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INTRODUZIONE
Il contratto di lavoro a termine da sempre si trova al centro di un aspro dibattito,
un dibattito che ha tristemente preso piede negli ultimi anni, a seguito della
epocale crisi economica che ha messo in ginocchio l‟intera economia mondiale,
ed ha determinato un ancor più frequente ricorso a tale contratto, sottolineando in
tal modo, all‟interno del mercato del lavoro, l‟esigenza di un utilizzo di forme più
flessibili di occupazione che, in quanto tali, necessitano di essere contemperate
con adeguate misure di tutela dei lavoratori. È un dibattito che coinvolge, tra gli
accesi contrasti, sia la dottrina giuslavoristica che la letteratura sociologica così
come non può che coinvolgere e condizionare le scelte politiche ed economiche.
Non può negarsi che “contratto di lavoro a termine” sia sinonimo di
precarietà, e che la stessa precarietà può essere letta ed reinterpretata alla luce del
concetto di flessibilità. Se la tipologia del contratto di lavoro caratterizzato da un
termine finale, è sempre esistito nell‟autonomia delle parti, il concetto di
flessibilità è un qualcosa di relativamente nuovo, che investe nella sua interezza
l‟ambito del mercato del lavoro e che caratterizza in pieno le scelte politiche
occupazionali ed economiche di ogni ordinamento giuridico. Precarietà è invece
un qualcosa che può essere visto come l‟altra faccia della medaglia rispetto al
concetto di flessibilità. Se la flessibilità del lavoro viene letta come la
riconsiderazione del tradizionale assetto del lavoro incentrato sull‟idea dell‟unico
posto di lavoro per tutta la vita, in funzione di nuove o rivisitate forme di lavoro
spesso indipendenti ed autonome, la precarietà non è altro che la condizione di
fatto che tali forme flessibili di lavoro determinano, attraverso la discontinuità dei
percorsi professionali, ma con conseguente ed inevitabile declino dei modelli
tradizionali di strutturazione familiare, se non proprio della famiglia stessa.
Ci troviamo perciò ad interrogarci, su cosa sia e come nasca un contratto di
lavoro a termine, su quali siano le condizioni che ne giustifichino il suo impiego,
cercando di non perdere di vista gli interessi, ed i rapporti di forza che si
dispiegano nella stipulazione di questo negozio giuridico. Sono proprio gli
interessi delle parti a porre in essere i principali problemi in ordine alla possibilità
di ricorrere al contratto a tempo determinato; gli interessi del lavoratore alla
stabilità del proprio posto di lavoro, al suo diritto di avere certezza del proprio
6
futuro, alla possibilità di un esistenza dignitosa; gli interessi del datore di lavoro e
dell‟impresa, a rimanere competitivi contenendo i costi, a fronteggiare la
crescente concorrenza sleale delle realtà asiatiche, del lavoro nero e della crisi
globale.
Nei capitoli che seguiranno, verrà ripercorso lo sviluppo del contratto di
lavoro a termine ed in particolare delle ragioni che ne giustificano il suo utilizzo,
alla luce degli interventi normativi che si sono susseguiti nel corso dei decenni,
con una particolare analisi delle problematiche che hanno preso piede
all‟indomani della Direttiva CE 1999/70, e del conseguente e successivo Decreto
legislativo n. 368/2001, che ha determinato un cambiamento se non una vera e
propria svolta, in quanto alla possibilità di ricorrere alla stipula del contratto a
termine.
Sarà interessante notare come l‟esistenza di tale tipologia di contratto abbia
dispiegato i suoi effetti, trascinandosi negli anni in una sorta di moto oscillatorio,
condizionando gli attori sociali ad una continua e mutevole considerazione dello
stesso; si è partiti da un originario ed assoluto favore fino ad arrivare alla
considerazione del contratto a termine come il male assoluto, per poi tornare ad
ammetterne l‟utilità e a favorirne la diffusione a fasi alterne, con fare talvolta
schizzofrenico a seguito delle diverse ed alterne maggioranze politiche.
Si è apprezzata la sua tassativa applicazione per poi riconoscerne la troppo
rigida possibilità d‟impiego, se ne è incentivata la diffusione tramite la
contrattazione collettiva, per poi tornare a limitarne quello che ormai era divenuta
una sorta di flessibilità controllata. Con la normativa del 2001 poi si separarono le
acque, a seguito di un linguaggio legislativo caratterizzato da una tecnica
normativa differente e basata sulla clausola generale; da una parte si parlava di
assoluta liberalizzazione del contratto a tempo determinato mentre dall‟altra si
cercava di fornire una visione maggiormente restrittiva più fedele al concetto della
necessaria temporaneità delle cause giustificative.
I profili di incertezza sorti a seguito della mutata tecnica di previsione della
causale di apposizione del termine proposta dal legislatore nel decreto del 2001,
ha certamente permesso alle imprese di soddisfare più agevolmente le diverse
esigenze di organizzazione flessibile del lavoro, rendendo meno certa, a causa
della sua elasticità, la legittimità dei contratti a termine, il cui vaglio,
7
sostanzialmente, non resta che affidato alla magistratura, cui risulta, di fatto,
attribuita grande discrezionalità, a ragione della genericità dell‟individuazione
delle ragioni giustificatrici dell‟assunzione a tempo determinato.
È da considerare infatti il fondamentale ruolo che ha assolto la
giurisprudenza sia di merito che di legittimità, nel fornire le linee interpretative e
nel dettare in modo specifico le condizioni di utilizzo dell‟istituto in questione,
così come è da apprezzare l‟attività delle parti sociali nella contrattazione
collettiva, le quali, nella concreta individuazione di nuove e specifiche causali
giustificative dei contratti a termine, sono andate a colmare e concretizzare tanto
gli orientamenti e le linee giurisprudenziali, quanto l‟indeterminatezza e la
genericità dei disposti normativi.
Nel dettaglio: nel primo capitolo verrà analizzata la disciplina normativa sul
contratto a termine relativa alla legge n. 230 del 1962 e successive modifiche ed
integrazioni, sottolineandone le principali caratteristiche alla luce degli
orientamenti dottrinali e giurisprudenziali dell‟epoca e sottolineando il ruolo della
contrattazione collettiva.
Il secondo capitolo riguarda invece la sfera comunitaria, in particolare la
Direttiva n. 99/70/CE e l‟apparente spinta alla liberalizzazione del contratto a
termine, attraverso i principi che ne regolano l‟applicazione all‟interno
dell‟ordinamento nazionale.
Il terzo capitolo sarà invece caratterizzato da una completa ed ampia analisi
circa gli aspetti controversi della nuova disciplina sul contratto a termine derivante
dal criticato articolo 1 D.lgs. n. 368/2001; ne verranno analizzati gli aspetti in
relazione alle regole di giustificazione del termine, ne verranno sottolineati i limiti
alla luce della prospettata temporaneità delle causali e dell‟onere di specificazione
delle stesse ragioni giustificative. Si tratterà inoltre della particolare vicenda delle
Poste Italiane e della lunga controversia dovuta all‟eccessivo ricorso ai contratti a
termine privi di legittime causali giustificative. Verranno poi indicati i principali
orientamenti giurisprudenziali con particolare riguardo alle ragioni sostitutive e
successivamente agli interventi normativi degli ultimi anni, con due ultimi
paragrafi in cui si ricostruisce la disciplina sanzionatoria in caso di difetto delle
ragioni giustificatrici rispetto al contratto a termine in generale.
8
CAPITOLO PRIMO – L’originaria normativa sul contratto a termine.
SOMMARIO: 1. La nascita del contratto di lavoro a termine; il dibattito prima
della legge n. 230/1962; 2. Il Codice Civile e l‟articolo 2097; 3. La legge 18
aprile 1962, n. 230 tra eccezionalità e tassatività; 4. La crisi economica degli
anni ‟70 e la normativa adeguatrice del contratto a termine; 5. Il ruolo della
contrattazione collettiva nella “deregolazione controllata”; 6. L‟accordo
interconfederale del 1988, la legge 223/1991 e il Patto Lavoro Milano: i
contratti a termine soggettivamente motivati.
1. la nascita del contratto di lavoro a termine; il dibattito prima della legge
n. 230/1962.
Ripercorrendo le tappe evolutive del contratto a termine ci si accorge di
come esso, nel rappresentare un necessario strumento di politica economica e
sociale, abbia avuto, durante il boom economico degli anni 50-60, una diffusione
ed applicazione del tutto svincolata da criteri oggettivi che ne potessero
giustificare l‟utilizzazione rispetto al contratto a tempo indeterminato. Questo
perché mancava in sostanza una dettagliata disciplina a livello legislativo della
materia in questione.
In un tale contesto la determinazione volontaria della durata della
prestazione oggetto del contratto di lavoro, veniva compiuta, in via generale,
consensualmente e preventivamente in sede di stipulazione del contratto stesso,
oppure sempre consensualmente ma successivamente alla conclusione di esso, o
per mezzo di una manifestazione di volontà unilaterale dei contraenti, il cui
fondamento poteva essere o un precedente accordo o una norma di legge.
Quando la durata era determinata o determinabile in base ai criteri stabiliti
dalla legge o dal contratto, il contratto si definiva a tempo determinato, altrimenti
lo si indicava a tempo indeterminato
1
.
1
Tuttavia le parti contraenti nella determinazione della durata del contratto potevano
arricchire il loro accordo dando luogo ad ipotesi diverse. Nella conclusione del contratto essi
potevano;Indicare una certa durata del comportamento dovuto, subordinando l‟efficacia della
relativa clausola ad una successiva manifestazione unilaterale di volontà di una delle parti
9
Quello che interessa qui sottolineare, è chiarire quindi in cosa il contratto a
tempo determinato si distingueva dal contratto a tempo indeterminato; la
distinzione si incentrava essenzialmente nella determinatezza o determinabilità
preventiva della durata.
Determinabilità si aveva in tutti quei casi in cui erano previsti criteri
indipendenti dalla volontà delle parti idonei a stabilire la durata; così il contratto a
tempo determinato, quando era la legge a stabilirne la durata (contratto di
apprendistato) o quando le parti la stabilivano con riferimento ad un fattore ignoto
(sostituzione di un lavoratore in malattia), indipendente dalla loro volontà, oppure
in relazione a un fattore già noto ma soggettivamente incerto. Si poteva avere
determinazione della durata per relationem.
2
Era evidente di conseguenza, vista la sottile linea di confine tra la disciplina
del recesso e l‟apposizione del termine nel contratto di lavoro, una duplice
alternativa, o considerare il contratto concluso un contratto a tempo determinato,
configurandosi la successiva manifestazione di volontà come diretta a rendere
operativo il termine, oppure di considerarlo un contratto a tempo indeterminato,
intendendo la durata convenuta come il momento del tempo in cui poteva
esercitarsi il recesso.
3
L‟unica soluzione era perciò quella di accertare caso per
caso se le parti avessero voluto disciplinare in modo particolare la facoltà di
recesso dal contratto oppure concludere un contratto a tempo determinato
4
.
contraenti, da esercitarsi entro un certo termine, considerando altrimenti ancora dovuto il
comportamento per una durata uguale a quella originari o a tempo indeterminato; determinare la
durata del comportamento attribuendosi reciprocamente la possibilità di escludere l‟operatività del
patto tramite una successiva manifestazione unilaterale di volontà, da esercitarsi entro un certo
termine, con la conseguenza che il comportamento è dovuto per una durata uguale a quella
originaria o a tempo indeterminato. Era inoltre possibile che le parti, durante l‟esecuzione del
contratto o dopo averlo adempiuto, concludessero un nuovo contratto avente un diverso contenuto,
oppure esaurita la durata inizialmente convenuta, continuassero reciprocamente ad adempiere ed a
ricevere l‟adempimento della prestazione, senza concludere alcun accordo espresso. C. Assanti, il
termine finale nel contratto di lavoro, Milano, 1958, pag 56; Barassi, il diritto del lavoro, Milano
1957, vol. 2, pag. 146; Devoto, la obbligazione a esecuzione continuata, pag. 255.
2
Così G. Balzarini, in la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, Torino,
1966, pag 7.
3
L‟articolo 1373 al secondo comma prevede infatti che nei contratti a esecuzione
continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso
non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.
4
Cfr Trib. Roma 16 luglio 1952 (in Dir. Lav. 1952 II, 292) il quale stabilì che andava
costituito come contratto a termine anche quello in cui le parti avessero previsto che per renderlo
operante occorresse una successiva manifestazione di volontà di una di esse che non assumesse
10
Anteriormente alla legge sull‟impiego privato e al codice del 1942 (ispirati
al principio dello sfavore del contratto a termine), sotto l‟impero del codice civile
abrogato, non esisteva alcun tipo di atteggiamento negativo nei confronti di tale
contratto, vi era altresì preoccupazione di evitare la validità di un contratto che
impegnasse il prestatore di lavoro a prestare per tutta la vita la propria attività alle
dipendenze dello stesso datore di lavoro. Per questo motivo si era giunti alla
disposizione di cui all‟articolo 1628 c.c. del 1865 secondo cui, nessuno poteva
obbligare la propria opera all‟altrui servizio che a tempo
5
. Finchè non si estese in
via analogica al contratto di lavoro, l‟articolo 1609 c.c.
6
e non si venisse quindi a
creare una disciplina del recesso che permetteva al lavoratore di non legarsi per
tutta la durata della sua vita al datore di lavoro (perciò il contratto a tempo
indeterminato poneva effettivamente il lavoratore in condizione di soggezione
perpetua) si ebbe l‟esigenza, (che oggi può far sorridere) di vietare il contratto di
lavoro che non avesse contenuto a priori una data, determinata o determinabile, di
scadenza. Da qui la conseguenza che il contratto a termine, sotto la vigenza del
codice del 1865, era considerato senz‟altro più favorevole al lavoratore rispetto al
contratto a tempo indeterminato. Alla stessa ratio era da ricondursi il quarto
comma dell‟articolo 2097 dove stabiliva che “se il contratto di lavoro è stato
stipulato per una durata superiore a cinque anni (o a dieci per i dirigenti), il
prestatore può recedere, decorso tale periodo.
Un simile approccio di favore nei confronti del contratto a termine portò
come si vedrà in seguito, ad un utilizzo distorto dello stesso, estraneo alle ragioni
per cui ne era stata promossa la diffusione; il rilievo della frequenza con cui si
tecnicamente la configurazione del recesso (nella motivazione); Cfr Cass. 5 marzo 1954 n.623, in
Mass.giur.lav., 1954; Cfr Cass. 7 luglio 1947, in Foro pad., 1947, I, 663, in cui si decise che
l‟indagine se un contratto di lavoro sia stato stipulato a termine o a tempo indeterminato costituisce
essenzialmente una quaestio voluntatis e che, pertanto, l‟accertamento del giudice di merito su tale
punto comporta un giudizio di fatto incensurabile in Cassazione se immune da vizi logici e
giuridici.
5
La norma altro non è se non la traduzione letterale dell‟articolo 1780 del Code Napoleon e
risente quindi dell‟influenza diretta dei principi libertari e individualistici affermati dalla
rivoluzione francese; la sua ratio è chiarissima e da essa traspare la preoccupazione,
evidentemente ancor viva nell‟Italia del 1865, che la locatio operarum si risolvesse in una sorta di
servitù personale a carattere perpetuo.
6
La quale stabiliva che “se la locazione fosse stata fatta senza predeterminazione di durata,
ognuna delle parti era legittimata a dar licenza all‟altra in qualsiasi momento con la osservanza dei
termini stabiliti dalle consuetudini dei luoghi..”.
11
ricorreva alla conclusione di tali contratti da parte dei datori di lavoro, era da
ricondursi ad un fine elusivo rivolto ad evitare l‟applicazione della norme
concernenti il contratto a tempo indeterminato.
Il primo intervento legislativo volto a regolare seppur marginalmente la
materia del contratto di lavoro a termine è il R.D.L. n. 1825 del 1924 convertito in
legge n. 562/1926 (legge sull‟impiego privato) la quale stabiliva, anche se
limitatamente alla categoria degli impiegati, che il contratto poteva essere fatto
“con prefissione di un termine” ma che sarebbero state comunque applicabili le
norme sul contratto di lavoro a tempo indeterminato “quando l‟aggiunzione del
termine non (fosse risultata) giustificata dalla specialità del rapporto e (fosse
apparsa) invece fatta per eludere le disposizioni del decreto” (art.1).
I requisiti congiuntamente previsti e che giustificavano l‟apposizione del
termine erano perciò due; che esso risultasse dalla specialità del rapporto e che
non fosse pattuito per eludere la legge.
Con la espressione “specialità del rapporto”, fu fatto notare che la legge
voleva riferirsi non solo e non sempre al caso in cui il lavoratore fosse stato uno
specialista per dati rami di attività e per determinati compiti, ma invece alla
relazione che sussisteva tra le sue mansioni o i compiti affidati, e la natura o
l‟oggetto dell‟impresa assuntrice. Anche compiti di carattere comune potevano
quindi, in una data azienda, presentare carattere di straordinarietà
7
.
Appare evidente come già dal primo articolo della legge sull‟impiego
privato, il legislatore, divergendo dai precedenti orientamenti, si preoccupasse di
giustificare l‟apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato,
vincolandolo, oltre che alla mancanza di fini fraudolenti, ad una determinata
“specialità” del rapporto. Inoltre, sempre all‟articolo 1 si prevedeva che “tuttavia
saranno applicabili … le disposizioni del presente decreto che presuppongono il
contratto a tempo indeterminato”. Era già da allora possibile, interpretando tale
disposizione, considerare in via subordinata o soltanto eventuale il contratto di
lavoro a termine rispetto a quello a tempo indeterminato, essendo tale
orientamento frutto di un oggettivo sentimento di sfavore?
7
Si veda sul punto Greco, Il contratto di lavoro, Torino, 1939, pag 136; sulla specialità si
veda App. Roma, 29 maggio 1937 (Mass. Giur. Lav, 516); Id. Venezia, 1 ottobre 1934 ( Riv. Imp.
Civ., 1935, 74); App. Milano, 12 novembre 1936 (Foro. Lomb., 233).
12
2. Il codice civile e l’articolo 2097
Accanto alla suddetta disposizione di cui alla legge 562/1926 art. 1, si
collocava l‟articolo 2097 del nuovo codice civile del 1942, il quale introduceva la
disciplina generale dei contratti di lavoro a tempo determinato, e riprendendo
l‟articolo 1 e l‟articolo 4
8
della legge del ‟26 disponeva che “il contratto si reputa
a tempo indeterminato se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da
atto scritto”
9
.
La norma prevedeva due modi distinti di stabilire la durata, uno tramite la
determinazione volontaria risultante da atto scritto e l‟altro dalla specialità del
rapporto, quindi l‟apposizione del termine era giustificata alternativamente o da
un criterio formale o da un criterio sostanziale.
Tralasciando le problematiche riguardanti la presenza o meno dei due
requisiti in ordine all‟efficacia o meno dell‟apposizione del termine
10
è opportuno
soffermarsi sulla durata del comportamento nel contratto di lavoro, determinato
dal requisito della specialità del rapporto.
Al di fuori dei contributi della dottrina
11
che permettevano di configurare
l‟apposizione del termine non come conseguenza precisa della specialità del
rapporto, ma come giustificazione in base a circostanze oggettive, (ed affermarne
la validità solo in quest‟ultimo caso e solo se risultante da atto scritto), la legge
non dava sicuramente alcun tipo di contributo, non essendo possibile all‟epoca,
8
L‟articolo 4 della legge 562/1926 stabiliva che “Ove sia stato stipulato all'atto
dell'assunzione dell'impiegato un periodo di prova, questo dovrà risultare da atto scritto.
9
L‟articolo nella sua interezza disponeva che; “l contratto di lavoro si reputa a tempo
indeterminato, se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto.
In quest'ultimo caso l'apposizione del termine è priva di effetto, se è fatta per eludere le
disposizioni che riguardano il contratto a tempo indeterminato. Se la prestazione di lavoro
continua dopo la scadenza del termine e non risulta una contraria volontà delle parti, il contratto
si considera a tempo indeterminato. Salvo diversa disposizione delle norme corporative se il
contratto di lavoro è stato stipulato per una durata superiore a cinque anni, o a dieci se si tratta di
dirigenti, il prestatore di lavoro può recedere da esso trascorso il quinquennio o il decennio,
osservata la disposizione dell'articolo 2118]
10
Sul punto si veda C. Assanti op. cit. pag 89 ss
11
Greco, in op. cit. pag. 136 ss.; Peretti Griva Domenico Riccardo, Il contratto d’impiego
privato, Milano 1963; E. Saracini, Il termine e le sue funzioni, 1979.
13
individuare una situazione per cui il contratto di lavoro sarebbe potuto essere
concepito da un punto di vista logico, come contratto a tempo determinato.
Nell‟incertezza della legge, la specialità, in relazione alla durata non poteva
che essere individuata nella necessaria temporaneità originaria dell‟interesse
soddisfatto dal datore di lavoro
12
, interesse che poteva eventualmente essere
giustificato dal raggiungimento di un determinato risultato o di uno scopo
oggettivamente circoscritto. Il datore poteva avere perciò un interesse ad una
prestazione temporanea, come ad esempio la sostituzione di un lavoratore in ferie
o ammalato ecc. sempre che il contratto fosse concluso indicando espressamente il
soddisfacimento di quelle esigenze.
Il problema dell‟interpretazione dell‟articolo 2097 c.c. portò gli studiosi ad
una attenta analisi logico-letterale con cui si arrivò a stabilire che la specialità del
rapporto e la prescrizione della forma non si presentavano legislativamente sullo
stesso piano e la contrapposizione non si poneva tra di esse, bensì tra il modo di
determinazione della durata che, si disse
13
, era legale nel caso del primo requisito
(specialità) e convenzionale nel secondo (forma scritta). Quindi, vista
l‟imposizione disgiunta dei due requisiti di cui all‟articolo 2097 c.c. ,
diversamente che nella legge del 26, i motivi che hanno suggerito al legislatore
questa diversa disciplina sono stati dovuti alla volontà di lasciare alle parti un più
ampio margine di discrezionalità, consentendo la stipulazione di contratti a
termine per atto scritto anche in assenza di quelle circostanze oggettive che
bastavano a qualificare il rapporto come speciale e a giustificare, di per sé stesse,
l‟apposizione del termine.
L‟intricato dibattito sulle ragioni giustificatrici dell‟apposizione del termine
si giocava dunque all‟interno del confronto tra le due sole indicazioni normative
presenti nell‟ordinamento di allora, il codice nel suddetto articolo e la legge
sull‟impiego privato, unici due terreni dove gli studiosi potevano proporre
interpretazioni che più si adattassero ai criteri di certezza e logicità.
Nel codice del 1942 non si chiedeva come si è visto, che il termine fosse
giustificato dalla specialità del rapporto, anche se convenuto per iscritto, mentre
per la legge sull‟impiego privato in presenza dell‟atto scritto era necessario che
13
Cfr C Assanti, Il termine finale nel contratto di lavoro, Milano 1958, pag 107.
14
ricorresse tale specialità o non risultasse la frode, stabilendo che il contratto era a
termine se esso risultava dalla specialità. Di conseguenza il contratto “speciale”
non comportava necessariamente l‟apposizione di un termine ma comportava una
determinazione legale della durata con riferimento alla durata dell‟interesse
temporaneo alla stipulazione; se per specialità si intendeva la necessità del datore
di concludere un contratto per soddisfare un interesse temporaneo, il legislatore si
orientava a presumere che il contratto dovesse essere stipulato per la durata di tale
interesse. Con tale interpretazione si evitava che la stipulazione di un contratto a
tempo determinato potesse comportare la facoltà del datore di far cessare in
qualsiasi momento il rapporto lavorativo e non invece, come si pensava, di farlo
cessare nel momento in cui veniva meno l‟interesse.
Nella giurisprudenza dell‟epoca venne stabilito, in una serie di pronunce,
che la specialità del rapporto sussisteva nei seguenti casi; di assunzione di
lavoratori da impiegare nell‟opera di demolizione di una nave, con riferimento
all‟attività in cui era specializzato il datore di lavoro ed a quella specifica degli
operai
14
,oppure di assunzione di un capo cantiere e sorvegliante dei lavori di
costruzione di un deposito
15
.
A queste ipotesi, così come a quelle individuate agli articoli 2259, 2134 e
2188 del codice civile, se ne aggiunsero altre, di contratti di lavoro considerati
speciali perché oggetto di una disciplina particolare rispetto a quella prevista per il
contratto di lavoro subordinato in generale. Ad esempio si consideravano speciali
i contratti di lavoro domestico di cui alla legge 2 aprile 1958 n. 339, il contratto di
portierato, il contratto di lavoro in risaia, il contratto di lavoro portuale, il
contratto di lavoro marittimo e aereo, il contratto di lavoro del personale
esattoriale e daziario, i contratti d.l. del personale delle ferrovie, tranvie ecc., i
contratti di lavoro degli addetti allo spettacolo, il contratto d.l. giornalistico, in
molti casi regalati da contratti collettivi di categoria
16
14
Cfr. App. Genova 13 febbraio 1952, in Giur. It. Rep. 1952, v. lavoro n. 373.
15
Cfr. App. Catania 23 marzo 1953, in Giur. It. Rep, 1953, v. lavoro n. 37.
16
Sul punto si veda R. Balzarini, Contratti speciali di lavoro, in Il contratto individuale di
lavoro, vol 2 contenuto in Trattato di diritto del lavoro, terza ed., Padova 1958, pag. 387 ss. In
particolare secondo l‟autore si direbbe speciale quel contratto di lavoro che è oggetto di una
particolare disciplina diretta a tutelare in modo più adeguato i soggetti interessati e specialmente
i prestatori di lavoro, o ad assicurare lo svolgimento normale del rapporto quando questo si
riconnetta più direttamente all’ordine pubblico. In op. cit. pag 384.
15
Certa dottrina riteneva inoltre che il criterio base su cui si potesse
determinare la specialità del contratto non era mai la temporaneità dell‟interesse di
cui all‟articolo 2097 c.c., ma risiedeva nella circostanza che il contratto era
oggetto di una disciplina particolare dettata allo scopo di tutelare in maniera più
adeguata i prestatori di lavoro o di assicurare il normale svolgimento del
rapporto
17
. Anche se con pareri discordanti, fu evidenziato in maniera prevalente
l‟orientamento secondo cui, nell‟accertamento dell‟esistenza dei requisiti della
specialità e cioè della temporaneità dell‟interesse, non si deve aver riguardo alla
esatta predeterminabilità del momento finale della durata, il quale poteva anche
mancare senza che ciò avrebbe inciso sulla circostanza che il contratto si dovesse
considerare a tempo determinato.
18
3. La legge 18 aprile 1962, n. 230 tra eccezionalità e tassatività.
Si è visto come dalla norma codicistica il lavoratore riceveva indubbiamente
una tutela più formale che sostanziale dato che, una volta rispettato il requisito
della forma scritta, nessun altro limite era stabilito per l‟apposizione del termine; e
anche la disciplina imperativa dettata dall‟art. 2097, comma 2°, raramente poteva
trovare applicazione, data l‟evidente difficoltà per il lavoratore di dimostrare
l‟intenzione fraudolenta del datore di lavoro.
I blandi limiti imposti dalla disposizione del codice permisero, dunque, un
massiccio abuso del contratto a termine, che consentiva ai datori di lavoro non
solo di non pagare l'indennità di anzianità (non prevista per i lavoratori a termine
prima del 1962), ma soprattutto di non dover sottostare ai vincoli introdotti dagli
accordi interconfederali in tema di licenziamento ed alla normativa in tema di
sospensione del rapporto di lavoro in caso di malattia, infortunio e gravidanza con
diritto alla conservazione del posto.
Con il contratto a termine il datore di lavoro aveva la possibilità di testare
più a lungo le capacità dei dipendenti ed ottenere una maggiore disciplina e un più
alto rendimento, trovandosi i lavoratori a termine in una situazione di soggezione
che li rendeva interessati più al rinnovo del contratto che non ad un miglioramento
17
Così Assanti, Il termine finale nel contratto di lavoro, Milano, 1958, pag. 110.
18
Sul punto si veda anche Greco, Il contratto di lavoro, Torino, 1939, pag 133 ss.
16
delle loro condizioni professionali: essi difficilmente familiarizzavano con i
colleghi a tempo indeterminato, non partecipavano ad alcuna iniziativa sindacale,
consapevoli del fatto che tale comportamento li avrebbe esposti al rischio di non
vedersi rinnovato il contratto di lavoro.
L'abuso del contratto a tempo determinato va anche collegato al “boom
economico” degli inizi degli anni '60: il forte aumento della richiesta di
manodopera determinò l'uso di qualsiasi tipo di contratto lavorativo, in particolare
del contratto a termine, che per la sua scarna legislazione si adattava perfettamente
ad un utilizzo improprio e fraudolento. E proprio alla luce di questi fatti il
legislatore è intervenuto con una normativa inderogabile ed analitica di
repressione dei comportamenti illeciti dei datori di lavoro, regolata nella l. n.
230/1962.
È evidente come tale legge fu orientata ad inasprire quello che già si
accingeva ad essere un atteggiamento negativo nei confronti del contratto a
termine. A tal proposito è evidente che il principale motivo di contrasto non
poteva che essere, come si è appena visto, quello della ripetuta utilizzazione da
parte dei datori di lavoro del contratto a termine a fini fraudolenti e in particolare
al fine della mancata elargizione della indennità di anzianità così come le minori
tutele sopra accennate.
Su questa scia la maggior parte della dottrina continuò ad evidenziare il
sentimento di svafore riconducibile ad una funzione del contratto a tempo
indeterminato
19
il quale come è stato ampiamente detto, doveva essere considerato
individualmente e socialmente più utile, alla luce soprattutto dei maggiori
vantaggi conseguibili dalle parti in conseguenza della continuità del rapporto e del
progressivo dilatarsi dell‟anzianità del prestatore di lavoro
20
. Tutto ciò nonostante
le due figure di contratto corrispondessero ad esigenze e funzioni diverse senza
che l‟una si fosse necessariamente qualificata in via assoluta, meno utile dell‟altra.
È anche chiaro però che se da un punto di vista funzionale i due contratti
apparivano degni di medesima stima, da un punto di vista economico e di
19
Così Santoro-Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro, pag. 104 ss.
20
Cfr. L. Barassi, Elementi di diritto del lavoro, Milano, 1954, pag. 106; L. Riva
Sanseverino, Diritto del lavoro, VII ed., Padova, 1955, pag. 220 ss; L. De Litalia, Il contratto di
lavoro, IV ed., Torino 1949, pag. 94; F. Santoro Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro, III ed.,
Napoli, 1947, pag. 73.
17
trattamento dei lavoratori, ma anche e soprattutto ai fini della garanzia della
stabilità del rapporto lavorativo, era netta e giustificabile la propensione a favore
del contratto a tempo indeterminato.
Con la legge del ‟62 in un contesto sociale ed economico caratterizzato da
una quasi piena occupazione, il ricorso al contratto a tempo determinato muoveva
all‟interno di un contesto normativo volto a garantire, in primis un utilizzo non
fraudolento, ma anche a spingere verso rapporti stabili.
La legge 230 del 1962 sembra introdurre una sorta di sistema della
“tipizzazione legale e restrittiva delle situazioni legittimanti”
21
l‟apposizione del
termine al contratto di lavoro, incentrandosi sul principio, già abbozzato
dall‟articolo 2097 c.c., della eccezionalità del contratto a termine e quindi di una
presunzione a favore del contratto a tempo indeterminato.
Tali caratteristiche erano tutte contenute nel articolo 1 comma 1-2 della
legge medesima il cui testo merita di essere riportato per intero; “Il contratto di
lavoro si reputa a tempo indeterminato salvo le eccezioni appresso indicate.
È consentita l‟apposizione di un termine alla durata del contratto:
a) Quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell‟attività lavorativa
derivante dal carattere stagionale della medesima;
b) Quando l‟assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i
quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel
contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito
e la causa della sua sostituzione;
c) Quando l‟assunzione abbia luogo per l‟esecuzione di un opera o di un
servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario
od occasionale;
d) Per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse,
per specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente
alle fasi complementari od integrative per le quali non vi sia continuità
d‟impiego nell‟ambito dell‟azienda;
e) Nelle scritture del personale artistico e tecnico della produzione di
spettacoli. […]
21
Così G. Pera, in Il lavoro a termine, atti delle giornate di studio di Sorrento, 14-15 aprile
1978, Milano 1979, pag. 78.
18
Dal primo comma si evince in modo chiaro e immediato che le parti in sede
di stipulazione del contratto non potevano pattuire un termine di durata al di fuori
dei casi tassativamente elencati.
A differenza che nell‟ abrogato articolo 2097 c.c. che richiedeva a
giustificazione del termine i due distinti requisiti intesi disgiuntamente (specialità
o forma scritta), la “nuova” legge sul contratto di lavoro a tempo determinato
sembrava ricalcare sul punto la legge sull‟impiego privato che invece richiedeva
necessariamente la specialità del rapporto. Solo che nella legge 230/1962 si
abbandona il generico riferimento alla “specialità”, preferendo invece indicare le
singole ipotesi giustificatrici del termine, in un elenco tassativo.
Un elemento positivo e di grande novità derivò dall‟aver, grazie alla
previsione di causali tassative, limitato fortemente la valutazione ex post del
giudice riguardo alla legittima o meno apposizione del termine; l‟onere di dover
indicare caso per caso le varie ipotesi di specialità dei contratti fu sostituito con la
possibilità delle parti di aver chiari i limiti entro cui agire nella stipulazione di tali
contratti, con il vantaggio di dover sottostare (data la genericità delle disposizioni)
ad eventuali errate o contrastanti interpretazioni giurisprudenziali.
Ma a cosa si dovette un tale mutamento legislativo? Come si dovette
giustificare questa nuova rigidità di disciplina?
La ratio della legge in questione anche se a prima vista sembra abbracciare,
in un ottica di continuità con le precedenti disposizioni, una funzione
antifraudolenta volta ad evitare l‟uso del contratto a termine e al fine di non
applicare la disciplina propria del lavoro a tempo indeterminato ( in particolare in
tema di indennità di anzianità e di licenziamento), è in realtà improntata su di un
nuovo motivo di sfavore nei confronti del lavoro a termine, in quanto scaturita
dalle denunce e dalle proposte della Commissione Parlamentare d‟inchiesta sulle
condizioni dei lavoratori in Italia. Dai lavori parlamentari emersero
probabilmente le ragioni di una disciplina così restrittiva: la legge, oltre a
parificare i costi del lavoro a termine con quelli del lavoro a tempo indeterminato,
intendeva “ favorire la tendenza a sindacare i licenziamenti, ovvero favorire il
principio della durevolezza del rapporto
22
. Lo sfavore non si dirigeva soltanto
22
Cfr. L. Menghini, Il lavoro a termine, linee interpretative e prospettive di riforma: gli
anni ottanta., Milano, 1980, pag. 16.