VI
Nel corso di quest’opera si vedrà, pertanto, quali furono i principi di netiquette,
come nacquero e quali sviluppi ebbero non tralasciando l’importanza che tali principi
assumono tuttora anche nell’ambito dei newsgroup e della posta elettronica. Si
cercherà, poi, di dimostrare quale grande apporto alla crescita di Internet sia stato dato,
e lo sia tuttora, dalle maggiori organizzazioni non-profit che si occupano della
amministrazione della rete.
Se, dunque, esistono degli organi di gestione, Internet è però priva di un’autorità
centrale o, comunque, di un soggetto che, essendo titolare di diritti esclusivi su di essa,
la governi. Se all’inizio ciò sarebbe potuto sembrare una scelta volontaria del governo
americano, nel senso di evitare eccessive ingerenze in un progetto alla cui base stavano
forti ideali di libertà e autonomia, il delinearsi del carattere di interconnessione globale
di reti ha successivamente escluso una simile possibilità.
Nell’ambito dei confini territoriali di ciascuno Stato valgono, anche per Internet,
le leggi vigenti. Come abbiamo appena visto, però, la rete è un’entità ultraterritoriale,
risulta quindi indispensabile adottare una forma di regolamentazione che sia in grado
di superare i confini nazionali e che sia riconosciuta e accettata dall’intera comunità
degli internauti. Dimostrando un grande progresso sociale e giuridico, gli utenti della
rete hanno quindi scelto di autoregolamentarsi.
Come si vedrà, non esiste però una codificazione universale, ma ogni gruppo,
ogni comunità di utenti si è data i propri precetti che, seppur diversi, traggono tutti
origine dalle linee guida elaborate dal W3C, il consorzio internazionale che ha il
compito di uniformare regole, procedure e protocolli di Internet.
Comunque, nonostante la mancanza di un’autorità di riferimento, l’esperienza di
Internet continua ed, anzi, progredisce seppur tra notevoli difficoltà. Chi, infatti, non
ha mai sentito parlare dello spam, quell’odioso fenomeno grazie al quale le mailbox di
milioni di utenti vengono intasate da enormi quantità di messaggi non richiesti? Si
dimostrerà che lo spam è il “cancro di Internet” poiché esso non danneggia soltanto gli
utenti finali, ma tutta la rete: infatti, i milioni di messaggi spediti saturano i server e
impegnano inutilmente ingenti risorse. Al di là dei miliardi di dollari spesi ogni anno
per combattere questo malcostume non pare però esistere una soluzione radicale del
problema. Nel corso dell’opera verranno illustrati i rimedi messi in atto confrontando
la situazione paradigmatica statunitense, con quelle europea ed italiana.
VII
Sempre con riferimento alla scelta di autoregolamentazione da parte di Internet,
non si può tralasciare di considerare il file sharing, ovvero la condivisione di
documenti che, oltre ad essere un evento legato ad Internet, è soprattutto un fatto
sociale e di cultura, con gli inevitabili effetti in ambito giuridico postulati dal noto
brocardo “ubi societas ibi jus”. In seguito alla diffusione del famoso programma
Napster che, come tutte le invenzioni geniali, fu partorito quasi per errore dalla mente
di un giovane studente universitario, fu infatti possibile scambiare da un computer
all’altro canzoni e brani musicali opportunamente compressi in file di dimensioni
ragionevoli. Questo scambio, che assunse proporzioni incalcolabili, contrastava però
con le leggi sul copyright e sul diritto d’autore in quanto permetteva agli utenti di
entrare in possesso di prodotti dell’ingegno senza pagare i relativi diritti.
Napster ora non c’è più, è stato chiuso al termine di una lunga battaglia
giudiziaria messa in atto dalle maggiori case discografiche, ma è stato sostituito da
programmi più evoluti che permettono persino la condivisione e lo scambio di film e
software. Ovviamente anche la legislazione mondiale e la giurisprudenza non sono
rimaste indifferenti al fenomeno che, se anche pare sotto controllo, continua a
coinvolgere milioni di utenti in tutto il mondo.
Ma Internet è soprattutto sinonimo di “siti web” e non poteva mancare quindi, in
questa trattazione, un ampio spazio dedicato agli aspetti giuridici relativi ai siti con
particolare attenzione alle problematiche riguardanti il loro contenuto ed alla
responsabilità di chi immette sulla rete, come autore o come service provider,
messaggi o immagini lesivi di diritti soggettivi o della pubblica morale. Si riporta, in
tale contesto, il caso emblematico della vendita all’asta di cimeli nazisti sul sito del
portale Yahoo! contro il quale si pronunciò con sentenza il giudice francese.
Anche per evitare simili episodi già dal 1998, su invito dell’allora Ministero
delle Poste e Telecomunicazioni, i provider italiani elaborarono una bozza di codice di
autoregolamentazione che, tra critiche e propositi di revisione, non ha ancora trovato
applicazione, nonostante le promesse del Ministro per le Comunicazioni. Comunque,
un codice a livello nazionale, sarebbe solo il primo passo verso una più efficace
regolamentazione a livello internazionale o, per lo meno, in ambito comunitario.
Per quanto concerne la tutela della privacy degli internauti, un esteso dibattito si
è aperto in merito all’utilizzo e alla conservazione dei c.d. file di log, documenti nei
VIII
quali i service provider archiviano i dati di connessione e che permettono
l’identificazione degli utenti. A tal riguardo si esprime anche l’attualissimo Decreto
Legislativo 196/2003, conosciuto come “Codice della privacy” del quale verranno
illustrati gli aspetti attinenti all’argomento in parola. Tuttavia, secondo molti utenti, la
legislazione attuale non è abbastanza protettiva della loro riservatezza e, pertanto,
difendono le loro connessioni con i c.d. anonymizer, sistemi in grado di nascondere il
proprio numero IP. Un esempio pratico di navigazione anonima è il sito
“www.autistici.org”.
Ricorrendo l’anno europeo del disabile non si è potuto fare a meno di dedicare
uno spazio all’esposizione dell’attuale rapporto Internet-disabili, con speciale
riferimento al tema dell’accessibilità. Non bisogna dimenticare, infatti, che se la rete
può essere uno strumento per migliorare la vita dei portatori di handicap, può svolgere
questa funzione solo se ne viene adeguatamente consentito l’accesso a chi non ha la
piena fruibilità del proprio corpo. Internet è un luogo ricco di barriere e di insidie che,
se possono ostacolare o, addirittura, impedire la “navigazione” a chi non ha buone
conoscenze informatiche o sistemi software e/o hardware dell’ultima generazione, a
maggior ragione possono sbarrare la strada a chi è portatore di handicap. Un grande
aiuto all’eliminazione delle barriere d’accesso alla rete viene quindi dall’opera del
World Wide Web Consortium nell’ambito del progetto WAI (Web Accessibility
Initiative) di cui saranno illustrate le particolari linee guida.
Sul fronte normativo, invece, rappresenta un punto fermo il “Libro bianco sulle
tecnologie per le disabilità” che rappresenta lo strumento di base per stabilire gli
standard di accesso e di utilizzo delle tecnologie da parte delle fasce più deboli. Ai
principi in esso contenuti si rifà il “D.d.l. Stanca” per l’accesso dei disabili agli
strumenti informatici, il cui scopo primario è evitare che le nuove tecnologie, in specie
Internet, creino nuove forme di emarginazione e di discriminazione. Non si può, però,
comprendere come avvenga l’accesso ad Internet prescindendo dal suo funzionamento.
Tralasciando l’approfondimento degli aspetti più prettamente tecnici, che qui
non interessano, ci si limiterà a descrivere sinteticamente cos’è l’indirizzo IP e come si
accede ai siti grazie al sistema DNS (Domain Name System), ovvero la struttura di
server che permette di tradurre in numeri binari di 32 bit i nomi convenzionali che
vengono dati alle macchine cui si vuole accedere. Con queste premesse, quindi, si
IX
parlerà diffusamente dei nomi di dominio, della loro suddivisione in dominî geografici
e generici, delle modalità di assegnazione basate sul criterio del “first come, first
served”. Ma che cos’è un nome di dominio?
Il nome di dominio è un insieme di caratteri alfanumerici che identificano in
maniera univoca un computer e, di conseguenza, il sito che su di esso risiede. È
abitudine ormai consolidata delle aziende far coincidere il nome di dominio del proprio
spazio on-line con il marchio o altro segno distintivo con cui esse sono conosciute
presso il pubblico. Questa pratica ha dato vita a due fenomeni in base ai quali vengono
registrati nomi di dominio corrispondenti a marchi famosi da parte di soggetti che non
ne sono titolari e che hanno lo scopo di rivendere il dominio all’interessato o di
sfruttarne la notorietà per contabilizzare più accessi sulle proprie pagine web. Questi
due fenomeni sono comunemente conosciuti come cybersquatting e domain grabbing.
Le aziende che per prime si videro private della possibilità di registrare dominî
utilizzando il proprio marchio si rivolsero al giudice per entrarne in possesso e ciò
evidenziò una carenza normativa che diede il via all’approvazione, negli U.S.A.,
dell’Anti-Cybersquatting Consumer Protection Act e, in Italia, del “D.d.l. Passigli”
che, aspramente criticato, non ha ancora concluso il suo iter legislativo sebbene siano
passati più di tre anni dalla sua approvazione. Tuttavia, anche senza l’intervento del
legislatore l’ICANN, a livello internazionale, e la Naming Authority, a livello
nazionale, hanno messo a punto una serie di regole che sono in ogni caso in grado di
porre un freno al “furto” di nomi di dominio. Inoltre, senza ulteriori interventi,
risultano correttamente applicabili le normative esistenti in campo civile e penale. Non
mancherà una rassegna della giurisprudenza più significativa.
In ambito europeo si sta finalmente assistendo alla nascita di un nome di dominio
di primo livello .eu in grado di identificare l’Unione Europea. Da studi eseguiti dalla
Commissione, infatti, è emerso che il nome di dominio europeo costituirebbe una
valida risorsa per lo sviluppo del commercio elettronico e della società
dell’informazione in Europa. Il progetto, dopo un lungo iter, è culminato con la
costituzione del consorzio Eurid che vede anche la partecipazione della nostra
Registration Authority. Si vedrà quindi nel dettaglio come è nato questo consorzio e
quali sono le sue funzioni.
X
A conclusione di questo viaggio nel mondo di Internet e delle sue regole, si
approda all’aspetto forse più evoluto delle forme di regolamentazione elaborate
dall’uomo: la deontologia.
Deontologia, infatti, è sì l’insieme delle regole morali che disciplinano
l’esercizio di una professione ma, prima ancora, è la teoria del filosofo e giurista
inglese Jeremy Bentham che pone l’origine e il fine della morale e del diritto nel
principio utilitaristico secondo cui “il bene è la maggior felicità del maggior numero”.
Non deve stupire, quindi, che il Decreto Legislativo n. 196 del 27 giugno 2003,
per esempio, preveda la redazione di un codice di deontologia e buona condotta per la
tutela dei dati personali in Internet, volto a uniformare tutte quelle regole comporta-
mentali che ciascun operatore o gestore di siti si dà per disciplinare il rapporto con gli
utenti.
Anche nell’ambito del commercio elettronico, che pure può contare sulle
consuetudini della lex mercatoria, è necessario fissare delle norme di condotta perché,
come da sempre avviene, gli scambi commerciali si basano anche sulla fiducia la quale
merita senz’altro di essere tutelata. Vedremo, quindi, cosa è stato fatto a livello euro-
peo, nazionale e quali sono le proposte di organizzazioni internazionali come l’OCSE.
Ma se è meritevole di particolare tutela il commercio, ancora di più lo sono gli
utenti, specialmente se impreparati o parti deboli nei confronti dell’aggressività della
Rete come è il caso dei minori. A causa della facilità di accesso a contenuti osceni e/o
violenti, a causa dei sempre più frequenti casi di adescamento minorile su Internet e
anche per arginare il fenomeno della pedo-pornografia, è stato elaborato in Italia un
codice di condotta avente lo scopo di responsabilizzare gli operatori della Rete e di
creare un sistema di accesso regolato in grado di proteggere i minori dalle insidie,
tuttaltro che virtuali, che emergono durante la “navigazione”.
Infine, alla luce delle modifiche apportate al Codice Deontologico Forense, con
particolare riferimento agli artt. 17 e 18, si è ritenuto opportuno dedicare spazio al
rapporto tra la professione forense ed Internet. A tale riguardo si farà riferimento anche
ad uno studio che dimostra come la maggior parte degli avvocati italiani che ha deciso
di aprire spazi sul web sia decisamente irrispettosa delle regole deontologiche.