Introduzione
cogliere le opportunità di mercato, di reggere l’evoluzione della concorrenza nel
settore in cui operano, di sfruttare i propri assets per trarre profitti stabili e
duraturi, significa ostacolare lo sviluppo del sistema economico, premiando le
inefficienze e disincentivando il miglioramento delle performance.
Il fatto che, nella realtà delle procedure di ristrutturazione previste dalle leggi
fallimentari dei diversi Paesi, non sempre ciò sia effettivamente conseguito sta
alla base di una densa letteratura dedicata alla soluzione del problema e
all’individuazione di regole e meccanismi che costringano il più possibile il
risultato della ristrutturazione alla sua vocazione originaria, ossia al permettere la
sopravvivenza delle sole imprese per le quali la continuazione sia la soluzione
economicamente più efficiente. Tale letteratura rispecchia, a sua volta, l’esigenza
avvertita diffusamente di migliorare le procedure esistenti, e trova conferma nei
numerosi recenti tentativi di riforma delle leggi fallimentari, riscontrabili in molti
Paesi.
Con il presente lavoro, si intende orientare lo sguardo verso le regole di voto
previste per l’approvazione dei piani di ristrutturazione, ossia tracciare le linee
guida per l’analisi economica di una ristretta, ma non per questo meno importante,
porzione del complesso di regole finalizzate a modellare le ristrutturazioni
aziendali in funzione del loro obiettivo prioritario.
Il proposito consiste nel ripercorrere la letteratura in materia e servirsi dei risultati
da questa ottenuti per interpretare ed attribuire un significato in termini economici
alle regole di voto previste dalle procedure di gestione delle crisi aziendali
attualmente in vigore in Italia e negli Stati Uniti. La scelta di affiancare
l’esperienza statunitense alla disciplina italiana trova giustificazione nel fatto che
la prima viene sovente considerata quale punto di riferimento al quale ispirare
nuove riforme che vadano nel suo stesso senso (ed è ciò che in concreto è
avvenuto anche in Italia, con la recente riforma della Legge Fallimentare) o quale
termine di paragone da contrapporre ad ipotesi di approcci alternativi ed, in
special modo, al fatto che una consistente porzione degli studi disponibili si
riferisce alle regole di voto dettate proprio dal Chapter 11 dell’U.S. Bankruptcy
Code.
Si noti che, in questa sede, con il termine “regole di voto” si intende l’insieme di
regole predisposte per disciplinare il processo di formazione del consenso su di un
determinato piano e per definire quali condizioni debbano essere soddisfatte
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Introduzione
affichè l’accordo tra i claimants venga raggiunto ed il piano di ristrutturazione
possa essere ritenuto approvato a tutti gli effetti. Pertanto, sono regole di voto
essenzialmente quelle che:
- individuano i soggetti legittimati alla votazione;
- stabiliscono se i partecipanti al voto debbano essere o meno raggruppati in
classi, il numero minimo di classi, ed i criteri ai quali uniformare la
suddivisione;
- stabiliscono come debbano essere distribuiti i voti tra i soggetti legittimati,
quindi se a ciascun claimant spetti un solo voto (voto per testa) oppure un
numero di voti proporzionale al valore del claim di cui è titolare (voto per
valore del claim);
- fissano la percentuale di voti favorevoli che deve essere raggiunta affinchè
il piano sia approvato;
- definiscono le modalità di computo dei voti non pervenuti.
Sebbene il fulcro del presente lavoro sia incentrato sulle regole sopra citate,
sarebbe fuorviante non considerare che alcuni studi, ai quali si farà spesso
riferimento, analizzano le regole di voto intendendole in un’accezione più ampia,
ossia si soffermano su meccanismi legali che, pur non appartenendo al
procedimento di voto, sono ad esso legati poichè contribuiscono a condizionarne
il risultato. Sono inclusi in tale nozione “allargata” , il cram down
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, l’exclusivity
period
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ed il liquidation floor
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: data l’influenza che essi esercitano sul contenuto
del piano e sul modo in cui il valore dell’impresa ristrutturata viene ripartito tra i
claimants durante il processo di negoziazione, si avrà modo di notare che l’analisi
delle regole di voto (intese in senso stretto) attraverso l’utilizzo dei modelli di
contrattazione non può essere svolta ignorandoli.
Il lavoro si articola in tre parti.
Nella prima vengono, anzitutto, esposti i caratteri essenziali delle procedure di
ristrutturazione contemplate dalle normative concorsuali in Italia e negli Stati
Uniti (Capitolo 1). Alcune procedure ammesse dall’ordinamento italiano, tuttavia,
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Termine con il quale viene indicata la possibilità che il giudice approvi il piano nonostante esso
non abbia riscontrato il favore di tutte le classi ammesse al voto, purchè nel rispetto di alcune
condizioni minime stabilite dalla legge.
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Periodo durante il quale una determinata categoria di claimants gode del diritto esclusivo di
presentare il piano.
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Stabilisce che il piano di ristrutturazione non possa riservare ai creditori dissenzienti un
trattamento peggiore di quello che essi riceverebbero nell’alternativa ipotesi di liquidazione.
Introduzione
non prevedono che il piano venga sottoposto a votazione
5
: per questa ragione, ci si
limita a ricordarle nei loro aspetti essenziali, senza poi riprenderle nel corso della
trattazione.
Il motivo per cui si è ritenuto necessario aprire il lavoro offrendo una panoramica
sulle procedure di ristrutturazione attualmente in vigore, è quello di definire il
quadro generale nel quale si collocano le regole di voto ed entro il quale devono
essere interpretate. Queste ultime sono a loro volta esposte nel Capitolo 2, con lo
scopo di fornire un elenco di riferimento che possa essere agevolmente consultato
nel corso della lettura della restante parte della trattazione, alla quale viene
riservata la loro analisi. Si riportano, pertanto, le regole di voto richieste dal
Chapter 11, per quanto riguarda gli Stati Uniti, e quelle previste per il Concordato
Preventivo, concordato fallimentare e per il piano presentato in occasione
dell’Amministrazione Straordinaria di cui al “Decreto Marzano”, ossia riferite alle
sole procedure di gestione delle crisi aziendali per le quali la legge italiana
prevede che il piano venga sottoposto al voto dei creditori.
La seconda parte è, invece, dedicata ai risultati dell’analisi economica delle regole
di voto ai quali la letteratura in materia è sinora pervenuta. A tal proposito, si è
ritenuto opportuno presentare, anzitutto, i modelli impiegati per conseguire tali
risultati, che sono principalmente due, ed entrambi appartenenti alla branca di
studi nota come teoria dei giochi (Capitolo 4). Si tratta, in particolare, dei modelli
di contrattazione, nei quali l’esito del voto ed il piano che ne risulta rappresentano
la soluzione al gioco di contrattazione, ossia l’equilibrio che si intende studiare, ed
i Simple Voting Games, che consentono di condurre un’analisi a priori delle regole
di voto, indipendentemente dalle preferenze e dalla struttura dei payoffs dei
partecipanti.
Si esamina, quindi, la funzione cruciale dei meccanismi di voto applicata ai
processi di ristrutturazione aziendale, consistente nell’aggregare informazioni
disperse tra i claimants, e risolvere i conflitti di interessi tra di essi esistenti, per
orientare la scelta verso la soluzione più efficiente (Capitolo 4).
La trattazione procede, poi, esaminando il modo in cui le diverse possibili regole
di voto incidono sulla probabilità che il piano venga approvato e che, quindi, il
processo di ristrutturazione giunga a buon fine, per poi sviluppare un tentativo di
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5
Si tratta, nello specifico, degli “Accordi di ristrutturazione dei debiti” ex art. 182-bis della Legge
Fallimentare, del “piano idoneo a consentire il risanamento” art. 67 comma 3 lett. d) della Legge
Fallimentare, e dell’Amministrazione Straordinaria “semplice” di cui alla Legge Prodi-bis.
Introduzione
applicazione dei risultati ottenuti dalla letteratura in materia anche al contesto
italiano (Capitolo 5). L’attenzione viene successivamente orientata verso lo studio
dell’impatto che le regole di voto generano sulla modalità di distribuzione del
surplus del valore dell’impresa ristrutturata rispetto al suo valore di liquidazione
tra i partecipanti alla contrattazione e ci si domanda in quale misura i risultati
ottenuti siano estendibili alle tre soluzioni concordate contemplate
dall’ordinamento italiano (Capitolo 6).
Nei Capitolo 5 e 6, inoltre, si coglie l’occasione per riflettere riguardo agli effetti,
intesi come impatto sulla probabilità di approvazione del piano e sulla
distribuzione del valore in esso contenuta, che si ritiene possano essere associati
alla recente riforma della Legge Fallimentare.
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CONCLUSIONE
Le ristrutturazioni aziendali vengono sovente affidate alla contrattazione tra i
claimants, i quali sono chiamati a negoziare una soluzione concordata che preveda
una ripartizione del valore di continuazione dell’impresa insolvente. L’approccio
negoziale alla ristrutturazione aziendale trova pieno riconoscimento nel Chapter
11 dell’U.S. Bankruptcy Code, che disciplina le operazioni di reorganizations, ed
è riscontrabile anche in Italia, nella procedura di Concordato Preventivo,
nell’ambito del Fallimento, procedura liquidatoria nel corso della quale è
ammessa la presentazione di una proposta di soluzione concordata che per questo
viene definita con il temine concordato fallimentare, e nell’Amministrazione
Straordinaria “accelerata” di cui al Decreto Marzano e successive modifiche,
procedura creata ad hoc per la gestione delle crisi che colpiscono imprese di
elevate dimensioni e che sono, per ragioni essenzialmente occupazionali, di
interesse nazionale. Tali procedure vedono i claimants dell’impresa insolvente
direttamente coinvolti nella definizione del modo in cui il going concern value
deve essere tra loro ripartito sotto forma di nuovi claims nei confronti
dell’impresa ristrutturata: la distribuzione prescelta è, infatti, quella prevista dal
piano di ristrutturazione che risulta essere vincente nella votazione alla quale essi
sono chiamati a prender parte. Pertanto, la contrattazione ha luogo entro uno
spazio ben delimitato dalle regole che ne disciplinano lo svolgimento e che spesso
tendono a canalizzare l’esito verso una determinata direzione: tra queste rientrano
le regole di voto, che definiscono le modalità di svolgimento della votazione e le
condizioni da rispettare affinchè il piano possa essere ritenuto approvato a tutti gli
effetti. Dato che esse intervengono direttamente sul processo di contrattazione tra
i claimants, disciplinandolo e costringendolo entro precisi confini, pare lecito
domandarsi se ed in che modo possano influire sull’esito finale della
contrattazione stessa.
Il presente lavoro è indirizzato alla ricerca di una risposta a questo interrogativo
ed, a tal fine, volge lo sguardo ai risultati ottenuti da una serie di studi condotti in
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Conclusione
materia, che si avvalgono di metodi di analisi riconducibili alla teoria dei giochi
applicata al contesto delle riorganizzazioni aziendali negli Stati Uniti, ma che
forniscono elementi interessanti per esprimere un giudizio, seppur indicativo,
anche riguardo alla realtà delle procedure italiane. Ripercorrendo la letteratura in
materia, dunque, pare che le regole prescelte per la disciplina della votazione dei
claimants incidano sull’esito della stessa, e quindi su quello della procedura di
ristrutturazione, sotto diversi aspetti. Le argomentazioni inerenti le regole di voto,
infatti, non possono fermarsi alla sola analisi del modo in cui una diversa
percentuale di maggioranza o la suddivisione dei votanti in classi incide sul livello
di aggregazione delle informazioni disperse tra di essi e quindi sull’efficienza
della soluzione adottata (Capitolo 4), ma devono necessariamente essere traslate
su di un piano più concreto, considerando il modo in cui differenti majority
quotas, schemi di voto (voto per teste o voto per somme) e modalità di
classificazione dei crediti condizionano la probabilità intrinseca e non
condizionata che un’intesa possa essere effettivamente raggiunta (Capitolo 5), e
come esse influenzano il contenuto del piano che si ritiene possa presumibilmente
vincere la votazione (Capitolo 6).
Nell’affrontare il primo aspetto, ovvero il modo in cui le regole di voto
influenzano il grado di “facilità” di approvazione del piano, e quindi nel
considerare la possibilità che a diverse regole di voto sia associato un diverso
livello di “resistenza”, ossia una diversa probabilità non condizionata (a priori
probability) che il piano di ristrutturazione sottoposto a votazione venga scartato,
si fa riferimento allo studio di Braham e Steffen (2001). Sotto l’ipotesi di
equiprobabilità delle coalizioni, ossia prescindendo da qualsiasi considerazione in
merito al modo in cui i claimants formano le coalizioni che votano a sostegno dei
piani di ristrutturazione proposti, viene dimostrato che ad una maggiore
percentuale di maggioranza richiesta corrisponde una maggiore probabilità non
condizionata che la proposta, indipendentemente dal suo contenuto, venga
rigettata, poichè l’aumento della majority quota agisce sul numero di coalizioni
vincenti che possono formarsi, riducendole. Dato che tale considerazione vale sia
nel caso di voto per testa che di voto per valore dei claims, ponendo a confronto le
regole di voto vigenti negli Stati Uniti (Chapter 11) e quelle previste in Germania
(Insolvenzordnung), gli autori dimostrano che la probabilità a priori che un piano
venga approvato negli Stati Uniti risulta essere inferiore alla probabilità che lo
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Conclusione
stesso piano venga approvato in Germania, in cui la majority quota richiesta nel
voto per valore dei claims è inferiore. Applicando gli estremi del loro
ragionamento al Concordato Preventivo, si giunge alla conclusione che la minore
percentuale di maggioranza prevista nel voto per somme rispetto al Chapter 11
(maggioranza semplice anzichè qualificata) e l’assenza del numerosity
requirement contemplato nel Chapter 11, fa sì che il numero di coalizioni vincenti
secondo le regole del Concordato Preventivo risulta essere sempre superiore a
quello generato dalle regole del Chapter 11 e che, di conseguenza, la resistenza di
queste ultime risulta essere superiore a quella intrinseca nella disciplina della
procedura italiana. Considerazioni affini vengono sviluppate anche con
riferimento al concordato fallimentare ed all’AS “accelerata”, per le quali la
Legge Fallimentare ed il Decreto Marzano, rispettivamente, dettano percentuali di
maggioranza analoghe a quelle previste per il Concordato Preventivo.
Riguardo, invece, all’impatto prodotto sulla probabilità di approvazione del piano
dalla suddivisione dei creditori in classi, si espongono le prove cui Braham e
Steffen fanno ricorso per dimostrare l’esistenza di uno svantaggio legato alla
classificazione dei crediti, esprimibile proprio in termini di una riduzione del
numero di coalizioni vincenti rispetto a quelle prodotte in caso di voto in un’unica
classe: alla luce di ciò, pare ragionevole ritenere che se le procedure di due Paesi
prevedono le medesime majority quotas ma hanno una diversa propensione alla
classificazione, il Paese la cui procedura è contraddistinta da una maggiore
predisposizione alla suddivisione in classi è destinato comunque a sperimentare
un maggior numero di piani rigettati. A tal proposito, parrebbe che per tutte e tre
le soluzioni concordate contemplate dall’ordinamento giuridico italiano per le
quali venga previsto il voto dei creditori, la disciplina sia impostata in modo tale
da indurre una minor propensione alla classificazione dei crediti rispetto a quanto
avviene in occasione del Chapter 11. Sia per il Concordato Preventivo che per
quello fallimentare e l’AS “accelerata”, infatti, viene riconosciuta al proponente
del piano la facoltà, e quindi la libertà, di predisporre uno schema di suddivisione
dei creditori in classi, senza tuttavia prevederne, almeno formalmente, l’obbligo
esplicito (sebbene il dibattito in merito sia tutt’ora aperto), a differenza di quanto
avviene nel Chapter 11. Se già tale considerazione potrebbe far pensare ad una
minor inclinazione alla classificazione nelle tre procedure italiane, essa parrebbe
essere ulteriormente rafforzata dal fatto che i criteri adottati dal proponente del
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Conclusione
piano per la formazione delle classi sono soggetti alla valutazione del giudice, che
è chiamato a verificarne la correttezza: la prospettiva di un intervento giudiziario
contrario ai criteri adottati opera da disincentivo alla classificazione, e quindi
contrasta la libertà accordata. Per questo, parrebbe che la resistenza del voto negli
Stati Uniti sia superiore a quella che contraddistingue le tre procedure italiane, sia
con riferimento alle percentuali di maggioranza richieste che alla propensione alla
classificazione. Di conseguenza, si potrebbe concludere che la probabilità a priori
che un piano venga approvato se presentato in occasione del Concordato
Preventivo, di quello fallimentare e dell’AS “accelerata” è superiore alla
probabilità con cui il medesimo piano verrebbe accolto in occasione del Chapter
11.
La significatività delle conclusioni sinora riportate resta comunque subordinata al
riconoscimento del fatto che il reale impatto che le regole di voto producono sulla
probabilità a priori di approvazione del piano è, nel concreto, sostanzialmente
firm specific, ossia strettamente legato alla distribuzione del valore dei crediti tra i
votanti ed al modo in cui questi ultimi vengono suddivisi in gruppi, elementi che
non possono essere utilmente generalizzati, come dimostrato rilassando l’ipotesi
di equiprobabilità delle coalizioni e riconoscendo la validità del size principle.
Tuttavia, si ritiene che l’analisi condotta, nonostante possa poi essere contraddetta
se applicata ad un singolo caso pratico per il quale si giudichi corretto accogliere
il size principle, sia comunque utile poichè consente di percepire la diversità di
atteggiamento assunto da ordinamenti giuridici di diversi Paesi nei confronti delle
ristrutturazioni aziendali, ossia la diversa predisposizione a rendere più o meno
agevole il raggiungimento di un accordo. Allo stesso modo, dunque, i risultati
ottenuti possono essere impiegati per valutare la direzione intrapresa dalla recente
riforma della Legge Fallimentare, che è intervenuta, tra l’altro, abbassando la
majority quota prevista per il voto per somme ed abolendo il requisito della
maggioranza semplice per teste, ossia il numerosity requirement, sia per il
Concordato Preventivo che per quello fallimentare. Dato che prima della riforma
entrambe le soluzioni concordate richiedevano il voto favorevole della
maggioranza qualificata del valore dei claims e la maggioranza semplice dei
creditori, esattamente come nel Chapter 11, confrontare la probabilità a priori di
approvazione del piano intrinseca nelle majority quotas previste prima e dopo la
riforma porta ai medesimi risultati ottenuti grazie al raffronto con il Chapter 11: di
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Conclusione
conseguenza, parrebbe che l’intento del legislatore sia stato quello di impostare
una struttura normativa che rendesse tendenzialmente più agevole il
raggiungimento di un’intesa sul piano proposto, sia esso presentato in occasione
del Concordato Preventivo o, una volta avviato il Fallimento, sotto forma di
concordato fallimentare. Questa conclusione pare non essere contraddetta dal fatto
che la riforma abbia introdotto l’istituto della classificazione dei crediti in
precedenza nemmeno menzionato: nonostante ciò possa portare a pensare ad un
aumento della resistenza volto a compensare la maggiore clemenza associata alla
riduzione della majority quota e all’eliminazione del numerosity requirement, in
realtà pare che l’aumento della propensione alla classificazione sia comunque
esiguo, se si considera che la suddivisione dei creditori in classi viene sovente
interpretata proprio come una semplice facoltà il cui ricorso è rimesso alla libera
discrezione del proponente e che ogni proposta di classificazione è comunque
destinata ad incontrare l’ostacolo della verifica giudiziale, elemento che può avere
conseguenze disincentivanti.
Le regole di voto, inoltre, incidono anche sul contenuto del piano proposto,
ovvero sulla modalità di ripartizione del valore di continuazione tra i claimants
che prendono parte alla ristrutturazione aziendale. La portata e le caratteristiche
specifiche di tale impatto sono ardue da identificare con certezza, ma sulla base
degli studi condotti in materia è possibile trarre utili spunti di riflessione. A tal
proposito, Kordana e Posner (1999) si occupano di descrivere, tramite un modello
di contrattazione non cooperativa, il modo in cui i payoffs del debitore e dei
creditori variano nel passaggio dall’unanimity rule alla dictatorship rule ed alla
majority rule, assumendo l’esistenza del liquidation floor ed assumendo che, una
volta trascorso il debtor’s exclusivity period senza che l’intesa venga raggiunta,
anche i creditori siano legittimati alla presentazione di una propria proposta sino
ad un termine massimo oltre il quale l’impresa viene liquidata, ipotesi, queste, che
si adattano al contesto di contrattazione voluto dal Chapter 11. In presenza di una
regola di voto maggioritaria, sia essa semplice o qualificata, gli autori dimostrano
che, mentre il valore di liquidazione viene ripartito essenzialmente in proporzione
all’entità dei diritti ante-insovenza di cui i creditori sono titolari, alla distribuzione
del going concern surplus eventualmente esistente partecipano esclusivamente i
creditori ammessi alla coalizione vincente, in relazione al potere di contrattazione
di cui essi godono una volta terminato il debtor’s exclusivity period, ed anche il
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