5
sono venute in aiuto anche le fonti memorialistiche francesi, de Gaulle e
soprattutto il diario di Vincent Auriol.
La seconda parte della nostra ricerca, più breve, cerca di scandire i
tempi e le questioni che portarono la Francia e lo Stato d’Israele
all’impresa di Suez. La Conferenza segreta di Sèvres segnò il momento
culminante delle relazioni tra i due paesi. Da una parte ci si accordò per far
scattare l’impresa di Suez dopo che Israele avesse fornito il pretesto;
dall’altra, Israele, dopo Sèvres, sostituì per molto tempo il mondo arabo (e
soprattutto paesi tradizionalmente amici della Francia, come la Siria, il
Libano e l’Egitto) nella tradizionale politica francese di presenza nel Medio
Oriente.
Dalla seconda metà del 1954 sono disponibili i documenti francesi. Il
loro contributo è prezioso ma non decisivo. In quel periodo, infatti, le
relazioni tra i due paesi furono condotte, in maniera via via più esclusiva,
non dai rispettivi ministeri degli Esteri, bensì da alcuni uomini chiave, nei
rispettivi ministeri della Difesa e nell’esercito. Si parla in proposito di
diplomazia militare o non ortodossa, per l’analisi della quale, ci siamo
serviti di fonti memorialistiche e bibliografiche, necessarie ad integrare, ed
a volte sostituire, i documenti. Sul periodo immediatamente precedente
all’impresa di Suez è difficile dire qualcosa di nuovo, ma l’analisi
comparata dei documenti e delle fonti della diplomazia non ortodossa è
6
suscettibile anch’essa di dare un contributo, seppur minimo, alla
comprensione dei fatti.
La questione dell’internazionalizzazione di Gerusalemme fu un
momento importante delle relazioni tra i due paesi, essa si sviluppò nel
corso di circa tre anni. Spesso le due diplomazie tennero le vicende legate
alla città il più possibile separate dalle altre questioni; per questa ragione ed
anche per rendere più scorrevole l’intero lavoro abbiamo ritenuto giusto
trattare l’argomento in maniera relativamente organica, in un singolo
capitolo.
Vorrei dedicare questa tesi a mio nonno Fortunato che non è riuscito
a vedere questo giorno, a cui teneva tanto. Ai miei genitori va il
ringraziamento più affettuoso per il sostegno e la pazienza che mi hanno
dimostrato in questi anni di studio.
7
CAPITOLO PRIMO.
LA NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE.
1.1. Il voto francese all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 29
Novembre 1947.
Il 2 aprile 1947 la delegazione del Regno Unito alle Nazioni Unite
inviò una lettera al Segretario Generale in cui chiedeva che la questione
palestinese fosse inserita nell’agenda della sessione successiva
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
1
. La Gran Bretagna,
ritenendo che la questione andava ormai al di là delle proprie prerogative,
che gli atti di violenza e gli attentati nella regione erano in continuo
aumento e che i suoi rapporti con le parti erano ormai gravemente
compromessi, comunicava la sua intenzione di rinunciare al mandato in
Palestina ed affidava alle Nazioni Unite il compito di risolvere,
pacificamente e con il pieno consenso delle popolazioni interessate, una
questione che durava ormai da decenni. Nella stessa lettera il Governo
britannico chiedeva che fosse convocata una sessione speciale
dell’Assemblea col compito di creare una Commissione Speciale delle
8
Nazioni Unite per la Palestina (UNSCOP), il che avvenne il 15 Maggio
1947
2
.
Alla UNSCOP furono attribuiti i più larghi poteri di accertamento e
di acquisizione di tutti gli elementi direttamente o indirettamente
concernenti il problema della fine del mandato britannico in Palestina, ed in
più, alla Commissione fu attribuito il potere di indicare essa stessa i
possibili termini di risoluzione.
L’UNSCOP, di cui non faceva parte nessun membro permanente del
Consiglio di Sicurezza, presentò il suo rapporto all’Assemblea Generale il
31 agosto del 1947: dopo 12 punti preliminari, esso prevedeva la soluzione
della questione palestinese attraverso l’adozione di due piani alternativi: il
primo, maggioritario, divideva la Palestina in due stati distinti legati solo da
una unione economica; il secondo, minoritario, prevedeva invece la
formazione di uno Stato federale palestinese. Gerusalemme avrebbe in ogni
caso avuto un regime giuridico speciale internazionale
3
.
La Commissione ad hoc per la Palestina, formata dall’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, discusse i due progetti a partire dal 4 ottobre
1947, e dopo i rapporti dettagliati delle due sottocommissioni all’uopo
create, il 24 novembre votò a maggioranza una raccomandazione
1
Yearbook of United Nations, 1947-1948, vol.1, New York, p.227
2
Ibidem
9
all’Assemblea Generale con la quale si consigliava l’adozione da parte
della stessa Assemblea Generale del piano di spartizione.
L’Assemblea Generale considerò la raccomandazione della
Commissione ad hoc ed il 28 novembre, dopo tutti gli interventi, era pronta
al voto, ma la Francia propose di posticiparlo di 24 ore per concedere alle
parti un’ulteriore occasione per ttrovare un accordo
4
; la proposta francese
fu, come vedremo, l’atto più evidente della sua politica cauta e
temporeggiatrice. L’Assemblea accolse la proposta francese, ma,
chiaramente, arabi ed ebrei, non essendo riusciti per anni a trovare un
accordo, non ci riuscirono neanche in quelle ultime 24 ore e così i primi
continuarono ad osteggiare con tutte le loro forze il piano di spartizione ed i
secondi, viceversa, a sostenerlo in ogni modo. Il 29 novembre 1947
l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite decise per il piano di spartizione
con una maggioranza di 33 voti contro 13, con 10 astensioni
5
; la nascita
dello Stato d’Israele assunse contorni giuridici e politici concreti.
Per spiegare la politica francese in occasione di questa votazione
storica bisogna prima accennare al contesto internazionale nella quale essa
maturò. Il piano di spartizione era, infatti, sostenuto dagli USA, che, forti
del loro prestigio e della più che benevola attitudine dell’Unione Sovietica
nei confronti della causa ebraica, indirizzarono il voto dell’Assemblea
3
Ivi, p. 239-243.
4
Ivi, p.245.
10
Generale. Nell’elenco dei paesi che votarono a favore del piano di
spartizione figurano infatti tutte le Repubbliche Popolari (membri delle
Nazioni Unite erano allora la Bielorussia, la Cecoslovacchia, la Polonia e
l’Ucraina) e tutti gli altri paesi europei, esclusi Regno Unito, Yugoslavia e
Grecia; ciò significa che i paesi occidentali avevano sostanzialmente
seguito la guida americana, ma non sembra che pressioni particolarmente
forti siano state esercitate dal governo americano, come dimostra il voto
contrario di un paese come la Grecia, praticamente dipendente dagli USA,
e l’astensione di alcuni paesi latinoamericani (ad esempio il Cile, sul quale,
invece furono sicuramente esercitate pressioni
6
). Dai documenti diplomatici
israeliani si evince che solamente pochi giorni prima del voto il
Dipartimento di Stato si mosse presso gli alleati; la causa sionista non era
vista con simpatia dai diplomatici americani perché poteva pregiudicare gli
interessi delle compagnie petrolifere, e quindi degli interessi americani
presso il mondo arabo
7
. Oltre al Dipartimento di Stato anche gli ambienti
militari americani propendevano per gli arabi, i quali erano considerati
strategicamente più importanti
8
. Il presidente Truman, invece, sposò con
convinzione le ragioni degli ebrei e soprattutto della potente lobby sionista
5
Ivi, p.246, 247.
6
Foreign Relations of United States (abbreviato d’ora in poi in FRUS) 1947, vol.V, United States
Government Printing Office, Washington. pp.1240, 1240n. 3 e 4, 1290.
7
Comay a Gering, 3/12/1947, in Israel State Archives, Documents on the Foreign Policy of Israel (da ora
in poi DFPI), vol.1, december 1947- may 1948, Jerusalem, N.1.
8
Ganin, Zvi, Truman, American Jewry and Israel, 1945-1948. Holmes&Meier Publisher Inc., New York,
1979. pp.130, 132, 138.
11
americana, ricchissima e molto influente dal punto di vista elettorale. Così
la linea della diplomazia americana in occasione del voto del piano di
spartizione della Palestina fu quella che dettò, solamente il 24 novembre, il
segretario di Stato, Marshall, al capo della delegazione USA alle Nazioni
Unite, Lovett: “ …the president felt did not wish the Usa delegation to use
threats or improper pressures of any kind on the other delegations to vote
for the majority report favoring partition of Palestine”
9
. Il messaggio di
Marshall a Lovett è interessante per due ragioni: la prima perché il
segretario di Stato sottolinea esplicitamente la fonte da cui l’ordine
proviene, cioè il presidente in persona, come per prenderne le distanze; la
seconda, è che tramite la formulazione indiretta c’è, in effetti, l’ordine di
Truman di sostenere in maniera più attiva la risoluzione di spartizione,
facendo quello che fino a quel momento non si era fatto: pressioni sulle
altre delegazioni.
Neanche la Francia, che con l’accettazione del piano Marshall era
sempre più integrata nel sistema politico-economico occidentale, in una
questione che non riguardava direttamente la contrapposizione con il
mondo comunista, subì particolari pressioni dal suo alleato americano, ma
certo non poteva non tenere conto dell’atteggiamento di sostegno al piano
di spartizione.
9
FRUS, 1947, vol. V, p. 1284.
12
La cautela e, perché no, le indecisioni della politica della Francia,
derivavano dal fatto che essa doveva sicuramente tener conto di avere nella
sua Union Française una forte componente musulmana, la quale era molto
sensibile alle ragioni degli arabi di Palestina, che osteggiavano
violentemente il piano di spartizione. Nello stesso parlamento francese vi
era una agguerrita minoranza di religione musulmana ed il nazionalismo
arabo era ormai una realtà con la quale la Quarta Repubblica stava
imparando a misurarsi (ed a volte scontrarsi) in tutto il Nordafrica. I
Francesi temevano il nazionalismo arabo, ed il mondo musulmano non
poteva certamente rappresentare il loro modello d’alleato nella regione
mediorientale, esso rappresentava piuttosto un problema se non addirittura
un fastidio, ma non doveva essere aizzato da pubbliche prese di posizione
su un problema molto sentito come quello palestinese.
Gli ebrei, invece, che avevano patito più di chiunque altro della
ferocia nazista, erano senz’altro visti con altri occhi in Francia. L’affare
della nave Exodus tenne i francesi col fiato sospeso per tutta l’estate del
1947
10
e la loro simpatia nei confronti della causa ebraica si accrebbe
notevolmente. Essi la sentivano ormai come una responsabilità della
neonata comunità internazionale
11
, anche perché i movimenti sionisti
10
Si veda ad es. Auriol, Vincent, Journal du septennat vol.1, 1947, Ed. Colin 1970, p.385.
11
Robert Dale, H., France and United Nations, Degree date, 1966, The Florida States University. p.138.
13
riuscirono ad organizzare infaticabili campagne di sensibilizzazione
informative e giornalistiche.
Anche dal punto di vista della politica estera il progettato Stato di
Israele avrebbe avuto tutte le caratteristiche per essere un caro e sicuro
alleato francese nella regione: se fosse nato sarebbe stato sicuramente
immune all’influenza inglese, il che, dopo gli avvenimenti del maggio del
1945, e la conseguente cacciata dei francesi dal Medio Oriente, ad opera
proprio degli inglesi, non poteva che essere una garanzia; uno stato
palestinese ebraico si sarebbe dovuto per forza di cose opporre ad il
progetto di grande Siria, caro al presidente del consiglio iracheno Nuri
Pasha Said, ripreso da Abdullah di Giordania (stimolato dagli inglesi)
prima e dalla Lega Araba poi. Esso prevedeva l’unione di tutta quella
regione che i francesi chiamano “le croissant fertile” e che comprende gli
attuali Iraq, Giordania, Siria, Libano ed Israele. I francesi si erano sempre
opposti, perché lo stato che ne sarebbe nato avrebbe goduto della
protezione esclusiva del governo di Sua Maestà britannica e la Francia
avrebbe perso il prestigio, l’influenza, e le prerogative di cui storicamente
godeva nella regione. Uno stato ebraico sarebbe stato comunque un
baluardo del mondo occidentale ed europeo nella regione, oltre che un
fattore di sviluppo e dunque di stabilità, in più, bisognava accattivarsi la
sua amicizia anche per sottrarlo alla possibile influenza sovietica.
14
La simpatia dei francesi nei confronti della creazione di uno Stato
d’Israele fu così data per scontata, almeno al momento del voto
all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dai dirigenti dello stato e dei
partiti politici, dalla classe dirigente in generale e dall’opinione pubblica
del paese
12
, tantopiù che la medesima simpatia sembrava essere condivisa
dagli americani. Era, però, altrettanto chiara l’esigenza di non irritare gli
arabi che tante noie potevano arrecare all’Union Française ed alla stessa
Francia “metropolitana” (di cui faceva parte la stessa Algeria). Così, il voto
favorevole francese al piano di spartizione non fu affatto scontato e, in
relazione ad esso, il governo francese adottò un atteggiamento di estrema
prudenza.
Alcuni giorni prima del 29 novembre ci fu un voto del Consiglio dei
Ministri per incaricare il capo della delegazione francese alle Nazioni
Unite, Parodi, di proporre un rinvio in ogni caso, senza dare consegne sul
merito; successivamente le istruzioni furono di votare per la spartizione
solo se fosse stato necessario al raggiungimento del quorum dei 2/3,
soltanto all’ultimo momento fu dato l’ordine di votare affermativamente
13
.
Molti funzionari del Quai d’Orsay (tra cui il segretario generale del
ministero, Chauvel)
14
rimasero piuttosto perplessi dalla decisione del
governo, poichè ritenevano che il comportamento neutro, tenuto dai
12
Robert Dale, op.cit., p. 139-141.
13
Comay a Gering, 3/12/1947, N.1 e Epstein a Klinow, 11/12/1947, DFPI, vol.1, N.39.
15
francesi fino a quel momento all’Assemblea Generale, avesse contribuito a
tenere calma l’Africa del Nord negli ultimi due mesi.
L’atto con cui fu data veste ufficiale alle cautele ed alle remore
francesi fu proprio il discorso ostentatamente conciliante del 28 novembre,
con annessa la proposta, poi accettata, di rinviare di 24 ore il voto. Il rinvio
piacque agli arabi, ma un termine di 24 ore, in quella situazione, non
poteva che avere un’importanza puramente propagandistica. Sembra che
tale mossa sia stata consigliata dal presidente Auriol, a cui Parodi aveva
precedentemente espresso tutti i suoi dubbi su un piano di spartizione che
secondo lui non garantiva abbastanza gli ebrei di Palestina
15
.
Il rappresentante a Washington dell’Agenzia Ebraica, Eliahu Epstein,
credendo che Parodi operasse senza istruzioni, tentò di convincerlo a non
pronunciare quel discorso e soprattutto a non fare quella proposta di rinvio
poichè con essa vedeva messo inutilmente a repentaglio un risultato che gli
sembrava già raggiunto
16
. Così, nonostante le ire e le paure dei
rappresentanti dell’Agenzia Ebraica all’ONU ricadessero tutte su Parodi, fu
lo stesso governo con il Presidente della Repubblica, a dettare le direttive
della rappresentanza francese, il che non era affatto scontato nella Quarta
14
Fischer a Eban, 7/1/1948, DFPI vol.1, N.97.
15
Auriol, vol.1, op.cit., pp. 590, 591.
16
Comay a Gering, 3/12/1947, N.1 e Epstein a Klinow, 11/12/1947, DFPI, vol.1, N.39.
16
Repubblica
17
. Dal diario del presidente Auriol sembra addirittura che
Parodi, il giorno del voto, avesse mandato di chiedere all’Assemblea la
sostituzione delle truppe inglesi con quelle dell’ONU, e l’impegno a non
rendere effettivo alcun piano prima che i dettagli di esso non fossero stati
stabiliti. E’ probabile, però, che questa eventualità, presa in considerazione
dal governo francese il 28 novembre stesso, si scontrò con la decisione
degli USA di andare, ormai, fino in fondo con la spartizione. Così Parodi, il
29 novembre, non prese la parola, visto che gli americani erano molto
convinti, ed il prestigio delle Nazioni Unite a rischio; il rinvio di 24 ore
fece addirittura guadagnare altri 2 voti a favore della spartizione, secondo i
calcoli dei dirigenti dell’Agenzia Ebraica, infatti, due paesi che si sarebbero
astenuti il giorno prima, il 29 novembre si aggiunsero ai si
18
.
Un altro elemento che spinse il governo francese a votare per il piano
di spartizione fu il fatto che esso conteneva, se applicato integralmente, un
punto importantissimo e forse anche vantaggioso per la politica estera
francese: l’internazionalizzazione di Gerusalemme. La Francia, dopo essere
stata materialmente cacciata da Siria e Libano e non potendo
ragionevolmente ottenere diritti sulla città, sostenne con energia la
soluzione prospettata dalla UNSCOP sia perché era l’unica, ai suoi occhi,
17
Sul funzionamento della politica estera in generale Della Quarta Repubblica abbiamo utilizzato:
Grosser, Alfred, La IVe Rèpublique Française et sa Politique Extérieure. Librérie Armand Colin, Paris
1961.
18
Epstein a Klinow, 11/12/1947, DFPI, vol.1, N.39.
17
che poteva garantire i diritti dei cristiani e soprattutto dei Latini nella città,
sia perché con quella sua tattica cauta e con la sembianza dell’equidistanza
tra le parti avrebbe addirittura potuto ottenere che un francese fosse
nominato Governatore della città di Gerusalemme. Non è sicuramente un
caso che l’attendismo e la cautela che venivano ordinati a Parodi valevano
soltanto per la Palestina, non certo per Gerusalemme, riguardo cui la
Francia fu sempre molto sensibile e propositiva nelle discussioni in seno
all’Assemblea Generale prima, ed al Consiglio di Sicurezza poi. Il 19
novembre, ad esempio, nella sottocommissione per lo sviluppo del piano di
spartizione, il delegato francese propose che il francese divenisse una delle
lingue ufficiali di Gerusalemme insieme all’arabo, all’ebraico ed
all’inglese
19
. La proposta non passò, ma da essa si evince un desiderio che
va al di là del presunto sciovinismo francese: essa evidenzia la volontà di
mantenere una presenza, una tradizione ed un legame con la Città Santa.
La politica degli Stati Uniti, l’importanza strategica che avrebbe
potuto assumere per la Francia il futuro Stato di Israele e l’importanza che
per essa aveva l’internazionalizzazione di Gerusalemme furono, dunque,
gli elementi determinanti che spinsero la Francia a votare favorevolmente
per il piano di spartizione. La sua politica cauta e ostentatamente
19
Yearbook of U.N., vol.1 , op. cit. p. 244.
18
conciliante riuscì comunque a metterla al riparo anche dall’unica ragione
che l’avrebbe spinta a votare contro: le ripercussioni negative nel mondo
musulmano, sotto forma di disordini in Africa del Nord ed opposizione
interna.