer, Davis e Schoorman, 1995.
2. benevolenza: la percezione di un orientamento del trustee a far del
bene al trustor al di là di interessi egoistici; anche Castelfranchi e
Falcone la chiamano così, mentre Butler e Cantrell la chiamano
lealtà.
3. integrità: la percezione del trustor dell’adesione da parte del trustee
a un set di principi che egli trova accettabili, influenzata dalle azioni
passate del trustee (è la history-based trust di cui dicevamo prima),
dalle informazioni che gli altri comunicano su di lui (il meccanismo
18
Butler, J.K., Cantrell, R.S., «A Behavioural Decision Theory Approach to Modelling
Dyadic Trust in Superiors and Subordinates », op. cit.
19
McKnight, D.H., Chervany, N.L., «What is Trust? A Conceptual Analysis and An
Interdisciplinary Model »,
http://www.businessmedia.org/businessmedia/businessmedia.nsf/7081b15745c6b360c1256
4ec0052e1c1/adc582f96cafbf0ac1256a560077c17a/$FILE/AMCIS2000_McKnight_Cherv
any_What_Is_Trust.pdf
20
Castelfranchi, C., Falcone, R., «The Dynamics of Trust: from Beliefs to Action », op. cit.
Trust
Abili
ty
Ben
evol
ence
Integ
rity
Perceived
Risk
Risk Taking in
Relationship
Outco
mes
Factors of Perceived
Trustworhiness
Trustor’s
Propensity
19
della reputazione), dalla congruenza tra ciò che dice e ciò che
realmente fa; Butler e Cantrell la chiamano integrità e coerenza.
La percezione dell’affidabilità del trustee è un continuum dato dalla
somma dei diversi gradi attribuiti alle tre caratteristiche (non è detto, cioè,
che affinché un agente si fidi dell’altro, debba attribuirgli
contemporaneamente il massimo grado di abilità, benevolenza e integrità).
La fiducia è definita come la volontà di assumere un rischio, mentre il
comportamento fiduciario è l’effettiva assunzione del rischio nella relazione
(Risk taking in Relationship). Gli autori sottolineano però che non si può
parlare di trust ogniqualvolta si è di fronte all’assunzione di un rischio, e
riportano l’esempio del contadino che, investendo tempo e fatica nel
piantare, sta correndo il rischio che non piova sufficientemente da garantire
un buon raccolto. In un certo senso si sta affidando al tempo meteorologico,
ma non si può parlare di fiducia, poiché non c’è alcuna relazione con un
altro individuo, che entra in gioco. Questa distinzione ricorda quella di
Luhmann
21
tra trust e confidence, anche se per lui la differenza non è data
tanto dalla presenza o dall’assenza di una relazione, quanto dalla presenza o
dall’assenza di una decisione, di una scelta tra alternative diverse (cfr. par.
3.2.2.3.4).
Oltre a visualizzare gli antecedenti e i conseguenti in maniera distinta, il
modello incorpora la natura dinamica della fiducia, poiché rende conto della
circolarità esistente tra il risultato (outcome) dell’esperienza fiduciaria e la
percezione che il trustor ha del trustee. L’assunzione del rischio di fidarsi
del trustee, se ripagata con un buon risultato, influenzerà positivamente la
sua reputazione presso il trustor, favorendo interazioni future
22
.
Avendo ben presente questo modello, McKnight e Chervany
23
tentano di
tracciare, a loro volta, un modello interdisciplinare della fiducia, che renda
21
Luhmann, N., «Familiarità, confidare e fiducia: problemi e alternative », in Gambetta, D.
(Ed.), Trust. Making and breaking cooperative relations, Blasil Blackwell Ltd, Oxford,
1988 (tr. it. Le strategie della fiducia, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1989).
22
Aggiungeremmo che, in un certo senso, il risultato dell’interazione influenzerà anche la
dispositional trust del trustor: essendo questa costruita sulla base delle precedenti
esperienze, ogni interazione fiduciaria costituisce una delle esperienze che costruiscono la
dispositional trust di un agente.
23
McKnight, D.H., Chervany, N.L., «The meanings of trust », op. cit.
20
conto delle diverse tipologie di fiducia emerse nell’ambito di discipline
differenti.
Anche questo modello tenta di superare un errore ricorrente che Mayer,
Davis e Schoorman imputano agli studi sulla fiducia: come abbiamo detto
sopra, confondere i suoi antecedenti con i suoi conseguenti. Esso individua i
“costrutti” della fiducia, che entrano in relazione fra loro come antecedenti e
conseguenti e che devono rappresentare concettualizzazioni provenienti da
discipline diverse. I Trust Construts sono così definiti:
1. Trusting Intentions: è lo stato intenzionale di un individuo che è
pronto a dipendere da un altro in una determinata situazione, con un
sentimento di relativa sicurezza nonostante il rischio di conseguenze
negative. L’autore sottolinea che uno degli elementi dell’intenzione
fiduciaria è l’assenza di affidamento al controllo, considerando la
fiducia basata sul deterrente non una vera forma di fiducia, bensì una
forma di controllo basato sul potere. In realtà, e lo vedremo
soprattutto parlando del modello cognitivo (cfr. par. 3.2), è ingenuo
pensare che laddove c’è controllo non ci sia fiducia, poiché il
controllo funziona per mezzo di un certo tipo di fiducia, che è,
innanzitutto, la fiducia nel controllore* e nella sua capacità di
monitorare e applicare sanzioni negative ai trasgressori; in secondo
luogo, è fiducia nel fatto che l’altro agente, con cui il soggetto entra
in relazione, tema anche lui il controllore, si fidi cioè della sua
capacità di esercitare correttamente la propria funzione e, di
conseguenza, adotti le norme, comportandosi in maniera affidabile.
2. Trusting Behavior: l’intenzione fiduciaria supporta il
comportamento fiduciario, ossia la dipendenza vera e propria di un
agente da un altro, non più solo in termini di volontà, ma di
comportamento effettivo. Tale dipendenza è collegata a
un’assunzione del rischio connesso con il potere che la persona da
cui dipendiamo ha su di noi.
3. Trusting Beliefs: l’intenzione fiduciaria si basa sulle credenze
fiduciarie, ossia le valutazioni sull’altrui affidabilità. In un
21
precedente lavoro, McKnight e Chervany
24
avevano individuato
quattro fondamentali categorie in cui questi beliefs potevano essere
raggruppati: benevolenza, onestà, competenza e prevedibilità
(Mayer, Davis e Schoorman
25
, invece, distinguono gli analoghi
concetti di benevolenza, integrità e abilità da quello di prevedibilità,
ritenendo che insieme alla cooperazione e alla confidence siano dei
costrutti diversi dalla fiducia).
4. System Trust: esso supporta le intenzioni fiduciarie, assieme alle
credenze fiduciarie. Si tratta della fiducia di un agente nelle strutture
impersonali, intese come strutture di sicurezza: garanzie,
regolamentazioni, contratti, e come normalità situazionale, ossia la
percezione che tutto sia “normale, al proprio posto” (alla stessa
stregua della familiarità di Luhmann, funzionano come riduzione
dell’incertezza
26
) e fanno sentire più sicuro (safe) il soggetto che si
affida.
5. Dispositional Trust: riguarda le aspettative generalizzate che un
individuo sviluppa nel corso della propria vita e si manifesta: da un
lato, come il credere nelle persone - che supporta i Trusting Beliefs -,
dall’altro come una specie di strategia: fidarsi a priori (Trusting
Stance), perché i risultati del fidarsi sono migliori a prescindere dal
soggetto di cui ci si fida - che supporta invece le Trusting Intentions.
6. Situational Decision to Trust: così come il fidarsi a priori, la
decisione di fidarsi situazionale è una strategia individuale:
l’individuo decide di fidarsi ogniqualvolta si trova in una
determinata situazione, a prescindere da chi si trova di fronte. Essa si
differenzia dalla Trusting Stance perché, al contrario di questa, non è
generalizzata, ma legata esclusivamente a una specifica situazione
(Figura 3).
24
McKnight, D.H., Chervany, N.L., «What is Trust? A Conceptual Analysis and An
Interdisciplinary Model », op. cit.
25
Mayer, R.C. , Davis, J.H., Schoorman, F.D., «An Integrative Model of Organisational
Trust », op. cit.
26
Luhmann, N., «Familiarità, confidare e fiducia: problemi e alternative », in Gambetta, D.
(Ed.), Trust. Making and breaking cooperative relations, op. cit.