2
INTRODUZIONE
È ricorrente il rilievo che in un contesto ormai globalizzato gli strumenti della
cooperazione giudiziaria risultano inadeguati, in cui le frontiere sono interamente cadute
per le persone e per le attività economiche, ma continuano a valere per le attività
giudiziarie.
Da anni ormai si parla della necessità di dare vita ad uno spazio giudiziario europeo e
l'impegno dell'U.E. per realizzarlo si è fatto più intenso, con un'accelerazione nel 1999,
in occasione del Consiglio Europeo di Tampere. In quel Consiglio si è raggiunta la
consapevolezza che la strada dell'armonizzazione, inizialmente intrapresa dall'U.E., da
sola non avrebbe portato alla meta e si è deciso di affiancarla con un nuovo strumento,
costituito dal mutuo riconoscimento da parte degli Stati dell'U.E. dei rispettivi
provvedimenti giudiziari. Uno strumento che avrebbe dovuto rappresentare il modello
di una rinnovata cooperazione giudiziaria, basata sulla fiducia degli Stati membri nei
rispettivi ordinamenti giudiziari.
Sono apparse sulla scena europea nuove forme di cooperazione giudiziaria, tra cui il
mandato d'arresto europeo, che rappresenta la prima attuazione del principio del mutuo
riconoscimento, ha introdotto la c.d. “eurordinanza”, un provvedimento giudiziario
europeo avente forma e contenuto tipici, fissati dalla stessa decisione quadro, che le
autorità giudiziaria dello Stato “di emissione” trasmettono alle autorità dello Stato “di
esecuzione”, per ottenere l'arresto e la consegna di una persona ricercata.
Il 13 giugno 2002 il Consiglio dell’Unione Giustizia e Affari interni ha adottato, a
norma del Titolo VI del Trattato sull’Unione Europea, la decisione quadro relativa al
mandato di arresto europeo 2002/584/GAI e alle procedure di consegna tra Stati
membri.
L’intento del legislatore è quello di sostituire il tradizionale strumento di consegna delle
persone che si sottraggono alla giustizia costituito dall’estradizione, eliminando la fase
politico-amministrativa che caratterizzava quest'ultima e che la rendeva lenta e
difficoltosa. L'esecuzione del mandato di arresto avviene attraverso contatti diretti tra le
autorità giudiziarie nazionali, individuate sulla base degli ordinamenti statali.
La decisione quadro prevede che il mandato d'arresto europeo abbia luogo in relazione a
32 tipologie di reati considerati più gravi dagli Stati membri e per i quali si prescinde
3
dal principio della doppia incriminazione, rendendo più semplice la verifica circa la
corrispondenza, nel proprio ordinamento giuridico, delle fattispecie di reato alla base di
un mandato di arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione.
Quest’ultima può rifiutarsi di dare esecuzione al mandato di arresto europeo soltanto
nelle ipotesi tassativamente elencate nell’art. 3 della decisione quadro (amnistia; ne bis
in idem; non punibilità a causa dell’età del ricercato). La decisione sulla consegna viene
presa dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione in tempi rapidi (dieci giorni in caso di
consenso alla consegna da parte della persona arrestata o sessanta giorni, in caso
contrario, con possibilità di una proroga di trenta giorni, in casi particolari).
Oggetto del presente lavoro è il mandato di arresto europeo, i suoi problemi di
attuazione nei vari ordinamenti nazionali, i risultati finora raggiunti nonché le critiche
ad esso rivolte al fine di valutarne le conseguenze giuridiche e politiche.
A tal fine, nel capitolo primo verrà descritta l’evoluzione che ha investito gli strumenti
della cooperazione giudiziaria in materia penale, a partire dalla firma del Trattato di
Maastricht, che ha istituito un quadro istituzionale unione dell'Unione europea alle
modifiche ed innovazioni apportate dal Trattato di Lisbona, fino a mettere in luce i
principali motivi che possono aver spinto l’Unione Europea e altri organismi
internazionali a favorire i processi di snellimento delle procedure di ricerca e di
consegna delle persone sottoposte a restrizione delle libertà personale a fini penali.
Viene pertanto descritto il principio di funzionamento dell’estradizione e le sue basi
giuridiche così da poter confrontare direttamente il mandato d’arresto europeo con il
suo antenato.
Nel capitolo secondo verrà esaminato il nuovo strumento di ricerca e consegna delle
persone che si sottraggono alla giustizia consistente nel mandato d’arresto europeo (la
decisione quadro 2002/584/GAI). Sarà messa in luce la particolare natura e la finalità di
tale strumento, verranno esaminate le relative disposizioni, con particolare riguardo agli
elementi più innovativi che rendono la procedura del mandato di arresto europeo
diversa da quella della estradizione.
Nel capitolo terzo verranno indicate le problematiche che l’adozione del mandato
d’arresto europeo ha sollevato circa la sua conformità alla Costituzione, a seguito
dell'attuazione italiana della norma-quadro europea e, verranno esaminati i diritti
fondamentali del ricercato che in essa sono tutelati.
4
Nel capitolo quarto verrà esaminata l'implementazione della decisione quadro negli
ordinamenti di alcuni Stati membri, tra cui Regno Unito, Spagna, Francia, e Germania.
5
CAPITOLO I
L'EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE GIUDIZIARIA
IN MATERIA PENALE
1. PROFILI STORICI
Con il Trattato sull'Unione Europea
1
, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992
2
, si è
1 Modificato dal “Trattato di Lisbona” firmato il 13 dicembre 2007 dai 27 Stati membri dell'U.e.
I governi degli Stati membri dell'U.E. si sono attivati consultati per preparare una nuova proposta di
riforma dei trattati vigenti, con l'obiettivo di farlo prima delle elezioni del Parlamento europeo del giugno
2009.
La presidenza tedesca preparò un mandato, approvato all'unanimità dal Consiglio europeo del 23 giugno
2007, per la convocazione di una nuova CIG cui fu conferito l'incarico di redigere un nuovo testo di
trattato nel quale fossero recepite le innovazioni nel Trattato costituzionale, ma con l'avvertenza di
eliminare qualsiasi riferimento al carattere costituzionale, che consisteva nell'abrogazione di tutti i trattati
esistenti e nella loro sostituzione con un unico atto denominato “Costituzione” è abbandonato.
La CIG concluse i suoi lavori il 19 ottobre 2007 con l'approvazione del nuovo progetto di trattato di
riforma che poi fu firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007.
Il Trattato di Lisbona si compone di due parti:
1. il nuovo Trattato che modifica il Trattato sull'Unione Europea (NTUE);
2. il Trattato sul funzionamento della Comunità europea (TFUE).
Il Trattato di Lisbona non si sostituisce ai trattati esistenti, ma si limita a modificarli. Ad essi vanno si
aggiunte la Carta dei diritti fondamentali, che non è altro che un trattato avente lo stesso valore vincolante
dei primi.
È stata mantenuta la fusione dell'U.E. e della C.E. con personalità giuridica unica (“L'Unione sostituisce e
succede alla Comunità europea”) è di fatto soppresso il terzo pilastro (inserito nel TFUE).
Scompaiono dal Trattato modificativo rispetto al Trattato costituzionale il preambolo, i simboli
dell'Unione ed il riferimento alla volontà dei cittadini oltre che degli Stati d'Europa, quale duplice
fondamento e legittimazione dell'U.E.
Vengono interamente mantenute le enunciazioni relativi ai principi democratici su cui si fonda l'Unione:
uguaglianza democratica, democrazia rappresentativa, democrazia partecipativa con la possibilità di
avanzare una proposta normativa da parte dei cittadini su scala europea.
Viene rinforzato il ruolo fondamentale dei Parlamenti nazionali, in particolare per quanto riguarda il
controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà; la loro possibilità di opporsi ad una decisione del
Consiglio, in materia del diritto di famiglia, di passare dalla procedura legislativa speciale a quella
ordinaria; la partecipazione alle procedure di revisione dei trattati; ricevere i progetti di atti legislativi;
essere associati alle politiche proprie dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia; essere informati sulle
domande di adesione di nuovi Stati all'Unione.
Vengono eliminati i termini legge e legge-quadro europee, ritenuti una conseguenza del carattere
costituzionale del trattato: tuttavia la portata di questa modifica, rappresentata dall'abbandono della parola
legge, è essenzialmente simbolica, rimanendo la distinzione tra atti legislativi, atti delegati ed atti di
esecuzione.
Il principio della libertà di concorrenza, considerato uno dei principi fondamentali del diritto comunitario
ed incluso dal Trattato costituzionale tra gli obiettivi dell'Unione, scompare dal Trattato modificativo.
Viene eliminato il principio relativo al primato del diritto comunitario.
2 Il testo del Trattato è leggibile in http://eur-lex.europea.eu/it/treaties/index.htm
6
compiuto il primo tentativo di dare una disciplina organica alla materia della sicurezza
interna, mentre si andava affermando l'esigenza di una cooperazione politica che si
affiancasse a quella economica, in una visione dell'ordinamento comunitario dinamica,
in costante e progressiva evoluzione.
In seguito al Trattato sull'Unione Europea, la struttura dell'Unione si articola in tre
pilastri
3
: il primo pilastro, nei Titoli II, III e IV disciplina le materie trasferite alla
competenza della U.E. originariamente contenute nei Trattati istitutivi delle Comunità
europee – CEE, CECA, CEEA - cui appartengono le politiche comunitarie classiche
relative all’unione doganale, alla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali
tra gli Stati membri e all’unione economica e monetaria; il secondo pilastro, disciplinato
nel titolo V TUE, ha ad oggetto la politica estera e la sicurezza comune (PESC), è un
elemento di novità, con l’obiettivo di difendere i valori e gli interessi comuni, rafforzare
la sicurezza interna dell’Unione e quella internazionale, promuovere la cooperazione
internazionale, sviluppare la democrazia e lo stato di diritto, con il rispetto dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentale; il terzo pilastro, disciplinato nel Titolo VI TUE,
rubricato originariamente come Cooperazione in materia di giustizia ed affari interni
(GAI), in seguito alle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam ha assunto la
denominazione di “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”, con
l’obiettivo di rendere effettivamente possibile la libera circolazione delle persone,
raggiungibile se gli Stati dell’Unione Europea concentrino la loro attenzione e il loro
operato su una serie di politiche e temi previsti dal Trattato medesimo, che vengono
considerate “questioni di interesse comune”
4
.
I tre pilastri, ovvero gli ambiti di azione, cui si è accennato sopra, individuano invero
competenze e poteri degli Stati membri e raccordano il settore della cooperazione
attuata nelle Comunità europee con le politiche di cooperazione instaurate dal Trattato
di Maastricht.
Ciascun pilastro, infatti, oltre ad avere ad oggetto differenti materie e ad indicare
diverse competenze alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri, si differenzia per il
ruolo più o meno ampio svolto dai propri organi e per procedure decisionali proprie.
Soffermandoci sul terzo pilastro, occorre precisare che all’interno del medesimo, il
3 Il Trattato di Lisbona ha ridisegnato l'architettura, riportando ad unità il complesso sistema, attraverso
la soppressione dei tre pilastri sui quali si fonda l'Unione a partire dal Trattato di Maastricht.
4 L. LIMBERTI, Il terzo pilastro: una rassegna, in Riv.it.dir.pub.com., 1997, n. 3-4.
7
perno attorno al quale ruota l’intero procedimento decisionale è il Consiglio
dell’Unione. Questo, infatti, svolge un ruolo decisivo riguardo alla concertazione
intergovernativa degli Stati e deve adottare gli strumenti che consentano il
perseguimento della cooperazione in materia di sicurezza interna.
Di fronte alle numerose critiche avanzate alle soluzioni adottate nel settore della
cooperazione penale a Maastricht
5
, il Trattato di Amsterdam
6
, firmato il 2 ottobre 1997
ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, attua un passo più decisivo verso una compiuta
forma di cooperazione fra gli Stati europei in materia penale ed effettua una vera e
propria riscrittura del terzo pilastro. Realizza una contrazione dei contenuti mediante
una parziale “comunitarizzazione”: se da un lato si riorganizza il vasto elenco di materie
comprese nel terzo pilastro di Maastricht, attraverso l’inserimento nel primo pilastro dei
settori del controllo alle frontiere esterne, asilo, immigrazione e cooperazione
giudiziaria in materia civile, dall’altro lato la nuova formulazione dell’art. 29 TUE
sembra aprire la strada ad un approccio globale al problema della cooperazione in
materia penale, che pure resta affidata al metodo intergovernativo
7
.
La sfida insita nel Trattato di Amsterdam è ora quella di garantire che il diritto alla
libera circolazione in tutta l'Unione, possa essere goduta in condizioni di sicurezza e di
giustizia accessibile a tutti.
Gli strumenti per la realizzazione dello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” sono:
5 Il Trattato di Maastricht aveva collocato la disciplina della cooperazione di polizia e giudiziaria in
materia penale nel più ampio settore GAI (Giustizia e Affari Interni); scelta criticata in relazione sia
all’utilizzo del metodo intergovernativo in materie contigue al “primo pilastro”, sia agli strumenti
giuridici inadeguati attribuiti al Consiglio, alla scarsità di controllo politico da parte del Parlamento
Europeo e dei Parlamenti nazionali ed alla mancanza di controllo giurisdizionale da parte della Corte di
Giustizia.
6 Il testo del Trattato è leggibile in http://eur-lex.europea.eu/it/treaties/index.htm
7 Il testo dell’art. 29 TUE: Fatte salve le competenze della Comunità Europea, l’obiettivo che l’Unione si
prefigge è “fornire ai cittadini un elevato livello di sicurezza in uno spazio di libertà sicurezza e
giustizia”, sviluppando tra gli Stati un’azione comune nel settore della cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia.
Tale obiettivo è perseguito prevenendo e reprimendo la criminalità, organizzata o di altro tipo, in
particolare il terrorismo, la tratta degli esseri umani ed i reati contro i minori, il traffico illecito di droga e
di armi, la corruzione e la frode, mediante:
una più stretta cooperazione tra le forze di polizia, le autorità doganali e le altre autorità
competenti degli Stati membri, sia direttamente che tramite l’ufficio europeo di polizia, attuata
grazie anche all'istituzione di Europol, a norma degli art. 30 e 32;
una più stretta cooperazione tra le autorità giudiziarie e le altre autorità degli Stati membri, anche
tramite l’Unità Europea di Cooperazione giudiziaria (Eurojust), a norma degli art. 31 e 32;
il ravvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in materia penale, a norma
dell’art. 31.
8
la cooperazione fra le forze di polizia, le autorità doganali e le altre autorità
competenti degli Stati membri (Europol);
la cooperazione tra le autorità giudiziarie e altre autorità competenti degli Stati
membri;
il ravvicinamento delle normative degli Stati membri in materia penale.
1.1 DALL'ESTRADIZIONE AL MANDATO D'ARRESTO
EUROPEO:
ANALOGIE E DIFFERENZE
La scelta di costruire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia
8
tra i Paesi aderenti
all'Unione Europea, privilegiando la via della libera circolazione delle decisioni
giudiziarie in materia penale, piuttosto che quella dell'armonizzazione tra gli
ordinamenti, ha trovato la sua prima concretizzazione con l'adozione della decisione
quadro istitutiva del mandato d'arresto europeo
9
, con cui si realizza il passaggio da un
sistema di cooperazione giudiziaria ad un sistema di spazio giudiziario comune
10
,
sostituendo la tradizionale procedura di estradizione con la semplice consegna.
Sebbene nel preambolo alla decisione quadro sia espressamente previsto che “il
mandato d'arresto europeo dovrebbe sostituire tra gli Stati membri tutti i precedenti
strumenti in materia di estradizione..”, un'effettiva comprensione della portata del
nuovo istituto non può prescindere da una valutazione dei rapporti intercorrenti con
quello che rappresenta l'antecedente storico.
Vi sono aspetti di continuità e discontinuità che il mandato di arresto presenta con
l'estradizione, di cui il primo costituisce un'evoluzione che si pone in linea con le
modifiche apportate alla Convenzione europea di estradizione del 1957
11
, giudicata non
8 ANODINA, Cooperazione-integrazione penale nell'Unione europea, in Cass. Pen., 2001, 2898.
9 La decisione quadro sul mandato di arresto europeo 2002/584/GAI - di cui più avanti si dirà – è
peculiare espressione di una nuova logica dei rapporti di cooperazione tra gli Stati, che mira a superare i
tradizionali ostacoli politici che hanno segnato nel tempo il ricorso allo strumento dell’estradizione.
10 LATTANZI, La nuova dimensione della cooperazione giudiziaria, in Doc. giust., 2000, 6, 1040.
11 La Convenzione europea di estradizione è stata ratificata dall'Italia con legge 30 gennaio 1963, n. 300.
9
più idonea ad assicurare il perseguimento delle finalità prefissate, a causa della
farraginosità del sistema rispetto alle esigenze di sicurezza.
A differenza dell'estradizione, esso è un vero e proprio provvedimento giudiziario che
rientra nel genus dell'ordine europeo o eurordinanza. Si tratta di un atto autonomo dal
provvedimento coercitivo emesso nel procedimento penale interno.
Il nuovo meccanismo di consegna si basa sul riconoscimento “a monte” dei
provvedimenti de libertate emessi in ciascuno Stato membro, che consente di deliberare
sulla consegna in virtù della mera indicazione dell'esistenza del provvedimento a quo
(sentenza esecutiva, mandato d'arresto o qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva
dotata della stessa forza) e di altre informazioni tassativamente indicate nell'art 8, par. 1
della decisione quadro (natura e qualificazione giuridica del reato, descrizione delle
circostanze della sua commissione, la pena inflitta, ovvero quella minima e massima
stabilita dalla legge dello Stato di emissione, le altre conseguenze del reato).
Nell'estradizione, oggi tipico strumento di collaborazione internazionale, convivono due
aspetti: quello giudiziario e quello politico.
Il concetto di estradizione quale tipico strumento di cooperazione internazionale in
materia penale si venne ad affermare tra il XVII e XVIII sec..
In origine
12
, l'istituto trovò collocazione nell'ambito dei rapporti fra Stati e fra governi,
per perseguire oltre confine gli autori di reati, quali quelli politici o religiosi, che in
modo più diretto andavano ad incidere sulla potestà statale.
Progressivamente l'estradizione fu estesa ai reati comuni, in particolare al fine di
reprimere più efficacemente quelli legati alla pirateria, atti a mettere in pericolo la
sicurezza dei commerci di portata transnazionale.
Essa consisteva in un procedimento in virtù del quale un Sovrano consegnava ad altro
Sovrano un ricercato, imputato o condannato, sfuggito alla giustizia. Tale consegna non
rappresentava uno strumento di collaborazione internazionale volto alla difesa di
interessi sociali mondiali, ma traeva fondamento dai rapporti di amicizia intercorrenti
tra i due Paesi, richiesto e richiedente, e concerneva sudditi del Sovrano richiedente
avente il fine di mantenere l'ordine interno di ciascuno Stato, in periodi caratterizzati da
12 Il primo accordo estradizionale di cui si ha traccia risalente alla seconda metà del 1200 a.C.
Fu stipulato tra il Faraone Ramsete II ed il Re degli Ittiti, Hattusili III. Tale accordo prevedeva la
restituzione a ciascun Sovrano di una persona ricercata rifugiatasi nel territorio dell'altro; cfr.,
BASSIOUNI, Premesse in tema di estradizione nel diritto penale internazionale, in Estradizione e spazio
giuridico europeo. Incontro di studio e documentazione giuridica per i magistrati, 1981, 16.
10
guerre di espansione, e di assicurarsi la benevolenza dello Stato richiedente.
13
Solo successivamente alla formazione degli Stati nazionali ed all'affermarsi delle teorie
illuministiche, con la caduta dei regimi assolutistici
14
, l'istituto diventa un vero e proprio
strumento giuridico rispettoso dei diritti fondamentali dei soggetti richiesti. Pur
mantenendo quella connotazione politica che lo caratterizzava come strumento di
amicizia tra gli Stati, in tempi in cui i diritti del soggetto-oggetto da estradare non
assumevano alcuna rilevanza, con l'aumentare delle garanzie per l'estradando, si è
assistito ad un ampliamento delle procedure, le quali hanno inserito notevoli formalità
esecutive, non proprio finalizzate alla tutela delle suddette garanzie.
A titolo esemplificativo, basti pensare ai poteri riconosciuti dal nostro ordinamento al
Ministro di giustizia: nella procedura estradizionale passiva, spetta non solo un vaglio
preliminare in ordine alla concessione dell'estrazione – vaglio che in mancanza di una
fonte pattizia, è rimesso all'assoluta discrezionalità politica, ben potendosi negare la
consegna sulla base di mere considerazioni di opportunità politica
15
– nonché la
decisione finale circa la concessione dell'estrazione, non essendo l'eventuale delibazione
favorevole della Corte d'Appello in alcun vincolante, al contrario di quella negativa a
seguito della quale all'autorità amministrativa è preclusa ogni possibilità di procedere
alla consegna
16
, ma competono al Ministro poteri in materia de libertate che mal si
13 Per una analisi delle fasi che hanno caratterizzato la procedura estradizionale dalla sua nascita sino ad
oggi cfr., BASSIOUNI, Premesse in tema di estradizione nel diritto penale internazionale, cit., 17, il
quale distingue quattro periodi: 1) dai tempi antichi sino al XVII sec., l'estradizione riguardava
essenzialmente i criminali politici e religiosi; 2) dal XVII sec., sino alla metà del XIX sec. in cui si assiste
ad un proliferare di trattati aventi ad oggetto soprattutto i crimini militari, stante anche le continue guerre
combattute in Europa all'epoca; 3) dal 1833 alla metà del secolo scorso, in cui l'estradizione è volta al
perseguimento della criminalità comune; 4) successivamente alla seconda guerra mondiale, ove si assiste
ad una più attenta valutazione dei diritti fondamentali dell'estradando con conseguente necessità di leggi
giuste che regolino i rapporti internazionali.
14 L'assenza di democrazie e la concentrazione dei poteri in mano al sovrano facevano si che la decisione
sulla consegna dell'estradando allo Stato richiedente fosse dettata da considerazioni esclusivamente
politiche caratterizzate da una valutazione circa l'opportunità o meno di mantenere rapporti di cortesia con
lo Stato richiedente, anche perché la mancata consegna avrebbe potuto determinare il ricorso alle armi.
15 MARCHETTI, L'estradizione: profili processuali e principio di specialità, Padova, 1990, 120.
16 Il potere attribuito al Ministro di negare l'estradizione nonostante la delibazione favorevole della
autorità giudiziaria secondo parte della dottrina costituisce una garanzia aggiuntiva per l'estradando non
potendo la sua posizione essere modificata in pejus, in tal senso CHIA VARIO, Decreto concessivo di
estradizione, garanzie individuali e poteri dell'autorità amministrativa, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 1968,
533; GAITO, Dei rapporti giurisdizionali con le autorità straniere, Padova, 1985, 60; MARZADURI,
Autorità giudiziaria ed autorità amministrativa nel procedimento di estradizione passivo, in Riv. it. Dir.
Proc. Pen., 1963, 611; contra, MARCHETTI, L'estradizione: profili processuali, cit., 125. In
giurisprudenza, v. Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 1966, n. 344, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 1968, 533, TAR
Lazio, 22 marzo 1966, n. 435; in Foro amm., 1996, 3013; TAR Lazio, 31 marzo 1992, n. 467, in Foro
amm., 1993, 209.
11
conciliano con i principi sanciti dalla nostra Carta costituzionale.
La Corte di appello, organo competente a statuire in ordine alla richieste estradizionali,
può sottoporre il soggetto da estradare a misure coercitive solo nell'ipotesi in cui
apposita richiesta sia stata formulata dal Ministro di Giustizia (artt 704, co. 3°, c.p.p. e
714 c.p.p.)
17
, al quale compete sia chiedere il mantenimento della misura
provvisoriamente applicata all'esito dell'udienza di convalida dell'arresto eseguito, nei
casi di urgenza, dalla polizia giudiziaria (art. 715 c.p.p.), sia la revoca della stessa (art
718, co. 2°, c.p.p.)
18
.
1.2 LA CONVENZIONE EUROPEA DI ESTRADIZIONE
L'ampliarsi del crimine oltre i confini nazionali e l'instaurarsi tra gli Stati di relazioni,
che cessano di essere un fatto di interesse limitato delle parti interessate – Stato richiesto
e richiedente – costituiscono fattori che hanno generato una rivalutazione dell'istituto
dell'estradizione. Questo inizia ad essere oggetto non solo di accordi bilaterali, ma viene
ad essere disciplinato oltre che dalla normativa interna, anche da convenzioni
multilaterali, finalizzate alla repressione di specifiche categorie di reati particolarmente
gravi e comuni all'intera società internazionale
19
nonché da convenzioni disciplinanti i
rapporti di estradizione tra Stati, tale da permettere la creazione di un meccanismo più
semplificato.
Un primo tentativo posto in essere dagli Stati europei per cercare di disancorare la
consegna del reo dagli scogli della diplomazia, per riaffidarla interamente alla
competenza giudiziaria, fu fatto con la Convenzione europea di estradizione
20
, aperta
17 In giurisprudenza, Cass., sez. VI, 24 febbraio 1999, Nunes Reyes, in Mass. Uff., n. 213912, secondo
cui, una volta avanzata la richiesta, la Corte di appello è tenuta a disporre la misura, contra, Cass., sez.
VI, 4 marzo 1991, Alexandridis, in Giur. it., 1992, II, 32.
18 Sulla previsione di subordinare il mantenimento della misura ad una richiesta ministeriale
particolarmente critica si è mostrata la dottrina, secondo cui “l'organo governativo dispone della libertà
personale del ricercato, potendo decidere se far decadere la misura coercitiva”, cfr. MARZADURI,
Libertà personale e garanzie giurisdizionali nel procedimento di estradizione passiva, Milano, 1993, 250;
analogamente, MARCHETTI, Questioni varie in tema di arresto provvisorio dell'estradando, in Cass.
Pen., 1994, 665.
19 È questo il caso, ad esempio, della Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 27
gennaio 1977, ratificata dall'Italia con legge 26 novembre 1985, n. 719.
20 Definita come “il primo vero tentativo di regolare la materia fra gli Stati europei a mezzo di un
12
alla firma a Parigi il 13 dicembre 1957 da undici Stati facenti parte facente del
Consiglio d'Europa (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia,
Lussemburgo, Norvegia, Svezia e Turchia) e ratificata dall'Italia con legge 30 gennaio
1963, n. 300, la quale è coeva alla firma del trattato istitutivo del Mercato comune
europeo (MEC), base del processo di unificazione europeo, che permette di affiancare
ad un'Unione economica anche una giuridica, attraverso l'enunciazione di principi
comuni tra Stati già legati da vincoli pattizi di una certa importanza, poiché l'esistenza
di una legislazione comune, quale quella prevista dal trattato istitutivo della Comunità
europea, non poteva raggiungere i risultati sperati se a questo non si accompagnava una
disciplina di carattere giurisdizionale uniforme nel campo dell'estradizione
21
.
Successivamente è stata sottoscritta da Cipro, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo e Svizzera
e vi hanno aderito Israele, Liechtenstein e Finlandia.
In tal senso, ci si è indirizzati verso la Convenzione europea di estradizione ed i relativi
Protocolli aggiuntivi
22
, in cui, nel perseguimento della finalità di realizzazione di una
più stretta unione tra i Paesi aderenti al Consiglio di Europa, si assiste, ai fini
dell'individuazione dei reati per cui può essere concessa l'estradizione, all'abbandono
del c.d. “sistema enumerativo”, consistente in un'elencazione tassativa delle singole
fattispecie criminose, in favore del c.d. sistema eliminativo
23
. Quest'ultimo è costituito
dalla predeterminazione di un limite di pena
24
astrattamente minacciata o concretamente
accordo che ne toccasse tutti gli aspetti”.
21 CATELANI-STRIANI, L'estradizione, Milano, 1983, 318.
22 Con il Primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, aperto alla firma a
Strasburgo il 15 ottobre 1975 non ratificato dall'Italia, sono stati depoliticizzati i crimini contro l'umanità
ed è stata ampliata la portata del ne bis in idem; mentre con il Secondo Protocollo, aperto alla firma
sempre a Strasburgo, il 17 marzo 1978, con cui, non solo si è prevista l'estradizione in materia di imposte,
tasse, dogana e cambio, alla sola condizione che la legislazione dello Stato richiesto preveda un reato
della stessa natura di quello oggetto della domanda, ma è stata anche prevista la possibilità di rifiutare
l'estradizione qualora la stessa sia richiesta per l'esecuzione di una condanna pronunciata in contumacia, a
meno che lo Stato richiedente non fornisca garanzie sufficienti ad assicurare un nuovo processo
all'estradando che ne garantisca il diritto di difesa.
23 Gli inconvenienti connessi al sistema eliminativo sono rappresentati essenzialmente dalla difficoltà di
ricondurre la fattispecie delittuosa sotto un determinato nomen iuris, nonché dalla circostanza che i
trattati che utilizzano tale sistema, oramai quasi completamente abbandonato, necessitano di integrazioni,
ogni qualvolta occorra tener conto di nuove figure criminose nella legislazione degli Stati contraenti; cfr.,
F. Dean, Diritto penale internazionale. Lezione agli studenti. Perugia, 2003, 501; in giurisprudenza,
Cass., sez. I, 16 dicembre 1989, Almiak, in Riv. Pen., 1991, 221.
24 Il limite di pena deve intendersi riferito alla pena edittale massima contemplata nella legislazione di
entrambi i Paesi per l'ipotesi delittuosa oggetto di estradizione, Cass., sez. I, 17 novembre 1989, Grandia,
in Riv. Pen, 1990, 890; mentre in caso di reato continuato bisogna fare riferimento non all'astratta pena
prevista per ciascun reato, bensì a quella complessivamente inflitta, cfr., Cass., sez. V , 10 dicembre 1985,
Bernardini, in Cass. Pen., 1987, 577; in dottrina, ACHILUZZI, Estradizione, in Giurisprudenza
sistematica di diritto processuale penale, a cura di Chiavario-Marzaduri, Rapporti intergiurisdizionali,
13
inflitta, a seconda che si tratti di estrazione processuale od esecutiva, al di sotto del
quale viene meno l'obbligo di estradare.
Tale convenzione è stata definita “il primo vero tentativo di regolare la materia fra gli
Stati europei a mezzo di un accordo che ne toccasse tutti gli aspetti”
25
.
Si è trattato di un tentativo che ha dato i suoi frutti positivi e ha funzionato da incentivo
per la stipulazione di altre convenzioni fra gli Stati aderenti al Consiglio d'Europa, volte
a facilitare l'amministrazione della giustizia ed a combattere in maniera adeguata il
fenomeno della criminalità organizzata. Basti ricordare la Convenzione europea di
assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo, la Convenzione europea
sulla validità internazionale dei giudizi repressivi firmata a l'Aja e quella sulla
trasmissione delle procedure repressive firmata a Strasburgo.
Si è sostenuto da parte di taluno
26
che essa presenta il difetto di carattere sistematico di
confondere tra loro istituti di diritto sostanziale con regole di carattere processuale.
La critica deriva dalla tradizionale impostazione secondo cui l'istituto dell'estradizione
presenta caratteri tipici del diritto penale sostanziale, mentre le norme di procedura
costituirebbero norme interne di ciascuno Stato senza rilievo di carattere internazionale,
costituendo un principio comune a tutti gli Stati quello secondo cui il procedimento
relativo all'estradizione deve svolgersi secondo la disciplina prevista dalla legislazione
dello Stato di rifugio. È evidente l'erroneità di siffatta impostazione.
L'istituto dell'estradizione è un tipico istituto di diritto processuale penale
internazionale, cioè un procedimento incidentale che si inserisce nell'ambito del
procedimento principale di cognizione instaurato a carico di un imputato o nel corso del
processo di esecuzione nei confronti del condannato.
Viene superato inoltre il principio di colpevolezza, ossia la verifica della fondatezza
delle accuse mosse nei confronti della persona da estradare, dovendo le competenti
autorità dello Stato richiesto limitarsi a compiere una verifica in ordine alla regolarità
formale degli atti prodotti a sostegno della richiesta, giacché l'esistenza dei gravi indizi
di colpevolezza è presunta, iuris ed de iure, in considerazione del fatto che, con
coord. da Aimonetto, Torino, 2002, 157; MOSCONI-PISANI, Le convenzioni di estradizione ed
assistenza giudiziaria, Milano, 1984, 56.
25 A. TIZZANO, La convenzione europea di estradizione, in Annuario di diritto internazionale, 1965,
pag. 205. Il 7 maggio 1982 anche la Spagna ha depositato lo strumento di ratifica dell'atto di adesione
alla convenzione.
26 A. TIZZANO, op. e loc. cit., in argomento vedi anche A. MARUCCI, L'estradizione europea, in
Rassegna studi penitenziari, 1963, I, 381.