6
A essa, poi, si sono sommati gli sconvolgimenti economici tipici del passaggio di
società semi-nomadi e rurali a un capitalismo sempre più sfrenato, con conseguente
atomizzazione individuale e disgregazione sociale, che caratterizzano tanti paesi in
via di sviluppo. La somma dei due fenomeni, come detto, ha avuto effetti dirompenti:
i popoli dei Balcani si sono trovati, dopo il crollo dell’Impero Ottomano, ad adottare
un modello di Stato importato dall’Ovest e a essi totalmente estraneo: si sono trovati
nella condizione di passare da una società medioevale a una contemporanea, senza
aver vissuto né la modernità né la rivoluzione industriale. Tutto ciò è alla base delle
“crisi” dei singoli popoli, che hanno subito l’introduzione d’istituzioni a loro estranee
e, a volte, poco compatibili coi loro modelli tradizionali di autorità. Ancora oggi si
palesa quanto in un paese come l’Albania, nonostante la presenza di una millenaria
tradizione egalitaria ed elettiva, la democrazia rappresentativa fatichi a consolidarsi,
proprio per la difficoltà di superare la mentalità tribale. E ancor più evidenti sono le
difficoltà della Serbia ad adeguarsi al modello dello Stato laico, avendo essa, con il
Cristianesimo Ortodosso che la caratterizza, una altrettanto millenaria tradizione di
commistione tra il potere politico e quello religioso.
Dei molteplici volti della crisi, il più controverso e complesso da analizzare è
sicuramente quello internazionale, cui sarà dedicato tutto il primo capitolo. E lo è per
la violenza con la quale è esploso, ma anche per la prossimità storica e geografica di
questo paese: tre elementi, che rendono difficile reperire fonti obbiettive. Nell’analisi
cui ci accingiamo, che pure vuole essere puramente conoscitiva, l’avalutatività è un
obbiettivo tanto necessario quanto irraggiungibile: necessario, perché presupposto di
ogni studio che voglia dirsi scientifico; irraggiungibile, perché in casi drammatici
come la crisi serbo-albanese l’analisi delle concezioni filosofiche non può non esser
7
anche ricerca delle responsabilità storiche, nello svolgersi della crisi. Responsabilità,
che, regolarmente, risiederanno nelle mani di chi aveva il potere di far sì che i fatti
prendessero un altro corso. Inoltre, alla complessità interna di tale crisi internazionale
si aggiunge una difficoltà esterna, posta dalla necessità di affrontare le interpretazioni
che ne sono state date: in particolare, dovremo soffermarci sulla tesi Huntingtoniana
dello “Scontro delle Civiltà”, la quale, col suo impatto ideologico sugli equilibri
mondiali delineatisi dopo i tragici eventi dell’11 settembre, da un lato ha interpretato
in modo improprio questo conflitto, ritenendolo puramente “religioso”, dall’altro ha
influenzato sia il dibattito interno sull’identità albanese, sia la politica estera serba.
Non abbandoneremo il motivo internazionale nei due capitoli successivi, ove ci
analizzeremo a fondo le culture e le tradizioni serbe ed albanesi. Quest’analisi è
necessaria, in quanto l’intera crisi è caratterizzata e condizionata dalle mitologie dei
due popoli. Il Kosovo è prima di tutti uno spazio simbolico e mitologico, nel senso
che esso, per i serbi e per gli albanesi, è l’equivalente di ciò che la Terra Santa è per
gli israeliani e per i palestinesi. Il Kosovo è infatti, al contempo, il luogo di nascita
della Nazione serba, e la terra ove gli albanesi sono riusciti a preservare il Kanun
dalle minacce, di matrice tanto orientale quanto occidentale, cui la Storia lo ha via
via esposto. Analizzeremo a fondo questo testo legislativo assai poco noto, questa
legge che è espressione di una civiltà millenaria, mettendo a confronto i suoi valori
con quelli serbi come con quelli espressi dall’antica cultura greco-romana, e la nostra
analisi sarà guidata dalla convinzione che, riguardo ai popoli serbo e albanese, la
prospettiva di una cittadinanza comune sotto il segno dell’Europa è realizzabile, non
solo auspicabile, risalendo all’autorevolezza della loro tradizione comunitaria, cioè
agli esempi comportamentali lasciati dai grandi personaggi del passato.
8
Per questo nell’ultima parte della tesi, soffermandoci sulla situazione attuale del
Kosovo, qui definito “Stato delle mafie” per sintetizzare, con tale definizione
antinomica, la crisi di un popolo che è in cerca del proprio ordine, perso in seguito
alla violenza della guerra e dei mutamenti economico-sociali, presteremo particolare
attenzione al disfacimento di quella che era stata l’istituzione basilare della Nazione
albanese, cioè la struttura del clan.
9
1. Gli aspetti e le interpretazioni della crisi
1.1 Il conflitto etnico- religioso
Il conflitto serbo-albanese in Kosovo, e in generale ogni conflitto balcanico, è
stata interpretato quasi sempre ricorrendo a un movente etnico, oppure, e più di
recente, a un movente religioso. Tali semplificazioni hanno delle ragioni tanto insite
nella natura stessa della crisi, che ideologiche, dal punto di vista dell’osservatore
esterno. Il movente etnico è quello che più sembra essersi affermato storicamente.
Crollato l’impero ottomano, e attestatosi almeno in apparenza l’ideale panslavo, nel
contesto europeo questo ideale doveva sembrare sicuramente il più foriero di attriti, a
maggior ragione nell’Europa di inizio ventesimo secolo, attraversata dalle tensioni
nazionali e razziali che porteranno alle due guerre mondiali1. Con il tramonto in
primis della biopolitica, che intesa nel suo aspetto rivolto a creare divisioni politiche
su basi razziali o etniche raggiunse il suo apice col totalitarismo Nazista, e in
secundis del panslavismo, al movente etnico ha iniziato ad affiancarsi quello
religioso, il quale, emerso durante la guerra in Bosnia, ma divenuto preponderante
nelle interpretazioni geopolitiche del dopo 11 settembre, costituisce un presupposto
indiscusso nelle recenti teorie dello “scontro di civiltà”2. Nella concezione
Huntingtoniana, infatti, lo scontro politico fondamentale, dopo la fine della guerra
fredda, sarebbe quello fra le civiltà, e questo per una serie di motivi. In primo luogo
1
Una geografia delle bandiere degli Stati dell’Europa orientale recanti i colori panslavi, il blu, il rosso
e il bianco indica significativamente quei territori sui quali l’impero Russo contendeva l’influenza agli
imperi Austriaci e Ottomano, mirando a sollevare sentimenti etnici. Una buona descrizione del
fenomeno panslavo è quella offerta da Dostoevskij, per il quale, il panslavismo, è uno dei “demoni”
che avrebbero caratterizzato la coscienza russa del XIX secolo. Cfr. FEDOR DOSTOEVSKIJ, I
demoni, Milano, Feltrinelli, 2000
2
Cfr. SAMUEL HUNTIGNTON, Lo scontro delle Civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti,
Milano 2000
10
per l’aumento delle interazioni, nata dallo sviluppo delle comunicazioni ma destinata
a far emergere differenze irriducibili tra le civilizzazioni stesse. In secondo luogo, ma
parallelamente, per la globalizzazione economica, che riducendo l’importanza dello
Stato Nazione a favore delle economie regionali promuoverebbe una maggiore
identificazione all’interno delle singole civiltà, fatalmente in contrasto con
l’Occidente dominante3. Sia nel suo articolo scritto nel 1993 che nel successivo libro,
Huntington accenna solo brevemente al conflitto serbo-albanese, ma in entrambi i
casi con estrema approssimazione. Il riferimento sembra poco coerente anche col suo
pensiero geopolitico, in quanto egli fra i blocchi secondo lui destinati a fronteggiarsi,
individua da un lato l’occidente cattolico, dall’altro l’ortodossia cristiana e l’Islam,
sottolineando l’importanza nei Balcani della divisione fra i territori una volta
appartenenti all’Impero Asburgico e a quello Ottomano. Il suo principale errore ci
sembra però quello di esagerare l’importanza dell’Islam nella cultura albanese,
considerata importante tanto negli sviluppi politici delle relazioni estere, quanto a
livello sociale, con riferimento al quale la rinascita religiosa nel paese viene definita
divampante4. Non è nostro compito entrare nel merito delle tesi Huntingtoniane, ma
è chiaro che esse sono tragicamente semplicistiche e fuorvianti se applicate alla crisi
Kosovara. Non ci sembra assolutamente utile in questo caso l’inclusiva definizione
di civiltà data dallo studioso statunitense5. E appaiono addirittura pericolose le
3
Cfr SAMUEL HUNTINGTON, 1993, “The clash of Civilizations?”, Foreign Affairs, volume 72,
n.3
4
Egli scrive: «l’onnipresenza e l’importanza della religione si è manifestata in tutta la sua
drammatica evidenza negli ex stati comunisti. Riempiendo il vuoto lasciato dal crollo dell’Ideologia,
la rinascita religiosa è divampata in tutti questi paesi, dall’Albania al Vietnam»: cfr. S.
HUNTIGNTON, Lo scontro delle Civiltà…cit., p. 133. Sembra quasi che Huntington, più che
approfondire la sua conoscenza della realtà Albanese, abbia scelto questo esempio per mere ragioni
alfabetiche.
5
«A civiliation is thus the highest cultural grouping of people and the broadest level of cultural
identity people have short of that which distinguishes humans from other species. It is defined both by
11
considerazioni fatte riguardo la popolazione albanese, una delle poche uscite dal
comunismo con una maggioranza atea.
La storia dei conflitti tra questi popoli ha origini e motivazioni complesse e
secolari, e va seguita nel suo sviluppo, senza fermarsi a concezioni politiche fondate
sulla contrapposizione e viziate dall’abitudine a pensare la divisione del mondo in
blocchi. Al contrario, bisogna analizzare la struttura delle nazioni in questione, o
meglio il loro stesso logos, ricordando che il termine logos, proprio per la sua
onnicomprensività, più che con “parola” può esser fedelmente tradotto con
“discorso”, cioè con la parola “parlata”, tradotta in un’azione pratica. Da questo
punto di vista, la concezione Shmittiana della politica, basata sulla contrapposizione
amico/nemico, è sicuramente plausibile e magari anche realistica, ma ci sembra più
adatta a schematizzare i rapporti di potere che quelli tra i popoli, ove rischierebbe di
produrre una sorta di manicheismo6.
Le Nazioni, in quanto tali, sono delle comunità che si caratterizzano e si
contrappongono in base a delle motivazioni identitarie, e soprattutto che esistono
come società di soggetti aventi qualcosa in comune capace di rendere effettivo il
legame sociale, sia esso la religione, la storia o il sangue. Il nostro primo compito è
quindi quello di capire quale sia il contenuto dei legami di questi due popoli, per poi
comprendere come questi due popoli si siano relazionati l’uno con l’altro e siano
arrivati allo scontro.
common objective elements, such as language, history, religion, customs, institutions and by the
subjective self-identification of people». Cfr S. HUNTINGTON, “The clash of Civilizations?”, cit.,
pag.23
6
Per questa concezione cfr. KARL SHMITT, 1932, “The concept of the political”, Chicago, The
University of Chicago Press. Pag. 32 «A world in which the possibility of war is utterly eliminated, a
completely pacified globe, would be a world without politics. (…). The phenomenon of the political
can be understood only un the context of the ever present possibility of the friend-and-enemy
grouping, regardless of the aspects which this possibility implies for morality, aesthetics and
economics».
12
1.1.1 Il legame etnico
La parola ethnos viene dal greco, ed è normalmente tradotta con termini quali
“popolo”, “nazione” o “razza”, cercando di dare contenuti diversificati e attuali a un
concetto compatto, ben più adatto delle nostre odierne traduzioni a comprendere la
realtà di pressoché tutte le società antiche precristiane, e di molte delle odierne
società non cristiane. Infatti, proprio l’aderenza solo parziale a tale concetto fa sì che
esso venga piegato a utilizzazioni confuse e tra loro incompatibili, le quali si rivelano
inidonee alla comprensione di determinate realtà. Confondendo il concetto di etnia
con l’idea di nazione, gli si attribuisce un significato che si è sviluppato non prima
dell’età moderna, nella cultura occidentale. Non vogliamo certo dir che la nazionalità
non possa aver un fondamento etnico, ma solo che non vi è identità fra i due concetti:
del resto, il fatto che una nazionalità abbia, per esempio, un fondamento religioso,
non consente certo di identificare nazione e religione. E lo stesso può dirsi per la sua
identificazione con l’idea di razza, avendo questa una connotazione biologica e
fenomenologica che non è propria del concetto di etnia. Ancora più evidente è la non
coincidenza col concetto di popolo, il più ampio e fluido di tutti quelli presi in
considerazione finora, che sembra oggi il più adatto a definire un concetto giuridico,
indicando il soggetto titolare della sovranità.
Per capire quale sia il contenuto specifico del concetto etnico, ora che lo
abbiamo brevemente distinto da altri concetti similari, dobbiamo vedere cosa abbiano
in comune i soggetti appartenenti alla medesima etnia. L’ethnos greco definisce una
popolazione “compatta”, formata da famiglie, dove l’individuo ancora non esiste
come tale, uti singulus, bensì solo come componente della comunità. Al logos di
questa comunità corrisponde quello dei singoli, cioè corrispondono i singoli logoi, e
13
proprio per questo uno degli elementi caratterizzanti l’ethnos è quello linguistico.
L’altro, e lo vedremo bene analizzando il logos albanese, è il sangue, inteso non
biologicamente ma come simbolo del legame fra le famiglie alla base dell’etnia.
1.1.2 L’etnia albanese
In Kosovo abbiamo dunque due etnie, una albanese, l’altra serbo-slava, distinte e
con caratteristiche proprie.
Quella albanese è probabilmente la più antica, e lo è sicuramente quanto a
presenza sul territorio. Infatti, la paleolinguistica ha dimostrato come gli albanesi
derivino da una popolazione Illirica, i Dardani, che come tutte le popolazioni illiriche
erano seminomadi: dediti soprattutto alla pastorizia, abitavano l’area corrispondente
all’Albania settentrionale e al Kosovo7. Essi avevano formato un loro regno attorno
al III secolo a.c., e solo nel 74 a.c. furono sottomessi dai romani, che accorparono il
loro territorio alla Mesia.
A fondamento di questa etnia vi era la famiglia virilocale, così chiamata perché
la discendenza viene calata lungo la linea maschile. L’insieme delle famiglie
formavano la fratellanza, e l’insieme delle fratellanze formavano il fis, il clan
albanese, unito e caratterizzato dalla discendenza da un capostipite comune. La vita
era regolata secondo un codice orale, il Kanun, che, in quanto legge tradizionale
degli albanesi, influiva su ogni singolo aspetto della loro vita. La conoscenza del
Kanun è di cruciale importanza per comprendere la cultura Albanese: esso raccoglie
precetti legislativi, valori, tradizioni, modelli comportamentali, tramandati oralmente
7
Cfr. NOEL MALCOLM, Storia del Kosovo, Bompiani, Milano 1999. Tale discendenza è ormai un
fatto acquisito, nonostante molti studiosi serbi abbiano tentato di negarla.
14
da una generazione all’altra per decine di secoli e trascritti solo all’inizio del XX
secolo, dal padre francescano kosovaro Costantino Gjekov8. Si delinea dunque una
società tradizionale, fondata sui valori di eguaglianza e fiducia: la vita politica viene
gestita dalle famiglie, non dai singoli, sicché l’autorità, da esse proveniente, viene
assegnata ai capi famiglia, secondo le loro capacità. Una società, ed è questo che ora
ci interessa sottolineare, capace di coniugare i propri valori con le sopraggiunte
religioni monoteiste, quindi di conservarsi senza mai lasciarsi sopraffare da esse. In
questo senso possiamo asserire che la nazione albanese è di carattere essenzialmente
etnico.
1.1.3 La nazione serba
Lo stesso non si può dire della nazione serba. Se ci limitassimo a definirla
utilizzando i criteri della lingua e della struttura tradizionale, non sarebbe possibile
differenziarla da altre popolazioni slave del sud, in particolare da Croati, Bosniaci e
Montenegrini. L’idea di limitarsi a quell’utilizzo, per precludere questa possibilità di
differenziazione, è stata alla base del sogno – o meglio dell’equivoco – Yugoslavo9.
Del resto, tutti questi popoli hanno una lingua comune, e fino al XIX secolo hanno
avuto come istituzione fondamentale la zadruga, la comunità rurale nella quale i beni
venivano posseduti in comune: essa era formata da una famiglia patriarcale, che
comprendeva varie generazioni se non l’intero clan, a capo della quale era posto il
patriarca, ruolo generalmente attribuito al più anziano. Una struttura per molti versi
8
Cfr. PATRIZIA RESTA, Il Kanun di Lek Dukagjini. Le basi morali e giuridiche della società
albanese, Nardò, Besa, 1997.
9
Cfr. YOZE PIRJEVEC, Serbi, Croati, Sloveni, Bologna, Il Mulino, 1995.