VII
Nell’età anziana i medesimi compiti sono relativi al mantenimento di
un’identità relativamente coerente, a un adattamento ai cambiamenti fisici, ad
un ridirezionamento delle proprie energie finalizzato ad una revisione della
propria vita: essa implica il distacco dal passato in relazione ad una sempre
maggiore consapevolezza della morte, per giungere allo stadio finale
dell’integrità dell’Io versus disperazione (Erikson, 1959).
In particolare, in tale ricerca, come già accennato, si vuole sottolineare
l’importanza dei rapporti sociali, ed in particolare di quelli familiari, per lo
sviluppo della persona. Essa è ormai accettata ed accertata dagli psicologi
anche se da diverse angolature concettuali: le recenti teorie, già citate, del life-
span development ((Baltes e Reese, 1986) hanno messo in evidenza la
circolarità delle dinamiche e la loro continua evoluzione nel corso dell’intero
arco di vita; mentre l’ecologia dello sviluppo umano (Bronfenbrenner, 1979)
ha sottolineato che la famiglia è un sistema composto da sottoinsiemi
interagenti tra loro, dai confini fluidi e permeabili al tessuto sociale esterno a
cui aderiscono.
Per tale motivo, sarà oggetto della ricerca l’analisi del contesto familiare e del
significato che esso viene ad assumere, in particolare, in ambito
adolescenziale e per l’anziano.
Nei momenti di passaggio, la famiglia, sollecitata a mutare il suo assetto
relazionale, svela i pattern relazionali, i suoi punti di forza e debolezza: le
transizioni individuali e familiari costituiscono, dunque, un punto di vista
privilegiato per lo studio della qualità dei legami e degli scambi
intergenerazionali (Scabini e Cigoli, 2000; Trickett e Buchanan, 2001).
Secondo l’approccio dello sviluppo, la famiglia viene considerata una forma
particolare di piccolo gruppo caratterizzato da una specifica storia passata e da
aspettative di vita futura, capace di adattamento e cambiamento attivo, in
relazione a stimoli provenienti sia dal contesto sociale che dal proprio interno
(Dornbusch, 1989; Elder, 1985).
La letteratura evolutiva che si è occupata di studiare i profondi mutamenti del
periodo adolescenziale sottolinea come il compito più rilevante che attende il
VIII
soggetto durante questa fase di vita riguardi l’individuazione e l’autonomia
(Blos, 1967; Palmonari, 1997; Steinberg, 2002).
Spinto verso l’acquisizione di un più chiaro senso di sé come persona,
l’adolescente tende ad assumersi la responsabilità della propria crescita e delle
proprie scelte ed aspira a conquistare uno stato di maggiore indipendenza e
autonomia. Il conseguimento di siffatti obiettivi passa innanzitutto attraverso
una modificazione radicale del rapporto con le figure parentali. Mosso dal
bisogno di abbandonare la condizione di dipendenza dai genitori e le modalità
di funzionamento sperimentate fino a questo momento, l’adolescente deve
imparare a rinegoziare il proprio ruolo sociale, a stabilire un equilibrio tra
bisogni interni e aspettative esterne, a conciliare sistemi diversi di valori e di
regole (Lo Coco, Pace e Zappulla, 2000).
Tuttavia il bisogno di individualità racconta solo una parte della storia di una
persona. La definizione di sé è collegata in modo dialettico anche alla
vicinanza agli altri. È per questo che autonomia e connessione agiscono in
sinergia determinando uno stato di continua oscillazione tra il desiderio di
indipendenza e l’ineludibilità di mantenere inalterati i legami e il senso di
appartenenza al sistema familiare (Palmonari, 1997).
I cambiamenti nella struttura familiare sono significativi anche per l’anziano e
la rottura di equilibri consolidati ed il tentativo di raggiungerne di nuovi sono
esperienze inevitabili anche in età avanzata (Baroni, 2003).
Gli adulti maturi con figli devono rivedere il loro ruolo di genitori vivendo
spesso quella che è definita la sindrome del “nido vuoto” (Baroni, 2003) per
poi prepararsi ad affrontare il ruolo di nonni con le implicazioni che ne
conseguono.
I rapporti con la famiglia oscillano, anche in questo caso, tra autonomia e
dipendenza: le persone nella tarda età adulta e quelle anziane spesso non si
sentono di dedicare troppo tempo a figli e nipoti per l’esigenza di voler vivere
la propria vita (Johnson, 1988)). Tuttavia, come negli anni della giovinezza,
anche in questa fase della vita il sostegno sociale influisce positivamente sul
benessere dell’individuo (Hendry e Reid 2000). La presenza di familiari
sembra rappresentare una risorsa particolarmente importante per affrontare le
IX
sfide della vita quotidiana durante la vecchiaia.. Più che la quantità, è la
qualità del sostegno ad aumentare le risorse nel bagaglio di risorse personali.
La semplice consapevolezza che questo sostegno è disponibile in caso di
bisogno procura benessere e, presumibilmente, assicura risorse più importanti
al bagaglio personale (Connidis, 1994; Vaillant , 1994).
Con il trascorrere dell’età, quando le condizioni di salute cominciano a
diventare precarie, questo bisogno di sostegno da parte della famiglia diventa
ancora più importante ma con possibili conseguenze negative per il
microsistema di riferimento: l’anziano diventa spesso un onere, mal tollerato e
questa situazione, crea, talvolta, “risentimenti” e accuse di ingratitudine verso
i figli (Cesa-Bianchi 1999).
Per quanto riguarda la parte di ricerca verranno in primo luogo descritti in
modo approfondito sia lo strumento di indagine (focus group) utilizzato per la
raccolta del materiale informativo, sia lo schema di codifica usato per la
categorizzazione. Si procederà, quindi, con la descrizione della pianificazione
della somministrazione, con la descrizione del contesto nel quale il focus
group è stato svolto e con la descrizione del campione. Seguiranno l’analisi
dei dati e le conclusioni.
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Capitolo 1
L’adolescenza
1.1 Introduzione
L’adolescenza ha cominciato ad essere trattata come fase della vita umana
attorno al 1900, sia in Europa sia negli Stati Uniti. In precedenza la nozione di
adolescenza come età di transizione tra infanzia e vita adulta compariva
raramente nella narrativa e nella letteratura scientifica; trattazioni molto
impegnative sull’oggetto “adolescenza” si imposero, invece, nel passaggio tra
i due secoli, in psicanalisi, psicologia, pedagogia, sociologia oltre che in
letteratura (Neubauer, 1991).
Le prime concezioni sull’adolescenza di orientamento positivistico (Hall,
1904) riconducevano gli aspetti che caratterizzano tale fase di passaggio alle
trasformazioni biologiche proprie di questa età e perciò indipendenti da
variabili culturali e ambientali. L’imporsi delle pulsioni sessuali, delle
tensioni emotive estreme, dei sentimenti contrastanti, renderebbero
l’adolescenza una fase di vita drammatica anche se inevitabile.
Margaret Mead (1928) con le sue ricerche nelle isole dell’arcipelago di Samoa
(Pacifico meridionale) dimostrò invece come i conflitti e tensioni siano un
prodotto della cultura, non una concomitanza inevitabile della maturazione
fisiologica. Fenomeni quindi culturalmente specifici, non universali, propri
dei paesi occidentali.
Tale approccio, che sostiene appunto l’interdipendenza tra contenuti, forme e
durata dell’adolescenza e il contesto socio-culturale entro cui si situa, è stato
contraddetto nella sua tesi fondamentale dagli studi storici ed etnologici che ci
hanno fatto conoscere società senza adolescenza.
Ambedue le prospettive, sia quella sostenuta da Mead sia quella degli studi
storici ed etnologici, hanno definito l’adolescenza come un’età di “passaggio”,
di preparazione alla vita adulta, ma a partire dagli anni Settanta, si cominciò
ad indagare sempre più sugli aspetti evolutivi in relazione alle molteplici
esperienze che gli adolescenti si trovano a dover affrontare.
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È stato messo in evidenza come l’adolescenza possa costituire un’esperienza
relativamente semplice e gratificante o profondamente difficile e problematica
proprio a seconda della biografia dell’adolescente, del suo modo di costruire
gli eventi e del contesto sociale in cui egli è inserito (Bonino, 2001).
La nozione di interdipendenza tra quadro socio- culturale e adolescenza deriva
dalla riflessione sviluppatasi dalla fine degli anni Sessanta nell’ambito del
life-span developmental psychology (Baltes, Reese e Lipsitt, 1980; Lerner,
1982; Tubman e Lerner, 1991).
Si tratta di un approccio allo studio del comportamento umano che enfatizza
lo sviluppo e il cambiamento della persona lungo l’intero ciclo di vita,
rappresentandoli come sequenza di eventi strettamente intrecciati tra loro e
con il contesto biologico, sociale, storico e culturale ove l’individuo opera.
Questo orientamento di studio, detto anche approccio sistemico, interazionista
e costruttivista, concettualizza gli individui come “attori del loro sviluppo”
che interagiscono, in modo selettivo e motivato, con differenti determinanti
ambientali, contribuendo così a costruire le proprie specifiche traiettorie di
inserimento sociale. L’ambiente è concepito come un insieme di fonti di
influenza di differente natura, di fronte alle quali le persone debbono prendere
posizione e cercare di assumere il controllo (Baltes, Reese e Lipsitt, 1980;
Lerner, 1982; Tubman e Lerner, 1991).
Da questo punto di vista l’adolescente non è necessariamente posto in una
condizione di crisi e di difficoltà dal momento che le determinanti ambientali
e biologiche con cui deve interagire possono costituire anche opportunità di
sviluppo ovvero stimoli a nuove forme di differenziazione e di arricchimento
personale, anche se non progettate in anticipo.
Vi è dunque la necessità di ripensare il comportamento dell’adolescente come
una funzione congiunta delle caratteristiche personali e degli elementi di una
determinata situazione e lo sviluppo individuale come il risultato della
continua e reciproca influenza di molteplici variabili (biologiche, culturali,
relazionali e situazionali), sui quali la persona, sia bambino, che adolescente o
adulto, esercita sempre la propria attività regolatrice e modificatrice.
3
Attraverso tale prospettiva interazionista, sistemica e costruttivista si sono
così potuti evidenziare, accanto alle discontinuità, anche gli aspetti di
continuità con l’età che precedono e seguono l’adolescenza.
Questa nuova visione è il risultato sia di un modo diverso di concepire l’intero
sviluppo umano che di studi specifici sull’adolescenza.
Riguardo al diverso modo di concepire lo sviluppo umano, vi è oggi consenso
nel ritenere che lo sviluppo umano vada visto nella prospettiva dell’intero
ciclo di vita: il cambiamento e lo sviluppo non sono limitati ad un periodo
iniziale della vita, detto appunto evolutivo, contrapposto a un periodo di
stabilità, rappresentato dall’età adulta, e ad uno di involuzione, costituito dalla
vecchiaia. Oggi si è consapevoli che non solo il cambiamento ma anche lo
sviluppo riguardano tutta l’esistenza, dal momento che le funzioni psichiche
subiscono dei mutamenti evolutivi incessanti lungo tutto il corso della vita
(Baltes e Reese, 1986; Oliveiro, 2002).
In questa prospettiva, l’adolescenza non conclude la fase evolutiva e non è un
periodo di instabilità che precede la stabilità dell’età adulta. Al contrario,
esistono molti altri momenti di transizione lungo tutto il ciclo di vita che
possono presentarsi come difficili e problematici, tanto nell’età adulta quanto
nella maturità e nella vecchiaia. La crisi adolescenziale può, quindi, essere né
l’unica, né ultima né la più importante nella vita di una persona. Inoltre al
termine crisi viene riconosciuta, in qualunque periodo dell’esistenza, la
valenza dinamica e positiva di momento di riorganizzazione e svolta nel
processo di sviluppo di un individuo (Bonino, Cattellino, Ciairano, 2003).
Nella prospettiva del ciclo di vita diventa centrale la dimensione temporale,
poiché è lungo tutto il tempo della vita che si realizza l’interazione tra
l’individuo e il suo ambiente, in un flusso incessante in cui il passato si lega al
presente ed al futuro. Si viene così a superare quell’attenzione rivolta
unicamente al passato, che spesso aveva caratterizzato la psicologia
dell’adolescenza e la psicologia dell’età evolutiva in genere: un passato in
grado di determinare rigidamente sia il presente che il futuro; era infatti alle
vicende e ai conflitti dell’infanzia che si guardava per comprendere
l’adolescenza. L’attenzione si focalizza, al contrario, sul presente, le cui
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caratteristiche e specificità introducono elementi nuovi, in senso positivo o
negativo, che possono modificare la traiettoria di sviluppo intrapresa (Rutter e
Rutter, 1995).
Assume anche importanza il futuro che, per quanto non ancora esistente, è
però “presente” nelle rappresentazioni mentali dell’individuo: proprio in
adolescenza il futuro, grazie allo sviluppo cognitivo, diventa una dimensione
sempre più rilevante e capace di motivare complessi piani di azione. Lo
sviluppo presente e futuro dell’adolescente , insomma, non è imprigionato nel
suo passato ( Ford e Lerner, 1992)
Allo stesso tempo, nella psicologia contemporanea, è cresciuta la
consapevolezza che lo sviluppo non è un processo lineare e che non esistono
percorsi di sviluppo fissi e uguali per tutti. Lo sviluppo avviene attraverso
percorsi possibili, individualizzati e differenziati, che sono il risultato della
complessa interazione tra l’individuo e il suo contesto di vita. In questa
visione sistemica, le traiettorie di sviluppo sono molto irregolari e non
possono essere previste in modo deterministico, dal momento che piccole
influenze possono produrre nel tempo grandi effetti, mentre al contrario
grandi influenze possono avere effetti ridotti (Van Geert, 1994).
Si può affermare che l’adozione di questa prospettiva olistica, interazionista e
costruttivista che prevede percorsi di sviluppo probabilistici caratterizza
sempre di più la psicologia dello sviluppo contemporanea. In tale modello
l’individuo e il suo ambiente sono considerati elementi inseparabili, che
formano un sistema integrato e dinamico e che si influenzano reciprocamente
(Magnusson e Stattin, 1998).
L’adolescenza, in questa nuova prospettiva, viene vista in modo diverso e si
riconosce l’esigenza di studiarla come un percorso entro cui l’adolescente
deve affrontare diversi compiti di sviluppo” per costruire la propria identità.
Essa è oggi considerata una sfida, ricca allo stesso tempo di opportunità e
rischi, al cui superamento contribuiscono sia l’adolescente, attraverso la
propria attività e le proprie scelte, sia ai contesti sociali, in rapida
modificazione, che fungono da trama alla crescita.
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1.2 Caratteristiche principali dell’adolescenza
L’adolescenza viene considerata ancora oggi una fase dello sviluppo umano
che generalmente occupa gran parte della seconda decade della vita (viene
fatta iniziare intorno ai 11/12 anni e finire intorno ai 18/20, talvolta 25). Nel
corso di tale periodo l’individuo (maschio o femmina) acquisisce sia le
caratteristiche fisiche e biofisiologiche che lo fanno sentire adulto, sia le
competenze cognitive e sociali appropriate per inserirsi a pieno titolo nel
mondo adulto (Bonino, 1997). Come scritto poco sopra, non è corretto,
tuttavia, nel momento storico attuale, considerare l’adolescenza solo come una
fase di passaggio tra l’infanzia e l’età adulta. Gli adolescenti non sono soltanto
adulti, genitori, lavoratori o professionisti “in fieri”; sono persone in grado di
partecipare attivamente alla vita del mondo di cui sono parte, a meno che tale
mondo non metta in atto azioni finalizzate a emarginarli e a escluderli
(Palmonari, 1993).
L’adolescenza inizia in rapporto con i fenomeni biologici della pubertà e con i
problemi socio-psicologici che si attivano in seguito ad essi (preadolecenza).
Nell’adolescenza, psicologicamente intesa, si tende a distinguere tre
sottoperiodi, dei quali il primo e l’ultimo sono meglio specificati , essendo il
secondo più simile ad una fase di transizione tra i due. Si possono considerare
una prima adolescenza (la cosiddetta “preadolescenza”), che va all’incirca dai
12 ai 15 anni e che è caratterizzata da rilevanti cambiamenti a livello di
scuola, da un aumento di conflittualità in famiglia e da una gruppalità ancora
qualificata da quella segregazione sessuale tipica dell’infanzia; ed una tarda
adolescenza dove è invece prevalente la preoccupazione per il futuro (laurea,
lavoro), un minor conflitto con i genitori, una gruppalità ormai mista, con
presenza di maschi e femmine (De Wit, Van Der Veer, 1993).
1.2.1 Cambiamenti a livello fisico
Durante l’adolescenza si compie una serie di cambiamenti fisici sotto
l’influsso di processi di maturazione biologica. Questi cambiamenti si
verificano ad un ritmo piuttosto sostenuto e si completano in genere nei primi
anni dell’adolescenza.
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È un periodo in cui i ragazzi e le ragazze crescono in fretta e assumono più
marcatamente le caratteristiche fisiche del proprio sesso. Questo processo di
crescita porta alla necessità di scegliere un ruolo adulto che si addica al sesso.
In qualunque cultura si cresca, il fatto di diventare fisicamente adulti ha delle
conseguenze su come ci si sente e su come ci si comporterà (De Wit, Van Der
Veer, 1993). Questo processo è dovuto al fatto che il corpo non è solo un
insieme di organi e funzioni, ma è anche una costruzione mentale complessa,
su cui poggiano tanto le prassie necessarie all’adattamento quanto il substrato
di base dell’identità personale (Palmonari, 1993). Questa costruzione mentale
è in genere conosciuta come “schema corporeo”. Esso non è presente fin dalla
nascita, ma inizia a svilupparsi fin dal periodo neonatale e giunto al suo
compimento resta un riferimento costante per tutta la vita (Sillamy, 1980). Nel
periodo compreso tra gli 11 e i 15-16 anni si realizzano rapidi, profondi e
molteplici cambiamenti somatici che richiedono un certo rimaneggiamento
dell’identità corporea dell’individuo e di cui l’individuo è consapevole
(Palmonari, 1993). La consapevolezza da parte dell’adolescente dei propri
cambiamenti corporei non è un’esperienza sempre facile; Lewin (1946)
afferma che tali cambiamenti rendono improvvisamente ignoto e infido il
corpo, questa regione dello spazio di vita così vicina e sicura per l’individuo.
Si verifica un confronto con un modello di corpo idealizzato, che è il corpo
asessuato. A tale proposito M. e M. E. Laufer (1986) parlano di “break-down
evolutivo”, come un arresto del processo di integrazione dell’immagine del
corpo sessualmente maturo, che risulta inassimilabile e che produce rifiuto
inconscio e un sentimento di passività di fronte alle esigenze da esso
derivanti.
I cambiamenti fisici psicologicamente rilevanti che avvengono durante
l’adolescenza riguardano soprattutto lo sviluppo delle caratteristiche sessuali
secondarie (crescita del seno, del pelo pubico, sviluppo dei genitali, prima
mestruazione e prima eiaculazione). Lo sviluppo puberale fisico è
conseguenza di diversi processi di maturazione che si estendono su un arco di
anni. Generalmente questi cambiamenti si compiono nell’individuo in un
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ordine relativamente stabile e lo sviluppo dei seni e dei genitali ne segna
solitamente l’inizio (Palmonari, 1993).
Nella maturazione sessuale si presentano notevoli differenze riguardo all’età
d’inizio dei cambiamenti e riguardo alla durata del processo, ma l’ordine in
cui i diversi cambiamenti avvengono è solitamente il medesimo e la
maturazione sessuale inizia mediamente con sei-dodici mesi d’anticipo per le
ragazze rispetto ai ragazzi (Lutte, 1997).
Durante l’adolescenza si verifica inoltre una crescita che ha una connotazione
simile a quella dei primi due anni di vita: si tratta dello scatto di crescita (lo
“spurt of growth” degli anglofoni) che consiste appunto in un aumento nel
ritmo di sviluppo di peso, altezza e struttura dello scheletro (Palmonari, 1993).
Esso varia considerevolmente da un individuo all’altro per quanto riguarda
l’intensità, la durata e l’età iniziale del fenomeno. La fase dell’accelerazione
rapida dura due anni a cui segue una fase di decelerazione, durante la quale la
crescita continua ma ad un ritmo minore, inferiore a quello prepuberale.
Inoltre, lo scatto di crescita staturale è più precoce di circa due anni nelle
femmine, anche se i maschi in generale hanno una statura definitiva superiore
alle femmine, poiché, iniziando lo spurt circa due anni dopo, partono con un
vantaggio staturale che verrà mantenuto per tutta la vita. Esso, interessa anche
il peso che è un po’ più tardivo ma più consistente (Panizon, 1982).
Le parti del corpo che giungono per prime alla loro misura definita sono la
testa, le mani e i piedi. Seguono le braccia e le gambe, infine il tronco. Il
diverso ritmo con cui le varie parti del corpo crescono può causare, a volte,
serie preoccupazioni ai giovani, i quali credono, ad esempio, che le loro mani
siano troppo grandi o le gambe troppo lunghe rispetto al resto. Anche la
misura in cui questo processo di accelerazione si presenta cambia a seconda
della parte del corpo. Nel volto cresce di più la parte inferiore rispetto alla
fronte, cosicché nel complesso risulta un’immagine meno infantile. In questo
modo cambiano le proporzioni dell’intero corpo. Anche l’aumento del peso
accelera durante l’adolescenza: questo è dovuto all’incremento di tessuto
adiposo nelle ragazze e di quello muscolare nei ragazzi (Palmonari, 1993).
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Generalmente l’adolescente si rende conto molto bene dei cambiamenti del
proprio aspetto. Le caratteristiche fisiche svolgono un ruolo molto importante
per la considerazione che i giovani hanno di loro stessi, molto di più rispetto
di quanto avvenga, per esempio, per le capacità intellettuali (Conger e
Petersen, 1984).
1.2.2 Cambiamenti a livello cognitivo
Gli adolescenti hanno, nei confronti dei bambini, maggiori capacità di
conoscere la realtà, il mondo fisico, quello sociale, il proprio io: essi si
dimostrano capaci di generalizzare, di descrivere una realtà con termini più
larghi, più inclusivi e i processi intellettivi sono al massimo livello di
efficienza, di plasticità (Bonino, 1997).
Durante l’adolescenza, avviene la scoperta del mondo delle relazioni logiche e
del possibile (a differenza del mondo infantile che contrappone
semplicemente reale e fantastico) e l’individuo acquisisce la capacità di
trascendere la realtà concreta attraverso l’astrazione, la produzione di ipotesi e
la riflessione introspettiva (Piaget, 1964). Tali caratteristiche, proprie di quello
che è stato chiamato da Piaget il pensiero “operatorio formale”, investono tutti
i piani dell’esperienza dell’adolescente: non è più necessario riferirsi a oggetti
empirici o alle loro rappresentazioni, ma alle relazioni logiche, formulabili
solo mediante parole e/o simboli.
Lo stadio formale è per Piaget l’ultimo dello sviluppo cognitivo e rappresenta
lo stato di equilibrio finale. Una caratteristica fondamentale di questo pensiero
è la subordinazione del reale al possibile; si avverte “un’inversione di senso
tra il reale e il possibile”: mentre prima il possibile si manifestava
semplicemente sotto la forma di un prolungamento del reale, ora invece è il
reale che viene subordinato al possibile (Inhelder e Piaget 1955).
La strategia cognitiva che ne deriva è di tipo ipotetico-deduttivo.
Il pensiero formale è anche un pensiero preposizionale: “le entità
fondamentali che l’adolescente manipola nel suo ragionamento non sono più
gli stessi dati grezzi di realtà ma affermazioni o formulazioni – proposizioni -
che contengono questi dati” (Flavell, 1963, pag. 265). Per risolvere un
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problema l’adolescente isola tutte le variabili e studia tutte le combinazioni
possibili tra di esse. Ogni combinazione è un’ipotesi che viene poi sottoposta
a verifica.
Il pensiero è detto formale perché non dipende più dal contenuto e la sua
validità va giudicata in funzione della forma stessa del ragionamento.
L’adolescente diventa capace di “ragionare su dei semplici assunti senza
relazione necessaria con la realtà o con le credenze del soggetto fidando sulla
necessità del ragionamento stesso (o formale) in opposizione all’accordo delle
conclusioni con l’esperienza” (Piaget, 1949, Pag. 120).
Così, a differenza delle operazioni concrete, che erano dirette agli oggetti e
costituivano relazioni tra di essi, le operazioni “formali” permettono di
costruire relazioni tra relazioni.
Gli adolescenti diventano più capaci di forme di apprendimento che implicano
dei simboli piuttosto che delle cose concrete, di capire la dimostrazione
matematica, l’algebra, di accedere alla nozione di legge, di acquisire il senso
scientifico e storico, di far riassunti in cui l’essenziale di un testo viene
riportato in poche idee, diventano più abili nell’elaborare e verificare ipotesi,
nel risolvere problemi, nel pianificare le attività (Brown, Clasen e Eicher
1986).
Essi si dimostrano anche più capaci di occuparsi di idee senza immediata
implicazione personale, di identificarsi con fatti e persone fuori dell’ambito
privato, di rendersi conto del modo di ragionare degli altri. Si evidenzia una
capacità crescente di capire gli altri e se stessi, di ricorrere all’introspezione,
di analizzare i propri sentimenti e stati d’animo, di prestare attenzione al loro
mondo interiore.
Ciò si manifesta nell’interesse dei giovani alle teorie sociali, religiose,
politiche, filosofiche, ideologiche: c’è un allargamento degli orizzonti del
pensiero ed essi si interessano a molti argomenti che lasciano i bambini
indifferenti.
L’adolescente inizia a pensare di più ad argomenti relativi al futuro, come la
scelta professionale, la scelta di un partner per la vita, gli aspetti sociali del
futuro e così via. Per l’adolescente è possibile pensare che in futuro si
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comporterà in modo diverso, che si troverà ad affrontare situazioni diverse da
quelle attuali. Questa disposizione mutata si riflette sull’intera evoluzione
della personalità e porta a cambiamenti nell’immagine di sé: i propri
sentimenti, le proprie intenzioni e concezioni diventano sempre più importanti
per la formazione dell’immagine di sé; si riflette più su se stessi e si ha una
crescente consapevolezza di potersi autoguidare tramite la propria volontà; ci
si ascrivono aspetti caratteriali sempre più stabili riguardo alle relazioni
sociali; nasce la tendenza a vedere le diverse sfaccettature della propria
personalità in una relazione sistematica. L’adolescente perviene ad un
maggiore senso di identità, unicità e consistenza in diverse situazioni (Lutte,
1997).
In base a questi sviluppi universalmente conosciuti si può concludere che
esiste una relazione abbastanza diretta tra gli sviluppi cognitivi generali e lo
sviluppo dell’immagine di sé: vediamo infatti un mutamento globale da quadri
di riferimento concreti ad altri sempre più astratti.
Nel quadro delle teorie sulle strutture cognitive, va ancora ricordata un’altra
relazione tra lo sviluppo dell’intelligenza e lo sviluppo della personalità.
Secondo Piaget (1964) l’inizio di una nuova fase nello sviluppo cognitivo si
accompagna costantemente ad una forma speciale di egocentrismo cognitivo:
l’individuo, nell’interazione con il proprio ambiente, non riesce
sufficientemente a collocarsi dalla prospettiva degli altri. Tale insufficienza si
spiega assumendo che la persona, in una simile fase di transizione, non si è
ancora impadronita a sufficienza delle nuove strutture mentali e riesce
pertanto ad applicarle solo al proprio modo di vedere. Questo egocentrismo,
secondo Elkind (1967), risulta anche da una sopravvalutazione dei propri
sentimenti, considerati unici e di rilevanza mondiale. L’egocentrismo
cognitivo diminuisce gradualmente tramite le esperienze della realtà e il
confronto con le opinioni altrui ma all’inizio dell’adolescenza è di grande
rilevanza nell’interazione della persona con il proprio ambiente.
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1.2.3 Cambiamenti a livello sociale
Nella nostra società i giovani hanno una posizione particolare: l’adolescenza è
il periodo in cui non si è più bambini e non si è ancora adulti (De Wit, Van
Der Veer, 1993).
Il giovane è messo a confronto con i profondi cambiamenti che gli altri si
aspettano da lui: l’ambiente richiede che egli non si comporti più da bambino,
quindi, l’adolescente si dovrà preparare ai ruoli legati alla posizione sociale di
adulto e dovrà acquisire le abilità a questa collegate.
Questi nuovi ruoli prevedono diversi processi di sviluppo e di apprendimento
sociale e sono legati alle norme e alle attese vigenti in un determinato
ambiente. Esso non è qualcosa di univoco: l’adolescente ha solitamente a che
fare con diversi gruppi di riferimento (coetanei, associazioni giovanili o
subculture) e istituzioni sociali (la scuola, la famiglia) che da lui non si
aspettano esattamente le stesse cose (Neidhart, 1970).
Praticamente in tutte le forme di convivenza sociale conosciute si può
distinguere tra i ruoli ricoperti dai bambini e quelli ricoperti dagli adulti.
Gli adolescenti si trovano, così, in un periodo di transizione, di cambiamento
di ruolo sociale. Ciò comporta il rendersi indipendenti dagli educatori ai fini
della propria sussistenza e l’assumersi maggiori responsabilità all’interno
della società.
Nel corso dell’adolescenza cambiano la qualità e la frequenza del rapporto
con i genitori. Prima di questa fase il bambino dipende da loro sotto molti
aspetti: essi hanno il compito della sua cura materiale. Inoltre, il suo
comportamento è collegato alle loro regole e dalle loro decisioni: pertanto
anche il legame emotivo è vissuto come qualcosa di ovvio.
Con il passare degli anni, i campi in cui i genitori fanno valere la propria
autorità diventano sempre più ristretti e dipendono da ciò che l’adolescente
desidera discutere con uno di loro o con entrambi. Cambia l’immagine che i
giovani hanno dei genitori: cominciano a vederli come persone che possono
sbagliare, come individui dotati di un proprio carattere e riescono solitamente
a mettersi meglio nei loro panni (Palmonari, 1993).